OTTO VON BISMARCK
Anche il processo
dell'unificazione tedesca fu lungo, intessuto di guerre e di patteggiamenti
diplomatici. Al contrario dell'Italia, però, le basi economiche sulle
quali andava costituendosi il nuovo Stato unitario tedesco erano molto solide
per cui, ancora prima di nascere, la nuova Germania si presentava come una
grande potenza. L'unificazione politica fu realizzata da re Guglielmo I di
Prussia e dal suo primo ministro Otto von Bismarck. Guglielmo era salito sul
trono di Prussia nel 1861, dopo essere stato nominato reggente nel 1857,
essendosi gravemente ammalato suo fratello Federico Guglielmo IV (1840-61). Pur
essendo il nuovo re un convinto conservatore, la sua ascesa al trono fu salutata
da liberali e da nazionalisti con entusiasmo, poiché egli non aveva mai
nascosto di credere nella speciale missione della Prussia che avrebbe unificato
la Germania. La posizione che la Prussia aveva nel Bund tedesco era notevolmente
migliorata in seguito alla guerra del 1859, condotta dai franco-piemontesi
contro l'Austria e conclusasi con la nascita del nuovo Regno d'Italia. Nel
luglio del 1861 Bismarck redasse il famoso memorandum di Baden sulla difesa e
sull'organizzazione della Germania e sui compiti spettanti alla Prussia,
attraverso il controllo di un organismo rappresentativo della Nazione tedesca da
cui sarebbe stata esclusa l'Austria. Il fiume Inn avrebbe segnato il confine tra
l'Impero asburgico e la Germania. Nel settembre del 1862 il re nominò
Bismarck primo ministro e ministro degli Esteri. Egli aveva allora quarantasette
anni, un'esperienza decennale in diplomazia e si sarebbe presto affermato come
uno dei massimi statisti di ogni epoca. Il nuovo primo ministro intraprese una
politica tendente a unificare la Germania sotto il dominio prussiano. Una
politica che, in meno di un decennio, dopo tre guerre vittoriose contro
Danimarca (1864), Austria (1866), Francia (1870), portò all'incoronazione
del re di Prussia Guglielmo I a imperatore di Germania, nel gennaio del
1871.
LA GUERRA DI DANIMARCA
Poiché il principale ostacolo da
abbattere, per imporre all'intera Germania l'egemonia prussiana, era l'Austria,
Bismarck iniziò a preparare la Prussia allo scontro decisivo e mise alla
prova la forza del nuovo esercito prussiano contro la Danimarca, sfruttando la
controversia per la vecchia questione dei ducati dello Schleswig, dell'Holstein
e del Lauenburg, assegnati alla corona danese nel secolo precedente. I ducati,
in particolare quello di Holstein, erano per gran parte abitati da popolazioni
tedesche e, nel marzo del 1848, si erano sollevati contro la Danimarca,
ricorrendo all'aiuto della Prussia, le cui truppe avevano occupato gran parte
del territorio danese, sino allo Jutland. La pace era stata conclusa nel 1850, e
nel maggio del 1852, col trattato di Londra, era stata riconosciuta
l'appartenenza dei due ducati alla Danimarca, benché l'Holstein
continuasse a far parte del Bund tedesco. Il problema ritornò
d'attualità in novembre, in seguito alla morte del vecchio re danese
Federico VII, privo di eredi diretti. Il trattato di Londra aveva stabilito che
a succedergli sarebbe stato il principe Cristiano di Glücksburg che avrebbe
dovuto ereditare anche i ducati dell'Elba, sennonché la Dieta di
Francoforte si era dichiarata contraria e la questione dinastica era rimasta in
sospeso.
Nel febbraio del 1864 venne conclusa un'alleanza tra Prussia e
Austria e un esercito austro-prussiano, in nome del Bund tedesco, attaccò
la Danimarca. La vittoria fu rapida e in ottobre venne firmato il trattato di
Vienna con cui il nuovo re di Danimarca rinunciava a tutti i diritti sui ducati.
Con la convenzione di Gastein, dell'agosto 1865, l'amministrazione dello
Schleswig veniva affidata ai Prussiani e quella dell'Holstein agli
Austriaci.
L'AUSTRIA DI FRANCESCO GIUSEPPE
In Austria la rivoluzione del 1848 era
costata il trono al debole e poco dotato imperatore Ferdinando d'Asburgo che,
avendo suo fratello rinunciato alla corona, aveva abdicato in favore del nipote,
il diciottenne Francesco Giuseppe (1830-1916). Sotto la guida del cancelliere
Schwarzenberg, il giovane imperatore, desideroso di rafforzare il prestigio e la
potenza militare della Monarchia asburgica, si era impegnato ad annientare il
movimento nazionale magiaro e, nel dicembre del 1851, aveva abolito la
Costituzione liberale concessa nel 1849, sostituendola con una serie di
provvedimenti che avevano rafforzato l'autorità centrale e distrutto
definitivamente i privilegi locali e provinciali. Nel 1860 il Consiglio di Stato
(Reichsrat) venne ampliato e reso maggiormente rappresentativo, mentre si
delinearono in esso due partiti contrapposti: uno, rappresentante gli interessi
ungheresi, boemi e slavi, era favorevole a un programma federalista che
concedesse ai territori non germanici maggiori libertà e restituisse il
perduto potere all'aristocrazia terriera; l'altro, rappresentante gli interessi
austriaci, intendeva conservare una forte organizzazione centralizzata, pur
accettando di trasferire alcuni poteri alle autorità locali.
Particolarmente vivace si presentava l'opposizione dei liberali e nazionalisti
ungheresi, guidati da Ferencz Deck. Il nuovo capo del Governo, Anton von
Schmerling, non riuscì così a convincere né la Dieta
ungherese né quella croata a mandare una propria rappresentanza al
Reichsrat. D'altra parte, la Dieta ungherese era riuscita ad ottenere l'appoggio
dei Croati, ma non quello dei Serbi e degli Slovacchi. I Magiari, infatti, pur
costituendo poco più di un terzo della popolazione del territorio
ungherese, non intendevano concedere alle minoranze serbe, slovacche e rumene
quei diritti nazionali che esigevano per sé dal Governo austriaco.
Comunque, il conflitto tra Austro-tedeschi e Magiari venne risolto nel 1867 con
l'istituzione della Monarchia dualistica, sulla base di un accordo in
virtù del quale Francesco Giuseppe veniva dichiarato imperatore d'Austria
e re d'Ungheria, ossia di due Stati egualmente indipendenti e altrettanto decisi
a respingere le istanze avanzate dai nazionalisti slavi. Istanze che poterono
trovare una soluzione solo mezzo secolo più tardi, col crollo dell'Impero
asburgico.
Intanto nel giugno del 1866, la Prussia aveva proposto lo
scioglimento del «Bundestag», l'abolizione del «Bund»
tedesco e l'elezione di una nuova assemblea, col compito di preparare una
Costituzione degli Stati tedeschi da cui sarebbe stata esclusa l'Austria. Il
Governo austriaco rispose a questa azione accusando la Prussia di violazione dei
trattati precedentemente sottoscritti e invitando le forze federali tedesche
alla mobilitazione. Si schierarono dalla sua parte nove dei quindici Stati
tedeschi, fra cui Hannover, Sassonia, Baden e Baviera. Trattandosi di Stati
piuttosto distanti l'uno dall'altro, la Prussia riuscì ad impedire che le
loro armate si congiungessero e la guerra, iniziata il 14 giugno, si concluse
nel giro di tre settimane con la disfatta dell'Austria e dei suoi alleati. In
precedenza Bismarck si era assicurato la neutralità di Napoleone III e
l'alleanza dell'Italia, cui aveva promesso, in caso di vittoria, la cessione del
Veneto.
In agosto venne firmato il trattato di Praga con cui la Prussia
avrebbe ottenuto i ducati di Holstein e di Hannover, nonché
l'estromissione dell'Impero asburgico dalla Germania e, di conseguenza, la
nascita di una Confederazione di tutte le terre tedesche a nord del Meno e di
un'altra Confederazione fra gli Stati tedeschi meridionali. L'Austria inoltre,
per quanto vittoriosa sull'esercito italiano a Custoza e sulla flotta italiana a
Lissa, dovette cedere il Veneto.
LA GUERRA FRANCO-PRUSSIANA E IL NUOVO REICH TEDESCO
Conclusa la guerra con l'Austria, Bismarck
iniziò un'intensa attività diplomatica tendente a completare
l'unificazione della Germania attraverso accordi con la Baviera e con altri
Stati meridionali. Napoleone III si dichiarò disposto ad accettare i
nuovi ampliamenti territoriali prussiani, ma intendeva ottenere in cambio
l'espansione dei confini francesi sino al Reno e procurarsi l'avallo della
Prussia per una annessione del Belgio. Bismarck seppe sfruttare abilmente le
pretese francesi per convincere l'opinione pubblica tedesca che la Francia
costituiva il maggiore ostacolo all'unificazione nazionale e per indurre
Inghilterra e Belgio ad assumere posizioni antifrancesi, preparandosi nel
frattempo allo scontro armato. Nel luglio del 1867 intanto venne approvata la
costituzione della Confederazione della Germania del Nord: Hannover, Nassau,
Francoforte, Assia, che erano stati sconfitti, vennero assorbiti dalla Prussia,
mentre gli altri Stati settentrionali entrarono a far parte della nuova
Confederazione. Nei rapporti con la Francia la situazione rimase stazionaria per
alcuni anni, sinché, nel luglio 1870, si giunse a uno scontro aperto sul
problema della successione al trono spagnolo. La regina Isabella aveva lasciato
la Spagna nel settembre del 1869 e, fra i candidati al trono spagnolo, figurava
il principe Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen. Il 16 luglio il ministro degli
Esteri francese annunciò che, qualora Leopoldo non avesse rinunciato alla
candidatura, la Francia avrebbe considerato ciò ragione sufficiente per
una guerra. Anche se Leopoldo finì col ritirare la sua candidatura, la
controversia favorì i piani militari di Bismarck, al quale si offriva
l'occasione di presentare i Francesi come aggressori. Il cancelliere fece di
tutto per costringere la Francia a dichiarare la guerra e ben presto (19 luglio)
vi riuscì.
L'esercito tedesco, unito sotto il comando del generale
Helmuth von Moltke, entrò rapidamente in azione mettendo subito in
difficoltà la pesante macchina da guerra francese, divisa fra due
comandanti (in Alsazia le operazioni erano affidate al maresciallo Mac Mahon, in
Lorena al maresciallo Bazaine). L'attacco tedesco si concluse con la vittoria
decisiva di Sedan il 30 agosto. Tre giorni dopo l'esercito francese era
costretto alla resa, mentre a Parigi si proclamava la Repubblica. I Tedeschi
posero l'assedio alla capitale e la guerra durò più a lungo del
previsto. Solo il 28 gennaio 1871 venne firmato l'armistizio e nel febbraio
successivo Bismarck dettò le severe condizioni del trattato di
Francoforte, costringendo la Francia a cedere l'Alsazia e la Lorena e a pagare
un'indennità di cinque miliardi di franchi, il cui versamento sarebbe
stato garantito dalla presenza di truppe tedesche d'occupazione. Il trattato di
pace venne firmato il 10 maggio 1871, quando ormai Bismarck, approfittando della
vittoria, aveva completato l'unificazione tedesca. L'entusiasmo nazionalista
aveva infatti indotto Baviera, Baden e Würtemberg ad aderire alla
Confederazione, che spostava il confine dal Meno all'Inn, al di là del
quale si estendevano i territori austriaci. Il 18 gennaio 1871, nella sala degli
specchi di Versailles, il re di Prussia era stato inoltre incoronato imperatore
di Germania.
Intanto, tra il marzo ed il maggio del 1871, Parigi era
stata teatro della cosiddetta Comune, un esperimento rivoluzionario nato per
impulso delle classi lavoratrici e mirante alla gestione municipale della cosa
pubblica e alla realizzazione di strutture di Governo democratiche, mediante il
suffragio universale.
In effetti, l'iniziale autoritarismo del regime
bonapartista era andato svuotandosi con l'aumentare delle concessioni fatte
all'opposizione repubblicana, che, nel 1869, contava un centinaio di deputati.
Dopo il 1860, infatti, il regime, nato da due colpi di Stato contro il Governo
parlamentare, era andato sviluppando gradualmente quelle istituzioni
parlamentari che avrebbero reso possibile l'istituzione della Terza Repubblica.
Nel 1857 erano stati eletti solo sette deputati ostili al regime napoleonico,
nel 1863 essi erano saliti a trentacinque e nel 1869 a novantatre, mentre
andavano moltiplicandosi le testate dei giornali repubblicani. Screditato da una
lunga serie di insuccessi in politica estera l'Impero era andato sempre
più indebitandosi, mentre aumentavano all'interno le pressioni di
un'opposizione che dai liberali di Adolphe Thiers e dai repubblicani di
Léon Gambetta si allargava sino a comprendere a destra i monarchici
legittimisti e, a sinistra, le forze del socialismo e del comunismo. Il maggiore
insuccesso Napoleone III lo avrebbe riportato in Messico, dove aveva inviato
truppe per sostenere la candidatura al trono di Massimiliano d'Asburgo, fratello
dell'imperatore austriaco Francesco Giuseppe. Data la forte opposizione interna,
comunque, il Governo napoleonico non avrebbe potuto evitare il crollo neppure
qualora non fosse intervenuta a travolgerlo la guerra franco-prussiana.
Il
secondo Impero lasciò comunque alla Francia una eredità tutto
sommato non disprezzabile: importanti risultati erano infatti stati conseguiti
nella riorganizzazione amministrativa e sociale del Paese, mentre Parigi era
stata sottoposta a grandi trasformazioni urbanistiche che avevano ampliato la
città sino a includere tutti i sobborghi entro le barriere daziarie. La
popolazione era aumentata fino a raggiungere quasi 2.000.000 di
abitanti.
LA TERZA REPUBBLICA
In Francia la nuova Repubblica nacque
all'insegna della repressione ai danni dei rivoltosi della Comune. Migliaia di
persone furono imprigionate e deportate, mentre Parigi, «restituita alla
Francia», si sottoponeva con passiva condiscendenza ad una Repubblica che
era stata istituita da una assemblea a maggioranza monarchica.
Nel 1875 fu
approvata la nuova costituzione repubblicana. Nell'ottobre del 1877, dopo un
fallito tentativo di colpo di Stato da parte del presidente Mac Mahon, i
repubblicani riuscirono a eleggere 320 deputati contro 210 monarchici. Nel
gennaio del 1879 Mac Mahon entrò nuovamente in conflitto con la Camera e
si dimise: la Repubblica era salva. L'elezione del vecchio repubblicano Jules
Grévy concluse il primo difficile periodo della Terza Repubblica. Ma
anche negli anni seguenti essa fu a più riprese messa in pericolo dagli
attacchi sferrati dalla destra monarchica prima, e dai partiti della Sinistra
poi.
La prima grave crisi si ebbe negli anni 1886-1889, quando nel Paese
prese consistenza una corrente antiparlamentare, militarista e autoritaria che
faceva capo al generale Georges Boulanger. Questi fu sul punto di tentare un
colpo di Stato, ma il suo piano fallì per la pronta reazione del Governo.
Il pericolo del boulangismo venne poi definitivamente allontanato con le
elezioni del 1889, che mandarono al Parlamento una forte maggioranza
repubblicana.
Una vera e propria prova di forza tra le forze conservatrici
e la Sinistra radicale e socialista si ebbe invece nel 1889. All'origine di
questa vi fu il cosiddetto affare Dreyfus, un clamoroso caso giudiziario. Alfred
Dreyfus, capitano dell'esercito francese di origine ebrea, quattro anni prima
era stato condannato per spionaggio a favore della Germania. Nel 1889 il
giornale radicale «L'Aurore» pubblicò le prove inconfutabili
della sua innocenza, dando inizio ad una campagna per la revisione del processo.
Contro tale richiesta si posero però i gruppi politici moderati,
l'esercito e le alte cariche dello Stato. Dalla parte dei radicali si
schierarono invece i socialisti e una buona parte dei repubblicani. In altre
parole, con Dreyfus si trovarono i difensori dei diritti dell'individuo, della
democrazia, coloro che opponevano un netto rifiuto alle discriminazioni
razziali; dall'altra i sostenitori dell'autoritarismo statale, contrari a
mettere in discussione l'onore e il prestigio dello Stato. Si giunse così
ad uno scontro gravissimo che sembrò poter sfociare in una vera e propria
guerra civile. Le elezioni del 1889 scongiurarono però una simile
tragedia dal momento che dalle urne uscì nettamente vittoriosa la
coalizione radical-socialista. Il pericolo di un ritorno reazionario venne
così scongiurato, anche se nel Governo che allora si formò
entrarono solo i repubblicani moderati. Nelle successive elezioni del 1902
furono però i radicali ad ottenere la maggioranza assoluta e, con essa,
il diritto a formare il nuovo Governo.
NAPOLEONE III E LA VILLE LUMIERE
Napoleone III durante il suo regno
(1852-70) operò una serie di innovazioni nella struttura urbanistica di
Parigi, che fecero della città non solo la reale capitale della Francia,
ma la città più europea, più elegante, più
importante anche a livello economico. Tutto il centro della città
subì infatti un totale riassetto durante il Secondo Impero, per opera
soprattutto del prefetto Haussmann che elaborò, in accordo con Napoleone
III, la ristrutturazione della città (1853-69). Vennero costruite ampie
strade e più della metà degli edifici cittadini venne ricostruita
o costruita ex novo. La città venne suddivisa in venti arrondissements, o
circondari, il cui nucleo centrale raggruppava tutti i monumenti più
antichi: questa divisione servì a dare alla città un assetto
più razionale e più ordinato. Furono distrutte numerose vie troppo
strette e, sulla loro base, furono costruiti enormi viali (i boulevards) ai lati
dei quali sorgevano i palazzi della borghesia, i ministeri e le ambasciate.
Celebre, sulla riva sinistra della Senna, era il quartiere degli artisti e degli
intellettuali (Quartiere latino).
LA COMUNE E IL SUO PROGRAMMA
Sorta sulle ceneri del Secondo Impero, la
Comune di Parigi fu un movimento rivoluzionario che ebbe il suo nucleo direttivo
nella municipalità di Parigi e che si inserì attivamente nella
guerra franco-prussiana. L'insurrezione del popolo e della guardia nazionale,
contagiata dalle idee rivoluzionarie, costrinse il Governo Thiers a riparare a
Versailles e si istituì una forma di autogoverno basata sul suffragio
universale e sulla gestione comune delle attività economiche. Anche se di
breve durata (18 marzo - 28 maggio 1871) la Comune segnò una fase
importante nella costruzione di istituzioni democratiche, e influenzò
notevolmente anche i movimenti operai.
Il programma della Comune (19
aprile 1871)
Mentre è in atto il terribile e doloroso conflitto che
minaccia ancora una volta Parigi degli orrori dell'assedio e del bombardamento
[...] la Comune ha il dovere d'affermare e di determinare le aspirazioni e i
desideri della popolazione di Parigi...
L'assoluta autonomia della Comune
estesa a tutte le località della Francia e capace di assicurare a
ciascuna la pienezza dei propri diritti e a tutti i Francesi il pieno esercizio
delle loro facoltà e la piena espressione delle loro attitudini, come
uomini, cittadini e lavoratori...
I diritti specifici della Comune sono:
il voto del bilancio comunale, entrate ed uscite; la fissazione e la
ripartizione dell'imposta; la direzione dei servizi locali; l'organizzazione
della magistratura, dell'ordine interno e dell'insegnamento; l'amministrazione
dei beni appartenenti alla Comune; la scelta mediante elezione [...] e il
diritto permanente di controllo e di revoca dei magistrati o dei funzionari
comunali di tutti i gradi; l'assoluta garanzia della libertà individuale,
della libertà di coscienza, della libertà di lavoro; l'intervento
permanente dei cittadini negli affari comunali attraverso la libera
manifestazione delle loro idee; l'organizzazione della difesa urbana e della
Guardia nazionale che elegge i suoi capi e veglia da sola al mantenimento
dell'ordine in città...