STORIA CONTEMPORANEA - LA PRIMA GUERRA MONDIALE

LO SCOPPIO DELLA GUERRA

All'interno di un più generale quadro di tensioni alimentato dalla lotta del capitalismo franco-britannico contro quello austro-tedesco per l'egemonia politica in Europa e quella economica e militare nelle colonie, il fattore determinante conseguenze più immediate, tra quelli citati nel capitolo precedente, fu senz'altro la crescente ostilità tra Serbia e Austria-Ungheria, esasperata dalla competizione tra Austria e Russia per l'egemonia sui Balcani.
In quanto perno della politica panslavista nei Balcani, la Serbia era non solo la principale antagonista dell'Impero austro-ungarico nella regione, ma una seria minaccia per la sua stessa conservazione. Dopo le guerre balcaniche del 1912-13, infatti, Vienna aveva dovuto soffocare violente dimostrazioni nazionalistiche da parte degli Slavi dell'Impero, inneggianti alla costituzione di una "Grande Serbia": il distacco dei territori slavi a sud del Danubio avrebbe innescato la completa dissoluzione dello Stato austro-ungarico di cui avrebbe giovato direttamente la Serbia, ma indirettamente anche la Russia, che coltivava uguali ambizioni panslaviste. Per questi gravi motivi, pur essendo consapevole che una guerra nei Balcani avrebbe inevitabilmente coinvolto anche Germania da una parte e Russia, Francia e Inghilterra dall'altra, il Governo di Vienna era pronto a intervenire non appena si fosse presentata l'occasione.
La scintilla che accese il grande incendio del conflitto mondiale scoccò quando un irridentista serbo, Gavrilo Princip, assassinò a Sarajevo (28 giugno 1914) l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico. Questi, fautore di una politica liberale, aveva dichiarato il progetto di riorganizzare su basi federaliste lo Stato, allo scopo di allentare le tensioni indipendentiste delle diverse entità politiche ed etniche che costituivano l'Impero. Tale progetto, tuttavia, era fermamente osteggiato dai patrioti serbi, che vi scorgevano solo la volontà di prolungare la sovranità asburgica sugli Slavi meridionali, ritardandone l'indipendenza e l'unione nel corpo, appunto, della "Grande Serbia".
Il 23 luglio l'Austria, attribuendo alla Serbia la responsabilità morale dell'attentato, inviò un ultimatum al Governo serbo, pretendendo riparazioni tanto gravi da essere lesive dell'indipendenza stessa di quello Stato sovrano. La Serbia fu quindi costretta a respingerlo, e l'Impero austriaco si ritenne legittimato a inviare, il 28 luglio, una dichiarazione di guerra. Benché legato al più limitato intento di egemonizzare i Balcani, il conflitto - per gli automatismi indotti dalle opposte alleanze - si allargò immediatamente su scala europea. Da un lato la Germania si mosse subito a copertura dell'Austria, dall'altro la Russia accorse a sostegno della Serbia, ordinando una mobilitazione parziale delle sue truppe. Tale segnale fu interpretato dalla Germania come ostile nei propri confronti e determinò la dichiarazione di guerra di quest'ultima contro la Russia (1° agosto) e contro la Francia (3 agosto) che, in quanto alleata dello zar, aveva iniziato la mobilitazione del proprio esercito. La necessità di evitare una guerra su due fronti, spinse lo stato maggiore tedesco ad attaccare immediatamente la Francia (3 agosto), aggirandone le posizioni attraverso la violazione del territorio neutrale del Belgio: l'operazione danneggiò gravemente i Francesi ma nello stesso tempo determinò l'intervento della Gran Bretagna (4 agosto), in soccorso dei suoi alleati. Questo atto bellico illegittimo, inoltre, fece sì che l'opinione pubblica mondiale ritenesse la Germania responsabile delle dimensioni planetarie del conflitto, fatto che in parte determinò la durezza delle clausole di riparazione imposte, alla fine della guerra, al Reich sconfitto. In quei giorni, l'unica potenza europea ad essersi dichiarata neutrale fu l'Italia, che si era sottratta agli obblighi dell'alleanza perché non era stata preventivamente informata delle intenzioni degli Imperi centrali.
Il conflitto non rimase a lungo circoscritto alla sola Europa: il 23 agosto il Giappone entrò in guerra contro la Germania, mirando a consolidare i propri interessi in territorio cinese a scapito dei possessi tedeschi in quella regione; la Turchia, dichiaratasi inizialmente neutrale, si impegnò al fianco di Austria e Germania (15 novembre 1914), con grave danno dell'Intesa, le cui flotte, con la chiusura dello Stretto dei Dardanelli, si videro preclusa la più veloce via di comunicazione con la Russia.
Nessuno dei Paesi belligeranti aveva previsto che il conflitto avrebbe assunto estensione, durata e potenza quali ebbe in realtà: era opinione corrente - soprattutto nello stato maggiore tedesco e austriaco - che la guerra sarebbe stata di breve durata e condotta secondo una strategia tradizionale. In realtà la prima guerra mondiale - per l'inedito sviluppo industriale e tecnologico raggiunto dalle potenze europee - mobilitò risorse umane ed economiche enormi e generò una violenza distruttiva mai vista prima.
Modello tridimensionale di mitragliatore in uso durante la Prima Guerra Mondiale

Modello tridimensionale del fucile Martini-Henry, usato dall’esercito inglese dalla fine del XIX sec.

LE PRIME OPERAZIONI

Lo stato maggiore tedesco aveva da tempo elaborato un piano militare che, sfruttando la prevedibile lentezza della mobilitazione russa (dovuta alla grande estensione del suo territorio e ai rudimentali mezzi di comunicazione), puntava a piegare con un fulmineo attacco la Francia ed evitare così la guerra su due fronti; su quello orientale, inizialmente, sarebbe stato sufficiente appoggiare l'esercito austro-ungarico con piccoli contingenti per tenere sotto controllo la situazione.
Il piano Schlieffen si basava sull'effetto-sorpresa dell'invasione dal Belgio, la cui neutralità venne definita dal cancelliere tedesco "un pezzo di carta", e sull'impeto dell'attacco che, nelle previsioni, avrebbe dovuto portare in breve tempo a Parigi. Tuttavia, la necessità di tenere impegnato il grosso delle truppe francesi tra Verdun e Belfort per prevenirne lo sfondamento in Alsazia e Lorena costrinse i generali tedeschi a indebolire i contingenti d'attacco.
Bastò questo a consentire ai Belgi di resistere un po' più a lungo del previsto, agli Inglesi di inviare loro truppe e ai Francesi di organizzare un fronte che arginasse l'avanzata tedesca. L'armata del generale Bülow, che avrebbe dovuto puntare su Parigi, fu invece costretta a deviare ad est della città, fatto che permise ai generali francesi Joffre e Gallien di lanciare una violenta offensiva lungo la Marna (5-9 settembre 1914). I Tedeschi arretrarono verso est, attestandosi lungo l'Aisne e la Somme. Lo sbarco in forze dei Britannici nei porti della Manica - che non erano stati occupati in tempo dai Tedeschi il cui obiettivo iniziale era Parigi - e l'arrivo dell'inverno trasformò la progettata guerra di invasione in una guerra di trincea e di posizione, che caratterizzò - almeno in Europa occidentale - tutto lo svolgimento del conflitto.

IL FRONTE ORIENTALE

La mobilitazione dell'esercito russo, il cui comando venne affidato al granduca Nicola, venne completata in tempi assai più brevi del previsto.
Grazie alle informazioni fornite da ufficiali slavi infiltrati nei comandi degli Asburgo, i Russi vennero a conoscenza dei piani di guerra dell'Austria-Ungheria: con la battaglia di Leopoli (5-12 settembre), i Russi occuparono la Galizia, destinando contemporaneamente due armate all'invasione della Prussia orientale.
Contro di esse vennero inviate truppe tedesche al comando dei generali Hindenburg e Ludendorff, che bloccarono l'avanzata russa a Tannenberg (30 agosto) e poi sui Laghi Masuri (7-13 settembre), infliggendo pesantissime perdite alle forze zariste (250.000 soldati furono uccisi o fatti prigionieri).
Per ottenere quest'ultimo successo, la Germania aveva dovuto indebolire il fronte occidentale, senza peraltro riportare una vittoria decisiva, dal momento che in Galizia, contro gli Austro-Ungheresi, erano stati i Russi ad avere la meglio.
Anche sul fronte orientale, dunque, lo scontro sembrò evolvere in una guerra di posizione che immobilizzava un'ingente quantità di truppe tedesche e austro-ungariche. D'altra parte, la coordinazione tra la Russia e i suoi alleati era assai scarsa e precisa solo riguardo al reciproco impegno di non concludere una pace separata.
Con l'inverno 1914-15 tutti e due i fronti erano ormai impegnati in una guerra di logoramento: nel tentativo di interrompere lo stallo, entrambe le parti si adoperarono ad allargare il campo del conflitto.
La flotta tedesca era bloccata nei porti, costantemente minacciati dalla superiore forza della marina britannica; la Gran Bretagna aveva messo in atto, oltre a quello militare, un vero e proprio blocco economico nei confronti degli Imperi centrali. Al principio del 1915 gli Inglesi progettarono un attacco nei pressi dei Dardanelli, allo scopo di allentare la pressione turca sul Caucaso e consentire i rifornimenti via mare alla Russia.
Contro il parere dei Francesi, che non intendevano sguarnire il fronte occidentale, e per volontà di Winston Churchill, ministro della Marina, nel marzo una grande spedizione anglo-francese fece rotta verso i Dardanelli, sbarcando nella penisola di Gallipoli.
Dopo alcuni mesi, però la spedizione fallì, poiché le forze alleate incontrarono una resistenza così forte da essere costrette a ritirarsi, subendo ingenti perdite.

L'ITALIA: DALLA NEUTRALITÀ ALL'INTERVENTO

L'ultimatum inviato dall'Austria alla Serbia era stato inviato senza che l'Italia fosse stata preventivamente e formalmente consultata. Ciò consentì al nostro Paese di dichiararsi neutrale, nonostante fosse membro della Triplice Alleanza. Tuttavia, l'opinione pubblica interna e la sua rappresentanza politica si divisero nelle due opposte fazione dei neutralisti e degli interventisti.
In un primo momento, i fautori della neutralità erano in maggioranza sia nel Paese sia in Parlamento, in uno schieramento composito, comprendente socialisti, cattolici e liberali giolittiani. I socialisti erano contrari alla guerra in via di principio, ritenendo che il conflitto si dovesse solo ai contrastanti interessi del capitalismo borghese delle diverse Nazioni e non potesse in alcun modo giovare alle masse operaie e proletarie che ne avrebbero però pagato tutto il prezzo economico e di sofferenze. A differenza di altri partiti socialisti della Seconda Internazionale, i socialisti italiani non abbandonarono neanche in seguito questa posizione, e dal 1915, dopo l'intervento dell'Italia, adottarono la massima "né aderire né sabotare", che - se da un lato si rivelò priva di qualsiasi efficacia politica - li espose all'accusa di tradimento.
Contrari erano anche i cattolici, sia per ragioni morali, sia perché temevano l'eventuale sconfitta di una potenza cattolica come l'Austria. Particolarmente forte fu la presa di posizione del papa che definì la guerra "orrenda carneficina" ed "inutile strage".
I liberali, infine, e in particolare il loro leader Giovanni Giolitti, fondarono il loro neutralismo su considerazioni non di principio ma a carattere realistico: essi erano convinti che sarebbe stato più opportuno risolvere le divergenze con l'Austria attraverso la diplomazia, mentre la guerra rappresentava una soluzione estrema e costosa in termini umani ed economici.
Non meno variegato era il campo interventista: favorevoli alla guerra furono i conservatori di Salandra, Sonnino e Luigi Albertini, direttore del "Corriere della Sera", che scorgevano nel conflitto un'occasione per guadagnare all'Italia maggiore prestigio internazionale ed espansione economica. Interventiste furono anche alcune personalità democratiche come il social-riformista Leonida Bissolati o il radical-progressista Gaetano Salvemini i quali, seppure con diverse sfumature, pensavano alla guerra contro l'Austria come ad una prosecuzione delle lotte risorgimentali, la possibilità di realizzare una più compiuta democrazia nel Paese e come un impegno di solidarietà con le grandi democrazie occidentali che si opponevano agli Imperi centrali. Infine, favorevoli ad una guerra contro l'Austria-Ungheria furono anche gli irredentisti (Cesare Battisti, Nazario Sauro, Damiano Chiesa) il cui unico obiettivo era la liberazione dei territori italiani ancora soggetti agli Asburgo.
Accanto a questo interventismo cosiddetto "democratico" se ne schierò un secondo di carattere ben più aggressivo, di ispirazione nazionalista e intenti esplicitamente antidemocratici e imperialistici: in un primo momento i nazionalisti perorarono un intervento a fianco degli Imperi centrali, ma in seguito - imponendosi la necessità irredentista e il recupero di Trento e delle Venezie - si convertirono alla causa della Triplice Intesa. Figure tra le più rappresentative ed estreme di questa corrente furono Gabriele d'Annunzio, che nei suoi discorsi incitava addirittura allo scontro fisico con i neutralisti, e Benito Mussolini che, direttore dell'"Avanti", si spostò dalle posizioni neutraliste socialiste ad un focoso interventismo, che propugnò fondando un nuovo quotidiano "Il Popolo d'Italia".
Mentre erano in corso le polemiche tra i diversi schieramenti, il Governo Salandra condusse - mediante il ministro degli Esteri Sidney Sonnino - segrete trattative diplomatiche con le potenze dell'Intesa, che culminarono, il 26 aprile 1915, con il Patto di Londra, in base al quale l'Italia si impegnava ad intervenire contro i suoi ex alleati entro un mese: in cambio si assicuravano all'Italia, a guerra terminata, l'annessione dei seguenti territori:
- Trentino e Alto Adige;
- Trieste, Istria e Dalmazia;
- il porto di Valona in Albania.
Al Governo - che agì di concerto con il re e con la corte - restava tuttavia il compito non facile di indurre il Parlamento, che era stato tenuto all'oscuro del Patto sottoscritto a Londra e i cui membri erano a grande maggioranza neutralisti, a votare in favore della guerra. Per far ciò si fomentarono una serie di manifestazione popolari - che vennero poi ricordate come le "radiose giornate di maggio" - aizzando la folla con orazioni di natura violenta (Gabriele D'Annunzio la incitò a linciare Giolitti) e schiettamente nazionalista, di modo che - sotto la triplice pressione della piazza del Governo e dello stesso re, il Parlamento venne piegato al voto, con la sola opposizione, come già detto, dei socialisti: Giolitti, infatti, che pure era stato il principale bersaglio della violenza interventista non osò opporsi all'esplicita volontà del re, che aveva respinto le dimissioni di Salandra e ordinato la mobilitazione generale già il 13 di maggio.
Il 24 maggio la dichiarazione di guerra italiana venne consegnata all'Austria-Ungheria. Nell'agosto del 1916, analoga dichiarazione fu indirizzata alla Germania.
La Prima Guerra Mondiale

La Prima Guerra Mondiale (english version)

IL FRONTE ORIENTALE TRA IL 1915 E IL 1916, L'OFFENSIVA DI VERDUN E LA CONTROFFENSIVA SULLA SOMME

Durante il 1915, l'andamento del conflitto nel settore balcanico e russo aveva ripreso le caratteristiche di una guerra di movimento, in parte per l'impossibilità - data l'estensione del fronte russo - di costruire linee trincerate, in parte per lo squilibrio apportato dall'entrata in guerra accanto agli Imperi della Bulgaria (settembre 1915). Anche l'intervento dell'Italia ebbe ripercussione in questo settore: infatti, nonostante lo sfondamento austriaco a Gorlice (maggio 1915) in seguito al quale l'Alleanza recuperò la Galizia, l'impegno di ingenti truppe sul fronte italiano impedì che le linee russe venissero travolte. I Russi subirono perdite ingentissime - tra morti, feriti e prigionieri - ma, disponendo di grandi risorse umane, l'esercito zarista poté continuare la resistenza.
Alla fine dell'anno, invece, la situazione dei Balcani volse nettamente a vantaggio degli Imperi: attaccata su due lati da Austria e Bulgaria, la Serbia venne travolta di modo che l'Intesa contava ormai nella zona solo su una testa di ponte a Salonicco. Nell'estate seguente, tuttavia, l'esercito russo guidato dal generale Brusilov condusse una controffensiva nella regione dei Carpazi, penetrando in territorio ungherese e ottenendo, con questo successo, un avvicinamento della Romania alle posizioni dell'Intesa. In cambio del riconoscimento delle proprie aspirazioni sulla Transilvania la Romania dichiarò guerra all'Austria e alla Bulgaria il 28 agosto 1916; nel giro di breve tempo il Paese venne però occupato dalle truppe nemiche, che ne sfruttarono le risorse agricole e minerarie.
I parziali successi sul fronte orientale indussero Austriaci e Tedeschi - agli ordini rispettivamente dei generali Falkenhayn e Von Hotzendorf - di attaccare in forze anche su quello occidentale: dal momento che era impossibile spezzare o travolgere le linee francesi, essi si posero l'obiettivo di causare ai nemici le più alte perdite possibili, in quella che fu detta - dopo la "guerra di usura" - "guerra di logoramento". Scelsero lungo la linea trincerata francese un punto vitale, Verdun, che sarebbe stato prevedibilmente difeso a qualsiasi costo, e concentrarono su di esso l'attacco di ben 19 divisioni: dal canto loro i Francesi gettarono "nell'inferno di Verdun" forze ingentissime. Durante i cinque mesi dell'offensiva (dal febbraio al luglio del 1916) le perdite umane furono terribili (quasi 600.000 morti), e altrettanto gravi per entrambi i belligeranti, al punto che la battaglia si concluso con un nulla di fatto.
Per allentare la pressione nemica su Verdun, all'inizio del luglio 1916 truppe franco-britanniche avviarono una grande offensiva sulla Somme, dove per la prima volta furono impiegati i carri armati: anche qui gli scontri durarono mesi e causarono un enorme numero di morti (circa 500.000 Tedeschi, 400.000 Inglesi, 200.000 Francesi).
Alla fine del 1916, in complesso, benché gli Imperi occupassero importanti territori nemici, la situazione sembrava più favorevole all'Intesa, che poteva contare su risorse economiche ed umane più consistenti e aveva privato la Germania dei suoi territori coloniali, mentre l'Inghilterra controllava ormai l'Egitto e Suez nonché godeva dell'amicizia delle popolazioni dell'Arabia cui aveva promesso al creazione di uno Stato indipendente.

LA GUERRA SUI MARI E L'INTERVENTO DEGLI STATI UNITI

Fin dal principio della guerra, lo scontro sui mari era stato appannaggio pressoché esclusivo delle flotte britannica e tedesca, assumendo la fisionomia tanto di un blocco militare - sia navale sia sottomarino - quanto commerciale. Quest'ultimo aspetto, in particolare, coinvolse non solo i traffici bellici e civili dei Paesi in guerra ma anche dei Paesi neutrali. Quando nel maggio del 1915 un sottomarino tedesco affondò, al largo della costa irlandese, il piroscafo civile "Lusitania" - che trasportava, tra i 1.200 passeggeri affogati, anche un centinaio di cittadini statunitensi - il presidente Wilson protestò formalmente contro la Germania che, temendo il coinvolgimento in guerra degli USA, rinunciò temporaneamente a questo tipo di azioni. Da allora, il più significativo scontro navale fu quello combattuto presso lo Jutland, nel 1916 che però non ebbe esiti precisi né conseguenze significative. La situazione bellica alla fine del 1916, che impegnava la Germania ancora su due fronti, spinse il comando tedesco a riprendere la strategia degli attacchi con i sottomarini: Hindenburg e Ludendorff, infatti, pur temendo l'intervento americano, lo ritenevano comunque improbabile a causa dei sentimenti pacifisti e isolazionisti di gran parte dell'opinione pubblica statunitense mentre consideravano certa la capitolazione della Gran Bretagna se completamente privata dei collegamenti via mare.
Il 1° febbraio la Germania dichiarò la guerra sottomarina indiscriminata contro tutte le navi, anche mercantili e anche battenti bandiera di un Paese neutrale, dirette verso porti di Paesi aderenti all'Intesa. Gli Stati Uniti, che inizialmente si erano limitati a rompere le relazioni diplomatiche, dichiararono guerra alla Germania il 2 aprile 1917.
Annunciando l'intervento americano, il presidente Wilson ne espose le ragioni ideali, affermando che gli USA avrebbe combattuto "per difendere la democrazia... per i diritti e le libertà delle piccole Nazioni, per un'egemonia universale del diritto, quale risulta dal concerto di tutti i popoli liberi e tale da recare pace e sicurezza a tutte le Nazioni".

LA RUSSIA ABBANDONA IL CONFLITTO

L'arretratezza politica, economica e militare del regime zarista - che pur mascherandosi dietro un'assemblea elettiva (Duma), rimaneva in tutto e per tutto tirannico e oscurantista, aveva aggravato in modo insostenibile i sacrifici e le sofferenze dovuti alla guerra che ricadevano quasi unicamente sulle spalle di milioni di contadini, il cui numero veniva utilizzato da un inefficiente Stato maggiore per supplire alla mancanza di armi adeguate, di equipaggiamento, di coordinamento.
La situazione esplose nel marzo del 1917 con l'ammutinamento della guarnigione di San Pietroburgo e i contemporanei scioperi operai: lo zar Nicola II fu costretto ad abdicare in favore del fratello, il granduca Michele, che non accettò la carica e lasciò che il problema del nuovo assetto costituzionale fosse demandato ad una futura Assemblea costituente.
Il Governo provvisorio presieduto dal principe L'vov, sostituito nel luglio da una compagine guidata dal socialista Aleksandr Kerenskij, decise di continuare la guerra, ritenendo che l'instaurazione di un regime liberaldemocratico avrebbe dato nuovo impulso all'esercito. Contrari a questa decisione erano però i Soviet degli operai e dei soldati di Pietroburgo, che detenevano in quel momento parte dei poteri effettivi e rivendicavano, anche per bocca del leader bolscevico Lenin, ogni autorità.
Costretto a sostenere contemporaneamente il peso della guerra e della rivoluzione, il Governo provvisorio, dopo aver scatenato un'offensiva in Galizia nel mese di luglio, non riuscì ad impedirne il fallimento, mentre i soldati disertavano in massa, rientrando alle loro case.
Nel novembre (25 ottobre, secondo il calendario giuliano allora usato in Russia) per ordine di Lenin il comitato militare rivoluzionario del Soviet di Pietroburgo, controllato da Trotzkij, attuò un ultimo colpo di Stato, instaurando l'autorità dei Soviet su tutta la Russia. Un mese dopo lo stesso Trotzkij, incaricato della Difesa e degli Affari Esteri, iniziò i negoziati con la Germania e il 3 marzo 1918, con la firma del trattato di Brest-Litovsk, concluse la guerra russo-tedesca.
Nikolaj Lenin


LA GUERRA DURANTE IL 1917. IL FRONTE ITALIANO E LA DISFATTA DI CAPORETTO

Nel corso del 1917 i due opposti schieramenti adottarono nuove iniziative. Gli aderenti all'Intesa si attivarono sul piano diplomatico per indurre altri Stati a dichiarare guerra agli Imperi: la Grecia, dopo l'abdicazione del filotedesco re Costantino, e la Cina si schierarono al fianco dell'Intesa, che da parte sua dichiarò esplicitamente come obiettivo finale della guerra la dissoluzione dell'Impero asburgico. Austria e Germania, dopo aver constatato che la guerra sottomarina non aveva prodotto il crollo Gran Bretagna, cercarono di profittare da un lato delle iniziative pacifiste del pontefice, dall'altro del cedimento del fronte russo, concentrando le truppe e le risorse belliche sui fronti occidentali e italiano.
Nonostante l'offensiva scatenata dal comando tedesco e il contrattacco francese voluto dal generale Nivelle, sul fronte occidentale non si erano registrati cambiamenti significativi. Tuttavia, le perdite umane che le decisioni dello Stato maggiore francese avevano comportato suscitarono un tale malcontento tra i soldati, da rasentare in molti casi l'ammutinamento. Nivelle fu perciò sostituito dal generale Pétain: questi riuscì a ripristinare la disciplina, ma anche le sue offensive - lungo l'Aisne e a Cambray - concordate con gli Inglesi non ebbero effetti rilevanti.
Sul fronte italiano, i combattimenti si erano concentrati fin dal 1915 in prevalenza nel Carso, lungo la linea dell'Isonzo, e in Trentino, dove, nel maggio 1916 gli Austriaci avevano scatenato un'offensiva - poi nota come "la spedizione punitiva" - il cui intento era quello di penetrare in territorio italiano e costringere il Paese ad una pace separata. La resistenza delle armate italiane nei pressi del monte Pasubio e sull'altipiano di Asiago aveva però sventato l'attacco.
Tra il maggio e il settembre 1917, lo scontro si localizzò nuovamente lungo l'Isonzo, in particolare nei pressi dell'altipiano della Bainsizza, che venne occupato con enormi sforzi dalle truppe italiane. Questo successo italiano, convinse il comando unitario austro-tedesco della necessità di neutralizzare questo fronte: a tal scopo si operò nella zona un imponente concentramento di truppe, per un attacco massiccio. Le linee italiane vennero sfondate tra Cividale e Caporetto il 24 ottobre 1917: la ritirata fu ordinata dallo Stato maggiore - allora guidato dal generale Cadorna - per evitare l'accerchiamento, ma venne gestita in modo a tal punto inefficace che si trasformò in una rotta disordinata e sanguinosa e le perdite umane, tra morti, prigionieri e disertori, furono ingentissime. La nuova linea del fronte poté essere stabilita solo lungo il corso del Piave fino al Monte Grappa, ricongiungendosi al tratto di fronte che non era stato interessato dallo sfondamento, attestato fin dal 1916 intorno ai capisaldi del Pasubio e dell'altipiano di Asiago.
La minaccia, appena scongiurata ma sempre reale, del dilagare dell'esercito austriaco fino ai centri vitali dell'economia italiana della pianura veneta e poi di quella lombarda, spinsero le forze politiche a formare un Governo di unità nazionale, guidato da Vittorio Emanuele Orlando e sostituire il generale Cadorna - ritenuto responsabile della disfatta di Caporetto - con il generale Armando Diaz. Furono chiamati alla leva i ragazzi del 1899, i cosiddetti "ragazzi del Piave", inviati al fronte per reintegrare le perdite subite. Anche grazie a loro, i tentativi congiunti di Austriaci e Tedeschi di travolgere la nuova linea difensiva vennero contenuti.
Le fasi della Prima Guerra Mondiale in Italia


LA FINE DELLA GUERRA

Nel marzo del 1918, cercando di sfruttare la superiorità numerica in occidente dovuta alla cancellazione del fronte russo, la Germania cercò nuovamente di sfondare le linee difensive anglo-francesi, concentrando gli attacchi nella zona di San Quintino. Di nuovo le truppe tedesche riuscirono a raggiungere la Marna per un tratto di circa chilometri, senza però conquistare il nodo ferroviario di Arras. Francesi e Inglesi crearono un comando unificato, guidato dal generale francese Foch, che il 18 luglio diede inizio alla controffensiva: vi parteciparono non solo tutte le forze anglo-francesi ma anche truppe statunitensi, che determinarono al superiorità numerica dell'Intesa e costrinsero i tedeschi alla ritirata - se pur ordinata - dal Belgio e dalla Francia settentrionale. Nel settembre, anche la Bulgaria fu costretta alla resa da un esercito franco-serbo, mentre l'Impero asburgico crollava sotto la spinta disgregatrice dei movimenti indipendentisti: a Praga si formò un Governo autonomo, l'Ungheria si proclamò autonoma dall'Austria, a Zagabria Serbi, Croati e Sloveni gettarono le basi del nuovo Stato jugoslavo. Anche l'esercito partecipò alla generale azione offensiva che finì col piegare gli imperi centrali: il 24 ottobre 1918 il Piave venne varcato in più punti dalle forze italiane, con un'azione culminante nella presa di Vittorio Veneto e nella ritirata austriaca.
Il 4 novembre, nei pressi di Padova, veniva firmato l'armistizio di Villa Giusti, mentre l'esercito italiano entrava in Trento e la marina a Trieste; intanto l'imperatore Carlo I - che era succeduto a Francesco Giuseppe nel 1916 - decise per l'esilio, consentendo così all'Austria di adottare un ordinamento repubblicano. Il 12 novembre 1918, con la proclamazione della Repubblica austriaca, fu ufficialmente sancita la dissoluzione dell'Impero degli Asburgo: ciò nonostante, alla Conferenza di pace di Parigi, il cancelliere del nuovo Stato austriaco, il socialista Karl Renner, non riuscì a far sì che esso venisse considerato come un'entità politica diversa e in discontinuità con l'Impero - al pari degli altri Stati nati dalla sua dissoluzione - di modo che l'Austria venne trattata come gli altri Paesi sconfitti.
La Germania, spettatrice della disfatta austriaca, tentò di ridurre i danni intavolando trattative di pace prima di subire una radicale sconfitta in battaglia e mentre ancora nessun esercito nemico era penetrato nei suoi territori. A questo scopo il Governo del cancelliere Von Baden licenziò il capo di Stato maggiore Ludendorff, riformò il sistema politico in senso democratico - sottoponendo il Governo al controllo del Parlamento e istituendo il suffragio egualitario, universale e segreto - e invitò il Kaiser Guglielmo II ad abdicare, per salvare l'istituto monarchico. L'imperatore e i suoi consiglieri - tutti di ambiente militare - rifiutarono l'abdicazione: questo fatto suscitò malcontento nella popolazione e nell'esercito, che sfociò in un ammutinamento della marina (3 novembre) e in agitazioni diffuse in tutto il Paese. Il 9 novembre 1918 anche in Germania venne proclamata la Repubblica e il nuovo cancelliere - il socialdemocratico Friederich Ebert - autorizzò la firma dell'armistizio (11 novembre). Con esso la Germania era tenuta a consegnare tutti i suoi sommergibili e le armi pesanti e a ritirare le proprie truppe oltre la frontiera del Reno.

LA PACE DEI VINCITORI E IL NUOVO ASSETTO EUROPEO

La conferenza di pace di Parigi si aprì il 18 gennaio 1919: i rappresentanti dei Paesi sconfitti furono esclusi dai lavori e convocati solo per la firma dei trattati così come furono elaborati dai delegati delle Nazioni vincitrici. In realtà solo alcuni Stati ebbero effettivo potere decisionale: Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia - nelle persone di Wilson, Lloyd George e Clemenceau; l'Italia, rappresentata da Orlando, fu inizialmente inclusa tra i "grandi", ma fu presto chiaro che essa non godeva di reale influenza nelle decisioni. Poiché molti Stati erano intervenuti nelle ultime fasi della guerra, il gruppo dei Paesi vincitori era piuttosto numeroso (27) e comprendeva anche Nazioni latino-americane, ma non la Russia, la cui evoluzione politica dopo la rivoluzione destava grande preoccupazione.
Ognuna delle potenze vincitrici era intenzionata a trarre il maggior vantaggio possibile - per quanto riguardava l'egemonia politica, l'occupazione di territori coloniali e il profitto economico - dal proprio impegno bellico. Si crearono così orientamenti diversi sull'assetto da dare al continente, dalla mediazione dei quali sortirono i diversi trattati di pace.
All'Austria venne imposto il trattato di Saint-Germain¸ che regolava di fatto la spartizione dei territori dell'Impero asburgico: l'Italia riceveva il Sud-Tirolo (dal passo del Brennero), il Trentino, Trieste e l'Istria; la Cecoslovacchia si annetteva la Boemia, la Moravia, la Slesia austriaca; la Romania riceveva la Bucovina, mentre lo Stato jugoslavo - nato dall'unione di Serbia, Croazia e Slavonia - aggiungeva alla sua giurisdizione la Bosnia, l'Erzegovina e la Dalmazia. La formazione della Jugoslavia - che non era prevista nei termini del patto segreto di Londra - creò tuttavia dei problemi con l'Italia: entrambe infatti reclamavano la Dalmazia e la città di Fiume. La vertenza si trascinò per anni, segnando tra i suoi episodi salienti la celeberrima "impresa di Fiume", quando alla guida di Gabriele d'Annunzio, un gruppo di volontari italiani occupò quella città. Infine, nel 1920 con il Trattato di Rapallo e nel 1924 con quello di Roma, Jugoslavia e Italia si accordarono per la cessione della Dalmazia alla Jugoslavia, ad eccezione della città di Zara, e l'inclusione nel confine italiano di tutta l'Istria e della stessa Fiume. Il trattato di Saint-German, inoltre, stabilì che qualora l'Austria, drasticamente ridotta nella sua estensione territoriale, intendesse unirsi alla Germania, ciò avrebbe dovuto essere unanimemente approvato dalla Società delle Nazioni, organismo sovranazionale istituto proprio all'indomani della prima guerra mondiale.
Alla Germania fu imposto il Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919, in base al quale le frontiere tedesche vennero ridimensionate sia occidente sia ad oriente. La Germania fu costretta a cedere al Belgio i piccoli distretti di frontiera di Eupen e Malmedy e a restituire alla Francia l'Alsazia e la Lorena; il distretto dello Schleswig, invece, passò alla Danimarca per plebiscito. Alla Polonia - ricostituita con i territori in precedenza occupati da Russia e Austria - la Germania dovette restituire l'Alta Slesia, la Posnania, assicurando inoltre uno sbocco al mare attraverso il cosiddetto "corridoio di Danzica", mentre il porto omonimo venne dichiarato "città libera" e tutelato dal controllo internazionale. Anche la regione carbonifera della Saar fu sottoposta all'amministrazione della Società delle Nazioni per 15 anni, direttamente esercitata dalla Francia: al termine di questo periodo la popolazione residente, mediante un plebiscito, avrebbe stabilito a quale dei due Paesi sarebbe spettato il controllo finale della zona. Si sconfessarono inoltre le clausole del trattato di Brest-Litovsk tra Germania e Russia, consentendo così la creazione di veri e propri Stati "cuscinetto" quali furono i Paesi baltici - Estonia, Lettonia e Lituania - e della Repubblica di Finlandia. Infine, i possessi coloniali della Germania furono convertiti in "mandati" (in pratica dei protettorati), divisi tra le principali potenze europee: l'esclusione dell'Italia dall'intestazione di tali mandati fu il segno esplicito della scarsa considerazione goduta dal Paese presso gli altri alleati. Poiché la Francia, inoltre, esigeva precise garanzie per scongiurare attacchi futuri da parte della Germania, il trattato impose anche una drastica riduzione degli armamenti e un limite al numero di soldati in servizio (non più di 100.000) oltre alla smilitarizzazione del confine del Reno. Infine si stabilì la somma totale che la Germania avrebbe dovuto pagare alle potenze vincitrici come riparazione dei danni di guerra, pari a circa 130 miliardi di marchi-oro da pagare in quarant'anni, somma gravosa che condizionava negativamente il futuro sviluppo economico della Germania.
A questi due trattatisi aggiunsero quello di Neuilly con la Bulgaria (27 novembre 1919), di Trianon con l'Ungheria (4 giugno 1920), di Sèvres con la Turchia (20 agosto 1920), in un secondo momento sconfessato dal nuovo regime di Mustafà Kemal e sostituito dal trattato di Losanna (6 agosto 1924).
Dalla fine della Grande Guerra alla Marcia su Roma

Dalla fine della Grande Guerra alla Marcia su Roma (english version)

PICCOLO LESSICO

Lusitania

Questo era il nome di un transatlantico britannico che, il 7 maggio 1915 - durante il viaggio di ritorno dalle coste statunitensi -, affondò al largo della costa irlandese di Kinsale, colpito dai siluri di un sottomarino tedesco U-20, al comando dell'ufficiale Walter Schuregér. Non era questo il primo episodio della cosiddetta "guerra dei sottomarini" che la Germania aveva scatenato non solo contro la flotta militare britannica, ma anche contro quella civile e spesso contro navi neutrali, colpevoli di assicurare i collegamenti tra l'isola e il resto del mondo. Tuttavia, il numero dei morti, 1.300, e tra questi i numerosi cittadini statunitensi, suscitò lo sdegno dell'opinione pubblica americana e determinò il progressivo avvicinamento degli USA alle posizioni dell'Intesa e l'abbandono dell'isolazionismo in politica estera, fino all'intervento militare.

Popolo d'Italia, Il

Quotidiano politico fondato il 15 novembre 1914, a Milano, da Benito Mussolini, grazie alle sovvenzioni economiche di grandi aziende, quali Edison, Fiat, Ansaldo e altri industriali interessati alle commesse conseguenti ad un incremento delle spese militari. Mussolini continuò a dirigere il giornale fino al 1922, quando il fascismo prese il potere. Gli successe il fratello Arnaldo, e quindi il figlio di questi, Vito. Il quotidiano veicolò prima l'opzione interventista e nazionalista, poi l'ideologia fascista di cui fu la voce ufficiale e pubblica. Durante il ventennio fascista, "Il Popolo d'Italia" si corredò di numerosi supplementi mensili, tra cui i più significativi dal punto di vista ideologico e propagandistico furono la "Rivista illustrata del Popolo d'Italia" e "Gerarchia", diretta da Margherita Serfetti. Cessò le sue pubblicazioni il 25 luglio 1943, alla caduta del Partito fascista.

Radiose Giornate

Con una retorica tipica dei tempi, furono così chiamate le concitate e pressanti manifestazioni di piazza che ebbero luogo nelle principali città italiane durante il maggio 1915. Fomentate dal settore populista e antidemocratico del fronte interventista, tali manifestazioni avevano lo scopo di esercitare pressione sul Parlamento affinché la sua maggioranza di orientamento neutrale votasse invece l'intervento in guerra dell'Italia. Queste giornate rappresentarono il momento più aspro di una violenta campagna a favore della guerra, in cui furono utilizzate le armi della retorica, della denigrazione ma soprattutto dell'intimidazione sia verbale sia fisica (lo stesso Giolitti rischiò il linciaggio). Tra i neutralisti, la parte politica maggiormente bersagliata fu il Partito socialista, i cui aderenti vennero tacciati non solo di vigliaccheria ma addirittura di tradimento della Patria. Il Governo di Salandra e del ministro Sonnino, pur non sostenendo apertamente la pressione di piazza delle "radiose giornate", non scoraggiò certo le manifestazioni, i cui eccessi verbali e fisici incontrarono assai raramente l'argine della forza pubblica; la mobilitazione delle masse, infatti, offriva una sorta di legittimazione popolare all'intervento che, con il Patto di Londra, era stato deciso al di fuori dei canali democratici, non solo all'insaputa del corpo elettorale ma anche dello stesso Parlamento, posto di fronte al fatto compiuto.

Strafexpedition

La grande offensiva austriaca contro il fronte italiano, scatenata nel maggio 1916 nella zona trentina degli altipiani, è passata alla storia con il termine tedesco Strafexpedition: "spedizione punitiva", espressione suggestiva, che sottintendeva l'idea di giusta punizione nei confronti di un Paese che aveva infranto una precedente alleanza, trasformandosi in nemico. Da un punto di vista strategico, obiettivo dell'azione austriaca era quello di scompaginare bruscamente i ritmi tipici della guerra di trincea e di logoramento, sfondare le linee italiane nella zona degli altipiani di Folgaria, Lavarone, Luserna, Asiago e Tonezza, dilagando nella pianura vicentina e di lì in quella Padana. L'occupazione delle zone nevralgiche dell'industria italiana, avrebbe dovuto piegare il Paese ad una pace separata con gli Asburgo, liberando così ingenti forze da destinare al fronte orientale. Per l'offensiva, lungamente studiata, il capo di Stato maggiore Conrad von Hötzendorf poteva contare su ingenti forze di fanteria e armi pesanti - tra cui 1.500 cannoni. Anche se a prezzo di enormi perdite - che furono però notevoli anche da parte austriaca - la resistenza italiana sul Pasubio e sull'altopiano di Asiago vanificò l'azione.

PERSONAGGI CELEBRI

Gabriele D'Annunzio

Scrittore e poeta italiano (Pescara 1863 - Gardone 1938). Interprete di prima grandezza nel panorama letterario italiano del secolo, Gabriele d'Annunzio ebbe grande rilevanza anche come personaggio pubblico, in grado di influenzare e indirizzare la scena politica e culturale, ospite conteso della buona società e dei salotti letterari di Roma, dove si era trasferito nel 1881. La frequentazione e la comprensione delle esperienze artistiche europee ne fecero uno dei massimi esponenti del Decadentismo in Italia, in una temperie culturale che favoriva di per sé l'immagine dell'artista come uomo raffinato, superiore per gusto e intelletto alla massa della gente comune. Dopo essere vissuto per qualche tempo in Francia, nel 1914-15 D'Annunzio fu tra i più attivi, convinti e convincenti fautori dell'intervento italiano in guerra, partecipando a petizioni e manifestazioni, arringando apertamente la folla ad utilizzare la violenza contro neutralisti e socialisti, traditori della Patria. Quando infine la guerra venne dichiarata, D'Annunzio partì volontario e legò il suo nome ad alcune azioni belliche fuori dalla norma: le azioni aeree di Pola, la "beffa di Buccari", il volo su Vienna del 9 agosto 1918 - durante il quale egli lanciò volantini tricolori sulla capitale nemica - e soprattutto, a guerra terminata, l'impresa di Fiume. Nel settembre 1919, infatti, contrariato dalle clausole dei trattati di pace, con un gruppo di volontari occupò la città di Fiume, rivendicandone il possesso per l'Italia e mantenendo per circa un anno il governo della città. Dopo di allora si ritirò in una vecchia villa, a Gardone Riviera, che riempì di cimeli di guerra e che chiamò "Il Vittoriale degli Italiani", dove visse più appartato, benché non mancassero continui riconoscimenti, come la nomina nel 1937 a presidente dell'Accademia d'Italia.

Francesco Giuseppe I D'Asburgo-Lorena

Imperatore d'Austria e Re d'Ungheria (Vienna 1830-1916). Suo padre, l'arciduca Francesco Carlo, era il secondogenito dell'imperatore Francesco I, cui successe Ferdinando I. Quando quest'ultimo, durante la crisi del 1848, fu costretto ad abdicare Francesco Giuseppe salì al trono ed ebbe un regno lunghissimo. In collaborazione con il cancelliere Schwarzenberg, il nuovo imperatore adottò una linea politica di tipo assolutista, restaurando in breve l'autorità imperiale in Boemia e in Ungheria e l'egemonia degli Asburgo in Italia e sui principati tedeschi. Il regno di Francesco Giuseppe si caratterizzò negli anni in senso reazionario, conculcando i movimenti di matrice liberale e democratica ed affidando ad una classe di funzionari governativi di nascita austriaca l'amministrazione dell'Impero. La scelta di mantenere neutrale l'Austria durante la guerra di Crimea ebbe l'effetto negativo di isolare l'Impero, raffreddando sia i suoi rapporti con la Russia sia con Inghilterra e Francia. Anche per questa ragione Francesco Giuseppe fu costretto ad affrontare senza appoggi la seconda guerra di indipendenza italiana, che costò all'Austria non solo la Lombardia ma la totale perdita di egemonia sul sistema di Stati satelliti italiani. Francesco Giuseppe non riuscì neppure a scongiurare che l'Impero perdesse la sua preminenza nello spazio germanico, gradualmente sostituito dalla Prussia, con la quale ebbe anche uno scontro diretto, definitivamente perso nella battaglia di Sadowa (1866). L'imperatore cercò di arrestare il declino della compagine imperiale con una radicale riforma dello Stato che faceva di Austria e Ungheria due compagini tra loro autonome per quanto riguardava l'amministrazione, unite dal vincolo imperiale e da una comune politica estera, come significato dal nuovo titolo assunto da Francesco Giuseppe "imperatore d'Austria e re d'Ungheria" (1867). Suo stretto collaboratore in questa fase del regno fu il conservatore Von Taaffe, che indirizzò la politica estera nel senso di un'espansione nei Balcani, ritenendo di rimpiazzare con l'egemonia in questo settore quella perduta in ambito germanico. È noto quanto tale orientamento fu determinante nel porre le premesse allo scoppio del conflitto mondiale. La lunghezza del suo regno, la sua partecipazione ad eventi epocali per la storia europea, il suo carattere riservato, il senso di responsabilità con cui svolse la sua funzione di "alto burocrate" dello Stato hanno legato il nome di Francesco Giuseppe al cosiddetto "mito mitteleuropeo", di cui egli fu il massimo ma ultimo interprete.

Paul Ludwig Von Beneckendorff Hindenburg

Generale e uomo di Stato tedesco (Posen 1847 - Nendeck 1934). Dopo aver percorso tutti i gradi della carriera militare, chiese ed ottenne nel 1911 il collocamento a riposo, forse a causa di alcune divergenze che lo opponevano al kaiser Guglielmo II. Tuttavia, nel 1914, allo scoppio della guerra, fu richiamato per esercitare il comando sulle truppe tedesche inviate sul fronte orientale insieme al collega Ludendorff. Nella primavera del 1916 respinsero l'offensiva russa guidata dal generale Brusilov, e nell'agosto del medesimo anno sostituirono il generale Falkenhayn come capi di Stato maggiore di tutte le truppe tedesche. Hindenburg fu tra i più convinti sostenitori della guerra sottomarina: poiché persistendo su questa linea sottovalutò la riprovazione che avrebbe suscitato negli Stati Uniti, si può dire che fu in larga parte responsabile dell'intervento americano, che decise l'esito della guerra. Nel settembre del 1918, constatando l'impossibilità materiale di continuare le ostilità, chiese al Governo imperiale il permesso di iniziare le trattative per l'armistizio. Al termine della guerra si ritirò a vita privata ma, nel 1925, alla morte del presidente socialdemocratico Ebert, si candidò e vinse le elezioni presidenziali, grazie all'appoggio della destra politica. Il medesimo schieramento - e la consueta mancanza di collaborazione tra comunisti e socialdemocratici - gli assicurò la vittoria anche nel 1932 con il 53% dei voti, nonostante la forza crescente di Hitler e del Partito nazionalsocialista che avevano raccolto il 32% dei suffragi. L'anno seguente, Hindenburg stesso nominò Hitler cancelliere del Reich, evento che pose termine di fatto alla Repubblica di Weimer e alla democrazia tedesca, definitivamente tramontate con la morte di Hindenburg pochi anni dopo.

Thomas Woodrow Wilson

28º presidente degli Stati Uniti d'America (Staunton 1856 - Washington 1924). Figlio di un pastore presbiteriano d'origine scozzese, ne ereditò la severa fede calvinista e ferme convinzioni morali, ma andò gradualmente modificando il suo orientamento ideologico, sostituendo alla sua formazione conservatrice un'opzione democratica e progressista. A partire dal 1910 si dedicò alla politica attiva, aderendo al Partito democratico che, già nel 1912 lo candidò per le primarie presidenziali: nel 1913 fu eletto presidente federale. A dispetto di chi temeva in lui un idealista incapace di agire praticamente, Wilson si dimostrò un uomo politico attivo e realista, lavorando al suo progetto di una democrazia egualitaria mediante numerose iniziative che, nonostante le dure opposizioni, attuarono in buona parte il suo programma (leggi antitrust, tutela dei lavoratori, revisione die dazi doganali, ecc.) che allargarono di fatto le della democrazia americana. Lo scoppio della guerra in Europa lo vide concentrare i suoi sforzi nel tentativo di mantenere il Paese fuori dal conflitto, convinto che la neutralità fosse la cosa migliore non solo per gli USA ma anche per il resto del mondo. Rieletto per un secondo mandato, tuttavia, constatò che l'intervento statunitense era ormai inevitabile, anche a causa della guerra sottomarina che i Tedeschi avevano scatenato contro ogni nave. Nel dichiarare guerra alla Germania nel 1917, però, Wilson volle esplicitare in vista di quali obiettivi e valori gli Stati Uniti avevano deciso di combattere: espose così i celebri "quattordici punti di Wilson", che rivendicavano la pace fondata sull'uguaglianza e l'autodeterminazione di tutti i popoli. Per il suo conseguimento, Wilson chiese che fosse costituita una lega comprendente tutte le Nazioni, "allo scopo di fornire reciproche garanzie di indipendenza politica e integrità territoriale alle grandi Nazioni come alle piccole". Alla conclusione del conflitto, al tavolo delle trattative, egli continuò a battersi per la creazione di tale istituzione sovranazionale, che si realizzò nella Società delle Nazioni. Al termine del suo mandato, nel 1921, a causa di gravi motivi di salute abbandonò la vita politica.

Nazario Sauro

Patriota italiano (Istria 1880 - Pola 1916). Fu marinaio e ufficiale nella marina mercantile austro-ungarica, che abbandonò allo scoppio della guerra per arruolarsi in quella italiana. Divenuto tenente di vascello, combatté coraggiosamente nelle acque di Trieste, di Parenzo e nel medio Adriatico, guadagnandosi la medaglia d'argento nel giugno del 1916. Il 30 luglio di quello stesso anno, il sommergibile italiano di cui era al comando, il Giacinto Pullino, si incagliò ed egli fu catturato con tutto il suo equipaggio da un'unità austriaca. In quanto cittadino dell'Impero asburgico, egli non fu considerato prigioniero di guerra ma accusato di altro tradimento: venne dunque processato, condannato a morte e giustiziato il 10 agosto, per impiccagione.

RIASSUNTO CRONOLOGICO

1914 (28 giugno): L'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria e sua moglie vengono assassinati a Sarajevo.

1914 (28 luglio): L'Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia.

1914 (1 agosto): La Germania dichiara guerra alla Russia.

1914 (3 agosto): La Germania dichiara guerra alla Francia e invade il Belgio neutrale.

1914 (23 agosto): Il Giappone dichiara guerra alla Germania.

1914 (31 ottobre): La Turchia entra in guerra a fianco di Germania e Austria-Ungheria.

1915 (26 aprile): Patto di Londra tra l'Italia e i Paesi dell'Intesa.

1915 (24 maggio): L'Italia dichiara guerra all'Austria-Ungheria.

1915 (6 settembre): La Bulgaria entra in guerra al fianco della Germania.

1916 (febbraio-luglio 1916): Battaglia di Verdun sul fronte occidentale;

1916 (15-24 maggio): Offensiva austriaca lungo il fronte altoatesino (Strafexpedition); controffensiva italiana sull'Isonzo e presa di Gorizia.

1916 (17 agosto): La Romania entra in guerra al fianco dell'Intesa.

1916 (28 agosto): L'Italia dichiara guerra alla Germania.

1916 (21 novembre): Muore l'imperatore d'Austria-Ungheria Francesco Giuseppe d'Asburgo Lorena; gli succede il nipote Carlo I d'Asburgo.

1917 (12 marzo): A Pietrogrado soldati e popolazione insorgono e costituiscono un Governo provvisorio (fatto noto come rivoluzione di febbraio, secondo il calendario giuliano).

1917 (2 aprile): Gli Stati Uniti dichiarano guerra alla Germania.

1917 (agosto-settembre): Offensiva italiana sull'Isonzo, presa dell'altopiano della Bainsizza.

1917 (24 ottobre): Disfatta di Caporetto, le difese italiane vengono travolte e il fronte arretra fino alla linea del Piave.

1917 (novembre): Rivoluzione d'ottobre (secondo il calendario giuliano) in Russia. Costituzione dei Soviet. Il Consiglio dei Comitati del Popolo - organo governativo provvisorio - emana il decreto di cessazione delle ostilità.

1918 (8 gennaio): Pubblicazione dei "14 punti di Wilson".

1918 (3 marzo): Firma del trattato di Brest- Litovsk tra Germania e Governo rivoluzionario russo.

1918 (luglio-agosto): Offensiva presso Amiens delle truppe anglo-francesi e statunitensi; l'esercito tedesco ripiega sulla linea di resistenza "Sigfrido".

1918 (ottobre): Offensiva italiana oltre la linea del Piave (24) e disfatta austriaca nella battaglia di Vittorio Veneto (30).

1918 (novembre): L'esercito italiano entra a Trento e a Trieste; l'Austria firma l'armistizio di Villa Giusti (3); Carlo I rifiuta di abdicare e sceglie l'esilio.

1918 (9 novembre): Guglielmo II e l'erede al trono tedesco lasciano la Germania; viene proclamata la Repubblica e istituito un Governo provvisorio guidato dal socialdemocratico Ebert.

1919 (18 gennaio): Si apre la Conferenza di pace di Parigi.

1919 (28 aprile): Viene istituita la Società delle Nazioni.

1919 (28 giugno): Firma del Trattato di Versailles tra la Germania e le potenze vincitrici.

1919 (10 settembre): Firma del Trattato di Saint-Germain tra l'Austria e le potenze vincitrici.

 

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