«La Resistenza nella scuola» di Franco Catalano


Senza dubbio sarebbe molto importante ed anche interessante poter parlare, nella scuola, della Resistenza e della Costituzione, che sono state la conclusione di un lungo processo, ma sempre molto difficile è, per un professore di storia, raggiungere questo traguardo. lnfatti, i vecchi programmi - che risalgono alla riforma Gentile del 1923 e che non sono stati molto modificati dalla riforma Bottai del 1939/'40 - dominati, per la parte che riguarda l'Ottocento e il nostro secolo, da un eccessivo (ci si scusi la parola) Risorgimentocentrismo (quasi che tutta la storia universale si esaurisse nel nostro processo di unificazione nazionale), non consentono mai di trattare gli eventi che vanno dalla prima guerra mondiale in poi con la dovuta serietà e accuratezza. Sono stati sì, quei programmi, un po' dilatati con un'appendice, nel 1960, in cui si cercava di introdurre lo studio di un più lungo periodo che comprende anche le istituzioni sovranazionali di questo secondo dopoguerra, ma, proprio perché non era stato mutato in nulla tutto ciò che precedeva, si è avuta subito l'impressione che fosse la trovata di qualche illustre personaggio del ministero della Pubblica Istruzione, destinata però a rimanere soltanto sulla carta, senza ulteriori conseguenze (anche per l'eccessiva genericità con cui quell'appendice era stata formulata). Se a tutto questo si aggiunge la «riservatezza» di molti insegnanti che, a trent'anni e più dalla fine della guerra, rimangono sempre tenacemente fedeli al divieto del Croce (per il quale non si poteva fare storia se non di avvenimenti che fossero al di là del limite fatidico di cinquant'anni, perché, altrimenti, se lo storico si fosse avventurato nel terreno minato di quanto è accaduto al di qua, si sarebbe trovato avvolto nelle tenebre e avrebbe avuto lo sguardo oscurato dalle passioni e l'animo turbato dal contrasto di stati d'animo), si può avere un panorama abbastanza preciso delle tristi condizioni in cui versa tuttora l'insegnamento della storia, per quanto riguarda gli avvenimenti più recenti e più vicini a noi. Pertanto, come si sarà capito, tale insegnamento può essere in gran parte stimolato e promosso da un mutamento radicale degli attuali programmi (che sono largamente superati e non rispondono più alle esigenze dei giovani), ma deve essere pure sentito e vissuto da colui a cui è riconosciuto il compito di avviare gli studenti alla conoscenza e alla comprensione della vita contemporanea, e deve essere anche risentito e rivissuto da coloro a cui esso è rivolto: la Resistenza, infatti, non è un passato ormai schedato catalogato e gettato in un angolo dello scaffale a dormire, ma fa parte tuttora della nostra esistenza quotidiana: è una realtà con cui ci dobbiamo senza posa confrontare, chiedendoci in ogni istante se siamo degni di tutti quelli che hanno dato volentieri la vita per redimere il nostro popolo e renderlo degno di libere istituzioni democratiche. Altrimenti, vorrebbe dire che la Resistenza è caduta dai nostri cuori e non ci conforta né ci aiuta più nel cammino che dobbiamo e vogliamo ancora percorrere. Ma proprio per conseguire questo fine, sarebbe opportuno adattare gradualmente la trattazione di un tale tema al diverso tipo di scuola: scuola media inferiore, scuola media superiore e università. E' evidente che non è possibile, come avviene per alcune materie in cui gli insegnanti sembrano destinati a mordersi la coda, parlare della Resistenza e dei suoi problemi nello stesso modo ai ragazzi della media inferiore e ai giovani dell'università. Al contrario, con i primi si dovrebbe cercare di mettere in rilievo gli episodi più significativi della guerra di liberazione: ad esempio, parlare dei fratelli Cervi e del significato che ha assunto il loro sacrificio di contadini attaccati profondamente alla loro terra che rappresentava pure il loro universo, in cui, però, si rispecchiava tutta la comunità nazionale; della repubblica dell'Ossola o di quella di Montefiorino, per far notare l'importanza che ha avuto, nel quadro della Resistenza, un simile esempio di maturità politica dimostrata da popolazioni di larghe zone che riescono a cacciare i tedeschi e i fascisti ed a ricostruire gli strumenti essenziali per una vita libera; della liberazione di Firenze e del significato che ha assunto, anche di fronte agli alleati, tale liberazione ad opera dei partigiani prima ancora che arrivassero gli anglo-americani, che rimasero stupiti di una iniziativa tanto organica e coerente da strappare loro l'affermazione che con quella liberazione il popolo italiano aveva indicato che cosa desiderava per il futuro, una nuova italia con larghe autonomie regionali; della strage delle Fosse Ardeatine, in cui si palesò chiaramente come la causa del nemico fosse destinata alla sconfitta perché basata sulla pura forza, che non riesce mai ad aver ragione dei diritti elementari dei popoli e degli uomini (accanto alle Fosse Ardeatine si dovrebbero porre tutti gii altri episodi: la decimazione del Comitato di Liberazione Nazionale di Torino, Fossoli, ecc., oltre alle stragi di interi villaggi: una violenza che si abbatté su tutti gli esseri che ne vennero travolti, unendoli nello stesso vincolo che, dal momento della morte, doveva proiettarsi nel futuro); delle Quattro giornate di Napoli, splendido esempio di come tutta una popolazione di una grande città sappia combattere per difendere le ragioni fondamentali del vivere civile contro chi appariva come nemico che le voleva calpestare e negare. Inoltre, bisognerebbe parlare, in questo tipo di scuola, delle più elementari nozioni: cosa furono i Gap, le Sap, i C.L.N., il C.V.L., e cosa rappresentarono i vari personaggi, ecc. Nella media superiore è indispensabile fare un passo avanti: qui si dovrà scendere più a fondo nella comprensione di che cosa fu e di che cosa significò la Resistenza. Spiegare che essa fu un movimento scaturito dall'intimo del nostro popolo, ma che era stata preceduta da un lungo martirologio di uomini e di giovani che erano tutti caduti nella dura e aspra lotta contro lo Stato totalitario, contro il regime fascista (cioè cosa fu l'antifascismo); chiarire che fu un moto unitario che, tuttavia, pur in tale unitarietà di intenti, non volle - né, d'altra parte, avrebbe potuto, trattandosi di una lotta essenzialmente democratica - impedire che affiorassero le diverse posizioni politiche dei vari partiti; illustrare come abbia dovuto combattere, nel tempo stesso, contro il nemico che le stava di fronte - i fascisti e i nazisti - ma anche contro le limitazioni e le restrizioni che gli alleati tentarono, inutilmente, di porre alla creazione di grandi formazioni capaci di fare «guerra grossa»; far capire come e perché il C.L.N.A.I. e il C.L.N. di Torino allacciarono rapporti con i partigiani francesi e con quelli jugoslavi conducendo una loro politica estera in un momento in cui il governo di Roma taceva, al fine di contribuire alla nascita di una nuova Europa liberata dagli oscuri fantasmi del nazionalismo violento e sopraffattore; parlare del Sud, della nuova vita politica e dei problemi che essa suscitò, delle occupazioni di terre da parte dei contadini nell'Italia meridionale liberata e del particolare contesto in cui esse si ponevano, ecc. Per quanto riguarda, infine, l'università, sarebbe necessario procedere oltre, nella comprensione il più possibile completa della Resistenza. E' chiaro, peraltro, che a questo livello non ci si può accontentare né delle descrizioni di quale posizione assunse di fronte ai problemi che di volta in volta le si posero, come nelle medie superiori, né tanto meno della narrazione delle «gesta eroiche» e dei personaggi, come nelle medie inferiori. Bisogna affrontare in pieno il grave problema delle grandi speranze che ha destato la lotta di liberazione in chi l'ha fatta e delle delusioni amare e profonde che, dopo pochi anni dalla liberazione, fecero parlare di «Resistenza tradita». Ma c'era in quel giudizio, che circolò ampiamente negli anni '50, un sostanziale scarso impegno, negli storici e no (scarso impegno determinato forse anche dalla guerra fredda, che si estese per circa un decennio, fra il 1947-'48 e il 1956, e servì da stimolo, a chi doveva parlare della Resistenza, a farsene quasi un baluardo contro l'offensiva di chi voleva, al contrario, demolire l'immagine pressoché mitica che era rimasta viva in tanti), ad approfondire i motivi sostanziali che portarono a quel fallimento e che andavano ricercati nella Resistenza stessa. Pertanto bisognerebbe cominciare a parlare dei condizionamenti esterni che gravarono sulla lotta (spartizione in due zone d'influenza dell'Europa al convegno di Mosca dell'ottobre '44 fra Churchill e Stalin, e sue gravi conseguenze, nell'immediato, sulla Resistenza, e poi sulla vita politica dei paesi che rientravano o nella zona controllata dai sovietici o in quella controllata prima dagli anglo-americani e in seguito esclusivamente dagli americani); passare, inoltre, a far vedere che cosa fu la «guerra fredda», una fase in cui le opposizioni e i sindacati di sinistra rimasero schiacciati e quasi rigettati fuori dalla comunità nazionale. A questo punto non è più differibile un discorso lungo e articolato sulle deficienze intrinseche che la Resistenza portò con sé dal periodo della cospirazione e che non le consentirono di affrontare in maniera adeguata le difficoltà nate nel dopoguerra. La prima, forse, di queste deficienze consiste nel fatto che essa fu, in gran parte, sostenuta dalla classe operaia del Nord (anche se i contadini diedero un contributo notevole, uscendo, per la prima volta nella nostra storia, dall'anonimato in cui erano stati relegati) e, perciò, comprese poco o nulla i problemi delle masse rurali sia del Settentrione, sia del Centro, sia del Mezzogiorno. Si scavò, in tal modo, ben presto un profondo solco fra chi proveniva dall'esperienza della Resistenza e chi, invece, vivendo sulla terra, viveva tutte le contraddizioni, le posizioni dell'altro mondo, quello dei contadini. Ecco perché Parri non seppe risolvere la grave questione dei mezzadri, sorta nella seconda metà del '45, ed ecco pure perché nel Sud si ebbe l'occupazione delle terre, che esprimeva il vivo desiderio di quelle popolazioni di entrare in possesso di un piccolo pezzo di coltivo, programma che già allora era superato ma che andava inquadrato in una più ampia prospettiva dello sviluppo della società nazionale. Gli uomini della Resistenza furono quasi sordi allorché vennero posti davanti a tali problemi, così come - e questa è la seconda grave deficienza - non avvertirono l'importanza dei problemi economici, tant'è vero che nella seconda metà del '47, quando ad un periodo di inflazione (naturale dopo ogni guerra), che dal '45 si estese fino allora, succedette un periodo di deflazione, con gravi conseguenze negative sull'occupazione, sul livello dei salari, ecc., non seppero come reagire.

 

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