STORIA CONTEMPORANEA - VERSO L'UNITÀ NAZIONALE

LE CONSEGUENZE DEI MOTI DEL 1848-49

Come abbiamo visto, i moti rivoluzionari del 1848-49 ebbero esito diverso a seconda delle Nazioni che vi furono coinvolte. In generale, comunque, essi segnarono la sconfitta del movimento democratico radicale e l'affermazione della borghesia moderata.
Nei vent'anni che seguirono, la borghesia riuscì infatti a conquistare il potere in quasi tutti gli Stati europei, in maniera così radicale che il nuovo ordine politico e sociale rifletté in maniera speculare l'ideologia della nuova classe egemone. Gli Stati divennero così gelosi tutori degli interessi di una borghesia che si identificava in un nazionalismo piuttosto gretto, ben diverso dal generoso nazionalismo romantico, tipico della prima metà del secolo.
In Francia e in Inghilterra, Paesi industriali evoluti e di grandi tradizioni democratiche, la borghesia non subì involuzioni particolari. Ma in Austria e in Prussia, la nascente borghesia riuscì appena a scalfire il regime assolutistico. I sistemi tradizionali rimasero invece in pieno vigore solo nella Russia zarista.
Dopo i moti del 1848-'49, l'oppressione si mantenne nei territori e tra le popolazioni soggette al dominio straniero, come ad esempio nel Lombardo-Veneto, che rivendicava l'indipendenza dall'Austria insieme a riforme istituzionali liberali e democratiche.
Queste aspirazioni vennero infatti represse duramente dagli Austriaci, che nel 1851 condannarono a morte, per propaganda mazziniana, Amatore Sciesa e don Giovanni Grioli. L'anno successivo salirono invece sul patibolo a Mantova don Enrico Tazioli e altri quattro patrioti (i martiri di Belfiore). Vennero infine giustiziati Tito Speri e Pier Fortunato Calvi.
La repressione fu dura anche nei ducati emiliani e nel Granducato di Toscana, governato da Leopoldo II. Nell'opera di repressione si distinsero anche papa Pio IX, che aveva abbandonato ogni velleità democratica, e soprattutto i Borboni di Napoli, che incarcerarono e perseguitarono i nomi più illustri della classe intellettuale partenopea, fra cui Luigi Settembrini, Silvio Spaventa e Carlo Poerio. L'unico Stato in cui rimasero in vigore le concessioni costituzionali del 1848 fu il Regno di Sardegna, dove la dinastia sabauda, grazie all'abile politica di Vittorio Emanuele II, avrebbe assunto la guida della lotta per l'indipendenza dall'Austria, divenendo il punto di riferimento per buona parte dell'opinione pubblica italiana. Il Piemonte, dopo aver ottenuto dall'Austria favorevoli condizioni di pace col Trattato di Milano (6 agosto 1849), poiché a Vienna si pensava di attirare il Regno tra le potenze reazionarie, rimase fedele allo Statuto Albertino ed il Parlamento, ispirandosi ad esso, si fece promotore di numerose riforme.
Il Governo moderato presieduto da Massimo D'Azeglio, in particolare, fece approvare le leggi Siccardi, che riducevano notevolmente i privilegi del clero e la cui approvazione ebbe vasta eco in tutta la penisola.
Ben più ampie erano tuttavia le innovazioni di cui il Piemonte avrebbe avuto bisogno e per realizzarle occorreva una compatta maggioranza parlamentare. Tale esigenza fu compresa da un giovane parlamentare liberal-moderato, il conte Camillo Benso di Cavour che, alleatosi con Rattazzi, leader della sinistra moderata, formò la nuova maggioranza (novembre 1852), destinata ad imprimere una svolta decisiva alla politica del Regno di Sardegna.

LE LEGGI SICCARDI

Le leggi Siccardi (che presero il nome dal ministro della giustizia G. Siccardi) furono approvate nel 1850, durante il Governo di Massimo D'Azeglio. Esse compromisero seriamente i rapporti tra il Governo liberale piemontese e il clero, in quanto sancivano la soppressione del diritto d'asilo e del foro ecclesiastico, vale a dire due privilegi secolari della Chiesa.
Il diritto d'asilo infatti, riservato a chiese e conventi, prevedeva che chiunque trovasse rifugio in un sacro edificio fosse sottratto alla giurisdizione locale. Il foro ecclesiastico sottraeva invece i membri del clero che si fossero macchiati di qualche colpa alla giustizia locale, rimettendoli a tribunali esclusivamente clericali. L'approvazione di queste leggi creò inevitabilmente un'opposizione nell'area cattolica piemontese che, più avanti, si sarebbe staccata definitivamente dai programmi governativi. Esse infatti suscitarono il risentimento di papa Pio IX e del suo segretario di Stato, il cardinale conservatore Antonelli.
Contro l'applicazione delle leggi Siccardi svolse la sua battaglia il giornale cattolico, l'«Armonia della religione colla civiltà», molto diffuso in Piemonte, diretto da Don Giuseppe Margotti: fu il più importante organo clericale italiano, di tendenza nettamente conservatrice, che sostenne sempre gli interessi morali e temporali della Chiesa. Il quotidiano, fortemente combattuto dal Cavour, cessò le sue pubblicazioni nel 1866.

LA GUERRA DI CRIMEA

La favorevole situazione internazionale, unita ad un'accorta politica economica, permise a Napoleone III di conseguire notevoli successi, non ultimo dei quali, anche se imprevisto, il miglioramento delle condizioni generali delle classi lavoratrici. Sul versante interno, tuttavia, la politica dell'imperatore fu pesantemente condizionata dall'alta borghesia che, avendone appoggiato l'ascesa al trono, pretendeva una rigida tutela dei propri interessi. Per contro, in politica estera, Napoleone III fu più libero di agire secondo il proprio programma e questo lo portava a intravedere la possibilità di una egemonia francese su un'Europa finalmente svincolata dalla supremazia delle potenze che ne avevano deciso l'assetto con il Congresso di Vienna.
L'occasione di un'azione militare volta a tal fine, venne offerta all'imperatore dal riproporsi della questione d'Oriente che, proprio in quel momento, stava conducendo alla disgregazione del blocco reazionario composto da Austria, Russia e Prussia, Nazioni che avevano in quell'area interessi diversi e contrapposti.
La situazione comunque andò incontro ad una svolta decisiva quando, improvvisamente, nel 1853, lo zar di Russia Nicola I occupò i principati di Valacchia e Moldavia, vassalli dell'Impero Ottomano, dopo aver invano cercato di convincere la diplomazia inglese della necessità di spartirsi le spoglie dell'Impero stesso. In risposta all'attacco, Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Russia, che rimase isolata dopo che l'Austria, contrariamente alle speranze dello zar, conservò la neutralità.
Si trattò di una guerra piuttosto dura: famoso l'assedio alla base navale di Sebastopoli, sulla punta meridionale della penisola di Crimea, che resistette per quasi un anno, dall'ottobre 1854 al settembre 1855. Gravissime furono le perdite delle truppe alleate, decimate, oltreché dai conflitti, dal tifo, dal colera e dal freddo. La guerra costò la vita a circa mezzo milione di uomini, trecentomila dei quali russi.
Nel 1855, a fianco di Inghilterra e Francia, era intervenuto anche il Piemonte. L'intervento era il frutto di un ben calcolato piano di politica estera programmato dal primo ministro Cavour. Lo statista piemontese aveva infatti immediatamente intuito che la guerra di Crimea, pur non chiamando direttamente in causa gli interessi del Regno sabaudo, rappresentava un'occasione da non lasciar sfuggire, per i vantaggi di natura diplomatica che da essa il Piemonte avrebbe potuto trarre. E di questo, come vedremo più avanti, se ne ebbe conferma al termine della guerra durante il Congresso di Parigi, allorché Cavour riuscì a mettere sul tappeto delle questioni internazionali il problema dell'unificazione italiana.
Tornando alla guerra, essa ebbe una svolta decisiva in seguito alla morte dello zar Nicola I, in quanto il suo successore, Alessandro II, sotto la minaccia di un intervento austriaco, si decise ad avviare trattative di pace. Le clausole di pace, come abbiamo già anticipato, furono stabilite nel Congresso di Parigi (25 febbraio - 17 aprile 1856). In quella sede venne riaffermata l'indipendenza della Turchia e proclamata la parziale smilitarizzazione russa dal Mar Nero. La Russia rinunciava invece alla Bessarabia, annessa alla Moldavia, che insieme al Principato di Valacchia costituì nel 1859 uno Stato unitario, nucleo originale della odierna Romania. Venne stabilito inoltre che anche il Principato della Serbia avrebbe goduto di una certa indipendenza, pur rimanendo sotto la sovranità dell'Impero Ottomano.

CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR

L'uomo che, negli anni Cinquanta, indirizzò la politica del Piemonte alla guida del processo di liberazione e unificazione del territorio italiano, fu il conte Camillo Benso di Cavour.
Nato a Chieri nel 1918 da una famiglia dell'aristocrazia piemontese, aveva a lungo viaggiato in tutta Europa e sino al 1850 si era dedicato soprattutto all'amministrazione delle sue terre, adottando più moderne e scientifiche tecniche di coltivazione. Convinto che l'espansione del moderno capitalismo, rappresentato da ferrovie, fabbriche, banche, imprese commerciali e nuovi metodi di conduzione agricola, fosse la strada che anche l'Italia dovesse seguire, nel 1850 aveva avuto l'incarico di ministro dell'Agricoltura, del Commercio e della Marina nel Governo piemontese. In questa veste aveva concluso una serie di trattati commerciali con Gran Bretagna, Francia e Belgio. Dopo aver assunto il ministero delle Finanze, nel novembre del 1852 divenne presidente del Consiglio, perseguendo una politica tesa a creare nuove vie di collegamento stradale e ferroviario, a sviluppare il commercio e a consolidare le finanze dello Stato. Intensificò il suo programma di rinnovamento economico dopo la guerra di Crimea, approvando tra l'altro il traforo del Moncenisio e trasformando Genova e La Spezia in grandi porti commerciali.
In politica estera, Cavour sviluppò un'azione al tempo stesso efficace e lungimirante: comprese, infatti, che il Piemonte ben difficilmente sarebbe riuscito a liberare la penisola da solo. Solo internazionalizzando la questione italiana e portandola all'attenzione delle grandi potenze europee, il Piemonte sarebbe riuscito a piegare la forza dell'Austria.
L'occasione, come abbiamo avuto modo di osservare, gli fu data dallo scoppio della guerra di Crimea, che gli permise di esporre al Congresso di Parigi, di fronte alle altre potenze vincitrici, la questione italiana. Pur non riuscendo a guadagnare l'esplicito appoggio della Francia e dell'Inghilterra, in quella sede Cavour segnò un punto importante in favore della causa italiana dimostrando che la soluzione della questione non poteva più essere differita.
Nei mesi seguenti, infatti, le trattative avviate a Parigi tra Napoleone e Cavour si intensificarono e, sul finire del 1857, approdarono ad una intesa franco-piemontese che si proponeva come fine la guerra all'Austria. Gli accordi raggiunti vennero tuttavia messi in grave pericolo nel gennaio dell'anno seguente, allorché un repubblicano italiano, Felice Orsini, compì un attentato contro Napoleone III (gennaio 1858). L'imperatore ne uscì miracolosamente illeso, ma per un momento sembrò che l'episodio dovesse far naufragare l'interessamento francese per le sorti dell'Italia.
Ancora una volta però l'abilità politica e diplomatica di Cavour si rivelò decisiva. In poco tempo infatti il primo ministro piemontese riuscì a convincere l'imperatore che proprio per prevenire nuove agitazioni democratiche occorreva intraprendere quanto prima la guerra all'Austria.
Nel luglio dello stesso anno, Cavour e Napoleone III firmarono così, a Plombieres-les-Bains, un accordo segreto che gettava le basi dell'alleanza militare franco-piemontese. Secondo l'intesa raggiunta, la Francia sarebbe intervenuta al fianco del Piemonte, qualora l'Austria lo avesse attaccato. Nell'accordo venivano poi contemplati il matrimonio della principessa Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele, con il cugino dell'imperatore Gerolamo Bonaparte (in modo da stringere un legame dinastico tra i due Stati), e un progetto per il futuro assetto della penisola italiana. Tale piano prevedeva la costituzione di un regno dell'Italia Settentrionale, sotto i Savoia, e di due regni, nell'Italia centrale e meridionale, sotto sovrani francesi. Roma e il territorio circostante sarebbero rimasti sotto la sovranità del papa. Non venne invece data una soluzione definitiva al problema dell'annessione alla Francia di Nizza e della Savoia.
Ritratto di Camillo Benso, conte di Cavour

LA SECONDA GUERRA D'INDIPENDENZA

Dopo che Francia e Piemonte si furono assicurati la neutralità russa e inglese, ebbe inizio la mobilitazione. Volontari provenienti da ogni parte d'Italia affluirono in Piemonte e vennero incorporati nell'esercito regolare.
All'ultimatum che imponeva il disarmo immediato, intimato dall'Austria il 23 aprile 1859, il Piemonte rispose con un rifiuto ed ebbe inizio la guerra. Gli Austriaci, comandati dal generale Gyulai, passarono il Ticino il 29 aprile, penetrando nel territorio piemontese, avanzando lentamente a causa degli allagamenti provocati dai Piemontesi.
Dopo l'arrivo delle truppe francesi attraverso i passi alpini e il porto di Genova, il comando dell'esercito alleato franco-piemontese venne affidato a Napoleone III. Verso la fine di maggio gli Austriaci avevano già subito le sconfitte di Montebello e Palestro.
Oltre il Ticino, nei pressi di Magenta, avvenne il primo scontro decisivo tra i Franco-Piemontesi e gli Austriaci: questi, subendo la sconfitta, abbandonarono Milano l'8 giugno, ritirandosi nelle fortezze del Quadrilatero. Il 24 giugno, sulle alture di San Martino e Solferino avvenne un altro scontro tra i due eserciti: le pesanti perdite subite da ambo le parti ridimensionarono però la vittoria dei Franco-Piemontesi. Nel frattempo i Cacciatori delle Alpi, guidati da Garibaldi, dopo le vittoriose battaglie di Varese e San Fermo, occupavano Como, Bergamo e Brescia. Il richiamo a nord delle truppe austriache di stanza a Parma, a Modena e nelle legazioni pontificie provocò una serie di insurrezioni popolari.
Si costituirono allora Governi provvisori in Toscana sotto la presidenza di Bettino Ricasoli, in Emilia sotto quella di Carlo Farini, mentre venivano represse le agitazioni in Umbria e nelle Marche. Quando ormai la totale disfatta dell'Austria sembrava vicina, l'imprevedibile Napoleone effettuò uno dei suoi consueti e improvvisi mutamenti politici e, preoccupato della mobilitazione prussiana ai confini francesi, l'11 luglio si incontrò con l'imperatore Francesco Giuseppe a Villafranca, concludendo un accordo sulla base del quale l'Austria avrebbe rinunciato solo alla Lombardia che, ceduta alla Francia, sarebbe poi passata ai Piemontesi: inoltre, i sovrani spodestati dalle rivolte democratiche sarebbero ritornati sui loro troni. Napoleone III, dal canto suo, rinunciava alle annessioni di Nizza e della Savoia. Cavour, appresa la notizia dell'accordo e indignato per non esserne stato tempestivamente informato, si dimise dalla presidenza del Consiglio.
La pace di Zurigo del 2 novembre 1859 ribadì gli accordi di Villafranca con la modifica di alcune condizioni, poiché era divenuto improponibile il ritorno dei sovrani detronizzati: nei ducati emiliani e in Toscana, infatti, i patrioti si erano organizzati militarmente per resistere ad eventuali spedizioni austriache.
Cavour ritornò al potere nel gennaio del 1860 e riuscì a convincere Napoleone III ad accettare l'annessione al Piemonte di questi Stati, in cambio di Nizza e della Savoia.
In marzo una serie di plebisciti consacrò l'annessione dei territori dell'Italia centro-settentrionale al Piemonte. Nei mesi seguenti anche i restanti territori della penisola, ad eccezione del Veneto e di Roma, vennero annessi al nuovo Regno d'Italia grazie all'impresa dei Mille.
Un ritratto di Napoleone III


LA SPEDIZIONE DEI MILLE

Esauritasi la fase diplomatica, Cavour e i liberali si trovarono di fronte a un'impasse, non avendo modo di estendere a tutta la penisola il processo unitario. Le grandi potenze (Austria, Russia e la stessa Francia) non avrebbero infatti tollerato aggressioni allo Stato Pontificio e al Regno delle Due Sicilie. Riprese vigore e coraggio, a questo punto, il movimento democratico che, fidando nella tattica insurrezionale, non era evidentemente condizionato da una linea moderata e diplomatica.
In un primo tempo, i democratici pensarono di attaccare lo Stato Pontificio, ma la rivolta di Palermo, scoppiata il 4 aprile e capeggiata dai mazziniani Rosolino PILo e Francesco Riso, li persuase che sarebbe stato meno arduo organizzare un'azione di forza contro il regime borbonico dell'Italia Meridionale. Il Regno delle Due Sicilie versava infatti in condizioni di isolamento internazionale e di immobilismo politico.
Anche il malcontento delle masse contadine, che nasceva da una condizione di assoluta miseria e di oppressione sociale, era decisamente orientato contro il potere borbonico. Esistevano quindi le condizioni ideali per un tentativo insurrezionale. Vi era però la consapevolezza, nel fronte democratico, che il tentativo dovesse essere preparato e organizzato dall'esterno, col sostegno di un vero e proprio esercito, ben equipaggiato e pronto a sostenere una vera e propria guerra. L'esperienza di Carlo Pisacane, nel 1857, aveva infatti dimostrato che senza queste condizioni ogni insurrezione era destinata al fallimento.
I democratici affidarono allora a Garibaldi l'incarico di organizzare una spedizione armata contro il Regno borbonico. Il corpo dei volontari in camicia rossa, composto da intellettuali, professionisti, artigiani e studenti, partì dal porto di Quarto, presso Genova, la notte fra il 5 e il 6 maggio 1860. Il Governo piemontese, pur appoggiando tacitamente l'iniziativa, ufficialmente mantenne un atteggiamento distaccato tanto più che era risaputa l'opposizione del Cavour, ostile all'impresa, nonostante l'assenso del re.
La spedizione, imbarcata sui piroscafi Lombardo e Piemonte della società Rubattino, dopo aver raggiunto Talamone ed essersi rifornita di armi, giunse a Marsala l'11 maggio. Assunta la dittatura dell'isola a Salemi, nel nome di Vittorio Emanuele, il 15 maggio Garibaldi sconfisse le truppe borboniche a Calatafimi e quindi, il 27 giugno, liberò Palermo con l'appoggio delle bande dei picciotti. Nelle settimane successive, si unirono alla spedizione 15.000 volontari e, approfittando dei moti antiborbonici scoppiati in diverse località, Garibaldi riuscì a completare l'occupazione dell'isola dopo la battaglia di Milazzo (20 giugno).
Il 19 agosto Garibaldi sbarcò in Calabria, a Melito, e, favorito dalle popolazioni locali e dallo sbandamento dell'esercito borbonico, si diresse verso Napoli raggiungendola il 7 settembre. La giornata precedente, Francesco II aveva lasciato la città e si era rifugiato nella fortezza di Gaeta; i resti del suo esercito vennero definitivamente annientati da Garibaldi sul Volturno il 2 ottobre.
Cavour, nell'incalzare degli avvenimenti, si rese subito conto che non poteva differire l'intervento diretto dell'esercito regio, anche perché i capi del movimento democratico, tra cui lo stesso Mazzini, si trovavano già a Napoli per impedire l'annessione al Piemonte e sfruttare l'ondata rivoluzionaria.
Altri erano però i piani di Cavour, che aveva accettato la spedizione garibaldina a cose avvenute, ma non intendeva mettersi in urto con la Francia e con le altre grandi potenze, temendo inoltre che la leadership del movimento nazionale potesse passare ai repubblicani. Pertanto, d'accordo con Napoleone III, egli decise che l'esercito piemontese avrebbe invaso le Marche, giustificando l'azione con la necessità di salvare i territori delle Marche e dell'Umbria dal pericolo rivoluzionario, proseguendo poi la marcia verso sud, per congiungersi con le truppe garibaldine.
Dopo aver sconfitto le truppe pontificie a Castelfidardo (18 settembre), Vittorio Emanuele si incontrava con Garibaldi a Teano. L'incontro segnava la fine delle speranze dei democratici, che oltretutto non erano riusciti a guadagnare le simpatie della borghesia agraria meridionale né quelle dei contadini, delusi per la mancata ridistribuzione delle terre. Tutto dunque favoriva la politica annessionistica del Piemonte: gradatamente il corpo dei volontari garibaldini fu sciolto, ma non incorporato nell'esercizio regio. Deluso e amareggiato, Garibaldi si ritirava nell'isola di Caprera seguito da un pugno di seguaci. Caduta la fortezza di Gaeta il 17 marzo 1861, il primo Parlamento nazionale, riunitosi a Torino, ratificò l'unificazione proclamando la nascita del Regno d'Italia.
Ritratto di Giuseppe Garibaldi


GARIBALDI E I CACCIATORI DELLE ALPI

I cacciatori delle Alpi costituivano il corpo volontario (2 battaglioni di 6 compagnie ciascuno) organizzatosi nel 1848 per la difesa di Vicenza e di Venezia, al comando di Pier Fortunato Calvi. Nel 1859 in Piemonte si radunarono in questo corpo moltissimi volontari, guidati da Giuseppe Garibaldi, che si distinsero in numerose battaglie durante la seconda guerra di Indipendenza. La loro uniforme era costituita da un giubbetto rosso con alamari neri (da cui il nome «camicie rosse»), pantaloni grigi e berretto rosso. Alla guida del loro comandante, divennero il simbolo del Risorgimento italiano. Come Garibaldi, anche i cacciatori delle Alpi presero corpo nelle leggende popolari: i volontari divennero eroi nazionali, forti e generosi, ed incarnarono le migliori virtù dell'umanità. D'altronde presso le masse del Mezzogiorno, Garibaldi godeva di un particolare favore: gli si attribuivano poteri quasi divini, a lui si indirizzavano preghiere modulate sul Pater noster («Dalle caserme e dai campi di battaglia sarà fatta la tua volontà. Dacci le nostre munizioni quotidiane. Non indurci nella tentazione di contare il numero dei nemici, ma liberaci dagli Austriaci e dai preti»). Non ci deve quindi stupire se molti giovani nel Meridione nutrissero come unica ambizione quella di entrare a far parte dei cacciatori delle Alpi. È fuor di dubbio che i successi ottenuti dal corpo garibaldino in tutta Italia furono anche dovuti allo spirito di unione e di solidarietà che legava il generale ai suoi soldati. Indicativa è la testimonianza di un soldato militante nei cacciatori, che scrisse: «La nostra fiducia in lui era così grande, che se egli ci avesse comandato di arrampicarci sui tetti, lungo i muri, noi l'avremmo fatto».

PICCOLO LESSICO

Nazionalismo

Dottrina in base alla quale la Nazione può attuare una politica dettata dalla considerazione della propria grandezza e della propria potenza contro qualsiasi ingerenza esterna che ne limiti il campo d'azione. Può facilmente degenerare nell'esasperazione del sentimento nazionale, che porta al culto della razza, alla mania di grandezza, all'imperialismo territoriale.

Impasse

Francesismo che indica propriamente un vicolo cieco, una situazione difficile, da cui non si sa come uscire.

Picciotto

Voce dialettale siciliana che significa giovanotto. Questo termine stava ad indicare i militanti delle squadre armate siciliane che combatterono, nell'aprile del 1860, contro l'esercito borbonico nelle campagne siciliane.

Primo Parlamento Italiano

Tenne la sua prima seduta il 17 marzo 1861, a Torino, proclamando Vittorio Emanuele II re d'Italia. Esso comprendeva 85 membri dell'aristocrazia sabauda (marchesi, duchi, principi), 74 avvocati, 53 dottori, 28 ufficiali e 5 abati, per un totale di 247 deputati. Essi erano stati eletti da circa 200.000 elettori, cioè dall'1% della popolazione italiana.

PERSONAGGI CELEBRI

Vittorio Emanuele II

Re di Sardegna (Torino 1820 - Roma 1878). Figlio di Carlo Alberto e Maria Teresa degli Asburgo-Lorena di Toscana, partecipò alla I guerra d'indipendenza, distinguendosi particolarmente nella battaglia di Goito e, in seguito alla abdicazione del padre, salì al trono di Sardegna la sera del 23 marzo 1849 (giorno della battaglia di Novara). Nel cosiddetto «decennio di preparazione» (1849-1859), perseguì una politica fermamente antiaustriaca, assecondando i piani strategici del primo ministro Cavour, e sul piano interno si mantenne sempre fedele allo Statuto. Nel 1860, contro il parere del suo stesso primo ministro, appoggiò segretamente l'impresa dei Mille di Garibaldi, guadagnandosi così la simpatia dei democratici italiani. Divenuto primo re d'Italia, restò successivamente sempre rispettoso della Costituzione del 1876 e non ostacolò l'avvento al potere della Sinistra di Depretis.

Carlo Pisacane

Patriota e scrittore italiano (Napoli 1818 - Sanza 1857). Prestò per qualche tempo servizio nell'esercito del Regno delle Due Sicilie. Dopo aver disertato, nel 1848 partecipò alla I guerra di indipendenza e, in seguito, alla difesa della Repubblica Romana. Di idee repubblicane e mazziniane, nel 1857, insieme ad un piccolo gruppo di patrioti, si impadronì del piroscafo «Cagliari», dirigendosi quindi verso l'isola di Ponza. Dopo aver liberato un gruppo di oppositori borbonici (circa trecento) si diresse verso Sapri, con l'intenzione di promuovere una insurrezione armata. Ma né le organizzazioni segrete né le popolazioni locali aderirono al suo tentativo. Le truppe borboniche poterono così facilmente avere la meglio sul suo piccolo gruppo di rivoltosi. Pisacane, vistosi perduto, si uccise con un colpo di pistola.

Felice Orsini

Patriota italiano (Meldola 1819 - Parigi 1858). Di idee repubblicane, aderì giovanissimo alla mazziniana Giovine Italia. Nel 1848 partecipò alla I guerra d'Indipendenza e poi alla difesa della Repubblica Romana. Rientrato in Italia dopo qualche anno, venne di nuovo arrestato per attività cospirativa nel 1855, riuscendo però a fuggire dal carcere l'anno seguente. Rifugiatosi in Inghilterra, si dedicò da quel momento alla progettazione di un attentato da compiere contro Napoleone III che accusava di aver tradito la causa italiana. L'attentato venne poi compiuto, a Parigi, la sera del 13 gennaio 1858: causò molti morti e feriti, ma l'imperatore rimase miracolosamente illeso. Orsini, arrestato e processato, venne condannato a morte. La sentenza venne eseguita il 13 marzo.

RIASSUNTO CRONOLOGICO

1851: Vengono emanate le leggi Siccardi. Cavour è ministro dell'Agricoltura.

1852: Cavour è presidente del Consiglio.

1854: Guerra di Crimea.

1855: Partecipazione piemontese alla guerra di Crimea.

1856: Congresso di Parigi.

1858: Felice Orsini attenta alla vita di Napoleone III. Convegno di Plombières.

1859 (aprile): Seconda guerra di Indipendenza italiana.

1859 (luglio): Armistizio di Villafranca fra Napoleone III e Francesco Giuseppe.

1859 (novembre): Pace di Zurigo.

1860: Annessione della Toscana, dell'Emilia e dei Ducati al regno di Sardegna.

1860 (maggio): Spedizione dei Mille.

1861 (marzo): Proclamazione del Regno d'Italia.

 

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