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GEOGRAFIA - ITALIA - LIGURIA

Settecento, tra Rococò e Neoclassicismo

La dipendenza culturale dalla Francia, in gran parte conseguente al bombardamento navale del 1684 e riscontrabile in molteplici campi, in architettura raggiunse l'apice poco dopo la metà del secolo, con il Palazzo Durazzo Bombrini eretto a Genova Cornigliano da Pierre Paul de Cotte, grandiosa residenza parigina trasferita alla foce del Polcévera, con notevoli innovazioni strutturali e abitative. Scaduto il Rococò, gli anni Settanta e Ottanta del Settecento vissero intensamente l'affermarsi del neoclassicismo, con nuove costruzioni e ammodernamenti di palazzi e giardini, in città e in villa, avviati da Charles de Wailly e poi condotti da Andrea Tagliafichi, Gregorio Petondi, Giambattista Pellegrini e altri nomi. Il lombardo Simone Cantoni ricostruì il corpo centrale del Palazzo ducale devastato dall'incendio del 1777. Suo fratello Gaetano innalzò nel 1781 il Duomo di Porto Maurizio.

Alla fine dell'antico regime, la scena genovese fu dominata fino al 1835 da Carlo Barabino, architetto e urbanista che gestì l'avvio della città moderna, con piani regolatori e vari edifici, tra cui il teatro Carlo Felice e l'adiacente sede dell'Accademia di Belle Arti, istituzione fondata nel 1751 dall'aristocrazia illuminata che, con donazioni dalle proprie quadrerie, la dotò di un museo via via ampliato, per lo studio degli allievi.

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Architettura e urbanesimo: le forme del moderno

Nello sviluppo ottocentesco e di primo Novecento, il capoluogo e gli altri centri della regione - dopo un iniziale richiamo alle forme degli antichi palazzi patrizi ridotte a superficiali decorazioni per caseggiati borghesi - adottarono la variegata gamma di soluzioni architettoniche e decorative comuni a molte aree italiane e straniere, muovendosi tra stili storici, eclettismo e liberty, con esiti interessanti ma di non particolare originalità. Tra le poche eccezioni, le fantasmagoriche e spregiudicate creazioni del fiorentino Gino Coppedè, nel Castello Mackenzie di Genova e in altre ville e palazzi. Due belle piazze genovesi degli anni Trenta sono emblematiche degli opposti orientamenti dell'architettura italiana alla vigilia della seconda guerra mondiale: piazza della Vittoria, di Marcello Piacentini, richiama con retorica enfasi non priva di eleganza le aspirazioni del regime alla romanità imperiale; piazza Rossetti, di Luigi Carlo Daneri, propone con raffinatezza la semplice attualità del razionalismo europeo. Nel panorama architettonico contemporaneo, gli ultimi decenni hanno espresso opere di rilievo, oggetto di appassionati dibattiti. Fra i tanti esempi, a Genova si possono citare i musei di Albini e Helg; il viadotto sul Polcévera di Morandi e Cherubini; le ricostruzioni dello stadio Ferraris (Gregotti), del teatro Carlo Felice (Rossi, Gardella, Reinhart) e del complesso di S. Silvestro per la nuova facoltà di Architettura (Gardella, Grossi Bianchi); la progettazione del Centro di S. Benigno, dello studio americano "S.O.M"; la ristrutturazione del Porto Antico per l'Expo'92 di Renzo Piano. Il secolo XIX era stato anche il periodo della scoperta della Liguria da parte delle élites straniere attratte dall'ambiente e dal clima, di cui rimangono molteplici testimonianze. Il parco di Villa Pallavicini a Genova Pegli, inaugurato nel 1846, fu concepito non più solo per privato diletto, ma come attrazione turistica di fantastica scenograficità. Quasi al confine con la Francia, l'inglese Thomas Hanbury avviò nel 1867 un importantissimo parco di acclimatazione di piante esotiche. Bordighera presenta architetture di Charles Garnier, l'autore dell'Opéra di Parigi. A Sanremo il soggiorno della zarina Maria Alexandrovna nel 1874 è ricordato dalla chiesa russa del Cristo Salvatore, disegnata da A.V Scusev, progettista del Mausoleo di Lenin. Una straordinaria presenza di arte orientale in Italia si deve a Edoardo Chiossone, che donò al Comune di Genova le collezioni raccolte nel lungo soggiorno giapponese (1875-98), poi integrate da ulteriori acquisizioni ed esposte in un moderno museo.

Altri musei documentano pittura e scultura degli ultimi due secoli, di autori sia liguri sia forestieri, nel variegato panorama dell'arte moderna e contemporanea, contemplata e promossa anche da varie gallerie private. Tra i musei d'ultima generazione emerge l'"Amedeo Lia" di La Spezia, frutto del mecenatismo di un collezionista d'arte antica. Parallelamente allo sviluppo del nuovo, già nel secondo Ottocento si era affermato l'interesse per le memorie del passato, con l'inizio di ricerche e restauri che - dapprima ad opera di Alfredo D'Andrade e con libertà oggi impensabili - hanno restituito immagini di un Medioevo perduto e in buona parte reinventato, ma di grande fascino: citiamo Palazzo S. Giorgio, porta Soprana e S. Donato a Genova; S. Paragorio a Noli e ad Albenga il Battistero. Con criteri diversi, il recupero dell'antico prosegue ora insieme alle nuove realizzazioni, accompagnando le città verso il futuro.

I PARCHI CULTURALI

Non sono parchi come tutti gli altri, con un territorio delimitato e dei confini precisi, ma sono parchi virtuali, luoghi della mente. I Parchi culturali hanno l'ambizione di spostare l'attenzione verso una maggiore consapevolezza e conoscenza di un territorio ricco sia dal punto di vista storico e architettonico che naturalistico e culturale.

Parco Culturale Riviera dei Fiori-Alpi Marittime

Il Parco interessa il territorio di tutta la provincia di Imperia e guarda con attenzione alla vicina Francia, in particolare alla regione di Nizza con la quale esistono storici legami. Copre un territorio molto vario: dalle spiagge di famose località balneari come Sanremo e Bordighera agli oltre duemila metri delle cime delle Alpi Marittime. Un territorio che presenta numerosi motivi di interesse: naturalistici, storici ed artistici. Un territorio molto conosciuto che però, e forse proprio per questo, può riservare piacevoli sorprese. Italo Calvino è nato a Cuba, ma è cresciuto a Sanremo, una città da cui si è allontanato dopo la seconda guerra mondiale per trasferirsi a Torino, poi a Parigi e a Roma; una città, Sanremo, dalla quale non è mai riuscito a liberarsi, quasi un'ossessione per lo scrittore che aveva sempre presente la Liguria nel suo immaginario quando si accingeva a scrivere. In questi luoghi sono ambientati quasi tutti i primi racconti e romanzi, tra cui Il barone rampante. Un itinerario calviniano a Sanremo conduce il visitatore in giro per la città nei posti frequentati dallo scrittore - la villa dove è cresciuto, la scuola, il cinema, la passeggiata Imperatrice - ma anche nei luoghi descritti da questo autore, ormai non più ligure né italiano, ma di fama internazionale. Imperia è forse meno conosciuta di Sanremo, ma è altrettanto invitante con uno dei centri storici più conservati della costa, il Parasio. In più ha avuto un ruolo di rilievo nella letteratura del Novecento. L'industria Sasso, oltre che produrre olio, divenne un luogo d'incontro letterario, tramite la rivista "La Riviera Ligure", alla quale collaborarono, sotto la guida dal poeta Mario Novaro, figlio del fondatore dell'oleificio, i migliori scrittori e poeti della prima metà del Novecento, tra cui Pascoli, Pirandello, Capuana, Deledda, Alvaro, Ungaretti, Campana, Rebora, Saba, Sbarbaro e Boine. Due itinerari, che si snodano tra Diano Marina, Oneglia e Porto Maurizio, conducono sulle tracce lasciate dalla famiglia Novaro e da Giovanni Boine. Il patriota Giovanni Ruffini, invece, ha ambientato tra Bordighera e Taggia il primo romanzo che descrive la Riviera.

Aveva una casa a Taggia ma fu costretto a vivere in esilio in Gran Bretagna dove pubblicò il romanzo Doctor Antonio, che fece conoscere le bellezze della Riviera ai sudditi della Regina Vittoria che affluirono numerosi alla fine dell'Ottocento. Un itinerario a Taggia conduce nei luoghi descritti e "vissuti" dallo scrittore. Infine un pittore, il grande Claude Monet che trascorse dieci settimane a Bordighera. Lungo questi itinerari il Parco organizza visite guidate musicate ed animate con la presenza di attori e musicisti che accompagnano i visitatori alla riscoperta di questi luoghi carichi di storia ed atmosfera. Inoltre, ogni anno all'inizio dell'estate nei suggestivi giardini Hanbury, adagiati sul promontorio della Mortola, ha luogo il Premio Hanbury, dove vengono premiate opere dedicate alla botanica. è promosso dal prestigioso Premio Grinzane Cavour che è stato il primo in Italia a concepire il progetto dei parchi culturali.

Parco Culturale del Tigullio

Il Parco Culturale del Tigullio nasce nell'estate 1999, per creare un'ulteriore occasione alla conoscenza dei luoghi e della cultura di tutto il territorio, dalla costa all'entroterra, e offrire nuove opportunità a un turismo qualificato e di cultura. Sono stati così predisposti numerosi percorsi, sulle tracce di quelle presenze, attraverso reperti, testimonianze, opere, per condurre il visitatore nei luoghi e nelle atmosfere che furono scelti da scrittori, artisti, musicisti di tutto il mondo e di ogni tempo (Andersen, Cascella, Capote, D'Annunzio, Dante, Duse, Freud, Gadda, Garibaldi, Hesse, Kandinskij, Kokoschka, Lamartine, Manzoni, Marconi, Maupassant, Nietzsche, Petrarca, Picasso, Pound, Quasimodo, Sbarbaro, Sibelius, Stendhal, Wagner, Yeats). Un ricco programma di iniziative rivolte alle scuole di ogni ordine e grado contribuisce a radicare nelle giovani generazioni del Tigullio un concetto del territorio fatto di rispetto e valore.

Parco Letterario Eugenio Montale

Per secoli gli abitanti di Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore hanno vissuto isolati nei loro paesi. Secoli di povertà, di fatica, di incursioni saracene: hanno ricamato le loro montagne che corrono ripide giù verso il mare, costruendo muretti a secco e terrazze per coltivare olivi e vigne, quelle "fasce" rubate ai pendii che, viste dall'alto, sembrano gironi infernali. Certo Montale era un osservatore del tutto particolare. La casa che i suoi genitori fecero costruire a Monterosso all'inizio del secolo, è proprio di fronte alle cave del Mesco. Il poeta ci trascorreva le vacanze con la famiglia, le sue estati da bambino. Passava ore affacciato alla balaustra del giardino. è il paesaggio delle Cinque Terre fino a Portovenere, l'elemento a cui ricorrerà spesso per costruire la sua poetica, un paesaggio invadente, sempre presente nella memoria, dal quale cercherà di liberarsi senza riuscirci mai. Il Parco Letterario Eugenio Montale, a cura della Fondazione Ippolito Nievo, cerca di far rivivere al visitatore le emozioni intense che Montale ha fermato sulla pagina: guide esperte accompagnano i visitatori tra le terrazze a picco sul mare, alla ricerca delle tracce lasciate dal poeta, mentre alcuni attori leggono le sue poesie.

Parco Culturale Lerici

Golfo dei Poeti: già nel nome di questo spicchio di Liguria è racchiuso lo spirito che anima gli itinerari letterari. Qui soggiornarono gli Shelley, e qui il loro struggente rapporto d'amore ebbe fine: Percy B. Shelley morì annegato vicino alle coste toscane, mentre Mary, l'autrice del "Frankenstein", lo aspettava nella villa di San Terenzo, situata di fronte al mare. Qui trascorse qualche giorno Lord Byron, qui scelse di fermarsi D.H. Lawrence, di qui è passata Virginia Woolf.

Parco Culturale Val di Magra - Terra di Luni

La Val di Magra non è stata ancora presa di mira dal turismo di massa, anche se è uno dei posti più incantevoli della regione. è situata al suo limite estremo, laddove la Liguria si confonde con la Toscana. Il Magra, dopo essersi arricchito della acque del Vara, sfocia nel mare vicino a Luni, un tempo splendente città romana abbellita dal marmo delle Apuane. Le guide d'eccezione, che conducono il visitatore a percorrere l'itinerario attraverso i borghi della valle arroccati sulle colline, sono i classici Dante Alighieri, Petrarca, Boccaccio, Mary Shelley ma anche i poeti e gli scrittori del Novecento come Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Eugenio Montale, Elio Vittorini, Marguerite Duras, Simone de Beauvoir, Vittorio Sereni, Franco Fortini, Giorgio Bassani, Mario Soldati, Mario Tobino, Giovanni Giudici, Maurizio Maggiani e l'editore Giulio Einaudi. L'itinerario parte da Ameglia e si conclude a Romito, attraversando Montemarcello; il monastero dei Benedettini di Santa Croce del Corvo visitato da Dante; Bocca di Magra, "posto di vacanza" degli intellettuali che hanno fatto la storia letteraria del dopoguerra; Fiumaretta, dove c'era un tempo la pista da ballo descritta da Marguerite Duras; Luni, decantata dai grandi poeti della tradizione; Ortonovo, il borgo immerso negli ulivi fonte d'ispirazione del poeta Ceccardo; Castelnuovo Magra, il paese di cui Maurizio Maggiani ha descritto la storia e Mario Soldati la cucina e i vini; Sarzana, delle cui bellezze parla Guicciardini e Mario Soldati; e poi Ponzano, Santo Stefano, Vezzano dove Mario Tobino ha ambientato La Brace dei Biassoli; Masignano dove prendono il sole le vigne predilette da Soldati; Arcola e Trebiano descritti da Simone de Beauvoir.

LE CITTÀ

Genova

(604.732 ab.). La città di Genova, capoluogo della Liguria, si trova nel punto più interno del golfo omonimo ed è disposta ad anfiteatro digradante dalle colline verso il mare. Importante per l'economia della città è il porto che alimenta una notevole attività commerciale e industriale. Fra le principali industrie sono quelle siderurgiche, metallurgiche, meccaniche, tessili, alimentari, i cantieri navali, le raffinerie, gli stabilimenti chimici e farmaceutici.

STORIA.

Le origini della città di Genova sono antichissime e ancora oscure. Di certo si sa che fu fondata dai Liguri, popolazione costituita da famiglie isolate che si riunivano soltanto per difendersi dagli attacchi nemici. Il suo nome pare derivi dalla parola celtica genua, adito o entrata, in quanto sbocco sul mare e via d'accesso verso l'alta Italia e l'Europa centrale. La storia della città ha avuto inizio nel 205 a.C., anno in cui il cartaginese Magone, fratello di Annibale, la invase dal mare e la saccheggiò, distruggendola, a causa della sua amicizia con Roma. Due anni dopo furono proprio i Romani del pretore Spurio Lucrezio a portare a Genova 8.000 lavoratori allo scopo di riedificare la città, ingrandirne il porto e dotarla di una cinta muraria di protezione. Per questo motivo Genova restò fedele a Roma e diventò il centro commerciale e marittimo della Liguria. Rimasta indipendente, anche dopo le invasioni barbariche, per aver offerto asilo politico ai profughi lombardi e al vescovo di Milano, Genova fu conquistata e distrutta dal longobardo Rotari nel 641 e in seguito (773) fece parte dell'Impero di Carlo Magno, sempre godendo di notevoli privilegi. Normanni e Saraceni ebbero spesso mire sull'importante porto ligure, tanto che questi ultimi attaccarono la città in forze nel 934. Genova si difese con coraggio e scacciò gli invasori, i quali però, a due soli anni di distanza, raggiunsero la città con un flotta ancora più imponente, la attaccarono, la saccheggiarono e fecero numerosi prigionieri. I Genovesi non si diedero per vinti e inseguirono i Saraceni fino all'isola dell'Asinara, ritornando in possesso dei beni e liberando i prigionieri.

Il Medioevo è un periodo importante per la città, soprattutto per un evento storico eccezionale: le crociate. Intraprendenti e coraggiosi, i Genovesi parteciparono alle spedizioni in Terra Santa con notevole impeto, spinti anche dal desiderio di conquistare nuovi mercati in Oriente. A guidarli fu Guglielmo Embriaco (1099) che con la sua intelligenza contribuì efficacemente all'espugnazione di Gerusalemme. Nel 1155 Genova edificò una nuova e più imponente cinta muraria per difendersi da possibili attacchi di Federico I di Svevia, detto "il Barbarossa", il quale nel 1062 venne a patti con la città in cambio di un aiuto contro i Normanni. Nuove imprese furono inoltre attuate dai Genovesi contro i Mori di Spagna e di Barberia, imprese che si conclusero nel 1231 con le vittoriose battaglie di Almeria e Majorca. In questo periodo e fino al 1339, anno in cui fu eletto doge Simone Boccanegra, Genova fu caratterizzata dall'instabilità politica causata dalla rivalità fra le numerose famiglie nobili della città, ciascuna delle quali aveva una piccola porzione dell'abitato con i suoi palazzi, la sua piazzetta e la sua chiesa. Si passò così, alternativamente, dalla "Compagna" comunale ai consolati, dai governi dei podestà stranieri a quelli dei dogi, sempre sotto gli altalenanti protettorati di Milano e della Francia. Nonostante ciò, comunque, Genova rimase sempre uno dei massimi centri commerciali ed economici d'Europa, grazie al suo popolo di navigatori e di mercanti appassionati e spregiudicati.

Il Cinquecento è anche noto, nella storia d'Europa, come il "secolo dei genovesi".

In questo periodo, infatti, la potenza finanziaria della città e la sua situazione politica erano tali da farne una vera e propria potenza di livello europeo, capace di prestare denaro ai maggiori governi, dalla curia romana all'Impero spagnolo, alle grandi corti europee. Tutto ebbe inizio nel 1528, quando Andrea Doria, detto "il Principe", stanco di servire la Francia, che aveva allora la sovranità su Genova, si appoggiò all'imperatore Carlo V, allestì una flotta di dodici galee e conquistò la sua città. Da quel momento iniziò un periodo di grande splendore e ricchezza per "la Superba", anche grazie a una ritrovata tranquillità politica e all'eliminazione delle numerose fazioni avverse che da tempo si contendevano il potere. Dal 1528 al 1797, anno della definitiva caduta della Repubblica di Genova, non si ebbero più dogi perpetui, ma ogni doge stava in carica due anni. Ricca, importante e libera, come sempre aveva voluto essere, nel Cinquecento Genova si abbellì di straordinari edifici e di opere d'arte di grande valore. Lavorarono in città figure artistiche di grande livello come Pierin del Vaga, Galeazzo Alessi, Luca Cambiaso e Rubens. Del 1626-32 è l'edificazione dell'ultima e più possente cinta muraria genovese, progettata fra gli altri da Ansaldo de Mari e G.B. Baliani, eretta per proteggere efficacemente la città dalle preoccupanti aggressioni dei Savoia. Pochi decenni più tardi (1684) Genova fu oggetto di un bombardamento via mare da parte dei Francesi, mentre nel 1815 cadde sotto il potere del Regno di Sardegna.

Durante tutto l'800 Genova vive un periodo di opacità, soprattutto dal punto di vista intellettuale, culturale e finanziario, ma nei salotti delle ville del genovesato iniziano a farsi breccia quei discorsi di libertà fondamentali per la nascita dell'Italia unita. Mazzini, Garibaldi, Cavour, questi i nomi dei personaggi storici che hanno dato vita all'unità del Paese. La storia successiva della città è strettamente legata a quella d'Italia, con lo scoppio della prima guerra mondiale, l'avvento del fascismo - con la realizzazione della Grande Genova (1926) - e con il secondo conflitto mondiale del quale la città porta ancora tracce indelebili. Nel '900 Genova perde un po' del suo carattere prettamente mercantile e, in particolare nel secondo dopoguerra, si rivolge, non senza reticenze, all'industria. Sorgono ferriere, acciaierie, industrie di base e zuccherifici, mentre riprende vigore l'importante settore della cantieristica navale. L'industria pesante resta comunque la più importante per tutta la seconda metà del secolo. In questo periodo la città si espande occupando le due valli laterali, Bisagno e Polcevera, e la costa, e raggiungendo, negli anni Trenta, i 239 kmq.

ARTE.

Stretta tra il mare e le colline appenniniche, la città ha assunto una particolare conformazione urbanistica estesa in lunghezza che alterna slarghi di ampio respiro (le signorili piazze della Vittoria, De Ferrari e Corvetto) a zone anguste intersecate da vicoli tortuosi, i tipici carugi. Il ricco patrimonio monumentale genovese si nasconde proprio qui, nel cuore della città bassa attorno al porto, dove ancora si può cogliere il vero volto popolare della vita cittadina.

Il Medioevo è rappresentato dalle chiese di San Donato, romanica (1189), di S. Giovanni di Pré (XII sec.), di Santa Maria di Castello, romanica, con due bei chiostri quattrocenteschi, di San Luca (1138), S. Stefano, risalente al X sec., Sant'Agostino, (1260 circa) gotica, S. Matteo in stile romanico-gotico e interno rinascimentale (nella cripta, tomba del celebre ammiraglio Andrea Doria). La Cattedrale di S. Lorenzo, consacrata nel 1118, reca nella facciata evidenti influssi francesi (portali e rosone) e pisani (paramento a bande bianco-nere). Da visitare il Tesoro, che annovera tra i pezzi più importanti anche una coppa romana (I sec. d.C.) in vetro (Sacro Catino), identificata dalla tradizione col Santo Graal. Fanno parte dell'antico tessuto urbano medioevale anche il Palazzo San Giorgio (1260), le Case dei Doria, che si affacciano sulla piazzetta San Matteo, Porta Soprana (1155) con il chiostro di S. Andrea (XII sec.) e la piccola Casa di Colombo dove si ritiene sia vissuto il grande navigatore. Il periodo di maggior splendore per quanto riguarda la costruzione di nuovi palazzi residenziali per le famiglie patrizie più in vista della città è quello rinascimentale. Tra il XVI e il XVII sec. sorgono infatti i sontuosi palazzi Cambiaso, Parodi, Doria, Doria Tursi, Cataldi, Palazzo Bianco (ampliato e rimaneggiato nel XVIII sec., è sede di una notevole Pinacoteca con opere soprattutto fiamminghe e locali), Palazzo Rosso (anch'esso ospita un'interessante Galleria, celebre per le collezioni di ritratti di Van Dyck e dipinti di Caravaggio, Veronese, Tiziano). La Galleria Nazionale d'Arte Antica ospitata nei saloni di Palazzo Spinola (esempio fulgente di dimora gentilizia genovese) vanta tra i capolavori esposti un Ecce Homo di Antonello da Messina e la Madonna in preghiera di Joos van Cleve. Nel XVII sec. la famiglia Balbi aprì la propria strada monumentale con sontuosi edifici tra cui spicca il Palazzo reale, divenuto proprietà dei Savoia nel 1824 e sede di un Museo d'Arte. Eleganti esempi di architettura e decorazione barocche sono le chiese di S. Siro (rifacimento di una costruzione del X sec.); di S. Caterina, di S. Luca, con interno completamente affrescato, e della SS. Annunziata del Vastato la cui facciata è opera di C. Barabino. Da non dimenticare una visita all'ottocentesco Cimitero di Staglieno, (vi è sepolto Giuseppe Mazzini), al Palazzo dell'Accademia Linguistica di Belle Arti (1831) del Barabino con Pinacoteca; al Museo Chiossone di arte orientale e al Palazzo ducale, con facciata neoclassica di Simone Cantoni (1806).

Piazza della Vittoria a Genova

Piazza della Vittoria a Genova

Genova: chiesa di Santo Stefano

Genova: chiesa di Santo Stefano

Tour virtuale del porto di Genova (IE8)

LA PROVINCIA.

La provincia di Genova (873.604 ab.; 1.838 kmq) comprende il versante meridionale e parte del versante padano dell'Appennino Ligure ed è bagnata dal Mar Ligure. Prodotti principali dell'agricoltura sono frutta e ortaggi, vino, olio, agrumi, cereali e foraggi. Le industrie, per lo più concentrate nel capoluogo, sono quelle meccaniche, tessili, chimiche, alimentari, delle costruzioni navali. Sono anche presenti cave di marmo, di ardesia, e di lavagna nonché giacimenti di pirite, rame e manganese. È tuttora presente la tradizione artigianale della lavorazione dell'oro, dell'avorio, del tombolo, del macramé, e delle sedie. Altra importante risorsa è il turismo, sviluppato soprattutto nelle stazioni balneari di fama internazionale e nelle località climatiche. Fra i centri principali ricordiamo Arenzano, Bogliasco, Camogli, Cavi di Lavagna, Chiavari, Cogoleto, Moneglia, Pegli, Portofino, Rapallo, Recco, Santa Margherita Ligure, Sestri Levante, Sori, Zoagli.

Panorama di Sori (Genova)

Panorama di Sori (Genova)

Luoghi di interesse

Acquario

Costruito in occasione di Expo '92, cinquecentesimo anniversario della scoperta del Nuovo Mondo, nell'area del porto Antico, l'Acquario di Genova fu progettato per la parte esterna dall'architetto genovese Renzo Piano e per gli interni dallo statunitense Peter Chermayeff. Aperto al pubblico il 15 ottobre 1993, è il più grande acquario d'Europa, e ogni anno accoglie circa 1.200.000 visitatori con le sue 71 vasche e i suoi 10.000 metri quadrati. Questi ultimi comprensivi della Grande Nave Blu dove a pesci e crostacei si affiancano rare varietà di rettili e piante provenienti dal Madagascar. L'Acquario di Genova è una struttura in continua evoluzione: i popolamenti e gli allestimenti delle vasche sono rinnovati costantemente. La sua missione è di sensibilizzare il pubblico alla conservazione e gestione razionale degli ambienti acquatici. Particolare attenzione viene dedicata al mondo della scuola, con attività didattiche ed educative conformi ai programmi ministeriali e realizzate in collaborazione con gli insegnanti.

Bigo

Ascensore panoramico, originariamente una gru montata sulle navi da carico, è stato trasformato da Renzo Piano nel simbolo architettonico del porto Antico di Genova, per offrire un panorama mozzafiato della città. Salendo su questo ascensore panoramico si può osservare la città a 360 gradi: è possibile ammirare la bellezza di Genova da un'altezza di 40 metri, grazie alla cabina rotante e trasparente di questo spettacolare ascensore. Levandosi al di sopra delle usuali prospettive la voce dell'accompagnatore richiamerà la vostra attenzione sulla storia e sulle caratteristiche delle principali strutture presenti nell'area: una panoramica sulla storia e sulla vita del famoso centro storico di Genova, che si estende sino a comprendere l'ormai famosa sfera di Renzo Piano, realizzata nel cuore del porto turistico, proprio di fronte all'acquario.

Casa di Cristoforo Colombo

In questa casa Colombo venne ad abitare, intorno all'età di 4 anni, nel gennaio 1455, e vi trascorse l'infanzia. Il 7 agosto 1473 suo padre Domenico la vendette. La casa di Colombo fu ricostruita dopo il bombardamento del 1684, che rase al suolo tre quarti di Genova. Oltre 10.000 bombe e proiettili furono scaricati su di essa, per sei giorni, dalla flotta di Luigi XVI, al comando di Abraham Duquesne. Nel 1887 la casa fu acquistata dal Comune di Genova, che da allora ne assicura la conservazione. Numerosi restauri sono stati effettuati sia nella casa sia nel quartiere dove essa si trova.

Cattedrale di S. Lorenzo

Più di mille anni da cattedrale: fondata nel sec. IX, fu preferita a S. Siro perché racchiusa nella prima cinta muraria. All'inizio del sec. XII ne fu avviata una ricostruzione in stile romanico: testimoniano tale fase, rimasta incompiuta, i due portali laterali, detti rispettivamente di S. Giovanni - accanto al Battistero - e di S. Gottardo, affacciato su via S. Lorenzo. Il Duomo cominciò ad assumere l'aspetto odierno, prevalentemente gotico, nei primi decenni del '200, con la realizzazione, da parte di maestranze normanne, del primo ordine della facciata: caratterizzata, peraltro, da quel motivo a strisce orizzontali bianche e nere assai comune nell'area tirrenica. A tale periodo risalgono anche i due leoni stilofori e il cosiddetto arrotino, in realtà una figura di santo con meridiana. Verso la fine del secolo venne ultimato il secondo livello del fronte, con bifore; l'ordine superiore, ornato da polifore e dal rosone, sarebbe stato aggiunto nel '400, così come la loggia della torre sinistra. Il sec. XVI vide il completamento del campanile e la costruzione della cupola, progettata da Galeazzo Alessi, mentre nel 1840, conseguentemente all'apertura di via S. Lorenzo e all'abbassamento di livello della piazza, fu aggiunta la scalinata, cui fanno cornice due leoni a firma di Carlo Rubatto. L'interno, a tre navate, presenta sulla controfacciata un notevole affresco del primo '300 (Giudizio Universale e Glorificazione della Vergine). Sulla navata sinistra, subito dopo l'ingresso al Battistero, si apre la Cappella di S. Giovanni Battista, con un raffinato frontale eseguito nel 1451 da Domenico ed Elia Gagini; si devono invece a Matteo Civitali e Andrea Sansovino le statue al suo interno, che accoglie anche l'urna delle presunte ceneri del santo (inizio sec. XIII). In fondo alla navata, la Cappella Lercari è ornata da affreschi a firma di Giovanni Battista Castello (Assunta, Incoronazione di Maria, santi e profeti) e Luca Cambiaso (Sposalizio della Vergine, Presentazione di Gesù al tempio), datati 1565-69. Nella navata destra si segnala, oltre a un proiettile d'artiglieria caduto nella cattedrale - e rimasto inesploso-durante un bombardamento del 1941 - una pala (Crocifisso con Maria, Giovanni e S. Sebastiano) dipinta nel 1597 da Federico Barocci, custodita nella Cappella Senarega. Certamente degni di nota anche il coro ligneo, cui lavorarono Anselmo de' Fornari, Gian Michele Pantaloni e Francesco Zambelli (1514-46), e gli affreschi sul catino absidale e nella volta (S. Lorenzo che indica nei poveri il tesoro della Chiesa e Martirio del santo), eseguiti nel 1622-24 da Lazzaro Tavarone.

La Città dei Bambini

La città dei bambini è il più grande spazio ludico-didattico-educativo esistente in Italia per bambini e ragazzi di età compresa tra i 3 e i 14 anni. La Città dei Bambini di Genova è stata realizzata su concezione della Cité des Sciences et de l' Industrie di Parigi. Sono 2.700 mq. realizzati e gestiti pensando ai bambini. I percorsi, diversi a seconda delle età (3-5 anni e 6-14 anni), propongono elementi espositivi statici e dinamici con i quali bambini e adulti possono interagire per giocare e fare "piccole-grandi" scoperte divertenti e utili alla loro crescita. La Città dei Bambini propone un metodo semplice: "fare o fare insieme per scoprire ed apprendere mentre ci si diverte". I bambini hanno l'opportunità di esplorare in sicurezza un piccolo mondo dove avere stimoli e risposte utili ad ampliare il proprio orizzonte di conoscenze. L'adulto che li accompagna è chiamato alla funzione di mediare questo incontro. Sarà la sua sensibilità a fargli comprendere quando intervenire per spiegare e quanto stare vicino ai piccoli senza dare risposte ma sostenendo l'attesa che permetta loro di "trovare" risposte.

Complesso di S. Maria di Castello

Sul sito della chiesa odierna era sorto un tempio paleocristiano, assurto nei sec. X-XI al ruolo di concattedrale. Risale all'inizio del sec. XII, la costruzione dell'attuale edificio romanico, con pianta basilicale a tre navate e finto matroneo sopra gli archi: colonne e capitelli sono, in buona parte, romani (sec. II-III) e di reimpiego. Nel 1441 papa Eugenio IV assegnò S. Maria di Castello ai domenicani, che vi aprirono le cappelle delle grandi rasate cittadine ed edificarono l'annesso convento; la costruzione della cupola - a pianta ottagonale - data al secolo successivo. All'interno della chiesa si segnala il Martirio di S Pietro da Verona nella quarta cappella destra, a firma di Bernardo Castello (1597). I lavori di maggiore rilievo artistico, però, sono racchiusi nelle sale dei Ragusei, dette così perché utilizzate, nei sec. XVI-XVII, da mercanti originari dell'odierna Dubrovnik. Accessibili attraverso la sagrestia (ingresso nel transetto destro), custodiscono, tra le altre opere, una Madonna col Bambino di Barnaba da Modena e un'Incoronazione della Vergine dipinta da Lodovico Brea (1513). Notevole interesse riveste anche il convento: sul secondo dei tre chiostri affaccia la Loggia dell'Annunciazione, con un superbo affresco eseguito nel 1451 da Giusto di Ravensburg. All'artista tedesco si deve l'ideazione dell'intero impianto decorativo dell'ambiente, con motivi a foglie fiammeggianti e tondi figurati. La Cappella Grimaldi, attigua alla loggia superiore, custodisce il grandioso polittico dell'Annunciazione, opera di Giovanni Mazone (1469). A sinistra della chiesa si innalza per ben 41 m la Torre degli Embriaci del sec. XII: è l'unica sopravvissuta a un'ordinanza, datata 1296, che limitava l'altezza di tutte le costruzioni cittadine.

Lanterna

Monumento simbolo della città, è stato nei secoli torre di segnalazione, di guardia armata, palcoscenico di funamboli, prigione. Oggi è semplicemente la "Lanterna": simbolo di Genova, unico faro ad identificare la città. Alta 76 metri, è costituita da una torre su due ordini di sezione quadrata, costruita in pietra naturale delle cave di Carignano, con terrazza aggettante alla sommità sia del primo che del secondo ordine. Secondo alcune fonti non ufficiali, nel 1128 venne edificata la prima torre, alta poco meno dell'esistente, con una struttura architettonica simile all'attuale, ma con tre tronchi merlati sovrapposti. Alla sua sommità venivano accesi, allo scopo di segnalare le navi in avvicinamento, fasci di steli secchi di erica ("brugo") o di ginestra ("brusca"). Nel 1318, durante la guerra tra Guelfi e Ghibellini la torre subì rilevanti danni alle fondamenta ad opera della fazione ghibellina; nel 1321 vennero effettuati lavori di consolidamento e venne scavato un fossato allo scopo di renderla meglio difendibile. La prima lanterna venne installata nel 1326; la lucerna era alimentata ad olio di oliva. Per meglio identificare la lanterna con la città, nel 1340 venne dipinto alla sommità della torre inferiore lo stemma del Comune di Genova opera del pittore Evangelista di Milano. Nell'assedio alla Briglia - forte fatto costruire dal re Luigi XII durante la dominazione francese su Genova, ubicato sullo stesso colle dove sorgeva la torre del faro - la torre venne centrata dai colpi di bombarda sparati dagli insorti genovesi e parzialmente demolita. Per trenta anni la bella torre rimase monca e la sua brillante luce non fu più di aiuto ai naviganti. Solo nel 1543 venne ricostruita e fu posta in opera alla sua sommità una nuova lanterna costruita con doghe di legno di rovere e ricoperta con fogli di rame e di piombo fermati con ben seicento chiodi di rame. Fu quella occasione che la torre assunse il suo aspetto definitivo. Nel 1565 si ritornò a lavorare sulla cupola per renderla stagna e nel 1681 si ricostruì la cupola con legno di castagno selvatico calafatando il tutto con pesce e stoppa e ricoprendola con fogli di piombo stagnati ai bordi sovrapposti. Nel 1684 durante i bombardamento di Genova ordinato dall'Ammiraglio francese Seignelai per ordine di re Luigi XVI, un colpo centrò la cupola distruggendone l'intera vetrata, che venne provvisoriamente ricostruita; nel 1692, la vetrata venne modifica aggiungendovi un nuovo ordine di vetri. A seguito dei ripetuti danni causati dai fulmini e dagli avvenimenti bellici nel 1771 la torre venne incatenata a mezzo di chiavarde e di tiranti che ancora oggi sono visibili all'interno. Nel 1778 venne dotata di impianto parafulmine che fu realizzato dal fisico P.G. Sanxais e nel 1791 vennero effettuati alla base della prima torre, lavori di consolidamento per renderla più stabile. Dopo le lampade di metallo o di vetro a stoppino senza riflettore prima e con riflettore metallico poi, nel 1840 venne posta in opera un'ottica rotante su carro a ruote con lente di Fresnel il cui studio era stato eseguito dal Piana. L'accensione del fuoco, ancora ad olio di oliva, con la nuova ottica avvenne il 15 gennaio 1841. L'impianto si componeva di una lanterna del diametro di 4 mt., di forma dodecagonale a 4 ordini di cristalli piani sul lato verso mare mentre la parte verso monte, nel settore fra 110° e 290° era oscurata con lamiere di rame di forma circolare.

Le principali caratteristiche della lanterna erano: luce bianca fissa con portata fino a 15 miglia a cui erano sovrapposti splendori intervallati di 1 minuto visibili fino a 20 miglia circa. Nel 1881 il faro di Genova venne potenziato in modo da ottenere la copertura della costa a Est fino al settore del faro del Tino ed ad Ovest fino al settore del faro di Capo Mele. L'apparato a riflettori metallici, in opera nella Lanterna dal 1841 venne sostituto con un sistema ottico composto da otto pannelli lenticolari che con la sorgerne luminosa alimentata con olio di oliva, fece aumentare di miglia 3.7 la portata luminosa del faro. Nei 1913 il sistema ottico a pannelli venne sostituito con una nuova ottica rotante sospesa in bagno di mercurio e avente un diametro di 1.840 mm costruita dalla ditta Henry Lepant di Parigi. La sorgente luminosa posizionata nel fuoco dell'ottica, ancora a vapori di petrolio fu potenziata a 520.000 candele decimali. La rotazione dell'ottica era ottenuta da un congegno ad orologeria e peso motore con autonomia di carica di 5 ore. Tale impianto senza ulteriori modifiche restò in servizio fino al 1936, quando il faro, in seguito all'elettrificazione, venne dotato di sorgente ad incandescenza con potenza luminosa 745.000 candele decimali, che aumentò la potenza luminosa a 33,3 mgl ne fu modificata la caratteristica luminosa che divenne a gruppi di due lampi con periodo di 10 secondi. Il Lanternino - che all'Unità d'Italia si trovava alla sommità della torre, a seguito degli ultimi avvenimenti bellici, della vetustà dei materiali della progressiva corrosione dei montanti dei cristalli e della cupola in rame ormai ridotti a pochi millimetri di spessore, della evidente deformazione della vetrata con conseguenti continue lesioni dei cristalli, dell'antiquata armatura girevole e non ultimo a causa della sagomatura della vetrata a vetri piani causa di anormale propagazione dei fasci luminosi - venne rimosso nel 1956, unitamente a tutti gli impianti, che furono sostituiti con quelli che ancora oggi vediamo.

Palazzo ducale

I Capitani del popolo Oberto Spinola e Corrado Doria fecero edificare il Palazzo degli Abati sull'area urbana preesistente fra le chiese di S. Lorenzo e S. Matteo. Nella nuova costruzione venne inglobato anche l'attiguo Palazzo con torre di Alberto Fieschi, acquistato dalla Repubblica nel 1294. Da questo nucleo si sviluppò il palazzo, che venne detto "ducale" dal 1339, quando divenne sede del primo Doge genovese, Simon Boccanegra. Parte della costruzione medioevale è oggi ancora visibile. Alla prima fase edilizia dell'edificio appartenne anche la "Torre del popolo", sopraelevata poi nel 1539, che domina tuttora sul centro storico genovese. Nel corso dei secc. XIV-XV il palazzo venne progressivamente ampliato con l'aggiunta di nuove costruzioni, fino a chiudere sui quattro lati la piazza antistante. La struttura medioevale scomparve con i lavori del XVI sec., quando venne conferita al palazzo una nuova fisionomia, più adeguata all'importanza e al cerimoniale della nuova Repubblica oligarchica. Nel 1591 venne affidato al ticinese Andrea Ceresola detto il Vannone l'incarico di ricostruire il palazzo. All'intervento di quest'artista si deve l'impostazione generale del nuovo edificio, caratterizzato da un grandioso atrio coperto, fiancheggiato da due cortili porticati.

Al Vannone è attribuito anche l'ampio scalone che si divide in due rampe contrapposte e collega l'atrio con le logge del piano nobile. La rampa di Ponente immette negli ambienti di rappresentanza, con le Sale del Maggiore e Minor Consiglio e gli Appartamenti del Doge. Qui si trova anche la cappella dogale, un semplice vano rettangolare interamente decorato da Giovanni Battista Carlone (1653-55). Nella volta un ciclo di affreschi rappresenta la Madonna incoronata Regina di Genova. L'intento celebrativo delle glorie genovesi attraverso la pittura è evidente soprattutto negli affreschi delle pareti laterali, con episodi gloriosi della storia genovese inseriti in una cornice architettonica dipinta a trompe l'oeil. Della fase decorativa seicentesca si conserva anche l'affresco di Domenico Fiasella sulla rampa di sinistra dello scalone, con le figure di Dio Padre con Cristo morto, della Madonna e dei Santi protettori della città. Nel 1777 un grave incendio distrusse alcune parti del palazzo. La decorazione del Salone del Maggior Consiglio venne irrimediabilmente rovinata. Successivamente, nel 1875, Giuseppe Isola affrescò nella volta un'allegoria del commercio dei Liguori. La ricostruzione del corpo centrale dell'edificio venne affidata al ticinese Simone Cantoni, affermato architetto neoclassico. Il Cantoni progettò anche la decorazione interna degli ambienti di rappresentanza: il salone del Maggior Consiglio fu coperto con un'enorme volta a botte con testate a padiglione, ornata di stucchi. Le pareti furono ritmate da una serie di paraste con capitelli in stucco e basi di marmo giallo. La Sala del Minor Consiglio fu ornata con lesene scanalate in stucco dorato e gli affreschi furono affidati al Ratti, pittore che utilizzava bozzetti di Domenico Piola. Gli interventi effettuati nel XIX e agli inizi del XX secolo hanno contribuito a falsare l'originaria fisionomia del palazzo, che venne avulso anche dal suo contesto urbanistico. Con la costruzione della nuova piazza De Ferrari, prospiciente il lato Est del palazzo, Orlando Grosso vi realizzò appositamente una facciata con decorazioni pittoriche. Alla sua riapertura (14 maggio 1992) il Palazzo ducale di Genova, con 38.000 mq di superficie e 300.000 mc di volume, costituiva il più esteso intervento di restauro realizzato in Europa. Il progetto di Giovanni Spalla ha portato al recupero dell'architettura tardo-cinquecentesca del Vannone, senza tuttavia distruggere le testimonianze della vita del palazzo attraverso i secoli (strutture medioevali, intervento del Cantoni, facciata del 1935).

Palazzo del Municipio

Sede di grandissimo prestigio per il Comune di Genova, sistemato dal 1848 nel palazzo (1565-79) già conosciuto come Doria Tursi. Balzano subito all'occhio le straordinarie dimensioni del fronte, dalla lunghezza tre volte superiore a quelli simmetricamente uguali degli altri palazzi: segno della potenza del committente Nicolò Grimaldi, principale creditore del sovrano spagnolo Filippo II. Furono Domenico e Giovanni Ponzello a ideare lo scenario di scala, introduzione a un cortile colonnato con scalone a due rampe per il loggiato superiore. Alla decorazione dei prospetti, già esaltati dal gioco di marmi bianchi, pietra rosa e lastre d'ardesia, partecipò anche Taddeo Carlone, cui si deve l'imponente portale. Nel 1596 il palazzo passò ai Doria, che l'anno successivo avviarono la costruzione delle logge laterali e la sistemazione del giardino. Ulteriori interventi si ebbero nel 1820 - che vide l'aggiunta della torretta dell'orologio - e nel 1960-65, con la realizzazione, sul fianco della collina di Castelletto, del Palazzo degli Uffici, progettato da Franco Albini e Franca Helg. Di fronte a tanto splendore architettonico, sorprende non poco l'essenzialità dell'apparato decorativo. Compensata dalla presenza, nella Sala della Giunta, di un violino (1742) appartenuto a Niccolò Paganini.

Palazzo reale

Appellativo derivatogli dai Savoia, venuti in possesso dell'edificio (1643-55) nel 1824. Ed è degno in tutto e per tutto di una reggia lo spettacolo al di là del portale d'ingresso, definito dall'intervento di Carlo Fontana (1705): con i prospetti laterali, dipinti a vivaci colori, che cingono il cortile d'onore. Sullo sfondo, oltre un fornice a tre arcate, un giardino pensile affacciato al mare, con un pavimento a mosaico di ciottoli dicromi recuperato dal demolito monastero delle Turchine. Lo scalone di sinistra sale al piano nobile, che accoglie la Galleria nazionale di Palazzo reale. Affreschi seicenteschi e raffinati arredi dei sec. XVIII-XIX fanno cornice a importanti opere d'arte: connubio particolarmente felice nella fastosa Galleria degli Specchi, dove spiccano quattro statue (Giacinto, Clizia, Amore - o Narciso - Venere) di Filippo Parodi e un gruppo marmoreo (Ratto di Proserpina) eseguito da Francesco Schiaffino. La Sala delle Udienze accoglie, invece, due dipinti di gran pregio, quali il Ratto di Proserpina di Valerio Castello e il ritratto di Caterina Durazzo, a firma di Antonie Van Dyck: autore anche del Crocifisso custodito nella camera da letto del Re. Seguono, nella sala successiva, due tavole di scuola fiamminga (S. Caterina e gli Eretici, S. Agnese condotta alla casa di piacere), opera del cosiddetto Maestro dell'Adorazione dei Magi di Torino. Senza dimenticare le sete, dipinte da Giovanni Francesco Romanelli a imitazione di arazzi, alle pareti della Sala della Pace.

Palazzo San Giorgio

Il Palazzo delle Compere di S. Giorgio, situato tra i portici della Ripa (l'odierna via Sottoripa) e piazza Banchi, ha rappresentato a lungo il fulcro dell'attività marittima e commerciale della città. Il palazzo, esempio di architettura civile medioevale ricostruita, rimane il simbolo dei momenti gloriosi della storia della Superba. L'edificio originario venne costruito nel 1260 dal monaco cistercense dell'abbazia di S. Andrea di Sestri (l'odierna Sestri Ponente), frate Oliverio, per ordine del Capitano del Popolo Simone Boccanegra. Per la prima volta, la città si dotava di una sede politica separata da quella civile e religiosa, gravitante ancora sulla Cattedrale di S. Lorenzo. Il duecentesco palazzo fu sede del Comune solo per due anni, sino al 1262, quando Simone Boccanegra fu deposto e mandato in esilio. Nel 1451 il palazzo divenne sede del Banco di S. Giorgio, una delle banche più efficienti ed organizzate d'Europa, che gestì l'economia della Repubblica di Genova sino al XVII secolo. Nel 1570 il palazzo venne ampliato verso mare, con l'aggiunta di un nuovo corpo sul lato orientale. Nelle nuove sale furono collocate le statue dei protettori delle Compere di S. Giorgio, tra cui quella di Francesco Vivaldi. Tra il 1606 e il 1608 Andrea Semino (1525-1594) e Lazzaro Tavarone (1556-1641) affrescarono le facciate principali e laterali del nuovo corpo; nel 1912 Ludovico Pogliaghi ridipinse le facciate e i suoi disegni servirono da modello per i lavori di ricostruzione pittorica dei prospetti eseguito nel 1989 dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici. L'edificio fu restaurato nel 1899 dall'architetto di origine portoghese Alfredo D'Andrade che vi intervenne con l'intento di ripristinare l'intero nucleo medioevale. D'Andrade riaprì la loggia sul versante di piazza Banchi con il vestibolo e la sala (da lui chiamate del Capitano del Popolo e La Manica Lunga) e sistemò un nuovo portale sul lato a mare. Lo scalone d'onore fu aggiunto dell'architetto Marco Aurelio Crotta. Dal 1904 il palazzo è proprietà del Consorzio Autonomo del Porto di Genova, oggi Autorità Portuale.

Porta di S. Andrea o Soprana

Oggi segna il confine tra il centro storico e l'abitato moderno, posizione che, insieme all'oggettiva bellezza, ne ha fatto uno tra gli scorci più celebri del capoluogo ligure. Il baluardo, già compreso nella cinta del sec. IX, venne riedificato nel 1155, con forme simili alla coeva porta dei Vacca: tra le due torri, dalla pianta semicircolare, si apre perciò un varco ad angolo acuto, con archetti marcapiano, merlature e cammino di ronda.

I Musei di Genova

Galleria di Palazzo Rosso

Arrivati all'apice della potenza verso la metà del '600, i Brignole-Sale non poterono sottrarsi al fascino di "Strada Nuova". Richiese sei anni di lavori (1671-77) la sistemazione dell'edificio, con due piani nobili destinati a essere spartiti fra altrettanti assi ereditari; sulla facciata, un paramento a conci rossastri da cui il palazzo avrebbe preso il nome. Non da meno gli ambienti interni, che conferiscono ulteriore fascino alle opere raccolte nell'istituzione. Aperta da un ritratto d'Uomo (Principe moscovita) già attribuito a Pisanello, e oggi riferito al Giambono; è invece autografo il ritratto di Giovane eseguito nel 1506 da Albrecht Dúrer. Nella sala successiva è conservata una splendida Giuditta con la testa di Oloferne del Veronese, cui seguono un'Annunciazione di Ludovico Carracci e il S. Sebastiano di Guido Reni; superba anche la Morte di Cleopatra a firma del Guercino. è poi il turno di Orazio Gentileschi (Madonna col Bambino dormiente), Mattia Preti (Clorinda libera Olindo e Sofronia), Bernardo Strozzi (La cuoca, Madonna col Bambino e S. Giovannino) e del Grechetto (Viaggio della famiglia di Abramo), prima di salire al piano superiore, che si apre con un bozzetto (Fetonte al cospetto del padre Apollo) di Gregorio De Ferrari, relativo all'affresco già sulla volta del salone, distrutto dai bombardamenti del 1942: cui, per fortuna, scamparono le Allegorie di stagioni eseguite dallo stesso De Ferrari (Primavera, Estate) e da Domenico Piola (Autunno,Inverno). Degna cornice per i superbi ritratti di Geronima Brignole-Sale con la figlia Aurelia, di Anton Giulio Brignole Sale e di Paolina Adorno Brignole Sale, capolavori di Antoine Van Dyck.

Galleria di Palazzo Bianco

Altra residenza voluta dai Brignole-Sale, e impostata da Giacomo Viano (1712-16) sul modello di Palazzo Doria Tursi: con esito, invero, non troppo felice, testimonianza di un'architettura dalla vena creativa ormai inaridita. Considerazione certamente non valida per la galleria, che propone, nella prima sala, un pallio d'altare (scene della vita dei Ss. Lorenzo, Sisto e Ippolito) donato nel 1261 dall'imperatore d'Oriente Michele VIII Pateologo. I due ambienti successivi accolgono, rispettivamente, opere di pittura genovese e italiana del '500. Seguono quattro sale dedicate ai fiamminghi, a partire da Hans Memling (Cristo benedicente) e Gerard David, cui si devono i tre scomparti di un polittico (Madonna col Bambino, S. Gerolamo, S. Mauro abate e Crocifissione); per continuare con Jan Provost (Annunciazione), Jan Metsys (Carità), Peter Paul Rubens (Venere e Marte) e l'immancabile Van Dyck, rappresentato dal Cristo della moneta e dal Vertumno e Pomona. La visita continua con una sezione riservata a Caravaggio (Ecce Homo) e ai suoi seguaci, che precede una raccolta di pittori spagnoli, dove si distinguono la S. Orsola e la S. Eufemia di Francisco Zurbaràn. Da qui in avanti la galleria si concentra sugli artisti genovesi dei sec. XVII-XVIII: accanto ai nomi la S. Cecilia e la S. Teresa in gloria), il Grechetto (Crocifissione) e Valerio Castello (Madonna del Velo), rivestono particolare interesse i lavori di Gioacchino Assereto (S. Francesco in estasi), Giovanni Andrea Ansaldo (Salomè offre a Erodiade la testa del Battista) e Alessandro Magnasco, autore del celebre Trattenimento in un giardino d'Albaro.

Galata. Museo del Mare

Vicino all'Acquario, il Galata Museo del mare ha sede nell'antico Arsenale, in cui la Repubblica di Genova costruiva e varava la propria flotta. I quattro piani dell'edificio, realizzati in epoche diverse, hanno attraversato quattro secoli di storia, utilizzati nel tempo come fonderia di cannoni, laboratorio di veleria, piazzaforte militare, e deposito per le merci. Guillerme Vazquez Consuegra, l'architetto spagnolo che ha curato il progetto Galata, fa rivivere l'antico edificio avvolgendolo in una nuova "pelle" di cristallo, acciaio e legno, e creando un gioco di trasparenze che regalano inaspettati scorci sulla città circostante. Realizzata secondo una concezione museale che prevede cambiamenti ed evoluzioni, questa esposizione presenta la storia della navigazione genovese dal XV secolo fino agli anni '30 del Novecento e unisce le esigenze del rigore scientifico alla spettacolarità delle ambientazioni. Particolare attenzione è dedicata a tutti gli elementi della cultura materiale (costruzione della nave e vita a bordo) con una straordinaria raccolta di strumenti da lavoro e oggetti di uso comune che alla funzionalità della tecnica uniscono il design della forma.

Galleria nazionale di Palazzo Spinola

Fu costruito dai Grimaldi (1593) l'edificio sede dell'istituzione, posto a separare le piccole piazza inferiore e piazza superiore di Pellicceria, sulle quali rivolge due ingressi contrapposti. Donato allo Stato nel 1958, conserva arredi barocchi e decorazioni di grande pregio, con una preziosa Galleria degli Specchi - al secondo piano - decorata da affreschi (Venere e Bacco con Amore, Pan battuto da Amore, trionfo di Galatea) a firma di Lorenzo De Ferrari. Scenario adeguato per una quadreria di notevole prestigio, aperta da una Risurrezione attribuita a Tintoretto; nella sala successiva si distinguono il ritratto di monaca di Bernardo Strozzi e il Viaggio di Abramo del Grechetto. Repertorio ancora più ricco al piano superiore, con il secondo salotto che accoglie i quattro Evangelisti di Antonie Van Dyck, cui si affiancano l'AmorSacro e AmorProfano di Guido Reni e lo Sposalizio della Vergine, opera di Valerio Castello. Pezzi pregiati della terza sala sono, invece, un bozzetto (Ultima Cena) di Giulio Cesare Procaccini e la Vergine in preghiera di Joos van Cleve. Il terzo piano è riservato alle opere non comprese nella donazione degli Spinola, con due capolavori quali l'Ecce Homo di Antonello da Messina e il ritratto equestre di Gio Carlo Doria eseguito da Peter Paul Rubens. Senza dimenticare due dipinti (Ss. Erasmo e Cerolamo, Santo Vescovo e S. Pantaleo) a firma di Carlo Braccesco, una raffinata specchiera (Mito di Paride) di Filippo Parodi e la Giustizia scolpita da Giovanni Pisano per il sepolcro di Margherita di Brabante.

Museo del Tesoro di S. Lorenzo

Sistemato in quattro ambienti sotterranei - un vano centrale a pianta esagonale e tre thòloi innestati sui vertici alterni - fu progettato nel 1956 da Franco Albini. Tale scenario, con i muri rivestiti di pietra nera di Promontorio, confernsce ulteriore fascino ai reperti in mostra: a partire dal Sacro Catino, simbolo dell'istituzione, tradizionalmente identificato con il Santo Graal ma in realtà opera d'arte islamica (sec. IX). All'epoca romana (sec. I) data invece il piatto di S. Giovanni, in calcedonio: lo smalto raffigurante la testa mozza del Battista e la legatura in argento dorato furono aggiunte nel '400. Nella stessa sala, sono conservate l'arca delle Ceneri del Battista, opera di Teramo Danieli e Simone Caldera (1438-45), tuttora impiegata per la processione del 24 giugno, e l'arca del Barbarossa, che si vuole donata alla cattedrale da Federico I nel 1178. Di grande rilievo anche la croce degli Zaccaria, reliquiario bizantino (sec. X, ma rifatto nel '200) in lamina d'oro con gemme e perle orientali: secondo la tradizione, i frammenti di legno al suo interno apparterrebbero alla croce di Cristo.

Museo di Storia Naturale

Il Museo di Storia Naturale prese vita il 24 aprile 1867, quando il Consiglio Comunale approvò all'unanimità la proposta del marchese Giacomo Doria relativa alla sua istituzione. Fondatore, e quindi direttore del Museo per oltre quarant'anni, Giacomo Doria (1840-1913) è iniziato alle Scienze Naturali da padre Armand David, futuro esploratore della Cina e del Tibet, e da Luigi De Negri, futuro preparatore del Museo. Si tratta di un uomo di grande iniziativa, animato da sincera passione naturalistica, che dedicò all'Istituzione la sua preziosa attività di studioso e organizzatore, sostenendola anche con gran parte del suo patrimonio. La prima sede del Museo era nella villetta Di Negro, una palazzina appartenente al marchese Gian Carlo Di Negro, situata nel centro della città e già nota ai genovesi come luogo di incontri di letterati e poeti. Il Comune l'acquistò e l'affidò a Doria con il compito di trasformarla in una struttura in grado di collocare e presentare al pubblico le raccolte. Queste furono inizialmente rappresentate dalle preziose collezioni zoologiche donate dallo stesso Doria, comprendenti esemplari rinvenuti durante i suoi viaggi in Persia (1862) e all'isola di Borneo (1865, insieme al botanico Odoardo Beccari), e da due importanti collezioni ereditate dal Comune: la raccolta geologica e paleontologica del marchese Lorenzo Pareto e quella malacologica del principe Oddone di Savoia. La successiva crescita delle collezioni, soprattutto zoologiche, avvenne grazie ai numerosi viaggi di esplorazione promossi da Doria, sotto gli auspici della Società Geografica Italiana (di cui egli fu per molti anni presidente). Le mete di questi viaggi furono l'Arcipelago Indo Malese, varie regioni dell'Asia, dell'Africa e del Sud America, e vi parteciparono una serie di illustri studiosi che spesso divennero anche autori della descrizione di specie nuove. Si possono citare, tra i tanti, Luigi Maria D'Albertis, Leonardo Fea, Arturo Issel, Orazio Antinori, Odoardo Beccari. L'affluenza di esemplari divenne nel tempo tale da non poter più essere contenuta dagli angusti spazi di villetta Di Negro, così venne decisa la costruzione di una nuova sede, anche in considerazione della fama acquisita dal Museo. Il progetto fu affidato all'architetto Cordoni, il quale, insieme a Raffaello Gestro, prima di iniziare i lavori, visitò i maggiori musei d'Europa. L'inaugurazione dell'attuale sede avvenne il 17 ottobre 1912, in occasione della riunione annuale della Società per il Progresso delle Scienze. Alla cerimonia, che vede affluire studiosi da tutto il mondo, non assiste però Giacomo Doria, da tempo costretto all'immobilità nella sua villa di Borzoli dalla malattia che lo condusse alla morte il 19 settembre 1913. Alla morte di Doria venne nominato direttore Raffaello Gestro, collaboratore e ricercatore del Museo fin dalla sua fondazione, che rimase in carica fino al 1934, lasciando un' impronta rilevante della sua opera.

Teatro Carlo Felice

L'esigenza di dotare la città di Genova di un teatro in grado di ospitare spettacoli di prestigio e agire così da motore della vita cittadina cominciò a farsi sentire sul finire del XVIII secolo, allorché i due teatri esistenti, il Falcone e il Sant'Agostino, non furono ritenuti più in grado di svolgere un ruolo così importante. Del resto nel 1799 l'architetto Andrea Tagliafichi aveva presentato un progetto per un teatro a palchetti e il poeta genovese Martin Piaggio si era fatto portavoce di questa esigenza, assai sentita dai genovesi. Il 24 dicembre 1824 venne costituita l'Eccellentissima Direzione dei Teatri, presieduta dal marchese Ettore Veuillet d'Yenne de la Sauniere, governatore della città di Genova: l'area urbana adatta ad ospitare il nuovo edificio era stata individuata in precedenza nel cuore della città, in piazza San Domenico (l'attuale piazza De Ferrari), sulle rovine dell'antico convento. Dopo lunghe discussioni, nel 1821 ciò che rimaneva del complesso religioso era stato abbattuto; il 31 gennaio 1825 Carlo Barabino presentò il progetto per la costruzione di un nuovo teatro. Il Carlo Felice venne inaugurato il 7 aprile 1828 con la rappresentazione di Bianca e Fernando di Vincenzo Bellini. La struttura architettonica era assai originale. Un teatro, in genere, è costruito secondo una successione rettilinea di più corpi, dall'atrio alla sala al palcoscenico; Barabino ha invece piegato a 90 gradi l'edificio, che guardava così al centro storico e nello stesso tempo si volgeva con la facciata principale verso la nuova piazza, destinata a divenire il fulcro della Genova moderna. Il teatro, di gusto neoclassico, si presentava come un corpo massiccio se pur elegante. La facciata a Sud del teatro era dotata di un colonnato in stile dorico, realizzato con marmo di Carrara. Ai lati era possibile far accedere direttamente le carrozze all'ingresso del teatro. In cima al pronao giganteggiava una statua raffigurante il genio dell'Armonia, opera dello scultore Giuseppe Gaggini. Si accedeva all'interno attraverso tre porte arricchite, sopra le cornici, di bassorilievi raffiguranti rispettivamente la Musica, la Commedia e la Tragedia. Sul timpano era sistemato lo stemma civico e in seguito venne posto anche un orologio destinato a diventare il regolatore ufficiale della città. Una scalinata immetteva ai portici esterni e un'altra introduceva nel vestibolo dal quale si saliva al ridotto (composto da una galleria, due grandi sale e un salone centrale) utilizzando tre rampe di scale; la sala era considerata una delle migliori del tempo per la risposta acustica. Come in quasi tutti i teatri dell'epoca erano previsti in platea anche posti in piedi; cinque erano gli ordini di palchi (contenevano 33 palchi ciascuno) e alla sommità era posto il loggione, capace di 141 posti. Il teatro poteva ospitare una totale di circa 2500 spettatori. Numerose furono le opere di restauro e ammodernamento che subì il teatro a partire dal 1859 fino al 1934, anno dell'ultimo intervento. Un momento drammatico fu quello vissuto dal teatro e dalla città durante la seconda guerra mondiale: molti furono gli edifici colpiti e le bombe non risparmiarono neppure il Carlo Felice: colpito una prima volta nel novembre 1942 fu ristrutturato per permettere la ripresa dell'attività. Il 26 marzo Alberto Erede vi diresse un concerto con la partecipazione di Gina Cigna, Toti Dal Monte, Giovanni Malipiero e Enzo Mascherini: fu l'ultimo importante appuntamento nel vecchio Carlo Felice integro. L'8 agosto in una fatale incursione aerea, l'edificio del Barabino venne colpito da spezzoni incendiari che spazzarono via l'intera struttura lignea. Subito dopo la fine della guerra si cominciò a parlare di ricostruzione; il primo progetto presentato fu quello di Paolo Antonio Chessa nel 1951.

Nel 1963 questo venne definitivamente accantonato e le autorità comunali affidarono l'incarico a Carlo Scarpa; dopo diverse modifiche il progetto venne approvato nel 1977 ma la morte improvvisa di Scarpa a Tokyo bloccò il progetto. Si arrivò così all'appalto-concorso, che venne vinto dal progetto di Aldo Rossi. Il 7 aprile 1987, a 159 anni dall'inaugurazione dell'edificio del Barabino, ha avuto luogo la cerimonia della posa della prima pietra. Nel giugno 1991 il Carlo Felice è stato ufficialmente consegnato al Teatro Comunale dell'Opera. Il nuovo teatro, costruito da Aldo Rossi, recupera un'idea già presente nei progetti di Chela e di Scarpa: la creazione di una piazza coperta di 400 mq di superficie, dove il teatro fosse il collegamento ideale tra Galleria Mazzini e piazza De Ferrari. La piazza è un foyer all'aperto; le pareti sono rivestite con lastre di pietra e sono arricchite da colonne e travature in metallo. Sono due le esigenze che gli architetti hanno voluto tenere presenti nella realizzazione del nuovo teatro Carlo Felice: anzitutto la necessità di ricostruirlo esattamente dov'era e in secondo luogo il voler dotare la nuova struttura della più avanzata tecnologia. Da quest'ultima necessità nasce l'imponente torre scenica alta circa 63 metri. In pratica del vecchio teatro opera del Barabino rimangono le colonne, il pronao, l'iscrizione latina e il terrazzo che si affaccia su via XXV Aprile al quale si accede da uno dei foyer; la struttura odierna è molto compatta e geometrica, la torre scenica è un parallelepipedo sviluppato in altezza molto lineare, adornato soltanto da un cornicione. La platea, i foyer e i servizi per il pubblico sono contenuti in un parallelepipedo più piccolo, sul quale hanno rilievo il pronao e il portico. Quanto alla costruzione del nuovo teatro sono stati usati per gli esterni la pietra, l'intonaco e il ferro, per gli interni il marmo e il legno. Si tratta di materiale duraturo che suggerisce un'immagine di eternità e di sicurezza. Un'ampia scala immette nell'atrio. Dall'ingresso del teatro, scendendo una scalinata, si entra in una sala capace di circa 200 posti. Fornita di un piccolo palcoscenico e indipendente dal resto del teatro, la sala ospita convegni, conferenze e incontri musicali. Dall'atrio si raggiungono la sala stampa e il primo foyer. Il foyer principale ha una superficie di 660 mq ed è arricchito da affreschi e arazzi. Un elemento caratteristico del nuovo Carlo Felice è la lanterna poligonale visibile nel foyer sovrastante l'ingresso; si tratta di una sorta di piramide o cono luminoso che percorre l'edificio in tutta la sua altezza e ne attraversa tutti i piani, portando la luce dal tetto alla piazza coperta.

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