«I trapianti d'organo e la legge» di Pino Donizetti


Uno dei capitoli più drammatici della medicina moderna si svolge nei reparti di dialisi dove si recano, in generale due volte la settimana, i malati affetti da gravi insufficienze renali per depurare il proprio sangue col rene artificiale. Si tratta di individui affetti da lesioni oltreché gravi, per lo più inemendabili nel senso che il parenchima renale non è più in grado, né potrà più esserlo in avvenire, di svolgere la sua funzione svelenatrice, e quindi esclusivamente al rene artificiale è affidata la vita di questi soggetti. Con la dialisi però non si fa che guadagnare qualche battaglia, ma oltretutto a che prezzo! Il costo medio all'anno di un malato oltrepassa i 3 milioni con un impegno di personale, di apparecchi e di organizzazione che aumenta di anno in anno, con sezioni superaffollate e apparecchiature che funzionano giorno e notte. La cura delle insufficienze renali non acute per mezzo della dialisi è quindi un trattamento di attesa, quello di elezione essendo rappresentato dal trapianto renale, il solo che sia la soluzione razionale e, quando riesce bene, definitiva dell'insufficienza renale terminale. A questo punto il discorso svolta su due argomenti di estrema delicatezza rappresentati dal problema dell'attecchimento di un trapianto e da quello relativo al dono di tutto il corpo o di un organo da parte dell'uomo ad un suo simile. Ora l'attecchimento di un trapianto è sempre molto aleatorio essendo diversi i fattori che lo condizionano, di natura immunitaria, per cui solo nel caso di fratelli monocoriali si ha il massimo delle situazioni favorevoli, mentre nei casi dove non esista grado di parentela fra i due soggetti, i problemi dell'istocompatibilità sono numerosi e di difficile soluzione. Per il dono di tutto il corpo si tratta di problema umano, religioso e giuridico che si può dire solo nel XVI secolo, sotto l'impulso di Vesalio, il grande anatomista fiammingo e della scuola di Padova, comincia ad avviarsi a soluzione, sia pure nella sola versione «post mortem». A poco a poco la dissezione viene tollerata, è lecito che gli scienziati del tempo si servano di un cadavere per i loro studi e questa pratica non è più considerata un sacrilegio. E mentre prima gli studiosi potevano usare solo il corpo dei condannati a morte, ci si comincia a rendere conto che aiutando i medici nello studio dell'anatomia, si contribuisce al progresso delle conoscenze mediche con un vantaggio per tutta l'umanità. «Hic gaudet mors succurrere vitae», è il motto che si legge nelle sale anatomiche e i risultati si traducono in preziose conoscenze sulla fisiologia e la patologia umana. I corpi dei soggetti abbandonati o senza parenti, morti in ospedale, vengono legalmente concessi a scopo di studio, mentre si registrano i primi casi di «laici» che lasciano il proprio corpo in eredità alle Università di medicina per la dissezione a scopo di studio. Con l'avvento dell'era delle trasfusioni viene introdotto un nuovo principio: quello del dono da parte di un essere vivente di un «organo» come il sangue che anche se liquido non è per questo meno importante. Al dono del sangue, reso possibile dalla scoperta dei gruppi sanguigni e della istocompatibilità, si viene ad innestare una tecnica ricostruttrice d'avaguardia e che sta redimendo la chirurgia demolitrice: quella appunto dei trapianti d'organo. In questo dominio il rene rappresenta una posizione prioritaria in senso assoluto, sia per il numero di interventi eseguiti a tutt'oggi nel mondo intero, sia per gli indubbi successi ottenuti. Ed è proprio il trapianto del rene che per molte cliniche chirurgiche è ormai diventato di «routine» a porre drammatici interrogativi, non solo di carattere scientifico, ma soprattutto sotto l'aspetto umano e giuridico. «Caro dottore, questa lettera siete voi che la leggerete, ma è al mondo intero che la vorrei indirizzare. Io ho provato il più terribile dolore che una madre possa sentire: mio figlio è morto per un incidente della strada. Quando il direttore del reparto di rianimazione ha chiesto a me e a mio marito il permesso di prelevare i reni del nostro ragazzo per aiutare un malato a vivere aveva l'aria di trovarsi a disagio. Invece io mi vergognai. Sì, mi vergognai di non averci pensato da sola. Oggi io piango mio figlio ma so che una parte di lui non sta dissolvendosi sotto terra e che il suo passaggio nella vita (troppo breve) non sarà stato inutile. Dottore, io non credo in Dio ed è in questo dono che trovo un po' di conforto». Questa lettera è stata scritta da una madre francese al dottor J. Crosuier e rappresenta una presa di posizione di estrema nobiltà e che molto timidamente, purtroppo, comincia a farsi strada fra le persone più moralmente forti e dotate di una grande carica d'amore verso i propri simili. Ore 2 del mattino: nel grande complesso chirurgico-ospedaliero entrano quasi contemporaneamente tre signori che vengono lasciati passare senza intoppi dal custode di turno. Hanno la barba lunga e il viso un po' stanco: si tratta di tre medici venuti a constatare che un paziente sotto tecnica rianimatoria è entrato nella fase irreversibile di encefalogramma piatto. Anche se il soggetto, dal quale partono fili, cannucce, aghi, lacci, tubi, che respira «a macchina», ha un colorito roseo pur essendo in coma, con un cuore che batte abbastanza regolarmente, l'uomo è irrimediabiimente morto. E poiché per legge devono passare almeno 24 ore dall'accertamento della morte, al momento in cui è lecito effettuare un prelievo di organo da un cadavere, la Commissione dei tre è venuta per constatare se oltre ad altri segni puntualizzati dalla legge, anche l'elettroencefalogramma è completamente silente. La determinazione del momento della morte rende lecita, dal punto di vista etico, la cessazione dei tentativi di rianimazione e, nei Paesi in cui la legge lo permette, il prelievo del rene o di altri organi dal cadavere sarà possibile. Ma per giungere a questo stadio che in 24 ore renderà operativo il trapianto, vediamo cosa dice espressamente la legge. Ai sensi del regolamento di polizia mortuaria la morte, ai fini dell'inumazione o di pratiche di autopsia, viene constatata alla fine di un periodo di osservazione di 24 ore dall'arresto della funzione cardiocircolatoria, respiratoria e nervosa. Ora, poiché con queste norme la possibilità di asportare un rene per il trapianto era preclusa, dato che l'organo deve essere estratto dal donatore quando è ancora in atto un'attività circolatoria, venne messo a punto il Decreto Ministeriale del 9-1-1970 relativo all'accertamento della morte cerebrale per il prelievo di organi ai fini di trapianto. Le metodiche dirette all'accertamento dei soggetti sottoposti a rianimazione per lesioni cerebrali primitive possono essere impiegate allorché risulti nei soggetti medesimi la contemporanea presenza di: 1) stato di coma profondo accompagnato da: a) atonia muscolare; b) ariflessia tendinea; c) indifferenza dei riflessi plantari; d) midriasi paralitica con assenza del riflesso corneale e del riflesso pupillare alla luce. 2) Assenza di respirazione spontanea, dopo sospensione per 2 minuti primi di quella artificiale, da controllarsi immediatamente prima del prelievo. 3) Assenza di attività elettrica cerebrale spontanea e provocata. Con l'arrivo dei tre medici al Centro dei Trapianti è cominciato il conto alla rovescia: spetterà a loro, dopo aver accertato che si è instaurata nel soggetto in coma la fase di elettroencefalogramma piatto, dare 24 ore dopo il via al bisturi del chirurgo, perché esegua l'espianto del rene in un soggetto morto anche a tutti gli effetti giuridici. Sul terreno pratico, quindi, la casistica disponibile per un prelievo di organi risulta molto modesta già per il condizionamento della legge, a cui vanno aggiunte le altre ragioni di carattere tecnico rappresentate essenzialmente dalla istocompatibilità fra donatore e ricevente, istocompatibilità che deve presentare un indice sufficiente ad evitare la reazione di rigetto. Infatti a monte dell'intervento sta tutta una ricerca intesa a tipizzare i soggetti nonché una complessa organizzazione clinico-amministrativa che rende possibile, con le premesse del successo, l'incontro sublime donatore-ricevente. Ma se le 300 «équipes» e più che si occupano nel mondo di trapianto renale detengono saldamente il comando sia per il numero, sia per la qualità dei risultati ottenuti, con numerosi pazienti che vivono a oltre 10 anni dall'intervento, non vanno trascurati gli altri trapianti, in primis il trapianto cardiaco, che presenta una battuta d'arresto (più che altro di interesse da parte della stampa) ma non per questo è stato abbandonato; al contrario, si continua a sperimentare, alla ricerca anche di nuove tecnologie, come ad esempio quella attuata da Barnard di un doppio cuore (lasciando sempre in posto il vecchio), che promette di essere una nuova strada non priva di interesse. In Europa non va poi dimenticato il professor Shumway di Marsigiia, che ha al suo attivo oltre 100 casi di trapianto cardiaco con il 50 per cento di sopravvivenza a un anno e dei pazienti che si mantengono bene a diversi anni di distanza. «I malati affetti dalle stesse forme» sostiene il professore Shumway «nei quali la cardiopatia presentava il medesimo grado di gravità, e che non hanno subito il trapianto, sono tutti deceduti in meno di un anno». Subito dopo il cuore vengono i trapianti di fegato, che negli ultimi anni Settanta hanno trovato nuovi sostenitori con risultati sempre più incoraggianti. Il leader di questo trapianto, l'americano Starzl, oltre ad essere il creatore della tecnica, estremamente complessa e difficile, è anche un attento studioso dei problemi immunologici, ed è stato l'iniziatore della utilizzazione delle globuline antilinfocitarie. Seguono in ordine di importanza i trapianti di polmone, di pancreas, di midollo osseo, di timo, milza, laringe, ipofisi. I trapianti d'organo restano indubbiamente al primo piano delle acquisizioni terapeutiche della chirurgia in questo scorcio di secolo, e le varie «équipes» che lavorano in tutto il mondo, affiancate da immunologi, biochimici, farmacologi, genetisti, fisiologi, nonché da tecnici di varia estrazione. stanno continuamente migliorando i loro risultati. Tutti hanno concordato sulla «insolubilità» dei problemi etici e morali della scelta del donatore e delle enormi difficoltà di pronunciarsi sul «momento» della morte. Queste e altre considerazioni hanno indotto, almeno per quanto riguarda i trapianti di cuore, ad aderire alla tesi del dottor De Sakey, il famoso cardio-chirurgo americano, di proseguire parallelamente le ricerche intese ad innestare sull'uomo un cuore artificiale. Questa possibilità che sembrava remota e ancora confinata nella fantamedicina ha assunto una maggior consistenza dopo che il dottor Frank Hastings, direttore del programma di ricerca del famoso istituto di Cardiologia di Bethesda, ha comunicato i risultati delle sue esperienze. Si tratta di un cuore artificiale alimentato da una pila elettrica che trova la sua fonte di energia nel sangue. E' fabbricato con un particolare materiale gommoso, ricoperto di tessuti venosi prelevati dalle gambe del paziente, e ciò per evitare alcuni disturbi della coagulazione osservati quando il sangue viene a contatto di varie materie. La pila, posta all'inizio dell'aorta, è in plastica porosa, l'ossigeno e il glucosio contenuti nel sangue vi entrano in contatto in presenza di un catalizzatore a lamella d'oro. L'energia liberata dalla reazione chimica viene trasformata in elettricità destinata a far funzionare la pompa cardiaca. Frank Hastings è convinto che questo modello di cuore presenti numerosi vantaggi rispetto ad altri modelli alimentati dall'energia del plutonio radioattivo, recentemente sperimentati in alcuni animali. Uno di essi è stato infatti trapiantato su una cagna che è vissuta vari mesi dopo il trapianto e alla quale è stato anche cambiato il nome da Star in Plutonia. Il cuore artificiale, ove possa venire realizzato, rappresenta certo la soluzione ideale, date le difficoltà di ogni genere che incontrano i trapianti da donatore, da quelle legate alla reazione di rigetto a quelle che si incontrano per il reperimento di donatori validi e per la legislazione vigente. Il cuore infatti non è compreso nell'elenco «merceologico» che, a somiglianza di quello allegato alle licenze per un pubblico esercizio, specificante le «voci» dei prodotti di cui è permessa la vendita, è stato compilato dal legislatore per informare il chirurgo sugli organi che la legge del suo Paese gli consente di prelevare da un cadavere per eseguire un trapianto. La legge del 1957 elenca i seguenti organi: bulbo oculare, le sue parti e annessi; le ossa e superfici articolari; i muscoli; i tendini; i vasi sanguigni; il sangue; la cute; il midollo osseo; le aponeurosi e la dura madre. Nel 1965, potenza del progresso, è stato incluso anche il rene. Il rene sì e il fegato no, e col fegato altri organi che nei paesi con legislazioni «barbare» e non «romane» vengono usualmente trapiantati come il pancreas, l'orecchio medio, il cuore e altri organi; questo rappresenta un limite, anche e soprattutto di carattere etico, all'esercizio dell'arte medica, che è ben difficile poter condividere. Senza mezzi e per di più ostacolata dalla legge, è veramente solo per merito di qualche «eroe» se in Italia la chirurgia prosegue il suo cammino anche se, prevalentemente, non può che avanzare a rimorchio dei paesi più progrediti.

 

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