«Le forme della sinfonia» di Giulio Confalonieri
La sinfonia è un «genere» della musica strumentale: ossia è un tipo di musica per soli strumenti il quale, pur avendo subito nel corso della storia molte e profonde trasformazioni, conserva alcuni caratteri tali da farlo individuare in modo abbastanza preciso. Quanto abbiamo detto riguarda la vita della sinfonia negli ultimi due secoli, perché, prima, quel termine aveva significati più o meno diversi. L'etimologia della parola è greca e, strettamente parlando, verrebbe a dire insieme dei suoni, composizione di suoni o qualcosa di simile. Codesto primitivo senso sopravvive nella comune espressione «sinfonia» di colori per cui si intende appunto la speciale qualità di un quadro, di un affresco, anche di un abito in cui le tinte siano ricche e strettamente legate le une alle altre. Durante il Medio Evo e durante il Rinascimento, vale a dire fino alle soglie del 1600, in un'epoca in cui l'attività dei compositori si rivolgeva quasi esclusivamente alla musica per voci e la voce umana era considerata come il mezzo più alto per far musica, si designò col vocabolo sinfonia, quasi per spirito di contrapposizione, tutto quanto era invece scritto per gli strumenti. I quali strumenti, tenuti per lunghissimi anni in una specie di soggezione ed usati esclusivamente per accompagnare le canzoni mondane e il ballo dei signori (o dei poveri), proprio verso il Seicento incominciarono ad uscire dal loro stato di servitù, a perfezionare la loro consistenza meccanica ed a rivelarsi come nuove, potentissime forze nel mondo della creazione musicale. Fu allora che il vocabolo sinfonia, da una significazione, come abbiamo visto, alquanto generica, incominciò a indicare qualcosa di più circoscritto ed a seguire il proprio corso storico su due rotaie: la rotaia dell'opera e la rotaia della musica pura, della musica cioè unicamente composta di suoni, senza intervento di parole e di visioni sceniche. La scoperta degli strumenti (violini, viole, violoncelli, flauti, oboi, trombe, ecc.) quali nuovi personaggi della vita musicale coincise infatti, più o meno, con la scoperta della rappresentazione in musica, con quello, insomma, che noi chiamiamo melodramma od opera lirica. All'inizio di un melodramma o lungo il corso di esso, si sentì ben presto il bisogno di affidare ai soli strumenti qualche breve brano musicale, sia per preparare convenientemente l'alzata del sipario, sia per commentare quanto era stato cantato dagli attori, sia, più semplicemente, per conceder loro un po' di respiro. Simili brani vennero denominati spesso sinfonie e, a poco a poco, assunsero un impiego fisso e inderogabile nella struttura dell'opera lirica. Dalla seconda metà del Seicento a quasi tutto il secolo scorso non ci fu, salvo rare eccezioni, un melodramma che non principiasse con un pezzo eseguito dalla sola orchestra e specificato appunto col termine di cui andiamo parlando. Qui, tuttavia, è bene notare come la sinfonia, ossia lo squarcio strumentale premesso all'opera, potesse assumere anche il titolo di «ouverture» (apertura), specialmente in Francia e nei paesi tedeschi. Contemporaneamente prese a svilupparsi un'altra specie di sinfonia, connessa in modo strettissimo con lo sviluppo della musica strumentale e con l'interesse crescente ch'essa andava destando. Il piacere di ascoltare molti strumenti che suonassero assieme diventava sempre più forte e generalizzato. Per soddisfarlo, le chiese e i palazzi dei grandi signori spalancarono le loro porte. L'austerità dei templi e l'eleganza delle sale principesche fecero a gara per ospitare gruppi di suonatori, sempre più numerosi e agguerriti. In principio si trattò di riprodurre sugli strumenti, o per lo meno di arieggiare mediante gli strumenti, quello che nelle chiese si era abituati a udir cantare dalle voci del coro e quello che nelle sedi aristocratiche, si era soliti ascoltare come accompagnamento del ballo. Per qualche tempo due specie di musica strumentale coesistettero: l'una più austera e destinata a intercalarsi fra le varie parti del servizio divino, l'altra più mondana e riservata ad allietare le serate dei monarchi e dei nobili. A poco a poco quelle due specie di musica strumentale incominciarono a scambiarsi alcuni loro elementi e a creare un nuovo tipo che li comprendeva un po' tutti e due. Il vigoroso rigoglio dell'attività strumentale e la bravura sempre più grande delle orchestre pretesero (è proprio il caso di dirlo) un loro genere specifico, una struttura loro propria la quale permettesse di esprimere tutti i moti della fantasia e le immaginazioni dello spirito all'infuori d'ogni ausilio che non fosse quello del suono puro. Si vide, con grande meraviglia di tutti, che senza alcun bisogno di far intervenire la poesia e la visione (vale a dire l'apparato scenico), era possibile suscitare tutto un mondo poetico, procurare forti emozioni, suggerire immagini e sentimenti altissimi. Nacque così, accanto ad altri schemi strumentali, quello che è forse il più elevato e il più complesso, ossia la sinfonia da concerto, destinata ad essere eseguita da orchestre più o meno numerose, senza connessione alcuna con spettacoli teatrali, in funzione a sé stante, come evento musicale compiuto in se stesso. Ripetendo un aspetto comune a molte musiche precedenti, quali la sonata e il concerto, anche la nuova sinfonia risultò composta di tre, poi subito di quattro «tempi» o «movimenti», cioè di tre o quattro sezioni a carattere diverso, indipendenti una dell'altra, ma legate insieme da un filo ideale, da un intimo equilibrio e da una logica conseguenza. Difficile è stabilire dove e quando la nuova forma sinfonica nacque ed incominciò a crescere. Ognuna delle grandi nazioni musicali europee, Italia, Francia, Austria e Germania, ne ha voluto rivendicare la paternità. Noi crediamo che l'apparizione della nuova forma sia stato un avvenimento fatale, quasi la necessità ideale di un periodo storico posto intorno alla metà del Settecento. Facciamo pure i nomi dell'italiano Sammartini, del francese Gossec, dell'austriaco Wagenseil e del tedesco-boemo Stamitz; certo è che fu un altro austriaco, ossia Franz Joseph Haydn (1732-1809), colui che stabilì i contorni più precisi della sinfonia e la consegnò, ormai perfetta, a ogni futuro sviluppo. Le possibilità dell'universo sinfonico si dimostrarono sempre più vaste e avventurose. Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), tirolese di Salisburgo, ne fece un mezzo per rappresentare la bellezza in tutto quello ch'essa ha di perfetto e infallibile: Ludwig van Beethoven (1770-1827) la innalzò ad esprimere la dignità dell'uomo morale, l'essere dell'uomo di fronte alla natura e al cosmo, le lotte dell'esistenza e le vittorie dello spirito. Lungo il corso del secolo passato, mentre la sinfonia d'opera (generalmente concentrata, ormai, in un solo «tempo») si sforzava di preparare in modo sempre più efficace quello che si sarebbe poi veduto sulla scena, la sinfonia da concerto andò accrescendo le sue dimensioni, tentò nuove forme, cercò nuovi orizzonti ma, in fondo, rimase fedele agli insegnamenti definitivi di Beethoven. Ricordiamo, fra i maggiori sinfonisti dell'Ottocento, Franz Peter Schubert (1797-1828), Felix Mendelssohn (1809-1847), Robert Schumann (1810-1856). Johannes Brahms (1833-1897) e Anton Bruckner (1824-1896), tutti di nazionalità germanica: quindi il belga César Franck (1822-1890), i russi Aleksandr Borodin (1834-1887) e Piotr Ilic Ciaikovskij (1840-1893), il boemo Antonin Dvorák (1841-1904) e altri ancora. Gli italiani, salvo i casi isolati di Luigi Boccherini (1743-1805) e di Luigi Cherubini (1760-1842), non coltivarono molto la sinfonia. Solamente ai giorni nostri, dopo i saggi stranieri di Gustav Mahler (1860-1911) e d'altri, dobbiamo ricordare l'ampia produzione di Gian Francesco Malipiero. In conclusione, la sinfonia da concerto ha rappresentato una grande conquista del genio umano. Ha provato quale enorme potenza possa racchiudersi nel suono puro, quanti significati esso possa assumere, ordinandosi in salde architetture le quali, pur restando invisibili, prendono per noi forma e colore. Ha insomma creato qualcosa di insostituibile che arricchisce e nobilita l'esistenza. Quando in una sala o in un teatro l'orchestra intona una sinfonia di Haydn, di Mozart, di Beethoven o di Schubert, noi abbiamo l'impressione che qualcuno si rivolga a noi pronunziando parole piene di verità e di forza persuasiva. Sentiamo sprigionarsi un messaggio, assistiamo al compiersi di un evento e riveliamo a noi stessi qualcosa della nostra coscienza, ch'era come nascosto, malnoto. Fra i miracoli della musica quello sinfonico è forse il più grande.
