Storia Antica La Civiltà Greca

 

 
    

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Storia Antica La Civiltà Greca

  

Storia Antica La Civiltà Greca

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STORIA ANTICA - LA CIVILTA' GRECA

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IL MEDIOEVO ELLENICO

Il Medioevo Ellenico (che copre il periodo di tempo che dal XII secolo giunse sino al IX secolo a.C.) ebbe inizio col tramonto definitivo della civiltà micenea e con l'invasione dorica, che determinò un vasto movimento migratorio, orientato prevalentemente verso le coste dell'Asia Minore.

Gli stanziamenti in Grecia alla fine del IX sec. a.C.

I Dori, provenienti dall'entroterra danubiano, penetrarono in Grecia a ondate successive, in parte attraverso l'Illiria e l'Epiro e in parte attraverso la Tessaglia e la Macedonia. Come abbiamo detto, l'invasione dei Dori provocò un imponente flusso migratorio che dalla Grecia si spostò soprattutto verso le coste dell'Asia Minore, già in parte colonizzate da popolazioni greche.

Così sulle rive della penisola anatolica sorsero i primi nuclei di genti elleniche: nelle terre più a nord si stanziarono gli Eoli, provenienti dalla Tessaglia e dalla Beozia, che fondarono l'Eolide; la costa centrale fu colonizzata dagli Ioni, provenienti dall'Attica e dall'Eubea, che fondarono la Ionia; mentre nella parte più a sud si stabilirono i Dori, che fondarono la Doride. Questo periodo, anche se denominato «Medioevo» per alludere ad un regresso di civiltà, fu caratterizzato anche da importanti innovazioni, di carattere sia tecnico che culturale. I Dori infatti introdussero in Grecia l'uso del ferro, costruirono numerosi templi sul modello di quelli micenei e introdussero l'alfabeto fenicio, assai più pratico della scrittura «lineare B» (come la chiamiamo noi oggi) sino ad allora in uso. Gli Ioni invece elaborarono quella tradizione di letteratura orale che, ripresa nell'VIII secolo a.C. nei poemi omerici, eserciterà un'influenza decisiva sulla formazione spirituale dei Greci. La nuova Grecia, anche a causa della particolare asperità del territorio, non ebbe un'organizzazione statale unitaria: le rocche e i palazzi della precedente civiltà micenea furono soppiantati dalle poleis, cioè da nuclei cittadini affermatisi come centri economici, politici e militari, dotati della più assoluta indipendenza. Le poleis, che comprendevano anche le campagne e i villaggi circostanti, erano generalmente costruite su un colle e quindi facilmente difendibili; in esse sorgevano il tempio dedicato alla divinità, l'agorà (o piazza), in cui si faceva mercato e dove si radunava l'assemblea popolare, e l'acropoli che costituiva il nucleo della difesa militare.

Ma l'invasione dorica causò anche un'importante crisi a livello politico: il potere dei re, non assoluto neppure nell'età micenea, andò man mano riducendosi a vantaggio esclusivo della nobiltà. Quest'ultima diede vita, nelle varie poleis, ad un regime aristocratico che favoriva una ridotta casta di cittadini la quale, dopo aver monopolizzato la proprietà terriera e un certo potere militare, conquistò anche il potere politico. In questi regimi aristocratici la vita politica era completamente dominata dai ghenè (cioè le grandi famiglie nobili), che si tramandavano di padre in figlio i principi secondo i quali veniva esercitata l'attività giudiziaria. In definitiva i ghenè poterono imporre la loro volontà al di sopra di ogni regola e legge.

Il popolo, che nelle ultime fasi del periodo monarchico aveva trovato nel re un alleato contro la volontà di dominio dei nobili, si ritrovò oppresso ed escluso da ogni partecipazione al governo. Poteva, è vero, partecipare alle sedute dell'assemblea popolare per eleggere i magistrati ed approvare le leggi, ma spesso queste votazioni erano dominate dal timore della potenza della nobiltà.

L'aristocrazia portò ad una struttura politica che rifletteva la situazione economica delle varie classi: la piccola proprietà scomparve, assorbita dal latifondismo, e il popolo, costituito da braccianti (teti) e da operai (demiurghi), dovette subire anni di miseria e di subordinazione alla classe dirigente.

Ricostruzione virtuale di vettovaglie dell' epoca greco-romana

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L'ETÀ ARCAICA

L'età arcaica, che va dall'VIII al VI secolo a.C., sancì la fine dei contrasti sociali che travagliavano i regimi aristocratici e diede il via alla seconda grande colonizzazione greca. Questo grande moto migratorio delle genti elleniche non si diresse più verso l'Anatolia, come il precedente, bensì verso le terre più interne del Ponto Eusino (Mar Nero) e verso i mari lontani dell'Occidente: soprattutto in Sicilia e in Italia meridionale.

Le cause di questa seconda ondata colonizzatrice sono molteplici ed ebbero diverse origini. In alcuni casi derivarono dalla necessità di trovare fonti di sussistenza, dato che la prevalenza del latifondo aveva ridotto alla condizione di nullatenenti molti piccoli coltivatori. Talvolta invece derivarono da motivi politici: ad esempio alcune minoranze oppresse e perseguitate preferirono abbandonare la patria. In altri casi la stessa ripresa dell'attività mercantile spinse i commercianti a cercare nuovi sbocchi commerciali e nuove fonti di materie prime.

Colonie greche nel Mediterraneo

Salvo rare eccezioni, l'iniziativa di questa colonizzazione spettò a gruppi di singoli cittadini che, una volta giunti a destinazione, rimanevano in buoni rapporti con la madrepatria ma assolutamente liberi da vincoli di dipendenza.

La maggior parte dei coloni era di estrazione popolare e assolutamente contraria all'oppressione esercitata dal regime aristocratico: così nelle nuove sedi essi abolirono i privilegi di casta. Gli unici criteri secondo i quali si formavano le gerarchie sociali e politiche nelle nuove terre furono le capacità personali, i meriti dei singoli individui e le ricchezze accumulate grazie alle iniziative commerciali. Ma i popoli ellenici, sebbene divisi politicamente in tanti piccoli Stati, ebbero sempre coscienza di costituire un unico popolo. La coscienza unitaria era tenuta viva dalla comune origine, dalla religione, dalla lingua e dagli usi e costumi.

Grazie a queste migrazioni i Greci poterono contare su un grande numero di colonie lungo tutte le coste del Mediterraneo: in Sicilia, lottando contro i Cartaginesi, fondarono Selinunte, Agrigento, Gela, Siracusa, Catania e Messina; in Italia meridionale, lottando contro gli Enotri, gli Osci e gli Itali, fondarono Reggio, Crotone, Sibari, Taranto, Metaponto, Elea, Napoli, Poseidonia e Cuma; nell'attuale Francia fondarono infine le città che oggi sono chiamate Marsiglia, Antibes e Nizza. Sulle coste del Mar Nero inoltre furono fondate le famose colonie di Bisanzio e Odessa.
La vasta attività colonizzatrice svolta in Italia, soprattutto nella parte meridionale della penisola, indusse gli Elleni a soprannominare questo territorio Magna Grecia e cioè Grande Grecia.

Verso la fine del VI secolo a.C., questo movimento migratorio dovette però interrompersi: in Occidente fu bloccato dalla progressiva resistenza dei Cartaginesi e degli Etruschi, mentre in Oriente dall'espansione dei Persiani.
Ma, come abbiamo già accennato in apertura di capitolo, l'età arcaica portò notevoli innovazioni anche in campo politico. Infatti, lo Stato aristocratico, che funzionava benissimo nell'ambito delle piccole poleis, risultò inadeguato di fronte ad un così vasto dominio come quello originato dalla seconda colonizzazione.

Inoltre l'apertura di nuovi punti di contatto, e quindi di nuovi mercati, aveva provocato un rinnovamento economico di notevoli dimensioni, tutto a favore della classe commerciante ed artigiana. I ghenè aristocratici si trovarono così a non essere più il naturale punto di riferimento della società, e le loro pretese di conservare il tradizionale monopolio della vita pubblica apparvero sempre più assurde ed intollerabili.

Poiché il mondo ellenico non era riunito in un unico Stato, il problema di ricostruire un nuovo sistema di governo adatto alle esigenze della nuova società fu risolto in maniera diversa dalle varie poleis.

In alcune città i mercanti e gli artigiani, spalleggiati dal popolo, riuscirono ad imporre un arbitro (esimnèta) o un legislatore (nomotèta), che distrusse lo Stato aristocratico e cercò di moderare i contrasti sociali, soddisfacendo almeno in parte le esigenze dei meno abbienti.

Non si arrivò alla democrazia, come noi oggi la intendiamo, ma si realizzò un importante progresso: innanzitutto fu abolito un tipo di regime basato solo sui privilegi gentilizi e, in secondo luogo, si verificò un'apertura verso il popolo per cui era possibile gettare le basi per un nuovo Stato più giusto e più aperto.

In altre città una funzione analoga fu svolta dai tiranni. Il tiranno era un nobile che, passato dalla parte del popolo, approfittava dell'appoggio della cittadinanza per strappare il potere all'aristocrazia. L'ambizione personale fu sicuramente la molla principale della tirannide, che spesso fece ricorso a metodi di repressione particolarmente odiosi. I tiranni però svolsero anche un ruolo positivo: protessero i piccoli coltivatori, svilupparono le attività economiche e promossero lavori pubblici di notevole entità.

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ATENE

L'invasione dei Dori, di cui abbiamo ampiamente parlato, risparmiò la regione dell'Attica, che pertanto rimase in possesso degli Ioni, la stirpe ellenica più attiva e intelligentemente guidata. L'Attica, una penisola che si estende verso il sudest della Grecia, tra il Golfo di Egina e il Mar Egeo, ebbe come centro di maggior importanza la città di Atene che, grazie alla vicinanza del mare e del porto del Pireo, divenne ben presto uno dei più importanti centri commerciali del mondo ellenico. La penisola, che nell'epoca micenea era stata sede di tanti piccoli staterelli, nei secoli successivi si andò progressivamente unificando sotto l'egemonia di Atene. Anche la città di Atene, come molte altre, visse il passaggio dalla monarchia al governo dell'aristocrazia nobiliare.

Questo particolare momento storico ci è stato narrato attraverso le leggende tipiche della cultura greca: secondo queste fonti dopo la morte di re Crodo, perito nel vittorioso scontro con i Dori, il Paese non volle neanche cercarne un successore, perché nessuno avrebbe potuto eguagliare le virtù del sovrano defunto. In realtà, siamo portati a pensare che il passaggio dal regime monarchico al predominio dell'aristocrazia sia stato il frutto di un progressivo rafforzamento, con la conseguente assunzione del potere, delle classi nobiliari. Già durante gli ultimi anni della monarchia, il re fu affiancato da magistrati di origine aristocratica, come l'arconte polemarco, che si occupava dell'organizzazione militare, e l'arconte eponimo, che collaborava attivamente nell'organizzazione statale. Nel 682 a.C., dopo la caduta definitiva della monarchia, l'Attica era governata da nove arconti, che al termine della loro magistratura entravano a far parte dell'Areopago, una specie di Senato che svolgeva funzioni di controllo e giudiziarie. Questo consiglio supremo, costituito solo da nobili nominati a vita, era lo strumento fondamentale della dominazione aristocratica.

Ma questa situazione con l'andare del tempo era destinata a degenerare: i nobili, mal coordinati fra loro, dovettero fronteggiare la complessa organizzazione di uno Stato in continua espansione e il malcontento della nuova classe borghese, composta da commercianti ed artigiani.

La prima vittoria popolare fu la codificazione scritta delle leggi, nel 620 a.C., per opera di Dracone. È probabile che ciò non abbia migliorato di molto la condizione dei contadini e dei braccianti, ma il fatto stesso di fissare in un testo scritto le regole dello Stato costituiva il primo passo verso lo smantellamento dei privilegi nobiliari.

Alcuni anni più tardi, nel 594 a.C., Solone proseguì l'azione di riforma in modo più determinato: egli sollevò gli agricoltori dalla loro condizione miserabile, decretando una riduzione dei debiti e liberandoli dalle ipoteche sui campi che li avevano ridotti in schiavitù.

Solone inoltre, pur lasciando intatti gli antichi organi dello Stato (arconti, Areopago, ecc...), sancì il principio secondo cui i diritti e i doveri dei cittadini erano stabiliti in base al reddito della proprietà, quindi senza alcun riguardo per i titoli nobiliari.

La popolazione venne così suddivisa in quattro classi: i pentacosiomedimni, gli ippeis, gli zeugiti e infine i teti. Solo gli appartenenti alle prime tre classi, che costituivano il nerbo dell'esercito, dovevano provvedere (di tasca loro) all'armamento.

Ai maggiori obblighi dei più ricchi corrispondeva però un maggior potere: solo le prime due classi potevano accedere alle più alte magistrature, mentre gli zeugiti non potevano andare oltre la magistratura degli Undici, adibita ai compiti di polizia, e i teti erano esclusi da ogni funzione direttiva. Tutti i cittadini però (compresi i teti) avevano il diritto di partecipare all'Ecclesia e all'Eleia: la prima era l'assemblea generale che eleggeva i magistrati e deliberava sulle questioni più importanti; la seconda era un tribunale incaricato di giudicare i delitti che interessavano la collettività.

Tuttavia l'ordinamento proposto da Solone, nonostante le innovazioni fortemente democratiche, non sanò completamente le discordie cittadine: i commercianti si videro penalizzati dalla commisurazione delle ricchezze in base alla proprietà fondiaria; i nobili non si rassegnarono a vedere diminuito il loro potere, e il popolo stesso non considerava sufficienti le conquiste ottenute.

Alla morte di Solone questa situazione di malcontento generale portò ad un periodo di lotte intestine e all'anarchia.

Schema della riforma istituzionale di Solone

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OLIMPIA E I GIOCHI PANELLENICI

Olimpia non era una città, ma un particolare territorio dell'Elide delimitato da due fiumi: l'Alfeo e il Cladeo. In questa zona, considerata sacra a Giove, si svolsero i primi giochi olimpici che, secondo la leggenda, furono ideati dal re dell'Elide, Ifito, e dal re di Sparta, Licurgo. Durante i giochi venne introdotta l'usanza della «tregua sacra», secondo cui nessuna guerra poteva essere iniziata e tutti i conflitti in corso dovevano essere sospesi. Tale fu il prestigio raggiunto dai giochi di Olimpia che in dodici secoli la tregua sacra fu violata solo due volte. Le attività sportive duravano cinque giorni, di cui tre dedicati ai giochi (corse coi cavalli e con i carri, pentathlon, velocità, fondo, lotta, pugilato e pancrazio, una specialità che comprendeva lotta e pugilato) e due alle cerimonie religiose e alle premiazioni. I giochi di Olimpia richiamavano, ogni quattro anni, migliaia di spettatori che si accalcavano in un'arena ristretta, dormivano all'aperto, mangiavano cibi forniti da venditori ambulanti e, mancando acqua sufficiente per lavarsi, vivevano in condizioni igieniche decisamente precarie. Ma nonostante i disagi, durante il periodo dei giochi un gran numero di persone si recava ad Olimpia per assistere al grande spettacolo sportivo. Le vittorie olimpiche inoltre avevano un'importanza tale da essere utilizzate come mezzo di propaganda politica: i progetti del giovane Alcibiade furono notevolmente favoriti dalla sua vittoria del 416 a.C.; anche Nerone partecipò ai giochi vincendo ben sei titoli. Non si pensi però che l'imperatore romano fosse un grande atleta: i Greci, sottoposti al dominio di Roma, preferirono accattivarsi le simpatie di Nerone concedendogli l'onore della vittoria.

Nel 395 d.C. Teodosio I, proibendo tutte le feste pagane, decretò la fine dell'usanza dei giochi di Olimpia.

Olimpia: le prime Olimpiadi dell'antichità

Olimpia: le prime Olimpiadi dell'antichità (versione inglese)

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PISISTRATO E IPPIA

L'anarchia e le gravi crisi dello Stato ateniese furono risolte nel 546 a.C. da Pisistrato. Egli, di origine nobile, assunse la guida del partito popolare e si propose di soddisfare le più urgenti esigenze di rinnovamento. Con il minimo ricorso alla violenza instaurò un regime tirannico consolidando il suo potere personale. La tirannide di Pisistrato portò notevoli vantaggi allo Stato di Atene che in quel periodo, grazie alla pace restaurata, poté godere dei benefici delle riforme di Solone: i piccoli proprietari terrieri, liberati dalle ipoteche e dai debiti, aumentarono di numero e godettero di una notevole prosperità; il governo stesso, promuovendo un'intensa attività di lavori pubblici, facilitò l'impiego della manodopera e permise anche alle classi più povere di procurarsi i mezzi di sostentamento.

Ma il maggior merito di Pisistrato fu quello di aver impostato una politica estera adeguata alle esigenze delle classi mercantili. I commerci furono facilitati dall'annessione allo Stato ateniese dell'isola di Salamina e di alcune isole dell'Egeo; furono inoltre colonizzate le rive dell'Ellesponto, il che facilitò i commerci con il Ponto Eusino e con la Scizia. L'intelligente politica estera di Pisistrato creò in sostanza le premesse della potenza marittima di Atene.

Alla morte del tiranno (nel 528 a.C.) gli Ateniesi accettarono di buon grado che gli succedesse il figlio Ippia.

Questi in un primo tempo continuò con successo la politica del padre, ma con il passare del tempo incontrò una crescente opposizione interna. Ippia stesso contribuì a peggiorare la situazione con il suo atteggiamento che, con il crescere delle minacce, si faceva sempre più dispotico.

Nel 514 a.C., in un attentato promosso da due aristocratici, Armodio e Aristogitone, fu ucciso Ipparco, fratello e collaboratore di Ippia. A questa provocazione il tiranno reagì molto energicamente, circondandosi di truppe di mercenari. Ma dopo soli tre anni la tirannide fu rovesciata ad opera della famiglia nobile degli Alcmeonidi che, con l'aiuto di Sparta, costrinse Ippia a lasciare Atene nel 511 a.C.

L'intervento di Sparta al fianco degli Alcmeonidi non era casuale: gli Spartani speravano in una restaurazione del regime aristocratico subordinato alla loro protezione. Ma la notevole forza economica e politica delle classi medie rendeva praticamente impossibile la restaurazione del potere nobiliare. Di questa situazione si rese ben conto Clistene, capo degli Alcmeonidi, che quando fu eletto arconte, nel 507 a.C., ricostruì lo Stato ateniese secondo una prospettiva non già oligarchica ma decisamente democratica. L'attività politica di Clistene si fondò su due principi basilari: l'eliminazione del potere delle grandi famiglie nobili e la creazione di una struttura politica capace di impedire delle organizzazioni di classe troppo potenti e perciò pericolose per la comunità. Per conseguire questi due scopi, egli suddivise l'Attica in tre regioni geograficamente ed economicamente distinte: la zona montuosa settentrionale, più povera (Diacria); la pianura centrale prevalentemente agricola (Pedia); la zona costiera, dove fiorivano le attività commerciali e artigianali (Paralia).

Ognuna delle tre regioni venne ripartita in dieci distretti, e i trenta distretti complessivi furono raggruppati a tre a tre, in modo da formare dieci tribù, ognuna delle quali doveva comprendere un distretto della Diacria, uno della Pedia e uno della Paralia.

Questa suddivisione, studiata molto intelligentemente da Clistene, permise di avere una più chiara visione dei reali problemi dello Stato. Infatti le tribù, composte da gruppi sia etnicamente che economicamente diversi, riproducevano in piccolo l'intera struttura economico-sociale dell'Attica e potevano quindi essere assunte come base dell'ordinamento sociale e politico ateniese.

Nello stesso tempo le famiglie aristocratiche e i ricchi possidenti, dispersi nei vari distretti e nelle varie tribù, perdevano d'importanza e non costituivano più un pericolo per la pace sociale.

Ogni tribù doveva fornire un reggimento di soldati, eleggere uno stratego che li comandasse e scegliere fra i suoi cittadini cinquanta rappresentanti da inviare ad Atene come membri del Consiglio dei Cinquanta (o Bulè), che era il centro direttivo di tutto il nuovo ordinamento.

Infine, per scongiurare il pericolo di ogni futura tirannia, furono ampliati i poteri dell'Ecclesia. L'assemblea ecclesiastica, cui partecipavano tutti i cittadini, poté infatti approvare o respingere le proposte del Consiglio dei Cinquanta e decidere sul mantenimento in carica dei vari magistrati.

Venne inoltre istituito l'ostracismo, un provvedimento secondo il quale chi era sospettato di congiurare contro lo Stato poteva essere bandito da Atene per dieci anni.

A sancire la condanna, che non richiedeva l'esistenza di prove tangibili, occorreva il voto di almeno 6.000 cittadini.

Nel complesso, l'opera di Clistene fu molto positiva per la vita e lo sviluppo dello Stato ateniese; la nuova regolamentazione politica rappresentò la base della prosperità e della compattezza interna che, alcuni decenni più tardi, permisero ad Atene di raggiungere un'importanza straordinaria.

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SPARTA

Mentre Atene fu il modello di tutte le poleis democratiche, Sparta rappresentò il regime oligarchico per eccellenza. Il territorio dove sorse la città di Sparta, la Lacomia (una valle dell'Eurota compresa fra il Parnone e il Taigeto), fu occupata dai Dori durante la loro invasione.

Questi, anziché fondersi con la popolazione locale, l'assoggettarono con la forza delle armi e si installarono nel Paese come un'esigua ma compatta casta di dominatori.

La popolazione venne così suddivisa in tre classi ben distinte: gli spartiati, discendenti dei Dori e dominatori; gli iloti, considerati al livello di schiavi e costretti a lavorare la terra; ed infine i perieci, artigiani e commercianti che pur essendo liberi non godevano di diritti politici.

Le terre venivano divise fra gli spartiati e ciascun appezzamento poteva essere trasmesso in eredità solo al figlio maschio primogenito ed era inalienabile.

Le terre degli spartiati erano coltivate dagli iloti, che dovevano consegnare ai proprietari una quota fissa dei prodotti agricoli e mantenere se stessi e le proprie famiglie con il rimanente. Gli iloti, essendo schiavi, erano privi di ogni diritto civile e politico. La classe degli spartiati, grazie a questo sistema che li liberava da preoccupazioni materiali, poteva liberamente dedicarsi all'attività militare e politica.

Lo Stato spartano era governato da una diarchia (doppia monarchia), composta da re per diritto ereditario, che amministravano il potere esecutivo, presiedevano le funzioni religiose, comandavano l'esercito, dichiaravano guerra e decidevano la pace. Nel complesso essi godevano però di un'autorità limitata, perché ogni loro attività era sorvegliata da altri organi di controllo: la Gerusia e gli efori.
La Gerusia era un collettivo composto da ventotto spartiati di età superiore ai sessant'anni (geronti); essa esercitava il potere legislativo e anche quello giudiziario per i reati di omicidio o di alto tradimento. I cinque efori, che duravano in carica un anno, esercitavano un severo controllo sull'amministrazione della giustizia e su tutti gli atti di governo dei vari magistrati e dei due re, e sulla condotta pubblica e privata di tutti i cittadini.

Alla base dello Stato c'era l'Apella, ossia l'assemblea generale di tutti i cittadini, che aveva il potere di approvare o respingere i provvedimenti della Gerusia ed eleggeva i geronti e gli efori.

Questo sistema statale, ricco di controllori, conferiva a Sparta il carattere di una vera e propria oligarchia.

Ma la caratteristica della società spartana che più di tutte la differenziava dalle altre civiltà era la costante presenza dello Stato nella crescita e nell'educazione degli individui. Già dalla nascita, i neonati venivano sottoposti al giudizio dei geronti, i quali accertavano il perfetto stato di salute e le eventuali anomalie: i bambini maschi sani venivano destinati alla vita militare, mentre quelli gracili venivano soppressi. A partire dal settimo anno di età, l'educazione del bambino veniva curata dallo Stato che provvedeva ad addestrarlo militarmente.

L'educazione collettiva durava sino ai vent'anni; a quest'età gli spartiati incominciavano il servizio militare che terminava al compimento del sessantesimo anno di età.

Sino ai trent'anni tuttavia essi non potevano godere in nessuna misura della vita familiare e, anche dopo essersi sposati, i soldati spartani continuavano a mangiare e a dormire con i camerati. Solo dopo il trentesimo anno di età, essi potevano vivere in famiglia anche se erano sempre obbligati a partecipare al pasto comune con i compagni almeno una volta al giorno. Questo sistema di vita, che implicava così gravi limitazioni alla libertà individuale, ha in parte le sue radici nello stesso carattere nazionale degli Spartani: la necessità di soggiogare i Perieci e gli Iloti rese necessario un certo tipo di educazione militare basata sul cameratismo e sulla coscienza di appartenere ad una casta elevata.

La loro incredibile superiorità militare spinse gli Spartani anche al di là dei confini originari. L'offensiva di Sparta si diresse in un primo tempo verso la Messenia, una regione dalle terre molto fertili ad occidente della Laconia.

Dopo due lunghe guerre i Messeni dovettero cedere alla superiorità degli Spartani e furono sottomessi e ridotti alle condizioni degli iloti. In seguito l'esercito degli Spartani attaccò anche le città dell'Arcadia e Argo, che erano intervenute a favore della Messenia.

Ma a questo punto la politica espansionistica di Sparta assunse un nuovo indirizzo.

Infatti i metodi applicati contro la Messenia non potevano essere generalizzati, perché gli Spartani, per quanto guerrieri formidabili, erano in tutto poche migliaia, e un'ulteriore espansione dei loro domini avrebbe comportato un aumento del numero degli oppressi, moltiplicando così il pericolo di sommosse. Nacque così, verso la fine del VI secolo; la Simmachia Peloponnesiaca, cioè una lega militare comprendente gran parte del Peloponneso (fatta eccezione per l'Acaia e Argo).

Sparta, in qualità di città dominante, si impegnava a non intervenire nella politica interna delle varie poleis, a patto che i governi fossero retti da regimi oligarchici e che, in caso di guerra, fossero messe a sua disposizione tutte le forze militari.

L'assemblea che dirigeva la Simmachia prendeva le sue decisioni secondo il criterio delle maggioranze, ma in concreto Sparta, assai più potente ed influente delle altre città, riusciva sempre a far prevalere la propria volontà.

Tramite questa lega, la città di Sparta si trovò al comando dello Stato più potente ed esteso di tutta la Grecia e il suo peso fu determinante nelle lotte contro l'Impero Persiano che analizzeremo nei prossimi paragrafi.

Schema della costituzione di Sparta

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LE GUERRE PERSIANE

Intorno al 500 a.C., le città elleniche dovettero assistere all'incredibile espansione dell'Impero Persiano. Prima Ciro e poi Dario, erano riusciti a dar vita ad uno Stato i cui confini unificavano tutto il mondo orientale, dal Nilo all'Indo, dal Golfo Persico al Mar Caspio e all'Egeo.

L'esercito persiano infine occupò anche la Tracia e le poleis greche dell'Asia Minore e dell'Ellesponto.

La dominazione persiana sulle città elleniche non fu molto pesante: Dario si limitò a controllarne indirettamente il governo, a pretendere un modesto tributo e la disponibilità delle navi e degli eserciti in caso di guerra. Ma la sola presenza di navi straniere nel Mare Egeo preoccupava i Greci, troppo fieri per rassegnarsi al dominio persiano; d'altro canto Dario aspirava ad un dominio universale e non poteva non desiderare le isole dell'Egeo e la stessa penisola ellenica. Così, nonostante lo sviluppo dei commerci e dell'economia promosso proprio da Dario in quel periodo, la situazione rimaneva molto instabile e gravida di tensioni.

Il malcontento dei Greci si tradusse in azione nel 499 a.C., quando Aristagora, tiranno di Mileto sino ad allora docile amico dei Persiani, mutò fronte e diede il via all'insurrezione contro Artaferne (cfr. con Medi e Persiani), satrapo di Sardi. Per assicurarsi la vittoria, Aristagora richiese l'aiuto della madrepatria, ma solo Atene ed Eretria inviarono navi ed uomini in soccorso.

Ciononostante, il tiranno di Mileto, favorito dall'entusiasmo degli insorti e dal momentaneo smarrimento persiano, riuscì ad espugnare e dare alle fiamme la città di Sardi, dando il via all'insurrezione delle città greche dell'Asia Minore.

In pochi anni i Persiani riuscirono a riconquistare il controllo della situazione e, dopo aver riassoggettato le poleis dell'Asia, nel 494 a.C. espugnarono e distrussero Mileto.

Come monito per tutti i ribelli, Dario deportò tutti gli abitanti presso la foce del fiume Tigri e là li vendette come schiavi. Domata la rivolta, i Persiani, desiderosi di punire Atene ed Eretria colpevoli di aver fornito aiuto ai ribelli, si convinsero che la sottomissione delle colonie dell'Asia Minore sarebbe stata sicura solo con l'annientamento di tutti i popoli ellenici. A questo scopo, nel 490 a.C., la flotta persiana, al comando dell'ammiraglio Dati e del generale Artaferne, partì dalla Cilicia e dopo aver attraversato l'Egeo conquistò facilmente le Cicladi e la città di Eretria, che venne completamente distrutta.

L'assetto della Grecia durante le guerre persiane

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MARATONA

Dopo aver distrutto Eretria, i Persiani passarono alla seconda parte del loro piano: sbarcarono sulle coste orientali dell'Attica, nella baia di Maratona, a soli quarantadue chilometri da Atene.

Gli Ateniesi erano però ben decisi a resistere e, malgrado il loro orgoglioso spirito d'indipendenza, ritennero necessaria l'adesione alla Simmachia Peloponnesiaca; tanto più che una vittoria persiana avrebbe significato il ritorno del tiranno Ippia che, dopo essere stato esiliato, si era rifugiato presso la corte di Dario.

Contemporaneamente, guidati dallo stratega Milziade, furono inviati incontro al nemico 10.000 opliti, che si attestarono sulle colline che delimitavano la pianura di Maratona, mentre Sparta fu informata con la massima urgenza del pericolo incombente.

La superiorità numerica dei Persiani era in parte compensata dalla miglior posizione dei Greci, tanto che Dati decise di attendere una quindicina di giorni sperando che Milziade scendesse in campo aperto. Quando però giunse la notizia che l'esercito spartano era in marcia verso l'Attica, Dati si decise all'attacco.

Lo schieramento disposto da Milziade, assottigliato al centro e rinforzato alle ali, ebbe la meglio sugli invasori che, dopo un'aspra battaglia, si ritirarono sulle loro navi.

L'ammiraglio Dati, deciso a non darsi per vinto, si diresse immediatamente verso Atene, sperando di giungere in tempo per impadronirsi della città mentre era sguarnita.

Ma Milziade, intuito il pericolo, ritornò per tempo in Atene. Così la flotta persiana, trovato l'esercito greco pronto a difendere la città, fu costretta ad invertire la rotta e a ritornare in patria.

La vittoria di Maratona, assolutamente inaspettata, rimase nella memoria dei Greci come un avvenimento da ricordare sempre con orgoglio.

Ma esiste una spiegazione logica a questa vittoria: l'esercito ateniese aveva il vantaggio di conoscere molto bene il territorio dove avvenne lo scontro e gli fu quindi molto semplice schierarsi nella posizione migliore; inoltre i Greci erano sorretti dal loro forte spirito nazionale e disposti a morire pur di non cadere sotto il dominio straniero.

Va inoltre precisato che a Maratona non erano presenti le forze complessive dell'esercito persiano, ma un modesto corpo di spedizione inviato da Dario per risolvere una questione che lui stesso riteneva marginale.

Negli anni successivi alla battaglia di Maratona i Persiani, guidati da Serse, il successore di Dario, furono impegnati nella repressione di alcune rivolte scoppiate in Egitto e in Babilonia; così i Greci poterono approfittare di una decina d'anni di pace per organizzarsi in vista di un nuovo scontro.

In quegli anni la cittadinanza ateniese si divise in due partiti: i «progressisti», cui aderirono i ceti popolari e mercantili, che guidati da Temistocle, volevano preparare la città all'eventuale scontro, rafforzando la flotta e consolidando l'alleanza con Sparta; e i «conservatori», che guidati da Aristide erano propensi ad un'intesa con i Persiani e contrari ad un accordo con Sparta e con la Simmachia Peloponnesiaca.

Dopo un primo periodo di prevalenza dei conservatori, ebbero la meglio i progressisti, grazie anche alle notizie dei preparativi persiani per un nuovo attacco contro l'Attica, che confermavano la tesi di Temistocle.

Nel 482 a.C. Aristide fu colpito da ostracismo e costretto all'esilio, e in questo modo venne decretata la definitiva vittoria del partito progressista di Temistocle.

Durante gli anni successivi la flotta di Atene si rafforzò a tal punto da far diventare la Grecia una delle più importanti potenze marittime dell'epoca.

Nel frattempo Serse si preparava al nuovo scontro: questa volta però i Persiani scendevano in campo con tutto il loro potenziale bellico. Gli eserciti diretti verso la Tracia, la Macedonia e la Grecia settentrionale erano costantemente seguiti dalla flotta navale, che provvedeva ai rifornimenti.

Nel 481 a.C. le città greche, preoccupate dell'avanzata persiana, si riunirono presso l'Istmo di Corinto per confermare le loro alleanze e per proclamare una tregua generale necessaria per contrastare al meglio il pericolo Persiano.

Non si pensi però ad un'alleanza totale: molte poleis si rifiutarono di scendere in campo al fianco di Sparta e fra queste la città di Argo che si dichiarò addirittura neutrale allo scontro, accettando quindi di buon grado l'invasione persiana.

I veri capisaldi della resistenza greca rimanevano ancora una volta Atene, con la sua flotta, e Sparta, con il suo potente esercito, e la loro alleanza si dimostrò solidissima nonostante il diverso atteggiamento nei confronti dell'invasione straniera: Sparta infatti voleva difendere il primato militare conquistato sul Peloponneso, mentre Atene voleva salvaguardare la possibilità di espandere i propri traffici verso l'Egeo e il Mar Nero.

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LA BATTAGLIA DI SALAMINA

Nella primavera del 480 a.C., Serse partì con il suo esercito da Sardi e cominciò a scendere verso l'Ellesponto.

La Tessaglia, ritenuta indifendibile, fu abbandonata al nemico e, mentre gli Spartani si attestarono sull'Istmo di Corinto, unico passaggio verso il Peloponneso, solo un modesto contingente militare fu inviato in difesa dello stretto passo delle Termopili, punto di entrata dalla Tessaglia alla Grecia centro-meridionale. Gli Ateniesi nel frattempo, guidati da Temistocle, schierarono la loro flotta al capo Artemisio per impedire il passaggio delle navi persiane fra l'isola Eubea e le coste interne della Grecia.

Nel luglio del 480 a.C. l'esercito persiano, dopo aver occupato la Macedonia e la Tessaglia, riuscì a prevalere sul ridotto contingente spartano alle Termopili: a proposito di questo scontro, va sottolineata l'eroica resistenza del re spartano Leonida, che riuscì a mettere in difficoltà l'immenso esercito di Serse.

Poiché nessun ostacolo separava gli uomini di Serse dall'Attica, Temistocle con la sua flotta si precipitò ad Atene, ordinando alla popolazione di rifugiarsi nell'isola Egina, e si dispose ad attendere il nemico presso Salamina.

I Persiani, dopo aver conquistato la Focide e la Beozia, giunsero ad Atene, che venne distrutta assieme al porto del Pireo. Una volta conquistata l'Attica, Serse decise di attaccare la flotta ateniese presso Salamina, confidando nella propria superiorità numerica.

Ma gli uomini di Temistocle, che avevano di fronte la loro patria occupata dal nemico, si batterono con estremo eroismo ed incredibile energia.

Le triremi di Temistocle, molto più agili e scattanti delle grosse navi persiane, riuscirono a spostarsi con estrema maestria in quel tratto di mare chiuso e accerchiarono il nemico. Con questa manovra gli Ateniesi riuscirono a seminare il caos nelle file nemiche che, per evitare il peggio, si ritirarono presso il porto di Falero, in prossimità di Atene.

Serse, deciso a non ritirarsi, si convinse però che era impossibile sconfiggere i Greci prima dell'inverno ormai incombente e rientrò con la flotta superstite verso le coste dell'Asia, affidando le truppe al comando del generale Mardonio.

Questi, dopo aver trascorso l'inverno in Tessaglia, riprese l'offensiva nella primavera del 479 a.C., ma fu sconfitto a Platea, in Beozia, dall'esercito spartano guidato da Pausania. Dopo la morte in battaglia di Mardonio, i sopravvissuti dell'esercito persiano, persa ogni speranza di rivincita, iniziarono la lunga marcia verso la loro patria.

Nello stesso anno la flotta ateniese portò la guerra in Asia Minore, dove le città ioniche non attendevano che l'aiuto della madrepatria per insorgere.

Dopo aver sbaragliato gli ultimi capisaldi dell'esercito persiano, i Greci occuparono la regione degli stretti, Sesto e Bisanzio nel 478 a.C.
I Greci così, oltre ad aver respinto l'attacco persiano, riuscirono a liberare tutte le poleis dell'Asia Minore che sin dai tempi di Ciro erano cadute sotto la dominazione straniera, dimostrando in questo modo di meritarsi il titolo di padroni dell'Egeo.

L'espansionismo ateniese nel V sec. a.C.

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LE CONSEGUENZE DELLA VITTORIA

Le vittorie ottenute dai Greci contro i Persiani assumono un valore ancora più ampio se consideriamo quanto accadeva, all'incirca nello stesso periodo, nelle colonie elleniche del Mediterraneo occidentale.

Il dominio delle poleis greche era fortemente contrastato da vari popoli: dai Fenici, che contendevano ai Greci il dominio delle coste spagnole e della Sicilia, e dagli Etruschi, che scacciarono gli Elleni dalla Corsica e da parte della Campania. Ma, intorno al 500 a.C., le colonie di Reggio, Siracusa ed Agrigento, decise a fronteggiare il pericolo, impostarono una vigorosa controffensiva contro i nemici della grecità.

Nel 480 a.C. i tiranni Terone di Agrigento e Gelone di Siracusa piegarono i Fenici ad Imeria, e nel 474 Ierone, succeduto a Gelone alla guida di Siracusa, sconfisse per mare gli Etruschi presso Cuma, decretando (come vedremo in seguito) il declino della potenza etrusca in Italia.

In concomitanza con tali avvenimenti, in patria Atene e Sparta avevano avuto modo di giovarsi della vittoria sui Persiani. Ma se pari erano i meriti di quell'impresa, ben diverse erano le possibilità di poter sfruttare il comune successo.

Infatti, mentre per Atene la liberazione dell'Egeo significava la possibilità di poter riprendere i commerci e di sviluppare nuovi affari, la situazione di Sparta era ben più complessa. Sparta infatti, per potersi avvantaggiare della vittoria, avrebbe dovuto modificare la sua politica da militare a mercantile, creando così le basi per lo sviluppo di una classe legata ai traffici anziché alle armi. Ma ciò avrebbe comportato l'abolizione dei privilegi degli spartiati, per il mantenimento dei quali essi stessi avevano strenuamente combattuto.

Così Sparta, costretta dal suo regime a rinunciare all'espansione marittima, fu impegnata nella repressione di alcune rivolte dei popoli del Peloponneso: le città dell'Arcadia e dell'Elide si allontanarono dalla Simmachia dandosi ordinamenti democratici; gli iloti della Laconia e della Messenia incominciavano ad insorgere contro la servitù; persino fra gli stessi spartiati c'era qualcuno, come Pausania, disposto ad assumere la guida dei movimenti rivoluzionari maturati durante le guerre persiane.

Al contrario di Sparta, Atene riuscì ad instaurare un'egemonia economica e politica che, ben presto, la portò a diventare la prima potenza del Mar Egeo.

Nel 477 a.C. le poleis delle isole dell'Egeo, delle coste dell'Asia Minore, dell'Eubea e della Tracia si posero sotto la protezione di Atene e costituirono una poderosa lega navale (la Lega di Delo), che aveva come fine la protezione delle terre greche da eventuali attacchi stranieri e la continuazione della guerra contro i Persiani.

Nell'isola di Delo avevano luogo le assemblee della Lega ed era custodito il tesoro federale, costituito dai tributi di tutte le città. La presidenza dell'assemblea e la guida degli eserciti spettava ad Atene, che poteva così giovarsi della supremazia sulle altre poleis della lega.

Nel 449 a.C., come analizzeremo dettagliatamente più avanti, con la pace di Callia la Grecia e la Persia si impegnarono alla non belligeranza, facendo cadere una delle principali ragioni per cui era sorta la lega.

Ma, nonostante ciò, Atene continuò a mantenere, ed anzi accentuò la supremazia che esercitava sulle altre città della confederazione: riformò le costituzioni delle altre poleis modellandole sulla propria, divenne arbitro assoluto della loro politica estera e trasferì il tesoro della Lega di Delo ad Atene.

Questa condotta, ad ogni modo, tornò a vantaggio di tutte le poleis, che videro crescere i traffici, l'economia e i commerci e poterono inoltre godere di una maggiore giustizia sociale con l'introduzione della costituzione democratica ateniese.

Ma, col passare del tempo, lo strapotere di Atene fu mal tollerato dalle altre città della lega, che incominciarono a sentirsi oppresse dalla sua politica imperialistica.

Si diffuse così un sordo risentimento, che esplose in non rari episodi di ribellione e minò le basi dell'egemonia ateniese. Durante questi anni la politica interna di Atene registrò un passaggio di potere dai democratici ai conservatori: infatti Temistocle, il leader democratico protagonista della battaglia di Salamina, fu colpito da ostracismo e costretto all'esilio. Le ragioni di questo provvedimento, che a noi può sembrare assurdo, sono facilmente giustificabili: durante gli ultimi anni del suo potere, Temistocle fu un ardente promotore dei movimenti rivoluzionari del Peloponneso che si opponevano al potere di Sparta e sostenne la necessità di abbattere la potenza della città rivale.

Ma il suo piano fu decisamente contrastato dai conservatori, che vedevano in Sparta non un nemico, ma l'ultimo baluardo del potere aristocratico: per essi era un'alleata che doveva essere aiutata nell'opera di repressione.

Così i conservatori, guidati da Aristide e da Cimone e sorretti dall'Areopago, sempre legato agli interessi dei nobili, riuscirono nel 476 a salire al potere e nel 471 ad allontanare Temistocle.

Durante i primi anni del suo potere, Cimone non abbandonò il programma di egemonia ateniese ma anzi lo intensificò, ottenendo buoni risultati. Nel 476 a.C. liberò le coste della Tracia meridionale dai Persiani; nel 475 s'impadronì dell'isola di Sciro obbligandola ad entrare nella Lega di Delo; fra il 472 e il 471 occupò la città di Bisanzio assicurando alle navi ateniesi il passaggio verso il Mar Nero.

Nel 470 a.C., Cimone sorprese una flotta persiana che si apprestava a entrare nelle acque dell'Egeo, infliggendole una memorabile sconfitta presso le foci dell'Eurimedonte.

La politica estera di Cimone, ben condotta e ricca di vittorie, fece guadagnare una serie di consensi al partito conservatore ma allo stesso tempo gettò le basi per la sua caduta. Infatti le numerose conquiste di quegli anni allargarono notevolmente gli orizzonti dei mercanti ateniesi, provocando il rafforzamento della classe mercantile a discapito di quella aristocratica. Così gradatamente maturò il divario fra i conservatori, simpatizzanti della nobiltà, e la nuova classe composta da mercanti, armatori e artigiani.

Pochi anni dopo la vittoria dell'Eurimedonte, la popolarità di Cimone cominciò a declinare a vantaggio dell'offensiva democratica guidata da Pericle e da Efialte.

La crisi definitiva si registrò quando Cimone, ottenuto il permesso di guidare 4.000 soldati in aiuto di Sparta intenta a reprimere una rivolta messenica, dopo pochi mesi fu bruscamente congedato dagli alleati, stanchi di sostenere le spese del mantenimento dei reparti ateniesi.

L'umiliazione subita da Cimone in un'impresa che i democratici avevano insistentemente ostacolato segnò il crollo del potere conservatore: nel 461 Cimone stesso fu colpito da ostracismo, l'Ecclesia rinunciò all'alleanza con Sparta e, dopo l'assassinio di Efialte, Pericle e il partito democratico ripresero il sopravvento.

Modello tridimensionale di nave greca

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PERICLE

Pericle, pronipote di Clistene, si dimostrò subito un valido uomo politico, capace di intuire le necessità del popolo e fu il fautore di molte innovazioni.

Sull'esempio di Solone e Clistene, Pericle riformò la costituzione ateniese apportando parecchie modifiche che andavano a vantaggio del popolo e a discapito della classe aristocratica. Innanzitutto aprì le cariche della magistratura a tutti i cittadini, assegnando un'indennità a coloro che attendevano ad un pubblico ufficio; in questo modo anche i cittadini meno abbienti poterono accedere alle cariche politiche. La guida suprema dello Stato fu affidata a dieci strateghi e al loro presidente, che venivano eletti a maggioranza da tutto il popolo.

Le conseguenze a livello politico della nuova costituzione furono molte: l'autorità dell'Areopago e degli arconti diminuì notevolmente, mentre maggior prestigio fu affidato all'Ecclesia, alla Bulè dei Cinquecento e ai tribunali eliastici.

Grazie a queste innovazioni Pericle, appoggiato dalla classe mercantile, riuscì a donare alla città di Atene un periodo di prosperità in cui, oltre al fiorire dei commerci, vi fu un enorme sviluppo della vita artistica e culturale.

La sua politica estera, a differenza di quella interna, non fu però altrettanto felice.

Pericle infatti, forte della sua potenza, volle affrontare contemporaneamente gli Spartani e i Persiani su due fronti differenti.

Contro i primi scatenò nel 457 a.C. la prima guerra peloponnesiaca che, con vicende alterne, si protrasse per oltre dieci anni; contro i secondi alimentò con sostanziosi aiuti la ribellione degli Egiziani, che non si erano mai rassegnati al dominio persiano.

Dopo alcuni successi, che permisero ad Atene l'espansione dei suoi domini sulla Beozia, sulla Focide, sulla Locride e sull'isola di Egina, Pericle si convinse dell'insostenibilità del doppio conflitto. Nel 499 a.C. pertanto egli firmò la pace di Callia con i Persiani e nel 445 stipulò un trattato di pace trentennale con la città di Sparta. Con questi patti le tre potenze stabilirono le loro sfere d'influenza: Sparta nel Peloponneso, Atene nell'Egeo e la Persia nel Mediterraneo orientale.

I limiti della democrazia di Pericle sono facilmente riscontrabili osservando la sostanziale differenza fra la politica interna e quella estera: la democrazia ateniese è ristretta esclusivamente a coloro che sono riconosciuti come cittadini e si esprime in una politica estera aggressiva e imperialistica.

Durante il periodo d'oro dell'economia ateniese, molti stranieri emigrarono nell'Attica e qui, pur godendo delle stesse libertà degli Ateniesi, erano esclusi dalla vita politica e solo in casi rarissimi riuscivano ad ottenere la cittadinanza. Non va poi dimenticato che Pericle non pensò assolutamente di mettere in discussione l'istituto della schiavitù: pur essendo trattati molto umanamente, gli schiavi erano in continuo aumento.

Bisogna tuttavia riconoscere a Pericle il merito di aver espresso per primo il concetto di uguaglianza fra tutti i cittadini, che rappresentò un grosso contributo per il cammino della libertà, anche se va sottolineato che questo concetto fu applicato ad Atene in modo molto egoistico, e cioè a favore esclusivamente dei cittadini di origine ateniese.

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LA GUERRA DEL PELOPONNESO

La pace trentennale stipulata nel 445 fra Sparta e Atene fu interrotta nel 431 da un conflitto che, pur essendo passato alla storia con il nome di Guerra del Peloponneso, coinvolse tutto il mondo greco.

Le cause di questo nuovo conflitto sono molteplici ma facilmente individuabili: prima fra tutte fu senz'altro l'imperialismo ateniese che, provocando il risentimento delle città subalterne della Lega Delica, originò un malcontento e un'ostilità generale nei confronti della superpotenza.

Le città esterne alla Lega sospettavano un attacco da parte di Atene e ne temevano l'indiscussa superiorità marittima. Atene, a sua volta, si sentiva al centro di questa tensione e sospettava che Sparta e le città della Simmachia stessero spingendo le poleis della Lega di Delo ad insorgere contro il suo dominio.

In quest'atmosfera di tensione, lo stesso Pericle si convinse che la guerra era inevitabile, così anziché attenderla decise di provocarla prima che il dominio di Atene fosse indebolito da eventuali rivolte delle città subalterne della lega.

Col consenso dell'Ecclesia iniziò una serie di provocazioni contro Corinto e Mégara, alleate di Sparta, vietando loro l'accesso ai porti delle città greche sotto il suo dominio.

Corinto e Mégara, che si trovarono improvvisamente private dei commerci che rappresentavano la loro unica vera fonte di reddito, si rivolsero a Sparta e alla Simmachia Peloponnesiaca sollecitando una coalizione anti-ateniese.

Il conflitto tanto a lungo maturato scoppiò nella primavera del 431 a.C.. Le due coalizioni contrapposte avevano strutture politiche e militari estremamente diverse: Atene, cui facevano capo le città della Lega di Delo e alcuni centri del Mar Ionio e della Sicilia, era superiore ai suoi avversari numericamente, economicamente e militarmente per quanto concerne la flotta navale; Sparta, cui facevano capo le poleis della Simmachia e gli alleati della Locride, della Focide e di Tebe, era senz'altro superiore dal punto di vista militare, grazie al potente esercito degli spartiati.

Entrambe le città erano però minate da conflitti interni: infatti gli Ateniesi dovevano fronteggiare l'ostilità delle città subalterne della Lega; mentre gli Spartani vivevano sotto la continua minaccia di ribellioni da parte dei Messeni e degli iloti. Nel complesso però le forze tendevano a bilanciarsi, e non ci sorprende quindi la durata del conflitto che, salvo brevi tregue, durò sino al 404 a.C.

La politica di Pericle era saggiamente commisurata alle reali capacità dell'esercito ateniese: egli si propose infatti di evitare ogni battaglia campale, abbandonò il territorio dell'Attica, raccogliendo tutta la popolazione entro le mura di Atene, e concentrò tutte le forze in una guerra di logoramento sul mare mediante attacchi ai porti e alle flotte nemiche. Così, mentre gli Spartani occupavano l'Attica totalmente indifesa, la flotta ateniese devastava le coste peloponnesiache punendo maggiormente le città, come Potidea, ree di tradimento, essendo passate dalla Lega di Delo alla Simmachia.

Ma le difficoltà che dovette superare Atene in questo primo periodo di guerra non furono poche: i contadini che avevano dovuto abbandonare le terre dell'Attica al nemico si dimostrarono molto ostili a Pericle e la situazione degenerò quando, nel 430 a.C., nell'affollatissima città di Atene scoppiò un'epidemia di peste.

Dopo aver ucciso un quarto della popolazione, nel 429 la peste privò Atene dello stesso Pericle, e i nuovi leader della città diventarono Cleone e Nicia. Quest'ultimo, capo del partito aristocratico conservatore, era favorevole alla pace e ad un accordo con Sparta. Cleone, alla guida del partito democratico popolare, era invece fautore della guerra ad oltranza.

Così dal 428 il conflitto assunse un significato politico che determinò una serie di guerre civili all'interno delle stesse fazioni: i partigiani democratici filoateniesi si opposero duramente agli oligarchici aristocratici filospartani.

A Mitilene, nell'isola di Lesbo, i conservatori insorsero e imposero la defezione dalla Lega di Delo e il passaggio alla Simmachia spartana; nel 427 a.C. una flotta ateniese si precipitò nell'isola, conquistò la città e ordinò l'assassinio dei traditori, restaurando il precedente regime.

Analogamente, nell'isola di Corcira gli aristocratici tentarono di ribellarsi ma vennero sottomessi immediatamente dal partito popolare che, con l'aiuto di Atene, sterminò gli avversari.

Frattanto la guerra si protraeva con andamento alterno: nel 422 in uno scontro presso Anfipoli, nella Tracia, morirono sia l'ateniese Cleone che lo spartano Brasida.

La morte dei due più decisi sostenitori della guerra facilitò la ripresa delle trattative di pace.

Promotore di questa pace fu il conservatore Nicia, il quale nel 421 firmò il patto conclusivo che passò alla storia proprio con il suo nome: la pace di Nicia.

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NUOVI SCONTRI E CROLLO DI ATENE

Le condizioni stabilite dalla pace di Nicia prevedevano la restituzione reciproca dei territori conquistati.

Ma questo patto non fu del tutto rispettato; infatti le città della Calcidica si rifiutarono di ritornare sotto l'egemonia di Atene, e quest'ultima si tenne a sua volta in pegno la città di Pilo e l'isola di Citera, a sud del Peloponneso.

Alla morte di Cleone, la guida del partito democratico ateniese passò ad Alcibiade; un uomo che univa innegabili doti d'ingegno ad un'ambizione e ad una spregiudicatezza assai lontane dalle tradizioni di austerità e saggezza dell'antica democrazia.

Alcibiade, che militava nel partito democratico non tanto per profonda convinzione, quanto perché vedeva nella democrazia il regime che meglio gli avrebbe consentito di emergere e di affermarsi, fu un convinto promotore della guerra ad oltranza e fra il 416 e il 415 a.C. riuscì a convincere l'Ecclesia ad accogliere le richieste di aiuto che giungevano ad Atene dalla città siciliana di Segesta, la quale era minacciata da Siracusa, alleata di Sparta.

Così fu interrotta la pace di Nicia, che durò solo cinque anni. Nell'agosto del 415 a.C., 134 triremi e 6.500 soldati partirono da Atene alla volta di Siracusa, comandati da Nicia, da Lamaco e dallo stesso Alcibiade. Questi però, accusato di sacrilegio, fu richiamato in patria e, per sottrarsi al giudizio, decise di rifugiarsi presso gli Spartani, cui elargì i suoi consigli a danno di Atene.

Nell'estate del 414 gli Ateniesi sembravano sul punto di espugnare Siracusa, quando intervenne un corpo di spedizione inviato da Sparta e da Corinto e guidato dal lacedemone Gilippo.

Nicia, rimasto unico comandante dopo la morte di Lamaco, si trovò così intrappolato nel porto di Siracusa e bloccato dalla flotta nemica. Riuscì però ad informare Atene e a richiedere dei rinforzi.

Nel 413 a.C. i rinforzi guidati da Demostene giunsero nel porto di Siracusa ma dopo alcuni successi iniziali vennero sconfitti. I superstiti, guidati da Nicia e Demostene, tentarono la fuga separatamente, ma presso Camarina vennero raggiunti e costretti alla resa.

Il disastro siciliano segnò la fine del dominio ateniese; Sparta, approfittando della vittoria, decise di continuare la guerra contro la rivale non solo per terra ma anche per mare, grazie anche all'appoggio della flotta siracusana, della Magna Grecia e dell'Impero Persiano, che finanziò egregiamente gli sforzi militari.

Nonostante la netta inferiorità, Atene dimostrò ancora una volta il suo valore riuscendo a vincere la battaglie di Cizico (410) e delle isole Arginuse (406). Ma ben presto dovette capitolare: decisiva fu la vittoria dello spartano Lisandro a Egospotami, nel 404 a.C.

Grazie agli aiuti persiani, il comandante spartano poté giovarsi di una potente flotta con la quale attaccare Atene via mare, mentre l'esercito dei Lacedemoni la attaccava via terra. L'assedio di Atene durò alcuni mesi e si concluse nella primavera del 404 con la resa della città.

Mentre i Tebani e i Corinzi volevano radere al suolo la città, Sparta si dimostrò molto più tollerante: ad Atene fu concessa la sopravvivenza ma ad alcune condizioni. Le fu imposto di abbattere le mura della città e le fortificazioni del Pireo, di rinunciare a tutti i possedimenti al di fuori dell'Attica, di allearsi con Sparta e la Simmachia ed infine di consegnare tutte le navi superstiti ad eccezione di dodici.

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LICURGO E LA RICCHEZZA

Come abbiamo già detto nel testo, la classe più importante della gerarchia sociale spartana, quella degli spartiati, si dedicava esclusivamente alle attività belliche, lasciando i commerci e i traffici mercantili alle classi inferiori. Secondo la tradizione greca, fu il re spartano Licurgo a proibire agli spartiati le attività economiche.

Nella sua Costituzione Licurgo descrisse la ricchezza come causa di decadenza morale, che l'uomo doveva fuggire, dedicandosi soltanto alle attività che potevano procurargli la libertà. Secondo il legislatore era più onorevole compiere uno sforzo fisico per aiutare un compagno, che donargli del denaro in segno di amicizia. Gli Spartani inoltre rifiutarono l'usanza, tipicamente ateniese, di indossare abiti lussuosi in segno di benessere spirituale e materiale; gli uomini di Licurgo in contrapposizione sostenevano la tesi che l'eleganza fosse strettamente connessa con la prestanza fisica e non con il lusso delle vesti.

Licurgo, per impedire che qualche suo suddito si potesse arricchire ingiustamente, istituì a Sparta un tipo di moneta del tutto particolare. Si trattava di una moneta di ferro che, proprio per lo scarso valore di questo metallo, era molto ingombrante e pesantissima.

Inoltre Licurgo stabilì un limite massimo al possesso di oro e di argento, e tutti i contravventori venivano sottoposti a durissime punizioni.

Questo tipo di società impostata da Licurgo, benché possa sembrare molto corretta e ugualitaria, era decisamente inadeguata ad una realtà come quella greca in continuo sviluppo. Mentre infatti Atene aumentò la sua importanza in tutto il mondo mediterraneo con i suoi commerci, Sparta non cercò mai sbocchi al di fuori del Peloponneso (tranne un breve periodo di alleanza con la Persia), assorbita nelle sue attività militari.

SPARTA E LA PERSIA

Nel 404 a.C. fu decretata quindi la fine dell'egemonia ateniese, ma non la vita della città che poteva così continuare a mantenere la sua indiscutibile egemonia culturale.

La sconfitta del 404 a.C. di Atene e il conseguente crollo del suo dominio provocarono una serie di ripercussioni negative su tutte le poleis della Grecia.

Con la caduta dell'organizzazione commerciale ateniese, gli scambi e i traffici nel Mar Egeo e nel Mediterraneo divennero molto precari, provocando un crollo dell'economia ellenica.

Lo stesso Mar Egeo non era più tanto affidabile e sicuro: infatti i Persiani, che avevano aiutato Sparta economicamente durante il conflitto, ottennero di nuovo l'egemonia delle colonie greche dell'Asia Minore e dell'Anatolia.

Ma le ripercussioni più gravi furono causate dalla politica interna degli Spartani che, dopo aver dichiarato di battersi per la libertà e l'autonomia delle poleis minacciate da Atene, non esitarono a sostituire il proprio dominio a quello della città rivale. Ma, mentre la democrazia di Atene puntava sullo sviluppo economico delle poleis tramite i commerci, l'oligarchia spartana, educata ad un ideale militaresco, risultò assolutamente non idonea a soddisfare le esigenze delle città elleniche basate soprattutto sui traffici mercantili.

Così i governi oligarchici imposti a tutte le poleis furono visti dai Greci come un netto regresso e furono appoggiati solamente da gruppi di reazionari scacciati dai precedenti governi e rientrati in patria al seguito dell'esercito spartano.

Atene, soffrì più di ogni altra città, per questa situazione: Sparta le impose un governo provvisorio composto da trenta membri che, per gli eccessi ai quali si abbandonarono durante la loro carica, vennero soprannominati i Trenta Tiranni.

Le confische ingiustificate, le condanne arbitrarie e le ingiustizie costrinsero molti Ateniesi alla fuga nelle città vicine per sottrarsi alle persecuzioni. Ma la situazione era destinata a cambiare: i democratici fuggiti da Atene, guidati da Trasibulo, si organizzarono e rientrarono in armi nella città nel 403 a.C.

Dopo alcuni mesi di lotte intestine, i ribelli, sorretti dal popolo, riuscirono a scacciare i Trenta Tiranni e a restaurare il governo democratico, con il consenso di Sparta che si limitò ad imporre un'amnistia in favore di coloro che avevano appoggiato gli oligarchici. La ricostruzione delle istituzioni democratiche e la riconosciuta indipendenza permisero ad Atene di riacquistare parte dell'antica prosperità e di partecipare nuovamente alle lotte politiche elleniche.

Nel frattempo Sparta decise di perseguire lo scopo che era stato anni prima della Lega di Delo: la guerra nazionale contro la Persia. Sparta infatti, dopo essere stata alleata dei Persiani durante le guerre del Peloponneso, una volta vinto lo scontro si rese conto della pesante intromissione persiana nelle questioni greche. Così, sicura della sua potenza decise di appoggiare Ciro il Giovane nel suo tentativo di detronizzare il fratello maggiore Artaserse, nuovo re di Persia.

Dopo il fallimento di Ciro, che perse la vita durante una battaglia nel 401, gli Spartani optarono per un intervento diretto in favore delle città greche dell'Asia Minore, che si concluse nel 398 con la liberazione di buona parte delle coste dell'Anatolia.

A questo punto Artaserse, approfittando dell'instabile situazione politica delle genti elleniche, riuscì a stringere una alleanza con Atene, Tebe, Argo e Corinto contro Sparta.

Gli eserciti lacedemoni furono così costretti a rientrare in patria, mentre Atene approfittò del momento propizio per ricostruire, con fondi persiani, le mura a difesa della città e del porto del Pireo e per recuperare parte della sua potenza navale.

La ripresa di Atene preoccupò Artaserse, che si dimostrò di nuovo molto disponibile ad un accordo con Sparta.

Il continuo alternarsi delle alleanze provocò una vera e propria vittoria del re persiano che, nel 386 a.C., stipulò la Pace di Antalcida e la comunicò ai delegati di Sparta, Atene, Tebe, Corinto ed Argo.

Con la Pace di Antalcida, Artaserse stabilì che le colonie dell'Asia Minore dovevano rimanere sotto il dominio dell'Impero Persiano e che le poleis greche dovevano essere governate autonomamente, e quindi sciolte da ogni vincolo di alleanza. Grazie a questo documento il re persiano si attribuì la carica di arbitro assoluto nelle questioni interne del mondo greco e, alleatosi con gli Spartani, riuscì a far rispettare i suoi voleri. In cambio Sparta ottenne di mantenere in vita la Simmachia Peloponnesiaca e, in questo modo, giunse a riaffermare il proprio predominio sulla Grecia.

La situazione si rivelò ben presto molto grave e carica di tensioni: i soldati spartani, nelle vesti di gendarmi ed esecutori della politica persiana, continuarono ad intervenire nelle questioni interne delle varie città, nonostante le garanzie di pace fornite da Artaserse.

La più grave violenza fu esercitata contro Tebe, la cui rocca fu occupata da un presidio militare spartano.

Ma nel 379 a.C., i profughi tebani di parte democratica capeggiati da Pelopida e da Epaminonda, partendo da Atene (che li aveva ospitati), riuscirono a rientrare in patria e a scacciare il governo oligarchico e le guarnigioni spartane.

I due capi tebani, alleati ad Atene, riuscirono in poco tempo a creare un formidabile esercito che respinse più volte l'offensiva dei Lacedemoni. Nel 378 a.C. Pelopida ed Epaminonda costituirono, sotto l'egemonia di Tebe, la Lega Beotica che aveva come fine quello di contrastare il dominio di Sparta.

Nel 371 a.C., dopo che Atene era passata dalla parte di Sparta, il governo lacedemone decise di inviare un forte esercito di opliti in Beozia per riportare la città di Tebe all'ordine. Ma Epaminonda, all'insaputa degli Spartani, aveva in serbo una innovazione militare che gli avrebbe assicurato la vittoria: questa innovazione consisteva in un massiccio rafforzamento delle ali della falange, con un corpo speciale di combattenti accuratamente selezionati. Il Battaglione Sacro, questo era il nome del corpo speciale, inflisse agli Spartani una memorabile sconfitta presso Leuttra nel 371 a.C., infrangendo così definitivamente il mito dell'invincibilità di Sparta nei combattimenti terrestri. Con la morte in battaglia del re lacedemone Cleombroto, il dominio di Sparta crollò definitivamente a vantaggio della nuova egemonia tebana.

Le conseguenze del crollo del dominio spartano non tardarono a manifestarsi: soprattutto nel Peloponneso scoppiarono una serie di rivolte a catena per rovesciare i vari governi oligarchici voluti dagli Spartani.
Dopo le rivolte dell'Arcadia, della Messenia e dell'Elide, nel 369 a.C. lo stesso Epaminonda scese nel Peloponneso e, dopo aver occupato la Laconia, aiutò i popoli sottomessi a rivendicare la propria libertà e fondò la Lega Arcadica. Ma le ambizioni tebane non si limitarono al solo Peloponneso.

Il governo tebano infatti intervenne nelle contese dinastiche che agitavano la Macedonia e si assicurò l'alleanza di quel popolo, facendosi consegnare degli ostaggi (fra cui Filippo, il futuro fondatore dell'Impero Macedone).

Le ingerenze tebane arrivarono anche in Tessaglia dove, nel 367 a.C., prima Pelopida e poi Epaminonda vinsero l'opposizione con la forza delle armi e posero le premesse per l'assoggettamento di quella regione.

Nello stesso anno Epaminonda fu costretto ad intervenire nel Peloponneso, dove la recente liberazione aveva causato un vero e proprio caos fra i popoli della Lega Arcadica: infatti fra Sparta e la Messenia era in corso una continua guerriglia dalle conseguenze devastanti.
Dopo la spedizione con scopi conciliatori nel Peloponneso, Epaminonda si convinse che per assicurare un solido futuro economico ai domini tebani erano necessari una buona flotta navale e l'apertura ai mercati dell'Asia Minore e del Mar Nero. Così, dopo aver fatto costruire cento triremi causando un grosso deficit nel patrimonio dello Stato, partì verso il Mar Nero nel tentativo di conquistare l'accesso a quella regione. Nel 364 a.C., dopo una lunga battaglia, il comandante tebano riuscì effettivamente ad impossessarsi della città di Bisanzio.

Nello stesso anno Pelopida dovette intervenire di nuovo in Tessaglia a causa dell'insurrezione della popolazione locale contro l'egemonia tebana. Ma durante la vittoriosa battaglia di Cinocefale (364) Pelopida stesso perse la vita e la sua opera venne conclusa dai comandanti della Lega Beotica.

Con la morte di Pelopida, Tebe subì una grave perdita che, nonostante l'impegno del valoroso Epaminonda, fu una delle principali cause della caduta del dominio tebano. In realtà l'egemonia tebana era per sua natura molto fragile ed instabile in quanto, non essendo fondata su un potere con solide basi economiche, politiche e culturali, richiedeva continui interventi militari.

D'altronde gli ultimi decenni di indipendenza del popolo greco sono caratterizzati da questo tipo di situazioni: come Sparta aveva demolito il dominio ateniese, Tebe distrusse quello di Sparta, ma in entrambi i casi, dopo il periodo negativo caratterizzato dalle azioni belliche, non si registrò un conseguente ed adeguato processo di ricostruzione. In questa situazione, i popoli ellenici continuarono a combattersi fra loro anziché cercare una soluzione pacifica.

Nel 362 a.C. Epaminonda dovette di nuovo scendere nel Peloponneso per fronteggiare l'insurrezione di Sparta, che aveva come alleata la stessa Atene. Nel luglio dello stesso anno l'esercito tebano riuscì a vincere lo scontro decisivo sotto le mura di Mantinea, ma durante questo combattimento Epaminonda perse la vita.

Con la morte di Epaminonda cadde anche il dominio di Tebe, che era riuscita a minare la potenza spartana ed ateniese, ma senza creare una valida alternativa.

Dopo la caduta di Tebe, tutta la Grecia si ritrovò più confusa e vulnerabile di quanto non fosse mai stata nella sua tormentata storia.

A decretare la definitiva scomparsa dell'autonomia della Grecia fu una nuova monarchia che si era venuta rafforzando negli ultimi anni: il Regno di Macedonia.

Prima però di occuparci di questo popolo (di cui parleremo nel prossimo capitolo) vorremmo dedicare ampio spazio alla cultura greca, sviluppatasi dal XII al IV secolo a.C., che ha così influenzato tutti i popoli a lei contemporanei, che le sue espressioni sono tutt'oggi ammirate.

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LA RELIGIONE

La religione greca non fu mai fissata in un libro sacro (come la Bibbia o il Corano) e non fu mai controllata da una casta sacerdotale che avesse il compito di difenderla; è forse a causa di questi due fattori che, durante le varie epoche storiche, essa subì trasformazioni anche notevoli. Quando gli Achei arrivarono in Grecia, la loro religione aveva caratteristiche principalmente naturalistiche e la maggiore fra tutte le divinità era il Cielo; nel periodo fra il Medioevo Ellenico e l'Età Arcaica, i Greci giunsero ad un'unificazione religiosa che accomunò tutte le popolazioni greche sia in patria sia nelle colonie.

All'unificazione religiosa si accompagnò un costante sviluppo del modo di concepire gli dei: mentre in un primo tempo essi venivano identificati come fenomeni naturali, ora erano interpretati come delle personificazioni delle virtù e delle passioni umane.

Nascono così degli dei, come quelli che ci ha descritto Omero, simili all'uomo ma molto più potenti, liberi dagli affanni terreni, dotati di immortalità e perenne giovinezza.

Nella fase omerica la religione degli Elleni ci presenta dunque degli dei fatti a immagine e somiglianza degli uomini, ma superiori ai mortali per i loro poteri e per le stesse proporzioni fisiche. Essi abitano sul monte Olimpo e conducono una vita dominata da passioni in tutto simili a quelle umane.

Il mondo divino è ordinato come una sorta di monarchia: vi è un re, Zeus (Giove per i Romani), una serie di divinità maggiori ed altre figure secondarie che potremmo chiamare divinità minori.

Ogni dio naturalmente si differenzia dagli altri per la sua capacità e per gli attributi a lui riconosciuti.

Zeus, come abbiamo detto, è il padre degli dei, il signore del cielo, protettore di tutti i gruppi sociali e politici, e sotto la sua tutela erano posti quelli che venivano considerati i più sacri vincoli morali, quali il giuramento, l'ospitalità e la protezione dei supplici. Accanto a Zeus, le massime divinità sono: sua moglie Era (Giunone), protettrice delle donne, dei matrimoni e delle nascite; sua figlia Atena (Minerva), che secondo la leggenda era nata direttamente dal cranio del padre, simbolo della saggezza e protettrice delle arti e delle scienze; Apollo, incarnazione degli ideali ellenici di bellezza, giovinezza e armoniosa forza fisica, signore della danza, della musica e della divinazione; Poseidone (Nettuno), dio delle acque sotterranee e del mare; Ares (Marte), dio della guerra; Ermes (Mercurio), il veloce messaggero degli dei, protettore dei viaggiatori; Efesto (Vulcano), dio del fuoco e protettore degli artefici e dei fabbri; Dioniso (Bacco), simbolo di gioconda vitalità, che dona la gioia nell'ebrezza del vino; Estia, dea del focolare domestico; Artemide (Diana), dea della natura, degli animali e delle piante; Afrodite (Venere), dea della fertilità e dell'amore; ed infine Demetra (Cerere), dea delle comunità agricole, protettrice dei raccolti e delle messi.

Le divinità minori, cui abbiamo accennato in precedenza, sono rappresentate da esseri dotati di caratteristiche divine: ad esempio, le ninfe, le sirene, i satiri e le arpie.

Queste figure non erano celebrate come delle vere e proprie divinità e quindi non avevano templi a loro dedicati; ma attorno ad esse si venne a creare un complesso di miti e leggende che, attraverso il canto dei poeti greci e romani, sono divenute parte anche della nostra cultura.

La religione greca è la religione di una società aristocratica e guerriera, animata da passioni elementari ed illuminata da un ideale di forza e di bellezza che trasferisce queste passioni nel mondo divino. Le azioni umane vengono fatte dipendere dalla volontà degli dei, e questi ora dispensano favori a chi se li è guadagnati con preghiere, offerte, sacrifici, ora invece agiscono senza altro motivo che il loro capriccio.

Al di sopra di tutte le divinità, Zeus compreso, sta il Fato o Moira, unico ad avere massimo potere sulle sorti umane anche contro i desideri degli dei.

Il mondo dell'oltretomba, patria del dio Ades, non è concepito in modo chiaro e le sue regole non sono ben delineate come invece succede per la maggior parte delle religioni. In sostanza l'aldilà non viene concepito come una ricompensa per i buoni e una pena per i malvagi; non esiste la distinzione, tipica del cristianesimo, fra paradiso ed inferno.

Nel periodo successivo ad Omero, il mondo religioso greco subì un cambiamento abbastanza profondo, dettato dalle nuove esigenze morali che si erano venute delineando all'interno della società. Si diffuse sempre più largamente il culto di due particolari divinità: Dioniso, dio dell'ebbra vitalità, e Demetra, dea della fertilità per eccellenza.

Accanto al culto degli dei, si sviluppò anche il culto degli eroi, cioè di quei personaggi che, anche a costo della vita, si erano battuti in nome e a vantaggio dell'umanità.

Questi personaggi, celebrati dai poeti, col tempo assunsero caratteristiche talmente al di sopra della natura umana, da diventare delle presenze quasi divine fra gli uomini. Esempio classico è la figura di Ercole: l'eroe panellenico per eccellenza.

Comuni a tutti i popoli elleni erano anche la fede negli oracoli e la pratica dei giochi sacri.

Gli oracoli, cioè coloro che sapevano interpretare i responsi delle divinità, ebbero origini assai antiche, ma assunsero un'importanza sempre maggiore attorno all'VIII secolo a.C. Famosissimi furono quelli di Dodona e di Delfi.

Venivano interpellati non solo su questioni religiose ma anche su questioni politiche e godevano di grande autorevolezza persino presso filosofi, poeti e personaggi comunque lontani da ogni superstizione di tipo popolare.

I giochi sacri, che i Greci ereditarono dalla civiltà cretese, erano delle gare di vario tipo che venivano indette in diverse sedi per onorare la divinità protettrice locale.

I più famosi giochi sacri erano quelli che ogni quattro anni si disputavano ad Olimpia, nel Peloponneso occidentale, in onore di Zeus.

I giochi di Olimpia, la cui prima edizione risale al 776 a.C., erano dapprima limitati a semplici corse podistiche e solo, in un secondo tempo furono arricchiti con gare atletiche e di corsa con i carri.

Contemporaneamente la partecipazione ai giochi si estese a tutta la Grecia, nonché alle colonie dell'Asia Minore e della Magna Grecia, assumendo così un significato veramente panellenico (cioè riguardante tutto il mondo greco).

Dai giochi di Olimpia derivano le attuali Olimpiadi che, avendo perso la matrice religiosa, hanno assunto il carattere di competizione internazionale.

I Greci inoltre, cominciando a riflettere sull'origine e sul destino dell'uomo e giunsero a rilevare le incongruenze della religione tradizionale. Le più eminenti personalità cominciarono a chiedersi quale fosse l'origine dell'uomo e del mondo, e quale fosse lo scopo della vita umana e di tutte le sue sofferenze. Si affermò così il concetto che Zeus non fosse un dio tra gli dei, ma il dio in senso assoluto, un'entità non fisica al di sopra di ogni altro fenomeno terreno.

La domanda sull'origine del mondo e dell'uomo non fu solo lo stimolo per giungere ad una più elevata concezione della divinità, ma il punto di partenza di tutta una multiforme e feconda indagine filosofica e scientifica.

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PICCOLO LESSICO

AREOPAGO

(dal greco: àreios, sacro a Marte e pàgos, colle). Colle di Atene, ad occidente dell'Acropoli, sul quale sorgeva il tribunale chiamato Areopàgo, il più antico e famoso tribunale di Atene, composto in origine di nobili anziani; in seguito Solone vi aggiunse gli arconti usciti di carica. Questo tribunale si occupava, in generale, delle cause di omicidio, suicidio e degli incendi.

CICUTA

Nome generico per indicare diverse piante erbacee velenose appartenenti alla famiglia delle ombrellifere. Usata dai Greci come pianta medicinale, la cicuta fu utilizzata come veleno per i condannati a morte ad Atene, sotto il governo dei Trenta. La ingerirono e conseguentemente perirono il filosofo Socrate, Focione e Filopemene.

FILIPPICHE

Nome di quattro orazioni di Demostene contro Filippo II di Macedonia, raccolte sotto questo titolo dagli studiosi alessandrini. Un dettagliato piano bellico è oggetto della prima orazione del 351. La seconda, del 344-43, si propone di provare come l'azione svolta da Filippo sia stata fin dall'inizio impostata contro Atene. Del 341 la terza, nella quale Demostene contrappone la politica immorale di Filippo a quella tradizionale ellenica ed ateniese. La quarta riunisce vari discorsi di Demostene. Acutissima l'analisi che Demostene fa dell'azione di Filippo. Oltre l'innato intuito di cose belliche, in tutte le filippiche, si rivela e manifesta la particolare passione dell'oratore a strappare i suoi concittadini all'apatia in cui erano caduti.

DEMOCRAZIA

Significa « governo del popolo ». Introdotta in Grecia da Pericle, è basata sul concetto dell'uguaglianza fra tutti i cittadini.

FILOSOFIA

Significa «amore per il sapere». È la disciplina rivolta alla conoscenza dei problemi della convivenza umana, del modo di vivere e di agire, della struttura globale della realtà. È però impossibile tentare in poche righe una definizione esauriente della filosofia: ci limiteremo a sottolineare che i Greci non la distinguevano nettamente né dalla religione né dalla scienza.

ILOTI E PERIECI

Erano le due classi sociali sottoposte agli spartiati nella città di Sparta. I perieci erano commercianti ed artigiani che, pur godendo di diritti civili, erano esclusi dalla vita politica. Gli iloti erano schiavi nel vero senso della parola e non avevano diritti, né civili né politici.

OLIGARCHIA

Significa « governo dei pochi ». L'aristocrazia spartana, e greca in generale, guardava a questa forma di governo con molto interesse, per poter estendere ulteriormente il proprio potere personale.

OLIMPIADI

Sono giunte fino ai giorni nostri dal lontano 776 a.C., quando fu celebrata la prima edizione. È senza dubbio la manifestazione sportiva più vecchia del mondo. I giochi che i Greci organizzavano ogni quattro anni ad Olimpia avevano una matrice fondamentalmente religiosa ed erano dedicati al dio Zeus (Giove per i Romani).

OPLITI

Erano i soldati dell'esercito di Sparta. Il soldato oplita apparteneva alla classe sociale degli spartiati (la più privilegiata) ed era educato alla guerra sin dalla tenera età di sette anni.

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OSTRACISMO

Sorta di bando che colpiva, in Atene e nelle città che ne imitavano la costituzione, il cittadino ritenuto pericoloso alla compagine dello Stato; detto così dal frammento di terracotta (óstrakon) sul quale era scritto il nome del concittadino inviso. Non era una pena, né una condanna all'esilio, ma piuttosto una misura di polizia tanto che l'ostracizzato conservava i suoi beni e continuava a essere protetto dalle leggi patrie; solo doveva restare fuori del territorio della città per un tempo che fu almeno in origine, di circa dieci anni.

POLIS (plurale POLEIS)

Significa «città». Nella civiltà ellenica la città rivestì un'importanza straordinaria in quanto nuovo centro della cultura e del governo. La polis era un vero e proprio Stato autonomo.

PERSONAGGI CELEBRI

ARISTOTELE

(384-322 a.C.). Nato a Stagira, in Macedonia, fu uno dei discepoli di Platone.

Trattò con profondo interesse la filosofia, le dottrine politiche, le scienze naturali e la fisica, lasciando alle sue spalle un'eredità spirituale destinata, nei secoli, al più fecondo sviluppo.

DEMOSTENE

(384-322 a.C.). Fu il più grande oratore dell'antichità. Le sue orazioni contro Filippo II di Macedonia, le famose filippiche, gli valsero la fama di grande patriota e difensore della democrazia ateniese.

ERCOLE

Nacque in Tebe da Zeus e da Alcmena, per cui la gelosa Era, adirata con il consorte infedele, gli mandò contro due serpenti (da lui, ancora in culla, strozzati) e fece si ch'egli fosse obbligato a servire l'imbelle Euristeo. Moltissimi sono i miti che lo riguardano e le famiglie che lo affermavano capostipite. Ricondusse dall'Erebo alla vita l'eroica Alceste moglie del re Admeto; sostenne per qualche tempo il mondo sulle spalle in luogo di Atlante; liberò Prometeo dall'aquila che gli rodeva il fegato; trasse Teseo dagli inferi; partecipò all'impresa degli Argonauti; distrusse Troia per vendicarsi del re Laomedonte che gli aveva negato la mercede pattuita; aiutò gli dèi nella lotta contro i giganti; vinse il fiume Acheloo, suo rivale in amore, e poté così sposare Deianira, da cui ebbe Illo. Il centauro Nesso, da lui ucciso per aver tentato di sedurre Deianira, consigliò questa di bagnare nel suo sangue la camicia del marito per riguadagnarne l'amore, facendogliela indossare, qualora Ercole si fosse innamorato di un'altra donna. Ma, avendo Deianira così fatto, quando Ercole si accese d'amore per Jole, l'eroe fu preso da furore per effetto della fatale camicia, e, fattosi preparare il rogo sul monte Oeta, vi si gettò. Trasportato all'Olimpo, fu accolto dagli dèi ed ebbe in moglie Ebe, figlia di Zeus e di Era, pacificatasi anch'essa con lui. Il culto di Ercole si diffuse largamente anche in Roma, dove gli fu dedicata l'Ara Massima nel Foro Boario.

LEONIDA I

Re di Sparta, della famiglia degli Agidi, succedette a Cleomene nel 490 a.C. Quando Serse invase la Grecia, il Consiglio federale riunito a Corinto decise di sbarrare il passo all'invasore in una località fra strette gole di monti chiamata Le Termopili. Fu incaricato Leonida al quale furono assegnati in un primo tempo, con la promessa di altri aiuti, 300 Spartani e circa 4.000 soldati greci. Ma lo sbarramento non aveva tenuto conto di un passaggio, noto soltanto ai montanari del posto, che tagliava la catena dell'Oeta. I Persiani, già respinti da Leonida furono guidati di notte attraverso quel passaggio da un certo Efialte e poterono aggirare le posizioni spartane. I Greci si sbandarono, ma Leonida con i suoi trecento tenne coraggiosamente fronte al nemico facendosi massacrare sul posto piuttosto che accettare la resa. Di fronte a quel pugno di uomini giacevano morti 20.000 Persiani. A ricordo del fatto glorioso furono istituite le feste Leonidee alle quali potevano partecipare i soli cittadini di Sparta (m. 480 a.C.).

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OMERO

Autore dell'Iliade e dell'Odissea, opere che ancor oggi costituiscono un importante punto di riferimento per la cultura mondiale. In età moderna alcuni studiosi hanno aperto il problema della «questione omerica»: A.F.Wolf nel suo libro Prolegomeni ad Omero sostiene che le opere omeriche sono una semplice aggregazione di canti separati, riuniti in un unico corpo ai tempi di Pisistrato. Queste affermazioni vengono contrastate energicamente da altri letterati che si mantengono fedeli alla tradizionale attribuzione ad Omero. La questione omerica è tuttora aperta, anche se pare accertato che i vari canti dei due poemi siano stati rielaborati in tempi remoti da uno o più poeti con precisi intenti d'arte.

PERICLE

(495 ca.-429 a.C.). Capo esemplare del partito democratico ateniese, fu uno dei promotori del regime democratico. Durante il suo governo diede alla città di Atene un periodo di profonda civiltà e di vivo splendore. Favorì lo sviluppo economico, diede impulso alla diffusione della cultura e delle arti. Morì nel 429 a.C., dopo 32 anni di governo, colpito dall'epidemia di peste che, in quell'anno, uccise un quarto della popolazione ateniese.

PITAGORA

(570-490 a.C.). Nativo di Samo ma trasferitosi in giovane età in Italia, e più precisamente a Crotone, fu uno dei primi scienziati. Intuendo l'importanza dei numeri e della matematica, si dedicò con intenso vigore allo studio delle leggi che la regolano.

PLATONE

(427347 a.C.). Fu uno dei discepoli di Socrate e seppe continuare ed approfondire gli studi e le ricerche del maestro. Importante fondatore dell'Accademia, il primo istituto di alta cultura della storia, scrisse numerose opere filosofiche, fra cui ricordiamo i Dialoghi e la Politeia (= Repubblica).

SOCRATE

(469-399 a.C.). Fu uno dei padri della filosofia. Dopo essersi dedicato tutta la vita all'educazione dei giovani basata sull'approfondimento ragionato dei problemi concernenti la vita e gli uomini, venne condannato a morte perché accusato di corrompere la gioventù. Prima di essere giustiziato, decise di avvelenarsi da sé con la cicuta, dopo aver discusso serenamente con i suoi discepoli dell'immortalità dell'anima.

TUCIDIDE

(460-395 a.C.). Nativo di Atene, fu uno dei primi grandi storiografi della storia. Formatosi nella scuola dei Sofisti, egli può essere considerato come il fondatore della storiografia politica, che concentra l'attenzione sugli uomini e sui loro atteggiamenti morali, non concedendo spazio all'intervento degli dei.

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RIASSUNTO CRONOLOGICO

1200-900 a.C.: Medioevo Ellenico.

1200-800 a.C.: Affermazione di Atene nell'Attica.

776 a.C.: Primi giochi di Olimpia.

594-593 a.C.: Solone emana la sua costituzione.

564-528 a.C.: Tirannide di Pisistrato.

528-510 a.C.: Tirannide di Ippia.

508-507 a.C.: Clistene riforma democraticamente lo Stato ateniese.

494 a.C.: I Persiani distruggono Mileto.

490 a.C.: Battaglia di Maratona.

481 a.C.: Fondazione della Lega Ellenica.

480 a.C.: Battaglia di Salamina.

ù479 a.C.: I Greci, vinta la guerra, liberano anche le colonie dell'Asia Minore e della Ionia.

477 a.C.: Fondazione della Lega di Delo, egemonizzata da Atene.

457-445 a.C.: Prima guerra del Peloponneso.

449 a.C.: Pace di Callia.

445 a.C.: Pace trentennale fra Sparta e Atene.

431-421 a.C.: Prima fase della guerra peloponnesiaca.

430 a.C.: Atene colpita dalla peste.

429 a.C.: Morte di Pericle.

421 a.C.: Pace di Nicia.

413-404 a.C.: Ultima fase della guerra peloponnesiaca.

405 a.C.: Gli Spartani, alleati dei Persiani, distruggono l'armata nemica a Egospotami.

404 a.C.: Atene si arrende.

403 a.C.: I Trenta Tiranni governano Atene.

379 a.C.: Pelopida guida i Tebani alla riscossa.

369 a.C.: Epaminonda entra nel Peloponneso.

364 a.C.: Pelopida muore a Cinocefale.

362 a.C.: Epaminonda muore a Mantinea e cessa l'egemonia tebana.

340 a.C.: Filippo II di Macedonia si scontra con Atene.

338 a.C.: Battaglia di Cheronea.

335 a.C.: Tebe si ribella ad Alessandro Magno e viene distrutta.

148 a.C.: La Grecia diventa provincia romana.

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