«Arte e natura in Giappone» di Sante Spadavecchia


Toyotomi Hideyoshi, di origine contadina, fu un grande condottiero del secolo XVI, forse il più grande che il Giappone abbia avuto. Era un vero «samurai», un soldato fin nel più profondo del cuore; un soldato, come lo erano i giapponesi, fedelissimi al «bushido» (= la via del guerriero), il codice di leggi morali, non scritte, al quale il guerriero era legato e dal quale non defletteva. Come era feroce verso il nemico atto al combattimento, così era generoso verso i deboli; come non sentiva alcuna pietà verso gli avversari agguerriti e non rifuggiva dal sangue, così si esaltava di fronte al più umile spettacolo offerto dalla natura. La fioritura di un ciliegio, un fiore isolato nei «tokonoma» (= nicchia, all'interno della casa, dove vengono esposte le opere d'arte), un campo di fiori illuminato dalla luna, suscitavano in lui una commozione profonda. Sen-no-Rikyu, monaco buddista, fu contemporaneo di Hideyoshi. Il suo nome è molto noto, anche perché egli diede perfezione al «cha-no-yu» (= cerimonia del the), che era stato introdotto in Giappone da Eisai. Apparteneve alla setta Zen, la più anticonformista delle sette buddiste, ma anche quella che ha permeato di sé la vita di tutto il paese, tutti gli strati sociali e specialmente i «samurai» (= coloro che esercitano il mestiere delle armi). Avuta notizia della visita di Hideyoshi, che voleva vedere il suo giardino in cui sapeva essere coltivati magnifici convolvoli, Rikyu glielo fece trovare del tutto nudo. Ma all'interno della modesta abitazione, nel «tokonoma», Hideyoshi poté ammirare un rametto fiorito, che, posto in un antico vaso, riempiva di sé tutta la stanza. Esso bastò a commuovere il condottiero e a far sbollire l'ira provocata in lui dalla visione del giardino privato dei convolvoli. Questa premessa era necessaria per rendere più chiaro quanto diremo. Il giapponese, a qualunque categoria sociale appartenga, è sensibilissimo ad ogni manifestazione della natura. Sia esso guerriero, sia nobile di corte, sia popolano, sia contadino, ha per la natura un amore innato. La religione originaria di questo popolo, lo «shinto» (= via degli dei), non è che una religione naturistica: in tutta la natura ci sono infiniti «kami» (= divinità). La dea progenitrice degli imperatori giapponesi, Amaterasu-o-mi-kami, che rappresenta il centro di tutta la teogonia shintoista giapponese, è la dea solare. La bellezza naturale del Paese, il suo clima mite, la sua flora rigogliosa dai mille colori di tonalità infinite hanno instillato nell'animo dei giapponesi l'amore per la natura: di qui, una gentilezza d'animo stupefacente ed una inclinazione naturale all'arte e alla poesia, poesia rappresentata da pochissimi versi ispirati alla natura e all'amore, che nella natura nasce e muore; arte improntata a tutto ciò che è naturale, nemica di tutto quello che è artificioso, grandioso, travolgente. La prima manifestazione della concezione artistica del giapponese è la sua casa: semplicissima, aperta al sole e alla luce da ogni parte, quasi priva di mobili, di straordinaria lindura, senza oggetti ornamentali. Solo, nel «tokonoma», un «kakemono» (= dipinto su rotolo di carta o di seta che si svolge in senso verticale: o un vecchio vaso, nel quale spiccano pochissimi fiori, talvolta uno solo, o un ramo fiorito, offerti dalla stagione e disposti con quell'arte perticolare, ispirata alla massima semplicità, che è l'«ikebana». Codesto «kakemono », codesti fiori, variano a seconda dei giorni o delle stagioni, a seconda dell'ospite che si vuole onorare. Quanto più l'ospite è gradito, tanta più cura il giapponese pone nella scelta dell'oggetto che deve apparire nel «tokonoma». Ma quest'oggetto non è mai stonato: in una radiosa giornata di sole, non si vedrà un paesaggio invernale; in un crudo giorno invernale, non apparirà un fiore di ciliegio. Intonazione, quindi, al colore dell'ambiente naturale, che all'interno della casa è uguale a quello esterno; corrispondenza, anche, alla disposizione dell'animo, condizionato dalla situazione naturale. Le pareti domestiche non sono un muro che divide nettamente i suoi abitanti da ciò che rimane fuori; esse non rappresentano un confine, ma una continuazione di quanto all'esterno c'è nella natura, alla quale l'animo del giapponese è sempre rivolto. Ecco perciò gli «shoji», le grandi pareti scorrevoli con la sola intelaiatura di legno, riempita da quella speciale carta che permette alla luce del sole o della luna di penetrare pienamente. Queste pareti sono spoglie: non vedremo la lunga fila di quadri che spesso troviamo sulle pareti delle nostre case e tanto meno potremo vedere un paesaggio invernale accanto ad uno pieno di luce e di sole. Il giapponese rifugge da queste stonature, che non esistono in natura. Per la stessa ragione, il giapponese non può concepire un giardino in cui tutto sia simmetrico. In natura non ci sono due cose uguali: così, nel giardino, non possono esservi alberi posti in simmetria viali che formino aiuole in simmetria, fiori che crescano in simmetria. Il giardino deve essere l'immagine dell'ambiente naturale: vediamo, allora, quei pini contorti dal vento, quelle piante tutte storte e nane, quelle rocce che spuntano qua e là, quei rigagnoli d'acqua che danno un senso di fresca lindura, quei viali che si svolgono tortuosamente. Così è in natura, e l'animo dei giapponese ne è pago, come può esserlo l'animo di chi nell'ordine naturale vive continuamente. Ed eccoci ad un'altra caratteristica dell'arte giapponese: repulsione per tutto ciò che è lucente, sgargiante, vistoso; amore per ciò che è vecchio, che denuncia il tempo trascorso, i molti anni. E' questo che vuol esprimere la parola «sabi», che significa «coperto dalla patina». Il senso estetico del giapponese rifugge da quanto può colpire a prima vista: la bellezza deve svelarsi a poco a poco. Chi, senza nulla conoscere della storia, della letteratura, delle religioni, delle tradizioni del Giappone, giunge a Tokyo, può pensare che quanto abbiamo scritto sia pura invenzione, molto lontana dalla vita pulsante della grande capitale, in apparenza uguale a qualsiasi città dell'occidente. Ma il viaggiatore deve recarsi a Kyoto, l'antica capitale, dove, nel periodo Heian, fiorirono i capolavori artistici e letterari; deve recarsi a Ise, dov'è il tempio più antico dello Shinto. E' là che troverà il cuore di ogni giapponese, sempre sollecito ad abbandonare l'abito occidentale per indossare il «kimono», appena lasciate le occupazioni giornaliere ed entrato nella quiete della propria casa, fedele testimone delle tradizioni nazionali.

 

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