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Geografia Europa Territorio Storia Economia della Serbia |
Geografia Europa - IndiceGeografia Europa Territorio Storia Economia della Serbia... trapaninfo.it TweetGEOGRAFIA - EUROPA - SERBIAPRESENTAZIONELa Serbia confina a Nord con l'Ungheria, a Nord-Est con Romania, a Est con la Bulgaria, a Sud con la Macedonia e l'Albania, a Ovest con la Bosnia-Erzegovina e a Nord-Ovest con la Croazia; a Sud-Ovest si affaccia sul Mar Adriatico. La sua superficie è di 88.361 kmq (comprendente 55.968 kmq della Serbia, 21.506 kmq della Vojvodina e 10.887 kmq del Kosovo) e la popolazione ammonta a 9.993.000 abitanti (di cui 5.466.009 in Serbia, 2.031.992 in Vojvodina e 2.325.000 in Kosovo), con una densità di 113 abitanti per kmq. La popolazione è formata prevalentemente da Serbi; esistono minoranze di Albanesi. Lingua ufficiale è il serbo-croato; è diffuso l'albanese. La religione maggiormente praticata è l'ortodossa, seguita dalla musulmana sunnita e dalla cattolica. Lo Stato della Serbia è nato il 4 giugno 2006 in seguito allo scioglimento della Repubblica federale di Serbia e Montenegro. È una Repubblica federale, guidata dal presidente eletto per quattro anni dal Parlamento. Il Kosovo, provincia autonoma della Serbia amministrata dall'ONU dal 1999, ha un'Assemblea formata da 120 membri eletti a suffragio universale e un presidente eletto dall'Assemblea. L'unità monetaria è il nuovo dinaro jugoslavo in Serbia e l'euro in Kosovo. La capitale è Belgrado (1.280.639 ab.).
IL TERRITORIO La configurazione fisica del Paese è prevalentemente montuosa, con l'eccezione della pianeggiante regione della Vojvodina a Nord. Qui una vasta pianura alluvionale, costituita dall'incontro dei bacini dei fiumi Danubio e Tibisco, va a congiungersi con le pianure ungherese e romena. La regione dei rilievi, balcanici nella sezione centrale del Paese e dinarici in quella meridionale, ha un'altitudine media di 1.000-2.000 m. Gli altopiani sono attraversati da numerosi fiumi che incidono profonde vallate, la più importante delle quali è quella della Morava. Le zone più elevate sono ricoperte da pascoli e boschi ma, a mano a mano che ci si avvicina alla costa, i rilievi, di origine calcarea e interessati da fenomeni carsici, diventano aridi e spogli. In senso Sud-Nord scorre la Morava, che si getta poi nel Danubio. Sempre nel Danubio, ma nel Nord pianeggiante del Paese, confluiscono i grandi fiumi navigabili, Sava e Tibisco, provenienti il primo dalla Croazia e il secondo dall'Ungheria. Il Danubio segna per un tratto il confine con la Romania. Il clima è continentale in tutta la pianura settentrionale e sui rilievi montuosi. Le precipitazioni sono abbondanti nelle regioni montuose e diminuiscono man mano che ci si sposta verso la pianura.Cartina della Serbia e del Montenegro L'ECONOMIAIl Paese, prevalentemente agricolo prima della seconda guerra mondiale, sviluppò in seguito una industrializzazione non trascurabile. Purtroppo l'agricoltura non beneficiò in modo sufficientemente uniforme dei miglioramenti avvenuti negli altri settori. Molti dei territori coltivabili non sono ben irrigati e la frammentazione delle terre, lasciate per una buona parte nelle mani di piccoli proprietari, frena la meccanizzazione dell'agricoltura. Soltanto nella pianura solcata dal Danubio lo sfruttamento del terreno coltivabile è realmente produttivo; qui infatti si producono cereali (grano, granoturco, segale) e colture industriali (tabacco, canapa, girasole e lino) concorrenziali per qualità e quantità sul mercato europeo. Diffusa anche la frutticoltura (primato mondiale per la produzione di prugne). Il patrimonio forestale e zootecnico costituisce una voce di rilevante entità. L'allevamento è sviluppato soprattutto per quanto riguarda i suini, gli ovini e i caprini; di un certo rilievo è l'apicoltura. Prima dei bombardamenti della NATO (marzo-giugno 1999), l'industria sfruttava importanti risorse minerarie quali il piombo, lo zinco, il carbone e la bauxite. Degna di nota risultavano la produzione siderurgica, meccanica e chimica e le lavorazioni artigianali delle pelli e dei tappeti. La ricostruzione del Paese e degli altri Stati coinvolti nel conflitto è stata affidata all'Unione europea e alla Banca Mondiale, operante tramite una speciale agenzia per i Balcani. Vivo si mantiene il turismo: le mete più frequentate sono le montagne dello Zlatibor.
CENNI STORICINel IV sec. a.C. la penisola balcanica e la costa del Mar Adriatico furono popolate da tribù provenienti dall'Illiria, dalla Tracia e dalla Pannonia. Verso la metà del II sec. a.C. Roma debellò l'alleanza dei popoli illirici e iniziò la colonizzazione della nuova provincia dell'Illiria. Sorsero importanti città romane come Emona (l'attuale Lubiana), Mursa (oggi Osijek) e Singidunum (l'odierna Belgrado). Quando l'Impero romano si divise in Impero d'Oriente e d'Occidente, il confine tra i due dominii fu tracciato sull'attuale territorio jugoslavo. Tra il VI e il VII sec., assieme ai Croati, i Serbi discesero dalle pianure dell'Europa orientale e si stabilirono nella regione balcanica che da loro prese nome, occupando inoltre i territori che sarebbero divenuti della Bosnia-Erzegovina e del Montenegro. Formalmente sotto sovranità bizantina, i Serbi ebbero grande difficoltà a costituire uno Stato, incapaci di resistere alle pressioni esterne. Sottomessi due volte dai Bulgari all'inizio e alla fine del X sec., altrettante volte si liberarono dalla loro dominazione, per affrancarsi nel 1040 anche dalla tutela bizantina. Verso la fine dell'XI sec. iniziò a prendere forma uno Stato unitario serbo ad opera del re Bela Uros, capostipite della dinastia dei Nemanja. Sotto questa famiglia regnante, durata più di 200 anni, la Serbia venne riconosciuta come Regno dalla Chiesa di Roma (1217) ed estese il proprio dominio alla Bosnia, all'Albania, all'Epiro e alla Tessaglia, giungendo a minacciare la stessa Costantinopoli. Con la fine dei Nemanja (1371) iniziò la decadenza del Regno serbo, accelerata dal delinearsi all'orizzonte della minaccia turca. Nel 1389 l'esercito serbo venne annientato dai Turchi nella battaglia di Kosovopolje e il Paese fu ridotto in stato di vassallaggio. Nel XIV e XV sec. iniziarono le prime ondate migratorie dalla Serbia e dalla Bosnia verso le vicine regioni slave e fino alla Russia. All'inizio del XV sec., approfittando delle difficoltà turche contro i Mongoli, la Serbia e altri Stati balcanici si ribellarono al giogo ottomano. Una nuova vittoria turca a Varna (1444) ridusse però la Serbia a semplice provincia. Tra il XVI e il XVIII sec. i territori della regione furono suddivisi tra l'Impero ottomano (Serbia, Bosnia, Erzegovina, Montenegro e Macedonia, gli Asburgo (Croazia, Slovenia, Slavonia, parte della Dalmazia e Vojvodina) e la Repubblica di Venezia (Istria e Dalmazia). Nel 1690, a seguito della repressione di un'insurrezione in Serbia, circa 70.000 persone si rifugiarono nei territori dell'Impero asburgico; l'Impero ottomano trasferì Albanesi di religione musulmana nei territori abbandonati (Kosovo e Metohija). Solo dopo la guerra russo-turca (1768-74), con il Trattato di Tutchuk-Kainardij, la Russia ottenne il diritto di proteggere la popolazione ortodossa dell'Impero ottomano, mentre alla fine del XVIII sec. gli Austriaci presero possesso dei Balcani. In seguito alla prima insurrezione serba (1804-13), a un ulteriore conflitto russo-turco (1806-12) e alla seconda insurrezione serba (1815), il Pashalik balcanico (parte settentrionale della Serbia), possesso dell'Impero ottomano, ottenne l'autonomia. I capi politici e militari Georgi Cherni e Milos Obrenovic fondarono le dinastie regnanti della Serbia e nel 1829 la Serbia divenne principato indipendente nell'ambito dell'Impero ottomano, retta dal principe Milos Obrenovic. Al Congresso di Berlino del 1878 le potenze europee riconobbero infine la piena indipendenza di Serbia e Montenegro, che divennero Monarchie rispettivamente nel 1882 e nel 1905. Nel 1882 la Serbia si elevò a Regno sotto la dinastia degli Obrenovic, ai quali, in seguito a una congiura militare, si sostituirono nel 1903 i Karageorgevic con re Pietro II. In questo periodo si andò sviluppando il panslavismo: un movimento che, in chiave antiaustriaca e antiturca, predicava l'unione non solo dei Serbi, ma anche di tutti gli Jugoslavi in un solo Stato. Nelle guerre dei Balcani (1912-13), Serbia, Montenegro, Grecia, Romania e Bulgaria si allearono inizialmente contro l'Impero ottomano, per poi contendersi tra loro il dominio della regione. La Macedonia fu spartita tra Serbia, Grecia e Bulgaria. L'uccisione nel 1914, ad opera di un nazionalista serbo, dell'erede al trono austriaco Francesco Ferdinando fece scoppiare in Europa la prima guerra mondiale, durante la quale la Serbia venne totalmente occupata dall'Austria-Ungheria. La sconfitta finale degli Imperi centrali permise però nel 1918 l'unione di tutti gli Slavi del Sud in un unico Stato: il Regno dei Serbi-Croati-Sloveni, comprendente la Serbia, il Montenegro, la Slovenia, la Croazia, la Slavonia, la Bosnia e l'Erzegovina. Nel dopoguerra vari Governi si avvicendarono nel difficile compito di risanare politicamente ed economicamente il Paese, fino al 1920, quando un'Assemblea costituente votò una nuova Costituzione che sancì l'egemonia del gruppo serbo, al quale apparteneva la famiglia reale, sui Croati e sugli Sloveni. La reazione sfociò in atti terroristici che convinsero Alessandro I Karageorgevic (re dal 1921) a sciogliere il Parlamento e ad instaurare la dittatura nel 1929, anno in cui lo Stato prese il nome di Regno di Jugoslavia. La politica nazionalista del regime generò un forte movimento antiserbo tra i Croati e altre minoranze etniche, che sfociò nell'assassinio di re Alessandro a Marsiglia (1934). Gli successe il figlio Pietro II, non ancora maggiorenne, sotto la reggenza di Paolo Karageorgevic, che diede un'impronta liberale al Governo, concedendo (1939) una certa autonomia alla Croazia. Nel 1941 venne attuato un colpo di Stato militare e il re Pietro II, affiancato dal nuovo presidente del Consiglio, il generale Simovi'c, assunse i pieni poteri. Nello stesso anno, in seguito all'occupazione italo-tedesca della Jugoslavia, il re fuggì in esilio a Londra, mentre nel Paese si organizzarono gruppi partigiani filomonarchici, guidati da Draza Mihajlovi'c, e comunisti favorevoli all'unificazione della Jugoslavia, diretti da Josip Broz meglio noto come Tito. Gli alleati, dapprima favorevoli a Mihajlovi'c, appoggiarono dal 1943 le formazioni di sinistra e, aiutati dall'Armata Rossa, i partigiani liberarono Belgrado nel 1944. Alle elezioni del 1945 il Fronte popolare (comunista), unico partito organizzato, guadagnò la maggioranza dei voti e costituì una Repubblica federativa inizialmente ispirata al modello sovietico. Si formò un Governo provvisorio presieduto da Tito e sostenuto dall'Unione Sovietica; il 29 novembre 1945 un'Assemblea costituente abolì la Monarchia e proclamò lo Stato federale composto da sei Repubbliche (Slovenia e Croazia a Nord-Ovest, Serbia a Est, Bosnia-Erzegovina e Montenegro al centro, Macedonia a Sud) e due province autonome (Vojvodina e Kosovo, rispettivamente a Nord-Est e Sud-Ovest della Serbia). La Jugoslavia entrò nel Cominform (Ufficio di informazione dei Partiti comunisti e operai) nel 1947, ma si ritirò nella primavera del 1948 per dissidi con la dirigenza del Partito comunista sovietico. L'Unione Sovietica decretò un embargo economico contro la Jugoslavia, obbligandola a rafforzare i legami con l'Occidente e il Terzo Mondo. Dopo una fase di amministrazione centralista dell'economia, caratterizzata dalla collettivizzazione forzata dell'agricoltura, nel 1950 Tito chiese aiuto ai Paesi occidentali, introducendo nel contempo nuove riforme che lasciassero maggior spazio alla gestione privata nell'industria e nell'agricoltura. Dopo la morte di Stalin (1953), la politica estera jugoslava prese posizioni neutrali rispetto ai due blocchi occidentali e orientali, portando il Paese in un ruolo guida nel movimento dei Paesi non allineati e intervenendo in aiuto al movimento di decolonizzazione del Terzo Mondo (Conferenza afro-asiatica di Belgrado, 1961). Nel 1953 la Legge di riforma agraria autorizzò l'agricoltura privata e l'80% della terra fu restituita ai privati. Tra il 1953 e il 1965 la combinazione tra attività economica privata e autogestita generò un tasso medio di crescita annua del prodotto nazionale lordo pari all'8,1%. Nel 1968 la produzione industriale raddoppiò rispetto ai valori del 1950; tale ritmo di crescita subì una lieve flessione alla fine degli anni Sessanta. Tito si dimostrò cosciente delle tensioni interetniche e delle forti differenze socioeconomiche tra il Nord industrializzato e il sud sottosviluppato della Jugoslavia, tanto che nel 1970 annunciò che la direzione del Paese avrebbe dovuto essere assunta da un Governo formato dai rappresentanti delle Repubbliche federali e delle province autonome. Nel 1971 e 1972 aumentarono i conflitti etnici, soprattutto tra Serbi e Croati che presentarono una mozione contro il sistema federale: nel 1974 venne quindi varata una nuova Costituzione che prevedeva una struttura legislativa bicamerale (Camera federale e Camera delle Repubbliche), mentre nel 1975 fu sottoscritto con l'Italia l'Accordo di Osimo per la definizione dei confini tra i due Paesi. Dopo la morte di Tito, avvenuta nell'aprile del 1980, il potere fu trasferito a una presidenza collegiale composta da un rappresentante di ogni Repubblica e provincia autonoma e dal presidente del Partito comunista, carica, quest'ultima, che veniva ricoperta a rotazione con un mandato annuale. Il nuovo regime riconfermò la scelta di Tito a favore del socialismo autogestito e del non allineamento. Nel marzo del 1981, nella provincia autonoma del Kosovo al confine con l'Albania, iniziarono a verificarsi dei disordini a opera della minoranza albanese che chiedeva l'autonomia, cui fecero eco altri contrasti nelle Repubbliche maggiori. Verso la fine degli anni Ottanta, Slobodan Milosevic, convinto assertore dell'egemonia serba, divenne leader dei comunisti serbi. A partire dal 1989 l'ultimo primo ministro della Jugoslavia socialista, Ante Markovic, un croato di orientamento neoliberista, promosse riforme strutturali per fronteggiare la crisi: il Paese eliminò i dazi doganali sul 90% delle importazioni, che subirono un sensibile rialzo, mentre le esportazioni aumentarono a un ritmo minore (5,6%). Si registrò una lieve crescita del PIL (0,6%) e della produzione industriale (0,9%). La produzione agricola aumentò del 5,2% e i redditi reali registrarono un incremento medio del 26,6%. Le pressioni sociali causate dalla situazione economica a dal dissolvimento dell'organizzazione statale fecero emergere due tendenze opposte: da un lato la tesi del decentramento sostenuta dal comunista riformatore Milan Kucan, che avrebbe evitato alle regioni più ricche di finanziare lo sviluppo di quelle più povere, e dall'altro la posizione del centralismo e della solidarietà all'interno della Federazione, sostenuta dal presidente serbo e leader del Partito socialista serbo (ex Lega comunista serba) Slobodan Milosevic. In un congresso tenutosi nel gennaio del 1990, la Lega dei comunisti jugoslavi rinunciò al monopolio politico garantitole dalla Costituzione e chiese al Parlamento l'elaborazione di un nuovo testo costituzionale che mettesse fine al sistema monopartitico e al ruolo dominante assegnato alla Lega in tutti i settori della vita pubblica. Nell'aprile del 1990, alle prime elezioni pluripartitiche dalla seconda guerra mondiale trionfarono, ad eccezione della Serbia e del Montenegro, i gruppi nazionalisti favorevoli alla secessione o alla riforma della struttura confederale.
Entrata in crisi l'economia nazionale e deterioratisi i meccanismi di governo federale, la Slovenia (1991) dichiarò la propria indipendenza, seguita dalla Croazia. Se la proclamazione della prima Repubblica suscitò scarse reazioni del Governo centrale, l'annuncio della Croazia provocò un'aspra reazione con la Serbia soprattutto per la determinazione dei nuovi confini. L'esercito federale occupò circa un quarto del territorio croato (la Slavonia dell'Ovest e dell'Est e la cosiddetta Krajina che, alla fine del 1991, si proclamò Repubblica della Krajina Serba). In dicembre rassegnarono le dimissioni sia il presidente del Governo collegiale Stjepan Mesic sia il primo ministro A. Markovic, gli ultimi rappresentanti del Governo unico: entrambi di origine croata, non furono disposti ad appoggiare la finanziaria per il 1992 che prevedeva l'81% della spesa pubblica a vantaggio dell'esercito federale, in aperto contrasto con la Croazia. L'avvento di Milan Panic, finanziere americano di origine serba, al Governo della Federazione (1992) segnò un ammorbidimento dell'intransigenza serba verso le Repubbliche ribelli. Il 15 gennaio 1992 Croazia e Slovenia ottennero dalla CEE il riconoscimento della propria sovranità. Il 27 aprile il Parlamento, composto da deputati serbi e montenegrini, annunciò la fondazione della nuova Repubblica federale di Jugoslavia, composta da Serbia e Montenegro rette da un sistema parlamentare unico. Intanto proseguivano i combattimenti nelle regioni interessate dal conflitto interetnico, concentrandosi dall'aprile del 1992 nella repubblica della Bosnia Erzegovina, la cui indipendenza era stata riconosciuta dalla CEE il 7 aprile. L'intransigenza serba indusse la CEE a dichiarare (28 maggio) un embargo commerciale contro la Jugoslavia. All'opposizione della comunità internazionale al Governo di Belgrado si aggiunse quella interna: così il 24 maggio nacque il Movimento democratico della Serbia (Demos) a difesa di una Costituzione democratica, dell'abolizione delle milizie armate fedeli ai partiti, dell'indulto per gli obiettori di coscienza e di un rinvio delle elezioni previste per la fine di maggio. Da parte sua la Chiesa ortodossa chiese le dimissioni del Governo, responsabile di non aver promosso una politica di riconciliazione. Le elezioni generali della nuova Federazione, svoltesi il 31 maggio, rafforzarono ulteriormente la posizione di Slobodan Milosevic il cui partito ottenne il 70,6% dei voti in Serbia, mentre il Partito social-democratico del Montenegro raggiunse il 76,6%. L'opposizione democratica, le minoranze Albanesi e i musulmani della regione del Sandzak boicottarono le elezioni. Con l'elezione dello scrittore Dobrica Cosic alla carica di presidente federale (15 giugno) e di Milan Panic alla carica di primo ministro (14 luglio), la dirigenza serba dimostrò una maggiore disponibilità al negoziato. Nel dicembre 1992 tuttavia, nuove consultazioni elettorali assegnarono la vittoria a Milosevic, leader dell'ala radicale, malgrado le accuse di brogli avanzate da Panic. Il 19 febbraio 1993 vennero eletti alle cariche di presidente della Repubblica e di primo ministro rispettivamente Zoran Lilic del PSS (Partito socialista serbo) e Radoje Kontic del PDSM (Partito democratico dei socialisti del Montenegro). Nell'aprile dello stesso anno la capitale della Bosnia, Sarajevo, fu assediata dalle truppe serbe. Neppure l'intervento dei "caschi blu" dell'ONU riuscì a porre termine all'aspra guerra civile. Di pari passo con l'aumento di autoritarismo della presidenza di S. Milosevic e del partito di Governo (SPS), si intensificò la pressione internazionale e si aggravò la crisi sociale ed economica. Il 1994 segnò un deciso rivolgimento delle sorti, con il prevalere sempre più netto dei musulmani di Bosnia sulle milizie serbo-bosniache. Con l'intervento della Croazia, impegnata nella riconquista della Kraijna (posta anch'essa ufficialmente sotto la protezione dell'ONU) e nella creazione di un asse croato-bosniaco in funzione antiserba, il conflitto conobbe un nuovo inasprimento. Milosevic fece arrestare i suoi maggiori rivali politici e tentò di distanziarsi dal centro della guerra, collaborando parzialmente con il tribunale per i crimini di guerra de L'Aja, con l'obiettivo di indurre l'ONU a sospendere le sanzioni, imposte sulla Jugoslavia dal maggio del 1992. Il 24 settembre 1994 le Nazioni Unite decisero una sospensione parziale delle sanzioni per un periodo di 100 giorni, autorizzando i voli internazionali e gli scambi culturali e sportivi. Questo successo diplomatico di Milosevic, in precedenza accusato di essere la principale causa della guerra nei Balcani, contribuì ad accrescere la sua popolarità all'interno della Federazione. La sanguinosa conquista di Srebrenica e Zepa in luglio da parte dei Serbo-Bosniaci concorse a emarginare l'opposizione attuata da Milosevic. Nella prima parte dell'anno Belgrado continuò a fornire armi e truppe alla Repubblica serba di Krajina in Croazia. Ma quando, in agosto, i Croati invasero i territori della Krajina, la Jugoslavia non intervenne, autorizzando alcuni profughi serbi a rifugiarsi in Jugoslavia nella provincia del Kosovo. Solo nel settembre del 1995 si giunse a un accordo di pace e al conseguente ritiro delle truppe serbo-bosniache da Sarajevo. La conclusione del conflitto bosniaco fu decretata ufficialmente dalla firma degli Accordi di Dayton (14 dicembre 1995) che, tuttavia, ottennero un equilibrio piuttosto instabile e precario. Tali accordi prevedevano infatti la divisione della Bosnia in due entità dotate ciascuna di un proprio Governo, ma costituenti lo Stato unitario della Bosnia-Erzegovina, avente come capitale la città di Sarajevo: la Federazione croato-musulmana, con il 51% del territorio, e la Repubblica serba di Bosnia, con il 49%. Con gli Accordi di Dayton, venne riconosciuta anche la sovranità croata, dietro assicurazione del rispetto della minoranza serba e della concessione di un'ampia autonomia alla medesima. La popolarità di Milosevic aumentò nuovamente in seguito agli Accordi di Pace di Dayton, anche se il suo maggior trionfo si registrò nel dicembre del 1995, quando gli Stati Uniti ritirarono le sanzioni contro la Jugoslavia a seguito della firma dell'accordo di Parigi del 14 dicembre. Nel novembre del 1996 nella Federazione jugoslava si svolsero le elezioni parlamentari che ufficialmente assegnarono la vittoria alla coalizione guidata da Milosevic. Alla comunicazione degli esiti della consultazione la popolazione reagì con una massiccia protesta contro la sospetta manipolazione elettorale. In tutta risposta, Milosevic annullò i risultati delle seguenti elezioni comunali che assegnavano la vittoria all'opposizione nelle sette principali città del Paese. La decisione della Corte costituzionale serba di rifiutare i ricorsi presentati dall'opposizione provocò una nuova reazione popolare rendendo la situazione incandescente. Dopo settimane di continue agitazioni e in seguito all'inchiesta svolta dall'OCSE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) che accertò i brogli elettorali operati da Milosevic durante le elezioni invalidate, il Presidente serbo cedette in parte alla pressione dei dimostranti riconoscendo la vittoria dell'opposizione in alcune delle città contese e in nove circoscrizioni della capitale. Nel 1997 si intensificarono gli scontri tra l'esercito federale e la popolazione del Kosovo (il 90% della quale è di origina albanese). Milosevic organizzò un referendum in tutta la Serbia chiedendo ai cittadini di votare sull'opportunità di richiedere una mediazione internazionale al conflitto e la mediazione fu respinta dalla maggioranza dei votanti (la votazione fu boicottata dalla popolazione di lingua albanese del Kosovo). Nel luglio 1997 si tennero le elezioni per l'assegnazione della carica di presidente della Federazione serbo-montenegrina: in vista della scadenza del suo mandato, in qualità di presidente della Repubblica di Serbia, Milosevic si propose come candidato, riuscendo a farsi designare alla guida della Federazione jugoslava, grazie soprattutto alla mancanza di candidati dell'opposizione. La carica di presidente della Serbia passò quindi a Milan Milutinovic, candidato del Partito socialista di Milosevic, mentre dalle presidenziali del Montenegro uscì vincitore Milo Djukanovic, rappresentante della frangia del Partito democratico dei socialisti opposta a Milosevic, a riprova della crescente insofferenza del Montenegro nei confronti del regime autoritario della Serbia. Verso la fine del 1997 si acuirono le tensioni nella provincia del Kosovo, abitata in maggioranza da Albanesi che ne rivendicavano l'indipendenza. Nei mesi seguenti si verificarono a Pristina, capoluogo del Kosovo, violenti scontri tra la popolazione albanese e le forze dell'ordine serbe che finirono per sfociare in una nuova guerra civile nei Balcani. I membri del cosiddetto "gruppo di contatto" (Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia, Italia), riuniti a Roma per stabilire una posizione comune da adottare di fronte a questi fatti, affermarono l'intenzione di promuovere il dialogo fra le parti. Gli Stati Uniti proposero un nuovo embargo contro Belgrado, nel caso in cui Milosevic si fosse rifiutato di partecipare ai negoziati, che prevedevano il divieto di fornire armi e nuovi finanziamenti. Tra febbraio e giugno 1998 vennero attuate, da parte delle forze armate serbe, operazioni militari volte a reprimere i movimenti di protesta del Kosovo, provocando numerose vittime soprattutto tra la popolazione civile di origine albanese. A fronte di tale gestione della crisi kosovara e del rifiuto da parte della Serbia di intraprendere la via del dialogo, abbandonando le armi, il Gruppo di contatto impose sanzioni economiche contro la Serbia (ma non contro il Montenegro). Nel maggio 1998 le elezioni legislative in Montenegro sancirono la vittoria della coalizione del presidente riformista Djukanovic, opposto al Partito socialista di M. Bulatovic e di Milosevic, dando così vigore alle spinte autonomistiche della Repubblica montenegrina. Nel giugno del 1998, nuovi scontri nel Kosovo fecero sì che il Regno Unito e altri paesi della NATO invocassero un intervento nella regione.
Di fronte alla minaccia di bombardamenti da parte dell'alleanza militare, Belgrado accettò di ritirare i reparti speciali che combattevano contro l'Esercito di liberazione del Kosovo (UCK). Il ritiro delle truppe produsse un riposizionamento delle forze albanesi e un aumento della repressione, questa volta contro i civili serbi. Il cessate il fuoco si interruppe in dicembre, quando si registrarono ulteriori scontri armati. Dopo una dura campagna militare nel corso del 1999, il Kosovo passò sotto il controllo delle forze dell'ONU, mentre il Montenegro cercò di distanziarsi politicamente dalla Serbia; il 21 novembre 1999 l'UCK venne formalmente sciolto e convertito in una milizia civile, il Kosovo Protection Corps (TMK), mentre i Serbi istituirono il Srpski Zastini Korpus (SZK), un proprio corpo di difesa. Nel marzo del 2000 ripresero le manifestazioni popolari che, già dagli ultimi mesi del 1999, avevano invocato la deposizione del regime di Milosevic. Nel mese di aprile 100.000 persone protestano a Belgrado per ottenere le dimissioni del presidente e nuove elezioni, mentre il 6 marzo la Serbia aveva imposto un blocco delle merci verso e in uscita dal Montenegro, rafforzato nel mese di luglio. In agosto il fronte dell'opposizione al regime si frantumò: il Partito di rinnovamento serbo di Vuk Draskovic propose infatti un candidato diverso (Vojslav Mihailovic, sindaco di Belgrado) rispetto alla neonata coalizione di 17 partiti (ODS, Opposizione democratica serba) che invece candidò Vojislav Kostunica, giurista, esponente del Partito democratico serbo. Subito dopo il voto si aprì un duro conflitto sui risultati elettorali, in favore di Kostunica, e, dopo un'iniziale annullamento delle elezioni da parte della Corte costituzionale e la conseguente sollevazione popolare, lo stesso Milosevic ammise la sconfitta: subito dopo l'Unione europea revocò l'embargo. Sempre dal punto di vista politico interno, dopo la vittoria di Kostunica, in Serbia venne nominato un Governo di transizione (composto, oltre che da esponenti dell'ODS, da rappresentanti del Partito socialista serbo, di Jul - il movimento di cui faceva parte la moglie di Milosevic - e del Partito radicale serbo dell'ultranazionalista Vojislav Seselj), che guidò il Paese fino alle elezioni del 23 dicembre. Queste terminarono con la vittoria schiacciante della coalizione riformista Ods che con il 64% dei consensi si aggiudicò 176 dei 250 seggi del Parlamento della Repubblica serba. Uscirono invece di scena il Rinnovamento serbo di Vuk Draskovic e Jul che non raggiunsero il 5% necessario ad entrare in Parlamento; 37 seggi andarono al Partito socialista di Milosevic, 23 agli ultranazionalisti di Seselj, mentre l'Unità serba (SSJ), fondata da Zeliko Raznatovic, alias "comandante Arkan", ucciso nel gennaio 2000, conquistò ben 14 deputati grazie al programma di riconquista del Kosovo in quanto "terra serba". Nel gennaio 2001 si formò dunque un nuovo Governo, guidato da Zoran Djindjic, leader del Partito democratico, non particolarmente amato in Serbia perché considerato troppo filo-occidentale (durante la guerra in Bosnia Djindjic era legato a Radovan Karadzic). A questo punto si aprì un conflitto tra le autorità federali e il Governo serbo, ovvero tra Kostunica e Djindjic, conflitto che minò la sopravvivenza della coalizione Ods: il dissidio verteva in primo luogo sull'atteggiamento da tenere verso Milosevic. Il premier serbo Djindjic si era schierato dalla parte dell'Occidente e degli Stati Uniti nel sostenere l'arresto dell'ex leader serbo, arresto al quale erano condizionati gli aiuti messi a disposizione dagli USA e dal Fondo monetario internazionale. Kostunica, dal canto suo, aveva più volte assicurato allo stesso Milosevic che non avrebbe concesso la sua estradizione al Tribunale dell'Aia, rifiutandosi anche di incontrare il procuratore capo del Tribunale, Carla del Ponte, che in gennaio si era recata a Belgrado per ottenere i mandati di cattura per i ricercati per crimini di guerra. Nel frattempo la polizia serba aveva cominciato ad indagare sulle affermazioni pubblicate dalla stampa secondo le quali Milosevic si sarebbe arricchito vendendo all'estero una parte delle riserve auree del Paese. Il 1° aprile, a ventiquattro ore dalla scadenza dell'ultimatum americano, l'ex leader serbo venne arrestato dopo un lungo assedio alla sua abitazione: al momento dell'arresto Kostunica si trovava a Ginevra per chiedere all'Onu di salvaguardare il Paese dall'instabilità generata dalle continue pressioni per la cattura dell'ex dittatore e dalle spinte indipendentiste sempre più esplicite anche in Vojvodina. La magistratura serba (e non quella jugoslava come sarebbe stato legittimo) emesse un mandato di cattura per l'ex presidente accusandolo di malversazione e abuso di potere: solo in questo modo Djindjic poté superare parzialmente la frattura apertasi con Kostunica dal momento che non veniva messa in discussione l'estradizione all'Aia, essendo questi crimini giudicabili a Belgrado. Dopo l'arresto Milosevic fu condannato a 30 giorni di carcere preventivo. Nel frattempo le indagini portarono alla scoperta di un centinaio di conti in Svizzera con oltre 200 miliardi di lire, molti dei quali intestati a persone del clan Milosevic. Mentre si avvicinava la Conferenza dei Paesi donatori (Ue e Stati Uniti), la crisi politica si aggravò con l'approvazione da parte dei ministri riformisti di un decreto governativo che, in contrasto con la Costituzione federale, consentiva di accogliere la richiesta di estradizione pervenuta dall'Aia. Il 28 giugno il Governo serbo, ignorando anche l'ordinanza della Corte costituzionale che aveva bloccato il decreto, consegnò Slobodan Milosevic ai funzionari del Tribunale dell'Aia. La consegna di Milosevic aprì una grave crisi politica in seno alla Federazione: per protestare contro il trasferimento deciso da Djindjic, il Partito socialista popolare (SNP, montenegrino, in passato alleato di Milosevic) si ritirò dalla coalizione del Governo federale e il suo leader Zoran Zizic si dimise dall'incarico di primo ministro federale. Kostunica, dal canto suo, ritirò il suo partito, Partito democratico serbo (DSS), dalla coalizione ODS che reggeva il Governo serbo. Intanto il 29 giugno la conferenza dei Paesi donatori aveva deciso di concedere a Belgrado aiuti per 1,25 miliardi di dollari (e nel successivo mese di settembre l'ONU avrebbe tolto l'embargo sulla vendita di armi al Paese tre anni dopo la sua messa in atto). Il 3 luglio Milosevic comparve per la prima volta davanti ai giudici del Tribunale internazionale sfidandone l'autorità. Durante l'udienza preliminare Milosevic lo definì illegale, rifiutandosi di nominare un avvocato e di riconoscere la validità di qualsiasi tipo di decisione presa. Successivamente, all'ex presidente vennero formalizzate nuove accuse, relative ai crimini di guerra perpetrati in Croazia fra l'agosto 1991 e il giugno 1992. Nel frattempo Kostunica aveva avviato le consultazioni per la formazione di un nuovo Governo e, poiché in base alla Costituzione se il presidente federale è serbo, il primo ministro deve essere montenegrino, a luglio aveva dato l'incarico all'ex ministro delle Finanze Dragisa Pesic, anch'egli esponente del Partito socialista popolare del Montenegro, nel frattempo decisosi a rientrare nella coalizione di Governo. Come presidente della Federazione jugoslava (Serbia più Montenegro), Kostunica dovette inoltre fare i conti con le spinte autonomiste provenienti sia dal Montenegro che dal Kosovo dove si sviluppò un movimento di guerriglia albanese che fece la sua comparsa nella valle di Presevo (Sud della Serbia, a ridosso della fascia smilitarizzata creata al confine con il Kosovo dopo la guerra). Sempre in Kosovo, in novembre, si tennero le prime elezioni politiche dalla fine della guerra, terminate con la vittoria della Lega democratica del Kosovo (LDK) di Ibrahim Rugova. Per quanto riguarda il Montenegro, invece, il presidente Milo Djukanovic, fautore dell'indipendenza, si pose in un atteggiamento di aperto contrasto nei confronti di Kostunica. Dopo l'approvazione, nel febbraio 2001, da parte del Parlamento montenegrino delle norme del referendum sull'indipendenza, Djukanovic convocò per aprile le elezioni anticipate che videro sfidarsi la coalizione Vittoria Montenegrina di Djukanovic e quella di opposizione Insieme per la Jugoslavia, guidata dal Partito popolare socialista di Predrag Bulatovic, contraria a ogni ipotesi secessionista. L'Ue, che aveva sostenuto il separatismo montenegrino contro Milosevic, invitò ora Djukanovic a trovare una soluzione nell'ambito della Federazione. Non solo, i Paesi del Gruppo di contatto sulla ex Jugoslavia (Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Stati Uniti e Russia) minacciarono la sospensione degli aiuti finanziari in caso di secessione unilaterale. Le elezioni, vissute come un test sulla proposta indipendentista, non risolsero comunque la questione, terminando con una sostanziale parità tra i due schieramenti. Per cercare di porre rimedio alla frattura apertasi tra Federazione e Montenegro, nel marzo 2002 venne siglato un accordo di massima tra esponenti federali e nazionali di Serbia e Montenegro, promosso e sottoscritto dall'Unione europea, per la creazione di un nuovo Stato denominato Serbia e Montenegro e non più Jugoslavia. Nel gennaio 2003 i Parlamenti serbo e montenegrino approvarono una modifica costituzionale per la definitiva creazione del nuovo Stato, la cui nascita ufficiale venne sancita il 4 febbraio. Il nuovo Stato ebbe un presidente, un ministro della Difesa e un ministro degli Esteri federali, mentre le questioni economiche furono di pertinenza dei singoli Stati. Il nuovo Stato entrò subito in crisi a causa dei disordini conseguenti all'assassinio del primo ministro serbo Zoran Djindjič (marzo 2003), in seguito al quale furono arrestati alcuni membri di associazioni criminali legate a Milosevic. Sempre in marzo il Parlamento centrale elesse Svetozvar Marovič alla presidenza federale dello Stato. Nei primi mesi del 2004 si riacutizzarono le tensioni tra i Serbi e gli Albanesi del Kosovo, tanto che la NATO rinforzò le truppe lì dislocate. Nel giugno 2004 fu eletto nuovo presidente di Serbia e Montenegro il democratico Boris Tadič, che si pose come obiettivi primari l'ingresso del Paese nell'Unione europea e la distensione dei rapporti con le minoranze albanesi della provincia del Kosovo. Nel febbraio 2005 il Montenegro propose alla Serbia di sciogliere l'unione tra le due Repubbliche per formare due entità statali indipendenti; la proposta, inizialmente respinta dal premier serbo Kostunica, venne in un secondo momento accettata: con il referendum del 21 maggio 2006 la Repubblica del Montenegro diventò nuovamente uno Stato indipendente. La confederazione fu sciolta ufficialmente e, come previsto dalla sua Costituzione, sua erede diretta nel consesso internazionale divenne la Serbia, riconosciuta come Stato indipendente il 4 giugno 2006, il giorno successivo il riconoscimento dell'indipendenza del Montenegro.
IL MARESCIALLO TITO, PADRE DELLA REPUBBLICA FEDERALENato a Kumrocev, in Croazia, nel 1892, Josip Broz, meglio conosciuto come Tito, nacque da una famiglia contadina. Non appena diciottenne si trasferì a Zagabria, dove lavorò come operaio. Durante il primo conflitto mondiale fu mandato sul fronte russo al servizio dell'Impero austro-ungarico. Fatto prigioniero allo scoppio della Rivoluzione d'Ottobre, solidarizzò con il movimento rivoluzionario e combatté con l'Armata Rossa. Nel 1920, tornato in patria, entrò a far parte del Partito comunista jugoslavo; arrestato nel 1934 e scarcerato sei anni dopo, si rifugiò prima a Mosca poi a Parigi. Eletto segretario del PCJ nel 1936, tornò clandestinamente in Jugoslavia, dove organizzò le fila del partito. Quando nel 1941 la Germania invase il Paese travolgendo l'esercito monarchico, Tito aveva già preparato la resistenza partigiana. Grazie a un vero e proprio esercito da lui formato riuscì a liberare quasi tutto il territorio jugoslavo e nel 1944, con l'aiuto sovietico, entrò in Belgrado. L'anno successivo, abbattuta la Monarchia, divenne presidente del nuovo Governo di tipo socialista, inizialmente ricalcato sul modello russo. Nel 1948 si determinò la rottura con l'URSS e il PCJ, che non riconosceva il primato sovietico rivendicando la propria autonomia, venne espulso dal Cominform. Confermata la linea indipendentista, Tito si avvicinò ai Paesi occidentali e in particolare agli USA, dai quali ottenne anche aiuti economici nel 1951. In politica interna cercò sempre soluzioni che meglio si adattassero alle diverse nazionalità che formavano la Jugoslavia, decentrando il potere alle Repubbliche e muovendosi verso un partito più aperto e meno autoritario. Dopo la morte di Stalin, avendo comunque mantenuto posizioni neutrali nei confronti dei due blocchi, avviò un'operazione di lento e cauto riavvicinamento all'Unione Sovietica. Negli ultimi anni della sua vita affrontò con cura la questione della propria difficile successione, facendosi affiancare da una presidenza collettiva, destinata a sostituirlo alla sua morte. I giorni del maresciallo Tito si conclusero a Lubiana, nel 1980, data in cui cominciò il lungo calvario della Repubblica socialista da lui fondata.
LE CITTÀBelgrado(1.280.639 ab.). Capitale della Serbia, sorge su una collina, in prossimità della confluenza della Sava col Danubio. A causa delle numerose distruzioni patite nei secoli e dei bombardamenti subiti durante l'ultima guerra mondiale, fino al 1999 aveva un aspetto moderno, privo di monumenti di grande valore storico. I bombardamenti nella NATO, tuttavia, hanno gravemente danneggiato buona parte delle strutture cittadine. Da citare, inoltre, la Nuova Belgrado, città satellite sede di istituti universitari. È centro della vita politica, economica e culturale (da ricordare il Museo Nazionale) e importante nodo di comunicazione ferroviaria e stradale con un attivo porto fluviale. I settori commerciale e amministrativo sono più sviluppati di quello industriale, presente comunque in periferia con produzione meccanica, cantieristica, chimica, alimentare. Di antiche origini (il suo nome era Singidunum, IV sec.), ambita per la sua posizione strategica, la città è stata più volte contesa tra Bizantini, Bulgari, Ungheresi e Serbi. Fu dominata dai Turchi dal XVI al XIX sec., quasi ininterrottamente. In seguito ad una sollevazione, divenne sede del principato di Serbia (1817). Con l'abbandono dei territori serbi da parte delle guarnigioni turche, Belgrado divenne capitale del Regno di Serbia. Al termine della prima guerra mondiale, con la nascita del Regno di Jugoslavia, la città ne divenne capitale.Novi Sad(191.405 ab.). Città della Serbia, capitale dell'unità amministrativa autonoma della Vojvodina (21.506 kmq; 2.031.992 ab.), è posta alla confluenza del canale Novi Sad-Mali Stapar nel Danubio, sulla riva sinistra del fiume. Prima delle pesanti distruzioni dovute ai bombardamenti Nato era un centro agricolo e commerciale (vi si svolgeva una rinomata fiera agricola annuale) e porto fluviale sviluppato. Dal 1960 è sede universitaria. Fondata nel XVII sec. come sede del patriarcato ortodosso di Serbia, nel XIX sec. e fino alla prima guerra mondiale costituì il più importante centro culturale e politico dei Serbi d'Ungheria. Nel 1921 entrò a far parte della Jugoslavia.Pristina(155.499 ab.). Città della Serbia, capitale dell'unità amministrativa autonoma del Kosovo (10.887 kmq; 2.325.000 ab.). Mercato agricolo, è sede di industrie alimentari, elettriche, meccaniche, tessili, della ceramica. Fino alla fine del Trecento fu la residenza dei sovrani di Serbia; in seguito rimase possesso dei Turchi, fino alla conclusione della prima guerra balcanica, quando passò alla Serbia.
PICCOLO LESSICOJugoslavoTermine serbo: Slavo del Sud, composto di jugo: Sud, e di Slaven: slavo. Il termine indicò nel XIX sec., soprattutto nel linguaggio politico, il complesso di Serbi, Croati, Sloveni che nel 1918 costituirono il Regno di Jugoslavia, poi Repubblica, con i Montenegrini e i Macedoni.KosovoProvincia autonoma della Serbia, abitata in prevalenza da Albanesi. È costituita da un territorio essenzialmente montuoso, con scarse risorse agricole. Nel 1992 la popolazione si espresse a favore dell'indipendenza, disattesa tuttavia dal Governo della Serbia. La regione andò quindi subendo, negli anni Novanta, l'influenza della vicina Albania, finché la spinta autonomistica sfociò in aperta guerra civile. La Federazione jugoslava nel 1999 fu costretta a ritirare le proprie truppe, sostituite da un contingente multinazionale con il compito di condurre il Kosovo verso l'autodeterminazione. A causa della ferocia degli scontri, gran parte dei Serbi fuggì verso il Nord del Paese.Osimo, Accordi diAccordi stipulati il 10 novembre 1975 dai ministri degli Esteri italiano Mariano Rumor e jugoslavo Minic per la risoluzione del confine tra i due Paesi, sulla base di una precedente intesa sottoscritta a Londra nel 1954 tra i due Governi. Il trattato prevedeva il passaggio dall'amministrazione provvisoria alla piena sovranità italiana e jugoslava rispettivamente della Zona A e della Zona B del Territorio libero di Trieste e la definizione delle acque territoriali nel golfo della stessa città. Gli accordi contemplavano inoltre un protocollo per la cooperazione economica e documenti di ripartizione dei beni culturali e archivi.
PERSONAGGI CELEBRISlobodan MilosevicUomo politico serbo (Pozarevec, Serbia 1941 - L'Aja 2006). Esponente della Lega dei comunisti di Jugoslavia, dal 1986 al 1988 fu guida del Partito della Repubblica e nel 1990 del Partito socialista serbo. Divenuto presidente della Repubblica nel 1989, venne riconfermato nella carica nel 1990 e nel 1992. Nazionalista e convinto assertore dell'espansionismo serbo, ebbe vasta influenza nel processo di dissoluzione della ex Jugoslavia, iniziato con la guerra civile del 1991 e terminato con la firma degli Accordi di Dayton del 1995. La decisa azione repressiva attuata da Milosevic nella provincia del Kosovo determinò nel 1999 l'intervento delle truppe NATO, protrattosi sino a giugno dello stesso anno, quando il presidente accettò il piano di pace proposto dal gruppo dei G8. Condannato dal Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia per crimini di guerra e contro l'umanità, il presidente riuscì comunque a mantenere l'appoggio popolare, sino alla fine del 1999 e al principio del 2000, quando imponenti manifestazioni di folla contestarono pesantemente Milosevic, chiedendone le dimissioni. Nel settembre 2000 venne sconfitto alle elezioni da V. Kostunica e nel giugno 2001 fu arrestato e inviato in carcere a L'Aja. Il suo processo, iniziato nel febbraio 2002, fu il più importante procedimento per crimini di guerra dai tempi di Norimberga. Alcuni mesi prima del verdetto, Milosevic fu trovato morto nella sua cella (Pozarevec, Serbia 1941 - L'Aja 2006).Ritratto di Slobodan Milosevic ALTRI CENTRIKragujevac(146.373 ab.). Città della Serbia, a Sud di Belgrado. È sede di industrie automobilistiche, alimentari, elettrotecniche. Venne parzialmente toccata dai bombardamenti NATO del 1999.Nis(173.724 ab.). Città della Serbia, posta a 220 km dalla capitale, alla confluenza della Nisava con la Morava. È il centro amministrativo del distretto di Nisava. Mercato agricolo, noto anche per la produzione artigianale di tappeti e prodotti d'oreficeria, è sede di industrie elettromeccaniche, tessili, del tabacco, del legno e alimentari. Subì gravi danni durante i bombardamenti della NATO del 1999.Subotica(99.981 ab.). Città della Serbia, situata nella Vojvodina settentrionale, nelle vicinanze del confine ungherese. È un mercato agricolo (canapa, cereali e tabacco) e del bestiame; industrie alimentari, tessili e chimiche.Serbia - La SerbiaMeteo SerbiaEarth Quake Live - TerremotiCnt Rm Ingv Centro Nazionale Terremoti
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