«Vita sportiva: il primato di Torino» di Gian Paolo Ormezzano
La città più immobilista d'Italia, la città dei «bôgianen» (quelli che non si muovono, dal francese bouger, con il «nen» dialettale che sta per «non»), è stata ed è la città più sportiva d'Italia. Torino ospita questo ennesimo controsenso, ed è un controsenso vivo, mentre altri sono da museo, come quello del cinema: la città più grigia ha fatto nascere (ma ha poi lasciato andar via) l'industria della fantasia meglio sposata alla tecnica; come quello della radio: la città più silenziosa ha fatto nascere l'industria delle voci, anch'essa migrata a Roma. Il controsenso sportivo non è fossile, come non lo è, ad esempio, quello spiritistico: Torino, la città più soda e pratica d'Italia, è la capitale della magia bianca e nera, e i suoi cittadini più seri passano le notti evocando fantasmi e facendo ballare tavolini... Lo sport italiano è nato quasi tutto a Torino. O se proprio non vi è nato, vi è cresciuto. Nel 1884 nacquero a Torino le prime società di ginnastica: le prime in Italia, fra le prime in Europa. Ma andiamo per ordine, seguendo la presentazione dei vari sport fatta da Stefano Jacomuzzi, il massimo storiografo italiano di queste faccende muscolari e spirituali, ovviamente un torinese. L'alpinismo, va da sé, ha avuto i natali dove sono le montagne più alte, e Torino sta all'ombra dei meglio monti d'Europa. La Savoia, a cavallo tra Francia, Svizzera e quella che comunque si chiamava già Italia, ha «fatto» nascere, non solo ha «visto» nascere, l'alpinismo. Troppo facile, qui, il primato di Torino. Per far nascere invece la ginnastica, si dovette aspettare l'arrivo di uno svizzero, Rodolfo Obermann, istruttore degli artiglieri-pontieri dell'esercito sardo-piemontese. Con Ernesto Riccarli di Nestro, questo Obermann fondò a Torino, nel 1844, la Società Ginnastica Italia. Prima, di ginnastica si era sì parlato, da noi, ma sempre soltanto a Torino, dove Obermann era approdato già da undici anni. Passiamo all'atletica leggera: l'embrione della Federazione, l'Unione Podistica Italiana, nacque a Torino nel 1896. Nel febbraio del 1898 nacque, sempre a Torino, l'Unione Pedestre Torinese, che poi diede vita ad una Unione Pedestre Italiana, più seria e operante dell'Unione Podistica: da lì, la Federazione. Se atletica pesante, e scherma, e pugilato non sono torinesi di nascita, lo è lo sci, perché fu proprio lo Sci Club Torino la prima società sciistica, e da una sua costola nacque l'Unione Ski Clubs Italiani (1908): ma anche qui c'è il «troppo facile» del fattore campo, come per l'alpinismo... Il pattinaggio è torinesissimo, nato sui ghiacci del Valentino tra la fine dell'800 e gli inizi del '900: nato ufficialmente, vogliamo dire, ché questa pratica era già nel costume della città da molto tempo. Il nuoto no, ma il canottaggio sì, tutto il canottaggio italiano discende da Torino. E' vero che nel 1861 c'era già la Canottieri Limite, sull'Arno, ma il primo club che svolse attività ufficiale fu la Canottieri Cerea, torinese, nata sul Po nel 1863 (cerea, in dialetto, vuol dire «salute!»). Nel 1888 i soci della Cerea promossero a Torino il Rowing Club Italiano, cioè la Federazione vera e propria. E' torinese anche tanta parte della sferistica. Ma parlando di pallone si pensa soprattutto al calcio. E dunque: Torino, 15 marzo 1898, nasce la Federazione Italiana del Football. Su quattro squadre che presero parte al primo campionato italiano quell'anno, tre erano torinesi (l'Internazionale Football Club, il Torinese Football Club, la Società Ginnastica): vinse la quarta, il Genoa Cricket and Athletic Club, la cortesia piemontese toccò qui uno dei suoi vertici... Rugby e pallacanestro no, e neppure tennis e baseball e hockey a rotelle o su prato. Ma chi dà i natali al calcio ha tutti i diritti di essere stremato da tale parto. Nata a Pavia, e con sede a Como, nel 1885, la Federazione Ciclistica Italiana (ma allora si chiamava Unione Velocipedista Italiana) fu trasferita a Torino l'anno seguente. Quasi una seconda nascita. Quanto all'automobilismo, il fattore campo, cioè il fattore Fiat, significa che Torino facilmente fu ed è «tutto». Nel 1898 nacque l'Automobile Club Torino, che l'anno dopo prese il nome di Club Automobilisti d'Italia, e nel 1904 diede vita all'Unione Automobilistica Italiana (dal 1905 Automobile Club d'Italia). Motociclismo e motonautica e aeroclub no, qualche avance torinese sugli sport equestri, se si ricollega la loro nascita alle scuole militari di cavalleria. Stesso discorso per le federazioni di tiro a segno e a volo. Torinesissima è invece la Federbocce: l'Unione Bocciofila Italiana nacque a Torino nel 1919 per iniziativa dell'Unione Bocciofila Piemontese, costituitasi a Rivoli, periferia della città, ventidue anni prima. Dei grandi sport che ha fatto nascere, Torino ha conservato per sé, ad alti livelli di pratica, soprattutto il calcio. Il canottaggio è «tornato» a Torino alla fine degli anni Settanta, per un accordo tra la Fiat e la Federazione. La ginnastica è scappata via. Il ciclismo piemontese ha smesso di produrre grandi atleti, pur avendo prodotto il più grande di ogni tempo, Fausto Coppi. L'automobilismo si è fatto milanese (Alfa Romeo) ed emiliano (Ferrari), però è rimasto anche piemontese, con l'attività agonistica di Lancia e Fiat: e da quando la Ferrari è diventata di proprietà Fiat, il cuore economico della Formula 1 torna a battere sotto la Mole. Nell'insieme, il movimento sportivo a Torino è vivissimo per via di una decisione veramente storica della Fiat: con la nomina a sovrintendente del Centro Sportivo Fiat di Giampiero Boniperti, l'ex calciatore diventato presidente della Juventus, si è avviato, presso la grande industria torinese, un discorso sportivo totale, senza limiti di spesa e di idee. In pratica la Fiat ha ritenuto opportuno, diremmo quasi doveroso, per la sua immagine, entrare massicciamente nello sport, dove fra l'altro esisteva un vuoto di potere, oltre che una vacanza di idee e una carenza di mezzi. Il Centro Sportivo Fiat ha dato aiuti, quasi avocando a sé alcune federazioni (su tutte quella del canottaggio). In pratica Torino, dopo avere dato nascita «poetica» allo sport italiano, rischia (ottimo, lodevole rischio) di dargli una autentica vita organizzativa. In una nazione dove lo sport non riesce ad attirare interessi autentici da parte dello Stato, non riesce a entrare nella scuola, la Fiat ha preso su di sé in prima persona un compito immane, contando di trascinare il resto dell'industria. L'iniziativa, partita da Torino, non dovrebbe stavolta «fuggire» in altre città, anche perché non c'è un'altra Fiat. La produzione di campioni è stata abbastanza parallela, in Torino, alla produzione di sport. La città ha prodotto campioni anche in discipline che pure non sono nate nelle sue cliniche sportive: si pensi ad esempio alla scherma, al nuoto, ai tuffi. Quanto al collegamento fra produzione di attività sportive e produzidone di campioni, è stato sempre abbastanza stretto, almeno sino agli anni Cinquanta: torinesi molti calciatori celebri, torinese il primo italiano campione del mondo di formula 1 (Nino Farina). Poi c'è stato un calo, senza spiegazioni. Si è parlato di primo benessere, ovattante i muscoli. Ma intanto la ricca Lombardia produceva calciatori in serie. Il Torino dello scudetto 1975-76 aveva otto giocatori titolari dell'hinterland milanese, e nessun torinese, anzi nessun piemontese! Non esiste in realtà una ragione della scarsa presenza di Torino nello sport di vertice, a livello, diciamo così, carnale, cioè a livello di produzione di campioni. Le spiegazioni tentate non sono convincenti: la città ha ormai un hinterland dove lo sport può apparire come una regola per sopravvivere all'alienazione; l'elemento meridionale ha raggiunto, in larga parte almeno, una sicurezza economica che è anche tranquillità proteinica, assunzione di buona carne. Non si capisce perché Milano debba produrre, con la sua periferia, buoni campioni, e Torino no. A meno - ecco forse il punto, aiuto! - di decidere che i modi anzi i moduli di vita di Torino sono antisportivi, che la città è a priori umiliatrice, ammosciante, coercitiva. Che, vietandosi ogni fantasia, si vieta anche quello sport, che di fantasia continua a nutrirsi, pur chiedendo ormai anche altro, molto altro. In effetti sembra difficile vivere a Torino e fare sport. Le stesse grandi società di calcio preferenziano, per i loro allevamenti, la cosiddetta ghettizzazione di lusso, sistemano gli atleti giovani in pensioni di periferia, o addirittura in campagna. La città, che pure ha più verde di Milano, si nega abbastanza allo sport. Quando da esso è travolta, attraverso le manifestazioni «ecologiche» di massa, riesce facilmente a sistemarlo in un'ottica da giardino zoologico. Una Stramilano è fatta da tutti i milanesi, pochi stanno a guardare. Una Stratorino vede abbastanza torinesi sezionati dagli sguardi di moltissimi torinesi. Diciamo delle due podistiche che chirurgicamente, ogni anno, laparatomizzano e svelano le due città. Il perché di tutto ciò, nella Torino che ha visto, anzi fatto nascere lo sport italiano, è difficile da rintracciare. Non è possibile parlare di saturazione, lo sport casomai crea sempre nuove voglie. Forse ha semplicemente funzionato il ritegno subalpino, sabaudo. La paura di sudare e di essere scomposti. La paura di mettersi dalla parte dei debitori, verso qualcosa: e se poi lo sport piacesse e chiedesse altra dedizione? Ma sempre siamo al «forse». In realtà nello sport non esistono mai spiegazioni chiare per il declino, così come non ne esistono per l'ascesa. Ciò non significa che lo sport sia qualcosa di matto, di sregolato; semplicemente, significa che noi non abbiamo gli strumenti per individuare i suoi cicli, i suoi movimenti-mutamenti. Sarebbe interessante una storia di Torino attraverso i suoi fasti e nefasti sportivi. La città ha vissuto grossi, intensi momenti, tradotti subito in vita nazionale. Si è fatta una nomea assai positiva: nessun evento sportivo, se è autenticamente valido, a Torino fallisce; ma ogni evento sportivo che non sia autenticamente valido, a Torino è sicuro di fallire. Esistono teatranti i quali, per quelle che sono le esigenze del loro mestiere, hanno deciso di affidare a Torino queste virtù di giudice, queste doti di sentenziatrice. Lo stesso Gassman attende sempre di sapere da Torino se un suo spettacolo è valido o no. Torino ha assunto per tempo la convinzione che lo sport è vita, e mai ha offerto allo sport entusiasmi epidermici, provvisori. Per questo la storia delle sue vicende sportive è assolutamente storia della città.
