«Basket: l'alto vince» di Aldo Giordani


Vladimir Tkacenko è un ucraino. Misura due metri e venti e pesa centotrenta chili. E' il più alto giocatore di basket di tutte le squadre nazionali del mondo. Ma - tra i due metri e dieci e i due metri e quindici - di «gigantissimi» se ne trovano molti. Tra i due metri e i due metri e dieci, sono addirittura un'infinità. Il basket, allora, è diventato uno sport per soli «grattacieli ambulanti»? Il primo «perticone» che comparve alle Olimpiadi (si era a Londra nel 1948) fu Bob Kurland. Misurava due metri e tredici, giocava nella squadra degli Stati Uniti. Nessuno aveva mai visto su un campo di basket un atleta così alto. Oggigiorno, giocatori di quella statura sono abbastanza frequenti anche in Italia: il nostro Tonino Fuss misura un centimetro di più. Effettivamente, il basket di oggi ha bisogno di queste inarrivabili «guglie». Ma il motivo non è quello della maggior facilità nel segnare, come possono pensare i profani: «sono così alti - si sente dire - che infilano la palla nel canestro come un comune mortale può imbucare una lettera». No, il motivo tecnico che li rende indispensabili è un altro: la cattura dei cosiddetti «rimbalzi», cioè dei palloni vaganti dopo un tiro sbagliato. I rimbalzi sono importantissimi: prenderli significa effettuare più tiri degli avversari. Per questo, in genere, chi ne cattura di più vince la partita. Ecco, in questa specifica fase di gioco la statura è determinante. Per segnare, invece, la statura non è un fattore di decisivo vantaggio: il canestro è posto a m. 3,05 da terra, e anche un normolineo riesce oggi a depositare la palla nella retina dall'alto verso il basso. Per i rimbalzi, invece, la statura - specie se unita al peso, per formare l'ingombro volumetrico - costituisce un vantaggio notevole. Ma il basket di oggi è talmente dinamico, talmente rapido, che i «giganti» - per essere davvero utili - debbono essere atleti completissimi, molto mobili ed agili, non fenomeni da baraccone. Ci fu viceversa un'epoca in cui si andò alla ricerca del «mostro» da mandare sul terreno. L'URSS fece ricorso a Vladimir Akthaiev, che misurava due metri e ventinove, ma era così lento da risultare più di danno che di aiuto. Poi fu la volta di Jan Krumin, un boscaiolo del Baltico di metri due e ventitré che fu presentato sempre dall'URSS in un paio di Olimpiadi, dove - per l'appunto - fu annichilito da Bill Russel, sedici centimetri più basso di lui, ma dotato di enorme elevazione, di mobilità e di tempismo eccezionali. Il Brasile volle affidarsi ad Emil Rached (m. 2,28), ma neppure costui riuscì in pratica a sfondare. Lo stesso Tkacenko, pur più agile degli altri «mammuth» citati, riesce utile alla squadra nella misura in cui tutto il gioco non viene appoggiato su di lui, ma distribuito (come il basket richiede) fra tutti i componenti del quintetto in campo. Il basket, senza alcun dubbio, ha bisogno dei «giganti». E' sport «di élite », nel senso che - ad alto livello - è limitato agli atleti di più alta statura e di magqior resistenza. Ma il basket ha anche bisogno dei normolinei, degli atleti comuni, sia pure di statura leggermente superiore alla media. Non mancano giocatori molto bravi anche sull'uno e settanta, ma la media dei «piccoli» è sull'uno e ottantadue. Cosa fanno questi «piccoli», in mezzo alle torri «stratosferiche» che li sormontano dalla cintola in su? Come «convivono»? I «piccoli», nel basket, costruiscono il gioco. Lo impostano, lo creano, lo sviluppano. Sono i «piccoli», nel basket, che tengono le redini di una squadra; sono i «piccoli», di solito, che fungono da registi da «playmakers». E' da loro che parte la scintilla creativa di ogni azione. Cinque «gigantissimi» non riuscirebbero a fare una squadra. Non riuscirebbero a giocare. Cinque « piccoli» - sia pure nell'accezione speciale che questa parola assume quando si parla di basket - riescono a tenere il campo, con la sola lacuna dei «rimbalzi». Sono i «piccoli» che preparano le munizioni per i «giganti»; sono loro che dalla media e dalla grande distanza fanno «saltare» le difese più munite. Per questo il basket è detto «sport-di-tutti», nel senso che ha bisogno di chiunque: anche se, ad altissimo livello, i «piccoli» sono giocatori sul metro e ottantacinque; i «medi» sul metro e novantotto (almeno); e gli «alti», dai due metri e cinque in su. Certo, i «gigantissimi» hanno fatto la storia del basket. Il record del bottino individuale in un incontro (record forse imbattibile tra i professionisti) appartiene a Wilt Chamberlain con cento punti. Questo Chamberlain misurava due metri e tredici, ma da ragazzo era stato uno specialista dei quattrocento metri: basta questo per dire la sua mobilità e la sua rapidità. Diventarono leggendari i suoi duelli con Bill Russell, di due metri e sette, ma capace di ottenere anche nel salto in alto la qualificazione per le Olimpiadi! E' stato Bill Russell, sostanzialmente, a inventare le «stoppate» difensive, cioè gli interventi che deviano il tiro degli avversari e richiedono agilità e tempismo; oggi sono in molti i giocatori che si sono specializzati in questa sorta di «parate» sul tiro altrui. Wilt Chamberlain e Bill Russell erano negri: sono viceversa bianchi Bill Walton e Tom Burleson, il primo di due metri e quindici, il secondo di due metri e ventitré. Essi - in epoca successiva agli altri due - hanno rivaleggiato con Abdul Karim Jabbar (m. 2,17) per la qualifica di miglior «pivot» del mondo. Sì, perché questi gigantissimi sono per lo più i «pivot», cioè i perni delle squadre. Ma al giorno d'oggi, quando si superano i due e otto non sono quasi mai i centimetri di maggior statura che possono fare la differenza. Per questo, in genere, come statura si equivalgono - eccezioni a parte - tutti i «pivot» moderni, che appunto misurano attorno ai due metri e dieci. Ma non si creda che siano pochi, i gigantissimi. Anche in Italia, dove pure si ritiene che la media sia piuttosto bassa, se ne sono trovati e se ne trovano molti, anche nel Meridione. Il basket dunque non è uno sport «per soli giganti», anche se indubbiamente, per vincere un'Olimpiade oppure un campionato del mondo, dei «giganti» non si può fare a meno. Si può giocar bene fin che si vuole, ma se non si prendono i famosi rimbalzi non si vince. Il miglior basket, al di fuori degli Stati Uniti, che (grazie anche ai giocatori di colore) restano la mecca di questo sport, si gioca nel Pacifico, da cinesi, filippini, giapponesi, coreani: non hanno i «gigantissimi» - anche se contano su qualche elemento oltre i due metri - ma i loro normolinei hanno un'agilità, una elevazione, un «pacchetto» così ampio di doti fisiche, che realizzano effettivamente un basket da manuale. La «razza gialla» è un po' a metà strada tra il «positivismo» dei bianchi, che sono più classici, più sostanziali, e la «inventiva» dei negri (d'America), che danno del gioco un'interpretazione più avanzata, più acrobatica, grazie anche alla plasticità dei loro movimenti, alle flessuose movenze feline che mantengono anche nel vivo della lotta più acre. Il più geniale giocatore del mondo viene considerato Julius Erving, negro di metri due e due, che riesce a fare con la palla tutto ciò che è possibile ad uno «scoiattolo» venti centimetri più basso di lui e ad una «giraffa» dieci centimetri più alta. Ma il basket non è soltanto una vetrina di campioni. Il basket lo possono giocare e lo giocano anche i bambini, con attrezzatura graduata a seconda dell'età. Possono fare tutto quel che fanno i «grandi» fuorché «schiacciare». La schiacciata è uno degli happening più esaltanti del basket: la palla viene affondata con violenza nella retina, ed è come una scossa elettrica che si propaga allo spettatore. Però, oggigiorno, schiacciano anche i giocatori più bassi delle squadre più forti. Hanno meno occasioni di farlo durante le partite, perché i canestri sono presidiati da arcigni «granatieri» dai lunghi tentacoli che alle schiacciate oppongono le non meno elettrizzanti stoppate. Ne hanno tuttavia la potenziale capacità, che del resto talvolta si traduce in atto. Da quando si è approfondita la tecnica per ottenere un aumento nella elevazione (oggi - come è noto - per saltare più in alto l'allenamento consiste nel lasciarsi cadere dall'alto verso il basso!) raggiungere il canestro non è più un problema per nessuno. Nel tentativo di limitare l'influenza dei «giganti» si era discusso a lungo la proposta di alzare i canestri, di metterli ad esempio sessanta centimetri più in alto. Ma si è finito per non farne nulla, per la semplicissima ragione che, più il canestro è alto, più aumenta il vantaggio dei giocatori alti sugii altri: infatti, oggi il rimbalzo è corto, immediato, e allora i giocatori di minor statura possono contenderlo grazie ad una maggior tempestività, ad una più accentuata fulmineità di intervento. Se invece il rimbalzo fosse a parabola più lunga e accentuata, la statura dei «gigantissimi» avrebbe sempre il sopravvento. Si può dire del resto che i «Gulliver» nel settore maschile non hanno più un vantaggio insuperabile: Vladimir Tkacenko può essere contrastato. Invece nel settore femminile non c'è niente da fare contro le (rare) «gigantesse»: ad esempio Uliana Semionova, di Riga, nella repubblica sovietica di Lettonia, grazie alla stazza che le consentono i suoi due metri e dodici per centoquindici chili, non può essere praticamente contrastata, e fa il bello e il cattivo tempo nelle competizioni femminili. Contro Tkacenko (e i suoi simili) gli avversari si impegnano, saltano, cercano di contrastarlo. Di fronte alla Semionova le avversarie desistono, tanto non ci sarebbe nulla da fare: e allora il tono agonistico ne scapita. Il basket dunque è certo lo sport che meglio consente una partecipazione di vertice agli «specimen» morfologici di più alta statura. Registra in essi alcuni dei suoi più validi praticanti, ma peraltro non circoscrive ai «gigantissimi» le sue ribalte anche più prestigiose. La storia delle stesse Olimpiadi è piena di nomi di atleti normali, da Beard a Pippin, de Jones a Goodrich e a Ford, per non citare i moltissimi europei, asiatici e sudamericani che sono riusciti a svettare anche senza costringere la gente a voltarsi quando camminavano per la strada. Soprattutto, il basket è sport di tutti nella pratica quotidiana delle palestre di ogni angolo del globo, dove, coi canestri e la palla a spicchi, si divertono, ogni anno, circa trenta milioni di giocatori: almeno i due terzi di essi sono di statura normale.
 

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