«Pertini: vocazione alla libertà» di Mario Guidotti


Scrivere la voce «Sandro Pertini» per un'enciclopedia potrebbe sembrare facile: il personaggio è popolare, luminoso, concreto, privo di ambiguità e sottofondi, inadatto agli equivoci; e al tempo stesso è ricco di storia e di vicende; una storia e delle vicende che s'intrecciano con quelle dell'Italia. Nessun Presidente della Repubblica, in questo senso, è rappresentativo come lui: più di sessant'anni di vita italiana s'incrociano con la vita di Sandro Pertini, anche quando di lui non si parlava perché non si poteva parlare, perché era rinchiuso in un carcere o al confino. Nessun Presidente della Repubblica, al tempo stesso, è stato tanto esaltato, in carica, tanto glorificato e tanto presente in tutti gli avvenimenti, belli e brutti (purtroppo più brutti che belli) del suo settennato; e questo può costituire una remora per qualche storico che rifugga dall'unirsi ai cori dei «laudatores». Ma sarebbe una remora ingiustificata. Se si analizza il favore che Pertini ha incontrato fin dall'inizio e ha conservato negli anni del Quirinale, rafforzandolo anzi, si deve concludere che egli ha meritato il consenso degli Italiani e l'immagine che di lui gli Italiani si sono fatta; immagine che peraltro è corrispondente alla realtà del personaggio, che riproduce esattamente l'uomo-uomo e il leader, il Presidente. Direi, anzi, che i mass-media non c'entrano o sono stati ininfluenti (per fortuna; perché a volte, troppo lodandolo, sono capaci di rendere antipatico l'oggetto delle loro lodi). La lunga vita di Sandro Pertini si può dividere in due parti, anche cronologicamente quasi uguali. La prima fu poco conosciuta, ma non meno importante, e fu consustanziata dall'eroismo; la seconda è quella pubblica che la maggior parte degli italiani conosce bene e che comincia con il rirpristino della libertà e della democrazia in Italia, e cioè con la fine della guerra. Nato a Stella, in provincia di Savona, nel 1896, di formazione umanistica, Pertini si nutre di buone letture ma al tempo stesso considera la realtà che lo circonda; ed è la realtà di un paese stagnante in una condizione di apparente benessere, ma di sostanziale ingiustizia sociale. Il benessere è quello dell'«Italietta» ordinata e sicura del primo Novecento, «quando la lira faceva aggio sull'oro», ma piena di paure e di chiusure; chiusure ai nuovi soffi di rinnovamento che venivano dall'Europa, da paesi ideologicamente e culturalmente più avanzati. Il giovane Pertini studiava, avidamente leggeva, respirava quest'aria nuova che veniva da fuori. Laureato in giurisprudenza e poi in scienze sociali nel famoso Istituto «Cesare Alfieri» di Firenze, Pertini «sentiva» che stava finendo l'epoca dei nazionalismi, delle angustie, degli sbarramenti. E ciò nonostante partecipò alla prima guerra mondiale, fece il suo dovere, ebbe anche un riconoscimento per il suo valore. Ma a guerra finita capì che c'era un dovere più alto di quello di difendere la Patria; era il dovere di affermare nel Paese la libertà reale e una giustizia non apparente: «Non c'è libertà senza giustizia e non c'è giustizia senza libertà»: questo è stato sempre il suo principio. Ed ecco così Pertini fare una scelta di vita: l'attività politica per realizzare valori che non esistevano in Italia, per riscattare gli oppressi, per difendere i lavoratori, per costruire nel Paese una democrazia autentica, non solo sulla carta. Aveva davanti a sé una brillante carriera di avvocato (già aveva dato eccellenti prove); ebbene preferì la battaglia, la lotta politica nel segno del socialismo dal volto umano. Troppo lungo sarebbe rifare qui la storia delle vicende pertiniane in quel tormentato periodo del dopoguerra, quando il fascismo da nero fantasma divenne tragica realtà italiana e poi europea. Ricorderemo che egli fu sempre in prima fila dove c'era da rischiare; non da temerario irragionevole, ma da combattente illuminato e coraggioso. In prima fila nel partito socialista, in prima fila nell'azione antifascista. Nel suo partito ebbe la stima dei suoi capi più anziani, a cominciare da Turati. E con Turati fu autore di una fuga in Francia passata alla storia. Perseguitato dalle squadre fasciste, processato, condannato dal Tribunale speciale, mai si piegò, mai cedette, né sul piano delle idee né su quello delle azioni. Fu esule in Francia; prima a Nizza dove impiantò a sue spese una stazione trasmittente per svolgere propaganda antifascista verso l'Italia, poi a Parigi dove per sopravvivere fece tutti i mestieri, dal muratore al «laveur de taxi». Clandestinamente tornò in Italia e si rimise a cospirare contro il regime, ma fu scoperto, imprigionato e condannato. E cominciò così una lunga reclusione che doveva durare oltre quindici anni. La giovinezza Pertini l'aveva spesa in lotte e sofferenze, la maturità la consumò in prigione, con altrettante sofferenze, ancora lottando. Nel 1967 uscì un libro presso l'editore Mondadori; era intitolato «Sandro Pertini: sei condanne, due evasioni». Non l'aveva scritto lui, ma gli zelanti funzionari di polizia, i magistrati, i cancellieri, tutti coloro che avevano verbalizzato i suoi interrogatori, le sue condanne o registrato le sue evasioni. Uno scrittore di teatro, Vico Faggi, aveva raccolto negli Archivi di Stato questo materiale assolutamente inedito, anzi sconosciuto a tutti e l'aveva raccolto d'accordo con il protagonista di due drammi. Ne venne fuori un'opera che gli Italiani debbono conoscere e meditare; ne risultò un personaggio di grandissima statura morale e politica, un uomo tutto d'un pezzo ma al tempo stesso aperto, umano, illuminato; un uomo che seppe sopportare con grande dignità e fierezza il lunghissimo periodo del carcere, dell'isolamento, del confino, che rifiutò la grazia, che non si piegò mai e che fu l'ultimo, una volta caduto il fascismo, a imbarcarsi dall'isola in cui era confinato, dopo il 25 luglio del 1943, perché voleva che prima ritrovassero la libertà tutti gli altri detenuti politici. Dopo il carcere e il confino, comincia per Pertini, quasi subito, la Resistenza. Il fascismo rinasce dopo l'8 settembre, rimesso su dal nazismo; e Pertini è il primo a combattere, a Roma, subito dopo l'armistizio. Riprende l'attività clandestina. Non è più giovanissimo, ma si fa portare al Nord per dirigere la lotta partigiana: combattente e politico è il capo del partito socialista nell'Italia occupata; e nei giorni della sommossa finale e della liberazione, nell'aprile del '45 è uno dei protagonisti. L'Italia è liberata, ma è distrutta; il Paese è pieno di macerie; ma accanto alle rovine materiali, ci sono quelle spirituali, sociali, politiche; bisogna ricostruire la democrazia ora che si è riconquistata la libertà. Ed ecco Pertini ancora in prima linea, in pace come lo era stato in guerra, in quella Resistenza nella quale era stato un eroe, riconosciuto e decorato; eccolo subito nella Consulta, nel '45 e poi nella Costituente che doveva preparare la nuova carta costituizionale degli italiani. Quindi comincia il lavoro nel suo partito e, più largamente, nel campo della difesa e del riconoscimento dei diritti dei lavoratori italiani. Prima senatore, poi deputato, Pertini, per il suo carattere indipendente e alieno da ogni compromesso, appare un politico diverso dagli altri che caratterizzano la classe politica italiana; anche nel suo stesso partito, mantiene la sua assoluta libertà di giudizio e di azione, pur mai trasgredendo quelle idee e quei principi che aveva mutuato dai maestri del socialismo. Viene ripetutamente eletto deputato nella sua circoscrizione ligure, quindi ascende alla carica di Vicepresidente della Camera dei Deputati. Infine nel 1968 viene eletto Presidente della Camera e lo rimane per due legislature. E' a Montecitorio che la personalità di Pertini si esprime in tutta la sua statura. Dirige l'assemblea con grande imparzialità ed energia, si merita il rispetto di tutti i parlamentari, anche di quelli dell'opposizione, di quella parte dell'opposizione che doveva essere a lui più ostile e che invece è portata a rispettarlo prorpio perché lui, come Presidente, è al di sopra della parti. Usa dire: «Combatto la tua idea, ma darei il mio sangue perché tu non perda la libertà di esprimerla». Dopo due legislature, lascia la Presidenza della Camera che, per un accordo fra i partiti, passa a un comunista. Ma nel 1978, dopo una grave crisi presidenziale, si riccorre a lui per il più alto incarico: quello di Presidente della Repubblica. Il Paese, gli Italiani, avevano bisogno di lui. Il resto è storia recente, storia che dura ancora. Pertini è la figura che gli Italiani aspettavano da un pezzo. Un Presidente che rispetta il Parlamento perché da esso è stato espresso e di una parte di esso è stato alla testa, ma anche un Presidente che non cede su quelle che sono le sue prerogative, che non esce dai suoi binari ma che neanche ci fa entrare altri, rispettoso come nessuno della Costituzione e delle prerogative che questa assegna appunto al Presidente della Repubblica. Pertini è asceso al Quirinale proprio quando cominciavano gli anni di piombo; mentre il Paese viveva la tragedia del terrorismo, gli Italiani non hanno perso la speranza proprio perché al vertice c'era quest'uomo, perché la sua presenza e la sua azione li rassicuravano sulla sopravvivenza della libertà e della democrazia. Pertini, purtroppo, ha dovuto assistere a tanti funerali di vittime del terrorismo, è corso dove avvenivano sciagure nazionali come quelle del terremoto, ma è stato presente anche ad eventi lieti, è intervenuto nel momento giusto in tutto, con autorevolezza, con tempismo, con competenza come si è visto nelle varie crisi di governo, nelle attribuzioni degli incarichi, in atti fondamentali o anche gravi, seppur necessari, come nello scioglimento delle Camere. Pertini ha aperto le porte del Quirinale a tanti Italiani, soprattutto ai giovani, ai giovanissimi, ai ragazzi per i quali ha sempre avuto una grande predilezione; e i ragazzi lo adorano, vedono in lui la figura del padre, di colui che li protegge. Pertini infine ha risollevato il prestigio dell'Italia all'estero, con i suoi viaggi, le sue visite ai vari Capi di Stato dai quali è stato sempre accolto in modo eccellente, con stima e simpatia. La sua semplicità e al tempo stesso la sua solennità, la sua stessa estroversione, gli hanno procurato una considerazione davvero universale. Con lui l'Italia non ha mai disperato.

 

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