PRESENTAZIONE
Stato
dell'Africa centro-settentrionale, confinante a Nord con il Ruanda; a Est e a
Sud con la Tanzania e a Ovest in buona parte col Lago Tanganica e con la
Repubblica Democratica del Congo. Ha un'estensione di 27.834 kmq e una
popolazione di 7.068.000 abitanti; la densità media è di 254
abitanti per kmq. I due gruppi etnici del Paese, gli Hutu (85% della popolazione)
e i Tutsi (14%), sono divisi da una storica rivalità. Gli hutu
discendono da agricoltori di ceppo bantu; i tutsi sono soprattutto
pastori e allevatori e vantano forti tradizioni guerriere. E' presente anche
uno sparuto gruppo di Twa (1%). Le lingue ufficiali
sono il francese e il kiRundi; altra lingua è lo swahili. La maggioranza
della popolazione professa la religione cattolica (65%); praticati sono anche le
religioni protestante e musulmana e i culti animisti. Il Burundi è una
Repubblica presidenziale. Secondo la Costituzione del 2005, il potere esecutivo
spetta al presidente, eletto a suffragio universale con mandato quinquennale
rinnovabile una sola volta. Egli condivide i poteri con il primo ministro, che
nomina il Consiglio dei ministri. Il potere legislativo è esercitato dall'Assemblea
Nazionale, i cui 121 membri sono eletti a suffragio universale per cinque anni. Il
Governo deve essere formato al massimo dal 60% di Hutu e dal 40% di Tutsi.
L'unità monetaria è il franco del
Burundi. La capitale è Bujumbura (319.098 ab.).
IL TERRITORIO
Il territorio del Burundi
è caratterizzato da un altopiano (1.000-2.000 m s/m.) delimitato a Ovest
da una catena montuosa che digrada nella valle del fiume Ruzizi e lungo le
sponde nord-orientali del Lago Tanganica. Un altro fiume che attraversa
l'altopiano è il Ruvuvu, immissario del Nilo. Sulla maggior parte del
territorio predomina la savana, mentre le zone più elevate sono
caratterizzate da foreste con sottobosco di felci e liane. Il clima è
tropicale con scarse precipitazioni nei pressi del Lago Tanganica e più
frequenti sull'altopiano. La piovosità annua va da 900 a 14.000 mm. Nella
vegetazione predomina la savana, sulle alture più elevate la foresta con
sottobosco di felci e liane; paludosa è invece la zona in cui abbondano
le piogge.
Cartina del Burundi
L'ECONOMIA
In termini di reddito pro
capite, il Burundi è uno tra i Paesi più poveri del mondo. La
quasi totalità della popolazione è dedita all'agricoltura, che
è però a livello della semplice sussistenza. Soltanto la
metà della superficie coltivabile è sfruttata per le colture
tradizionali di caffè (il principale prodotto del Paese), tè,
cotone, cereali, arachidi, legumi e tabacco. Anche l'allevamento (bovino, ovino
e caprino) e la pesca sono rivolti solo alle necessità interne. Le
risorse minerarie (oro, nichel, cassiterite) sono scarsamente sfruttate e le
industrie sono limitate a impianti per la lavorazione del caffè, dei semi
oleaginosi e a piccole fabbriche tessili, meccaniche, di calzature e alimentari
(produzione di birra). La capitale del Paese, Bujumbura (319.098 ab.), sorge
sulle rive settentrionali del Lago Tanganica ed è un attivo porto e
centro commerciale per l'esportazione. Altre città rilevanti sono Muyinga
(79.335 ab.) e Gitega (128.000 ab.).
CENNI STORICI
Il territorio dell'attuale
Burundi, unitamente a quello del Ruanda, fu occupato intorno al XV sec. da
popolazioni camite, i Ba-tutsi (Vatussi), che assoggettarono le popolazioni
locali di tipo negroide (Ba-Hutu) e pigmiforme (Batwa), organizzando una
società feudale e costituendo i Regni del Ruanda e del Burundi. Nel XVII
sec. i due Regni furono conquistati dal re
(
mwami) Ntare I, dando inizio alla dinastia che
avrebbe mantenuto la sovranità sul Burundi fino al 1966. I tutsi avevano
armi più moderne e così imposero la loro superiorità,
schiavizzando gli Hutu. Nel secc. XVII e XVIII i re tutsi erano potenti, ma nel
XIX sec. le rivalità tra i diversi clan indebolirono
l’autorità centrale, favorendo la penetrazione coloniale tedesca,
che nel 1890 si appropriò del Burundi, appoggiando il dominio dei Tutsi
sugli Hutu e stabilendo anche una forma di tutela sul
mwami. Nel 1899 il
Burundi venne unito al Ruanda ed entrambi i Paesi formarono la colonia del
Ruanda-Urundi, famosa per l’esportazione di avorio, monopolio della
potenza coloniale. Quando la Germania venne sconfitta nella prima guerra
mondiale, il Belgio si incaricò di governare la colonia e separò
nuovamente Burundi e Ruanda; in seguito annesse il Burundi allo Zaire. Il
sistema di amministrazione indiretta attuato dai Belgi, che si appoggiarono
all’oligarchia tutsi, stimolò la nascita di movimenti nazionalisti
negli anni Cinquanta. Nacque così il Partito dell’unità e
progresso nazionale (UPRONA) sotto la direzione di Louis Rwagasore, nominato
primo ministro nel 1960. Egli fu assassinato poco prima dell’indipendenza
raggiunta il 1° luglio 1962. Il Paese cominciò a essere governato
da un re tutsi, docile alla volontà belga. I primi quattro anni di
indipendenza furono contrassegnati dalla violenza. Il caos era totale,
finché nel novembre 1966 il primo ministro, il capitano Michael
Micombero, con un colpo di Stato proclamò la Repubblica. Il nuovo
presidente fece una purga in massa di tutti i funzionari hutu. Nel 1971, 350.000
Hutu vennero uccisi nella repressione governativa e altri 70.000
andarono in esilio. Nel 1976 prese il potere il tenente colonnello Jean-Baptiste
Bagaza, con la promessa di far cessare le persecuzioni razziali e dare vita ad
un Governo riformista. Nel 1979 ebbe luogo il primo congresso dell’UPRONA
dall’indipendenza e venne preparata una nuova Costituzione - entrata in
vigore nel 1981 - destinata a porre fine allo sfruttamento della maggioranza
hutu da parte della minoranza tutsi, rendere più moderna la struttura
politica e adottare una politica socialista. Le donne ottennero gli stessi
diritti degli uomini. Le riforme portarono a contrasti con la Chiesa cattolica:
più di sessanta missionari vennero espulsi e il Governo decretò la
confisca dei beni della Chiesa. Le elezioni del 1982, le prime a suffragio
universale dopo quasi venti anni di indipendenza, legalizzarono la politica del
presidente Bagaza. Sul consolidamento dell’indipendenza politica pesava
una situazione economica difficile, dovuta alla posizione geografica e alla
dipendenza dal capitale straniero. Nel 1987 Bagaza venne destituito da un colpo
di Stato guidato dal maggiore Pierre Buyoya. Nell’agosto 1988 ci furono
nuovamente scontri fra le etnie hutu e tutsi che videro migliaia di morti
soprattutto fra gli Hutu. Il Governo, in forma di risarcimento, nominò un
primo ministro hutu, Adrien Sibomana e venne formato un Esecutivo in cui la
metà dei ministri erano hutu. Nonostante questi tentativi di
riappacificazione tra le due etnie, il comando del Paese rimase di fatto in mano
al Comitato militare per la salute nazionale, formato da tutsi fortemente
contrari a qualsiasi apertura verso gli Hutu. Nel marzo 1989 fu sventato un
colpo di Stato e nel 1990 il presidente Buyoya annunciò ufficialmente
l'avvio di un processo mirato alla realizzazione di un regime multipartitico e
la concomitante abolizione del Comitato militare di salvezza nazionale. Tale
processo di transizione fu attuato non senza difficoltà, facendo fronte a
tentativi di destabilizzazione come le infiltrazioni armate avvenute nel 1991 e
nel 1992 o l'organizzazione del colpo di Stato fallito nel marzo 1992. Le
elezioni presidenziali del 1993 sancirono comunque la vittoria dell'etnia hutu,
che per la prima volta riuscì a far eleggere un suo membro, Melchior
Ndadaye, alla presidenza della Repubblica. Tuttavia, dopo pochi mesi dal suo
insediamento, nell'ottobre 1993 un gruppo di militari tutsi assassinò il
presidente in carica e altri esponenti politici hutu (tra cui il successivo
presidente Cyprien Ntaryamira), segnando nel Paese l'inizio di una sanguinosa
guerra civile. Un altro hutu, Sylvestre Ntibantunganya, sostituì il
presidente ucciso. La violenza crebbe, in particolare tra le milizie del
«potere hutu» e l’esercito, controllato da ufficiali tutsi. Di
fronte alla possibilità di un’estensione del conflitto ai Paesi
vicini, l’ONU e l’Organizzazione dell’unità africana
(OUA) si riunirono per decidere un intervento, ma proprio con questo pretesto
nel 1996 Pierre Buyoya ordì un nuovo colpo di Stato, diventando
presidente. Dopo il golpe Etiopia, Zaire, Uganda, Kenia, Ruanda e Tanzania
imposero sanzioni al Paese. Alla fine del 1997, l’osservatore speciale
dell’ONU dichiarò che le sanzioni internazionali avevano ottenuto
effetti controproducenti, peggiorando le condizioni di vita della parte
più povera del Burundi. Nel febbraio 1998, si calcolò in oltre 150.000
morti il bilancio della guerra civile. Nello stesso anno i capi di Governo dei
Paesi africani vicini decisero di mantenere l'embargo economico nei confronti
del Paese. Di fronte alla non cessazione del conflitto etnico nel 2000
l’ex presidente sudafricano Nelson Mandela aprì una nuova tornata
di negoziati di pace ad Arusha, in Tanzania. L’accordo avrebbe dovuto
prevedere la formazione di un Governo di transizione, la definizione di un
sistema elettorale che consentisse la cogestione del potere tra Hutu e Tutsi e
l’integrazione delle formazioni armate ribelli nell’esercito
regolare. Poche settimane dopo il leader della giunta militare Buyoya riconobbe
la necessità di riformare le forze armate, composte fino a quel momento
solo da soldati del gruppo etnico tutsi. Nell’estate dello stesso anno
numerosi massacri di civili furono segnalati nel territorio di Fizi (nel Sud
Kivu, nel Congo) ad opera di militari banyamulenge appoggiati
dall’esercito burundese. Il 28 agosto, alla presenza del presidente degli
USA Bill Clinton e di molti capi di Stato africani fu firmato l’accordo
che prevedeva la creazione di una serie di istituzioni di transizione, ovvero
l’elaborazione di una Costituzione e elezioni legislative e presidenziali.
Tuttavia le parti non riuscivano ad accordarsi sulle modalità di
applicazione dell’accordo: in particolare le opinioni divergevano riguardo
al sistema elettorale, alla riforma dell’esercito (a maggioranza tutsi) e
alle personalità che avrebbero dovuto guidare le istituzioni durante il
periodo di transizione. Nel frattempo, dal momento che le parti in lotta non
avevano siglato alcun accordo di cessate il fuoco, gli scontri armati ripresero
immediatamente. Nel marzo 2001 i ribelli del Fronte di liberazione
nazionale lanciarono una pesante offensiva contro la capitale Bujumbura. La
situazione si aggravò ulteriormente quando il 18 aprile un gruppo di
militari, guidati dal luogotenente Pasteur Ntarutimana, tentò senza
successo di destituire il presidente Buyoya, che in quel momento si trovava in
Gabon per colloqui con i leader hutu. Il 23 luglio, proprio mentre ad Arusha si
apriva un nuovo vertice regionale per la pace, il ministro della Difesa
burundese, il generale Cyrille Ndayirukiye, rese noto che le autorità
avevano sventato un nuovo colpo di Stato. Alla fine di ottobre, come previsto
dagli accordi di pace, un contingente sudafricano si preparò a una
operazione di peacekeeping in Burundi. Il 1° novembre, grazie all'impegno
dell’ex presidente Nelson Mandela, si insediò il nuovo Governo di unità
nazionale, composto da rappresentanti delle etnie tutsi e hutu. L'accordo raggiunto
prevedeva un’alternanza di governo: il Paese sarebbe stato governato per un periodo
di diciotto mesi dal capo delle forze armate e membro della minoranza tutsi Pierre Buyoya
e quindi dal vice presidente Domitien Ndayizeye, capo dell’etnia hutu. Dopo numerosi
tentativi di cessate il fuoco dall'esito negativo, nell'ottobre 2003 venne firmato
un accordo tra Governo e CNDD-FDD (Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia
- Forze per la Difesa della Democrazia), grazie alla mediazione del presidente
sudafricano Thabo Mbeki e del presidente del Parlamento sudafricano Jacob Zuma,
mediatore-capo per il processo di pace in Burundi. Nell'accordo, che non riuscì
a porre termine alla guerra civile, si decise il futuro assetto di Governo e
Parlamento, ma soprattutto la ripartizione del controllo sulle
forze armate. Il 28 febbraio 2005 fu approvata la nuova Costituzione, che distribuì
in modo più equo il potere tra le due principali etnie (hutu e tutsi) del Paese,
tentando di mettere fine alla sanguinosa guerra civile tra esercito a maggioranza
tutsi e ribelli hutu. Nel mese di luglio si tennero le prime elezioni parlamentari dopo
il 1993, che decretarono la vittoria del più importante gruppo di ex ribelli hutu,
riunito nell'FDD, il partito del presidente Ndayizeye. Nell'agosto 2005 il Parlamento
di recente nomina designò nuovo presidente della Repubblica l'ex leader ribelle hutu
Pierre Nkurunziza, che risultò essere il primo capo di Stato eletto democraticamente
dal 1993.
LA CAPITALE
Bujumbura
(319.098 ab.). Capitale del Burundi e capoluogo della provincia omonima (1.319
kmq; 755.994 ab.), situata sulla sponda nord-orientale del Lago Tanganica. Si
è sviluppata intorno ad una postazione militare tedesca fondata nel 1897
e denota nel suo assetto urbanistico l'influenza della colonizzazione belga,
protrattasi dal 1916 fino al 1962. Centro commerciale e porto lacuale, con
esportazione di cotone, caffè, pelli, è sede di industrie tessili,
alimentari, meccaniche e calzaturiere.