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Svezia Le spine del Benessere di Edoardo R. Gummerus
«Svezia: le spine del "benessere"» di Edoardo R. Gummerus
In Svezia la società del benessere (o dei consumi), portata a un livello senza paragoni in Europa, appare, a qualche distanza, come una realizzazione sociale contenente in germe contraddizioni che potrebbero sfociare nel suo superamento. Come concepire infatti il benessere se non come l'appagamento delle aspirazioni fondamentali e legittime della persona, mentre questa società viene effettivamente a contraddire invece molte di tali aspirazioni? Per svolgere il suo programma essa impone limitazioni fastidiose al cittadino, gli prescrive le sue scelte e i suoi introiti, inaridisce la sua vita affettiva, gli dà un senso di noia, senza nessuna valida ragione di vita, non tiene in dovuto conto i valori superiori dello spirito. Non diremo che nella società svedese si manifestino in assoluto queste tendenze, l'asservimento economico e tecnico, la riduzione delle libere scelte, l'aridità affettiva, il materialismo e la negazione dei significati spirituali e morali; anche questa società è rimasta, malgrado tutto, un consorzio misto, dove coesistono atteggiamenti e mentalità contrastanti, molto di più di quanto si creda. Comunque l'esperienza svedese del ventennio fra il 1948 e il 1968 fornisce moniti significativi di quel predominio del morale sul fisico che è additato nella parabola evangelica, («l'uomo non vive di solo pane»...) ed é vano e controproducente supporre il contrario. Anzi, è proprio questo predominio dell'essere morale, dell'anima sul corpo, che troviamo, vagamente e confusamente sentito, alla base di molte manifestazioni d'intolleranza e di protesta, specie fra i giovani. E' doveroso, tuttavia, sottolineare che il sistema svedese del benessere ha dato, rispetto alle situazioni storiche precedenti, benefici inestimabili a una nazione che appena un secolo fa era tra le più povere, spesso ridotta alla miseria, decimata dalla tubercolosi e dall'emigrazione. ll progressismo sociale ha liberato gli Svedesi dall'assillo della fame e della povertà, offrendo l'assistenza sociale come diritto civico e non più come elemosina, la casa calda, pulita e comoda, la maternità e la vecchiaia assicurate, il sussidio per i figli, le vacanze pagate e garantite, il diritto allo studio per tutti, i ritrovati della tecnica messi a disposizione di ognuno. Dal 1900 in poi un popolo formato in prevalenza di contadini, retto da ordinamenti sociali feudali o classisti, è diventato una nazione democratica di cittadini progrediti e benestanti. Dal lato passivo, invece, l'evoluzione della società svedese del benessere non sembra, anche a darne un giudizio cauto, aver favorito, come si sperava, i valori dello spirito: valori estetici, valori poetici e letterari, valori culturali in genere, individuali e collettivi. Era naturale, d'altronde, che un popolo appena uscito dalla povertà continuasse a dare la preferenza a quei fattori materiali che lo aiutarono a vincere la miseria ancestrale, legata a un clima poco propizio e a una terra abbastanza ingrata. lnoltre, essendo la società del benessere per definizione un sistema di massa, secondo la tesi dell' utilitarismo (il maggior bene al maggior numero) essa tende a favorire la media dei gusti e dei desideri.
Nell'appagare questi materialmente, tiene poco conto delle minoranze nonconformiste, nei vari campi impone un livellamento e una pressione sociale notevole, subordinando le esigenze ideali alle necessità tecnico-economiche che ne sono la fonte. Il benessere prende il sopravvento sulla libertà e sugli altri valori immateriali che possono anche decadere a passatempo innocuo e insignificante. Sorgono così contrasti difficili con la vita, gli ideali e le aspirazioni delle persone non allineate, che sono poi imbrigliate da una burocrazia abbastanza autoritaria, implicita nel sistema di controllo sociale. Per una sua logica intrinseca la società del benessere produce, a causa delle sue contraddizioni interne, fenomeni eversivi, che rischiano di annullare il suo stesso significato (si noti la distruzione, per puro vandalismo, di oggetti di pubblica utilità), accumulando nuove contraddizioni difficilmente risolvibili. Come concepire, infatti, un benessere che si accompagni necessariamente alla riduzione delle libertà sociali e individuali, o comunque alla loro rigida regolamentazione, se la libertà di scelta ne è la condizione essenziale? Non sappiamo finora, in base all'esperienza svedese, se si tratta di fenomeni di transizione o di assestamento, se gli errori attuali della società del benessere a lungo andare si elimineranno automaticamente; sembra un'illazione poco credibile, benché non manchino tendenze sociali che potrebbero dizioni interne più sentite. E' innegabile, ad esempio, che la società del benessere e la mentalità che vi predomina hanno un effetto deleterio e dissolvente - scontato e spesso approvato dai progressisti radicali - sulla vita di famiglia, in quanto una loro condizione programmatica è l'inserimento totale della donna, figlia, sposa o madre, nelle attività economiche fuori di casa; le ripercussioni sulla vita affettiva, e in particolare sulla gioventù, frustrata nei sentimenti e abbandonata a una vita sregolata, sono vaste e deplorevoli. Ne risulta un clima di aridità e frigidità affettiva che è caratteristico di molti ambienti cittadini moderni, costruiti da architetti bene indottrinati per la maggiore gioia e «benessere» degli abitanti. La contropartita è una promiscuità sessuale esplicitamente assecondata da varie autorità allo scopo inconfessato di sgretolare ogni norma morale e ogni legame familiare per i fini collettivistici della «mobilità sociale»; l'amore viene degradato a mero giuoco di compagnia, soddisfazione di un appetito come un altro, quella proclamata «sazietà genitale» che serve anche da diversivo alla noia sociale; i distributori automatici di preservativi ne sono i monumenti pubblici. Ovviamente l'istituto del matrimonio è particolarmente inviso ai circoli radicali, e si praticano già matrimoni «misti» o «interscambievoli» di gruppo.
In conseguenza di questa aridità affettiva anche le persone anziane sono estromesse dalla comune vita familiare e non hanno più quella funzione di nonni che è di tanta importanza per la continuità storica della famiglia e della nazione; la società del benessere, in questo senso, si avvia a essere una nazione senza passato e senza storia. In prevalenza gli anziani, a tempo debito, diventano ospiti più o meno consenzienti degli istituti per la vecchiaia, in genere ottimamente attrezzati e diretti, ma assolutamente impersonali. La programmazione del benessere a base rigidamente tecnocratica esige infine la già citata «mobilità sociale» del salariato e delle famiglie; qualsiasi prestatore d'opera, operaio o impiegato, può essere costretto, da un giorno all'altro, ad abbandonare la propria casa, frutto di lunghi sacrifici personali, nonché la località dove abita. Le esigenze delle imprese industriali che cessano l'attività (spesso a causa di quei costi di lavoro troppo alti che sono una delle contropartite del benessere) e il mercato del lavoro, di cui è arbitra l'apposita Direzione governativa, possono costringere il lavoratore a trasferirsi in località molto distanti, obbligandolo spesso a vendere la sua casa a basso prezzo: sempre che non debba rifarsi un nuovo mestiere nei corsi professionali di «rieducazione». Va da sé che anche se trasferito continuerà a pagare l'altissima, inesorabile imposizione fiscale progressiva sul reddito, che si aggira sul 30% per i nubili e che comporta l'autorizzazione per il fisco di indagare nei minimi dettagli della spesa privata; questo è il prezzo fiscale del benessere. al quale è da accostare l'otto per mille del reddito nazionale che si spende invece per le attività di cultura propriamente dette. Migliaia di boscaioli, operai dell'industria della cellulosa e altri hanno dovuto adattarsi ad abbandonare il focolare per queste ragioni impellenti del benessere. Ma anche più vaste e deleterie, socialmente, sono le ripercussioni della politica agraria che spopola interi comuni e intere regioni nell'interno del paese in favore di una centralizzazione demografica e industriale di dubbia efficacia.
Come nella società del benessere può non essere consentito all'operaio industriale di conservare il suo domicilio o di costruirsi la casa che gli piace (a causa delle disposizioni rigide sull'edilizia), così può non essere consentito al contadino di continuare a coltivare il suo campo. Nelle regioni di spopolamento, che comprendono quasi un terzo del paese, vengono aboliti d'autorità i servizi pubblici, la posta, le comunicazioni, le scuole, e i bambini delle poche famiglie rimaste ad abitarvi vengono trasportati giornalmente per lunghe distanze fino alla scuola del capoluogo più vicino, o anche alloggiati in appositi convitti. Questi lineamenti generali della società del benessere si rispecchiano nella letteratura contemporanea, come protesta, polemica e contestazione, in forme a volte meramente descrittive, a volte intellettuali o dialettiche, legate alle varie ideologie del momento. La letteratura svedese dopo il 1948 riveste pertanto, in quanto contestazione sociale, i vari aspetti di una alienazione più o meno spinta dalla realtà presente. E' rimarchevole e sintomatico che il benessere in letteratura sembra controproducente a se stesso. La letteratura che ne deriva, perché sorge dai suoi stessi presupposti sociali e nel suo clima storico (o antistorico!), è una letteratura della nostalgia, della fuga, dell'inquietudine, della protesta, fino alla disperazione e al nichilismo più completi; non produce mai, invece, questo clima sociale, apparentemente tanto favorevole alla vita distensiva e agiata, un apprezzamento pacato, «positivo», ottimista della società in cui si esprime. A ben capire queste situazioni sono necessarie alcune precisazioni sistematiche. Ogni letteratura è definibile, in un contesto sociologico, come parte di una sociologia della cultura nei termini della quale sarebbero da trasporre i concetti metodologici e operativi delle varie passate scuole di storia della letteratura (De Sanctis, Taine, Brunetiàre, Croce; per la sociologia della cultura, Vico, Marx, Weber, Ruskin, Sorokin, Marcuse ecc.). Sarà perciò necessario dare un breve sguardo alla evoluzione sociale della Svezia, ben poco nota, fissando in riassunto le tappe di formazione della società del benessere. Il progressismo, riformismo o socialriformismo svedese ha una triplice radice storica. In parte risale alle tradizioni politiche del terzo e quarto stato (borghesia e contadini) delle diete del regno di Svezia (il più antico parlamento d'Europa), i quali sin dal '40 si trovarono in opposizione alla nobilità e al clero (mentre la Corona si atteggiava variamente a seconda dei suoi interessi); alla forma moderna di questo riformismo parlamentare ebbe parte precipua la grande borghesia, liberale (padroni di ferriere, possidenti, commercianti, armatori ecc.) della prima metà dell'800. Per un'altra parte il riformismo risale al settarismo religioso popolare (rivolto contro la chiesa luterana di Stato) coi suoi ideali evangelici di giustizia sociale. Per la terza parte il riformismo risulta dall'inserimento verso il 1880-1890 delle teorie di Marx nelle correnti protestatarie preesistenti; inserimento che si produce più tardi che non in Italia, con la costituzione dei primi sindacati operai e il primo sciopero generale solo nel 1909.
E' essenziale notare, dunque, che la socialdemocrazia svedese, fautrice principale del benessere sociale, non è propriamente marxista ma si caratterizza piuttosto come un progressismo radicale con alcune sfumature utopistiche. Ebbe però sin dalle origini un'ala radicale di tendenze sindacaliste, che oggi tende ad avvicinarsi al comunismo. Il 1919 può essere considerato come l'anno di rottura della Svezia moderna: rottura con la società organostorica (Trono, Altare e Parlamento), borghese e tradizionalista, e nascita, di conseguenza, della ideologia del benessere (chiamata originalmente folkhemmet, «famiglia nazionale»). Nel contesto ideologico originario, di orientamento più pratico che teorico, vennero in seguito a inserirsi varie correnti d'idee, anche contrastanti, a cui accenneremo di sfuggita: il positivismo critico del filosofo cattedratico Axel Hägerström, che tendeva a svuotare la morale tradizionale di ogni contenuto reale, le ideologie «moderniste» che si manifestarono alla Esposizione di Stoccolma del 1930, in ossequio all'ideale urbanistico del Bauhaus e di Le Corbusier («la macchina per abitare» ecc.), il vitalismo erotico del tipo D. H. Lawrence congiunto a influssi psicoanalitici ed altri. Da un lato la contestazione si rivolgeva contro gli ideali, le norme e le strutture della società storicamente costituita (molto solida ancora ma in via di disfacimento), dall'altro lato si indirizzava verso un futuro improntato ai dettami diversi di quelle correnti, ma sempre, tuttavia, a sfondo dichiaratamente progressista, se non socialista e collettivista. La base storica del movimento derivava in fondo da un razionalismo o «illuminismo» settecentesco che già all'inizio dell'800 aveva dato l'avvio a quelle riforme fondiarie che frantumarono le storiche comunità contadine dei villaggi, frazionando e sradicando tutta la compagine popolare; fu una specie di «alienazione» sociale sui generis che lasciò tracce profonde nell'anima nazionale. Negli anni dal 1910 al 1920 le prime generazioni della letteratura svedese moderna, i cosiddetti «scrittori proletari» (proletärdiktare), si adoperarono a smantellare e a smascherare la società borghese, che in verità era già sorpassata dall'evolversi impassibile e oggettivo della storia. Questi scrittori proletari, prosatori e poeti lirici, di provenienza in genere regionale e schiettamente popolare, si consideravano estraniati o alienati dalla società costituita; ai possidenti contrapponevano i nullatenenti, alla borghesia il proletariato, al matrimonio e alla famiglia il libero amore, al poeta accademico il poeta improvvisatore, alla società classica la società del futuro, socialista o per lo meno collettivista.
La loro era una sorta di dialettica dell'antitesi, che però andò esaurendosi gradatamente negli anni Trenta, quando poco a poco vennero a mancare la spinta originaria e le motivazioni ideali in seguito alla trasformazione della società. Infatti sotto i governi socialdemocratici o di coalizione i dettami progressisti venivano a mano a mano realizzati; la società del benessere si veniva formando, e toglieva tempestività e vigore alla dialettica contestataria dell'alienazione sociale. L'apporto degli scrittori proletari fu tuttavia prezioso per la letteratura svedese moderna, che si arricchì di ambienti, di personaggi, di sentimenti e vicende prima ignoti all'indagine letteraria. In un certo senso questi scrittori sono il sintomo ma anche il frutto già maturo del progresso sociale; rappresentano, come si è detto, il coming of age, la maggiore età, faticosamente raggiunta, dell'anima popolare, che nelle loro opere prende coscienza di se stessa, dei suoi problemi, delle sue aspirazioni, che nelle epoche precedenti avevano avuto ben poca voce in capitolo. Questi scrittori, oggi già classici, membri autorevoli di accademie e consessi letterari, erano inoltre molto aperti al mondo e si prodigarono per introdurre nell'ambiente culturale svedese, un po' chiuso, idee nuove e nuove correnti. Senonché coll'avvicinarsi della seconda guerra mondiale, e in particolare con l'aggressione sovietica del 1939 alla Finlandia, nazione sorella, per tanta parte permeata di cultura svedese, il clima storico cambiava. Sotto la spinta degli avvenimenti politici si presentava come impellente la necessità di difendere a ogni costo la democrazia e le libertà politiche; scrittori e poeti del periodo, uniti alla società nazionale di fronte al pericolo, vi ebbero naturalmente la loro parte. Durante gli anni della guerra la Svezia dovette tener in piedi forze militari ingenti, a salvaguardia delle sue frontiere e della sua neutralità sempre insidiata. In quegli anni si andò formando un nuovo tipo di alienazione letteraria, sotto la spinta degli avvenimenti mondiali, che, fra parentesi, in Svezia producono quasi sempre un effetto analogo a quello risentito dallo spettatore di un dramma sulla scena. Per i giovani scrittori svedesi del'40 l'alienazione dalla realtà non era più tanto una protesta sociale quanto un caso di coscienza: era la stessa condizione umana su cui verteva la contestazione letteraria. Come la prima guerra mondiale aveva scosso a suo tempo l'idealismo e la coscienza morale svedese, profondamente radicati nel convincimento che l'uomo sia buono e ragionevole (in ossequio al Rousseau ma anche ai dettami religiosi), così i bombardamenti della seconda guerra, gli orrori dei campi di concentramento, produssero in Svezia opere letterarie di un pessimismo quasi programmatico. Per riformare la società bisognerebbe riformare l'uomo, questa era più o meno la conclusione implicita, e non essendo possibile riformare l'uomo le riforme sociali risultano vane, anche se tuttavia l'umanità e la giustizia nondimeno le esigano. Dagli anni '40 in poi il solco fra la letteratura e la realtà sociale creata dal progressismo e dal riformismo politico diventa, come già si è accennato, sempre più profondo, paradossale e contraddittorio. L'alienazione della letteratura dalla società del benessere è ormai la regola, ed è complicata da una tale molteplicità di correnti, d'orientamenti, di atteggiamenti più o meno programmatici, che è assolutamente vano cercarvi un denominatore comune, se non questo: che l'atteggiamento della letteratura contemporanea in Svezia in genere non corrisponde più minimamente alle tendenze e alla mentalità della società del benessere.
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