«Anni Venti: le tappe del jazz» di Daniele Ionio
Espressione musicale originale dei negri americani, la cui caratteristica è rappresentata dall'improvvisazione (anziché dalla composizione, come nella musica occidentale), il jazz non tende tanto a configurarsi in valori melodici o armonici definitivi, quanto ad articolarsi ed esaltarsi attraverso il ritmo (il quale può considerarsene la matrice), la sonorità timbrica dello strumento e la pronuncia della nota. Il musicista di jazz è colui che suona e quindi inventa la propria musica (la quale non può, di conseguenza, venire scritta e reinterpretata), non l'eventuale autore del tema o della sequenza armonica su cui si basa l'improvvisatore. I compositori di jazz e soprattutto gli arrangiatori svolgono il proprio lavoro in funzione di questi elementi che sussistono anche laddove minore è l'improvvisazione vera e propria: ad esempio, l'arrangiatore di una grossa orchestra deve tener presente la personalità dell'orchestra per cui lavora, le sue caratteristiche ritmiche, sonore, timbriche, e inoltre anche la personalità del solista o dei solisti che interverranno a improvvisare in determinati punti dell'arrangiamento. Il jazz à nato approssimativamente all'inizio del nostro secolo a New Orleans, città portuale, a quell'epoca, di rilevante prosperità, dove confluirono i vari momenti della tradizione popolare negro-americana come il rag-time pianistico, gli spirituals e i gospel songs (canti religiosi), il work song (canto di lavoro), il field holler (canto dei campi) e il blues (canto profano), il quale ultimo costituisce il filone principale e l'essenza del jazz, non solo per la sua formazione ma anche per il suo successivo sviluppo. Caratteristiche del blues sono le «blue notes», determinatesi nell'incontro fra la scala pentatonica della musica africana (costituita da cinque toni) e quella diatonica occidentale (con sette toni). Le «blue notes» sono, appunto, le due note mancanti alla scala pentatonica, che il cantante negro cercava di fissare in una nota imprecisa, ondeggiante fra quella precedente e la successiva. Il jazz nasce, infatti, dall'incontro del musicista negro-americano con la musica occidentale, liturgica o bandistica, e dalla diversa sopravvivenza, nelle varie zone americane, della cultura originaria africana (come il voodoo). In tale fusione parte importante hanno svolto i Creoli, numerosi in quella ex colonia francese che è New Orleans, i quali avevano conosciuto una posizione di privilegio rispetto ai negri, assimilando così in maggior misura la cultura d'origine europea. Musicisti creoli erano presenti nelle bande, popolarissime già nella seconda metà dell'Ottocento in America. E buona parte del jazz di New Orleans ha, appunto come le bande, una funzione sociale: nascono così le prime jazz bands, come quella del suonatore di cornetta Buddy Bolden, la prima leggendaria figura del jazz, che purtroppo non fece a tempo a incidere dischi. Funzione sociale d'intrattenimento il jazz svolse, ai suoi albori, anche nel quartiere del vizio di New Orleans, dove dominò a lungo il pianista Ferdinand «Jelly Roll» Morton, che ha conferito veste jazzistica alla tradizione del rag-time, uno dei rami del jazz in cui è soprattutto avvertibile l'assimilazione della musica europea (questo genere era stato perfezionato da Scott Joplin, di cui rimangono alcuni rulli di pianola, trasferiti poi su disco). L'industrializzazione di Chicago, avvenuta con la prima guerra mondiale, portò verso questa città parecchi negri del Sud in cerca di lavoro: non ultimi i musicisti che, con la chiusura di Storyville, erano venuti a perdere una fonte di guadagno. La storia del jazz, verificabile attraverso i dischi, comincia appunto con questa fase chicagoana, quando la totale polifonia, imperniata sul tipico trio cornetta-clarino-trombone, già comincia ad evolversi verso l'improvvisazione solistica. Il primo disco di jazz venne inciso nel 1917 da un complesso bianco, l'Original Dixieland Jass Band («jass» è l'originale grafia di «jazz»): si tratta di un documento di scarso valore artistico, importante invece perché questa band si rifaceva ancora fedelmente ai moduli polifonici di New Orleans. I primi dischi negri sono quelli delle cantanti di blues, da Mamie Smith all' insuperata Bessie Smith. Nel 1923 escono le prime incisioni della famosa Creole Jazz Band del cornettista Joseph «King» Oliver (l'ultimo «re» di New Orleans, che aveva strappato tale titolo, attraverso le consuete gare di bravura, a Freddie Keppard, un altro cornettista che, per paura di venire copiato, perse l'occasione di essere il primo ad incidere un disco di jazz): con questa band suonava Louis Armstrong che appunto in quegli anni, e soprattutto nei dischi del '25-'26 con i suoi Hot Five, è destinato a rivoluzionare il corso del jazz, spingendolo prepotentemente verso l'espressione solistica. Fino a questo momento il contributo bianco al jazz è secondario (né, del resto, si creerà mai una tradizione bianca nell'ambito di questa musica, ma solo una successione di singole figure isolate, la prima delle quali è quella del cornettista Bix Beiderbecke, negli anni Venti). Inizialmente i bianchi che facevano del jazz appartenevano ai ceti più poveri ed erano prevalentemente immigrati. Verso la fine degli anni Venti, a Chicago, s'avvicina invece al jazz un gruppo di studenti della media borghesia bianca, fra cui il dotato clarinettista Frank Teschmaker: è questo il primo passo fondamentale verso la «nazionalizzazione» del jazz in America, che si verificherà nel corso degli anni Trenta, soprattutto attraverso l'orchestra, il quartetto e il clarino di Benny Goodman, battezzato il «re dello swing». L'America scopre la potente carica ritmica, lo swing, appunto, del jazz, e se ne serve come antidoto alla depressione economica seguita alla grande crisi del 1929. Inizia l'epoca delle grandi orchestre. Quella di Goodman si serviva anche di alcuni musicisti negri, e diversi suoi arrangiamenti erano di Fletcher Henderson, che agli inizi del precedente decennio aveva messo in piedi quella che cronologicamente fu la prima orchestra di jazz; nei primi anni, tuttavia, questa orchestra, da una parte si rifaceva ai moduli New Orleans, dall'altra alla musica melensa e sentimentale delle orchestre commerciali bianche, le uniche in grado di fornire un modello. Un originale, autonomo linguaggio orchestrale in senso jazzistico verrà promosso, alla fine dello stesso decennio, da Duke Ellington, la cui musica ha dominato da allora per molti anni la scena del jazz. La fortuna dello swing provocò un'ampia standardizzazione del jazz, il cui autentico filone va ricercato attraverso musicisti e orchestre che agivano soprattutto nell'ambito delle sale da ballo negre, dall'orchestra di Bennie Moten a quella di Chick Webb, con cui debutta la cantante Ella Fitzgerald. Il linguaggio orchestrale viene perfezionato, in questo periodo, da Jimmie Lunceford, mentre Count Basie, a Kansas City (divenuta, grazie all'intensa attività dei gangsters, la nuova Mecca del jazz), pur restando, sul piano del successo, nell'ombra di Goodman, rielabora i temi popolari della tradizione jazzistica in nuove forme ritmiche. Nelle grosse orchestre militano i maggiori musicisti e i migliori cantanti, come la vocalista Billie Holiday, che rinnova il filone del blues, il sax tenore Coleman Hawkins, considerato il padre del saxofono nel jazz; il sax alto Johnny Hodges; le trombe Rex Stewart, Cootie Williams, Red Allen, Roy Eldridge; il pianista Earl Hines; il sax tenore Lester Young, che anticipa il cammino del nuovo jazz sorto durante la seconda guerra mondiale, subito dopo il fenomeno del «revival» che ha riportato a galla e ridato fama a pionieri come Sidney Bechet e Kid Ory e instaurato la voga delle neo orchestre dixieland. Il be bop, poi chiamato semplicemente bop, termine onomatopeico, sorge in parte come reazione alla standardizzazione dello swing, ma soprattutto è la nuova presa di coscienza del negro-americano attraverso l'esperienza bellica. Nasce clandestinamente al Monroe's e al Minton's di New York con la tromba Dizzy Gillespie, la chitarra Charlie Christian, il pianista Thelonious Monk (che verrà riconosciuto soltanto dopo il 1956) e soprattutto con Charlie Parker, sax alto, che opera una rivoluzione sul piano armonico e ritmico, e la cui influenza durerà anche dopo la sua morte (avvenuta nel 1955), lungo il successivo hard bop, da cui emerge la personalità di Sonny Rollins, e nel quale compaiono elementi del gospel e dello spiritual, dando luogo al soul jazz, che corre parallelo al rhythm and blues praticato nelle sale da ballo negre. Nel dopoguerra, a fianco del bop, si forma una scuola bianca di musicisti, capeggiata dal pianista Lennie Tristano, dove emerge particolarmente il sax alto Lee Konitz, che dà vita al cool jazz («jazz freddo»), la cui breve ma intensa stagione coincide con il clima inquieto degli anni della guerra fredda, clima che sta alla base anche del «progressive jazz» della grossa orchestra di Stan Kenton, l'ultima grossa orchestra di rilievo, assieme a quella di Woody Herman. Il risveglio negro-americano, attraverso le insurrezioni dei ghetti e la definizione politica della lotta per la libertà suscita l'opera protestataria di musicisti jazz come il batterista Max Roach e il bassista Charles Mingus all'inizio degli anni Sessanta, e l'affermazione di una cultura autonoma negra, con agganci e riferimenti al mondo africano e asiatico, che si concretizza nella cosiddetta new thing («nuova cosa»): è la rivoluzione musicale operata dal sax tenore e soprano John Coltrane, con il superamento dei tradizionali schemi di progressione armonica e un'evoluzione dei valori ritmici; a questo svincolamento concorrono anche il sax alto Ornette Coleman con il suo free jazz ed il pianista Cecil Taylor. Attorno al 1964 la «new thing» e il «free jazz» vengono potenziati da una nuova generazione che fa capo al saxofonista tenore Albert Ayler: il nuovo jazz tende a rivalutare il discorso collettivo attraverso l'improvvisazione simultanea e l'effetto totale dei singoli suoni. Nel successivo decennio si possono segnalare le esperienze «estremistiche » di Archie Shepp, violentemente polemico nei confronti della cultura occidentale e di Sun Ra, la cui esibizionistica proiezione «cosmica» si salda col razionale distacco di Milford Graves nella contestazione dei tradizionali valori europei e nella perdurante ricerca della perduta identità afro-americana vagheggiata come nuovo possibile «modello di cultura» alternativo.
