«Etnologia e cultura» di Vinigi L. Grottanelli
Il termine «cultura» è qui inteso in senso lato, cioè nel suo significato etnologico: l'insieme delle forme di vita di un popolo. La cultura è con tutta evidenza un fatto collettivo (condividiamo con milioni di nostri connazionali l'uso di giacca e pantaloni, di andare al cinema o alla partita, di salutare stringendo la mano destra), ma è al tempo stesso nostro patrimonio individuale, perché cognizioni, opinioni e credenze fanno parte del nostro io più intimo e profondo e non sono mai del tutto identiche a quelle del nostro vicino, in altri termini costituiscono la personalità di ciascuno di noi. Da questa constatazione hanno preso le mosse gli studi etno-psicologici sul binomio «cultura-personalità»: binomio che ha carattere dialettico, se non antinomico, perché mentre la personalità è in parte formata o influenzata dalla cultura, per altra parte ne è indipendente in quanto ereditariamente determinata da fattori congeniti. Altro vasto campo di indagini, in cui l'etnologia si allea all'antropogeografia, riguarda le relazioni cultura-ambiente: è ovvio che in certa misura l'una interferisce nell'altro, e viceversa. Il problema centrale rimane tuttavia l'individuazione dei cosiddetti processi dinamici della cultura: si potrebbe dire dei «meccanismi» che presiedono alla genesi, ailo sviluppo, alle incessanti vicende di trasformazione di essa, se il termine non evocasse un ricorrere di fenomeni automatici e dunque esattamente prevedibili, come quelli investigati dalle scienze fisiche e naturali. I processi della cultura invece, benché riducibili a categorie generali, e ricorrenti con relativa regolarità (nella forma se non nel contenuto) attraverso l'intera storia dell'umanità, non obbediscono a «leggi» confrontabili con quelle matematiche o fisiche e neppure con quelle biologiche, sfuggono cioè a ogni esatta previsione scientifica (in senso deterministico, per intenderci); sono, in una parola, processi storici. Il cenno che di essi qui diamo, in rapidissima sintesi, risponde alla visione dell'etnologo, di chi cioè studia per professione le culture dei popoli più semplici, esotici, illetterati, o come comunemente (ma impropriamente) si suol dire, primitivi; ma ognuno intenderà che i medesimi processi si manifestano anche nella storia culturale dei popoli «superiori» (di più antica e complessa civiltà) come il nostro. Il primo fondamentale processo è quello di tradizione. Tale vocabolo evoca in noi per immediata associazione il concetto di conservazione e di stabilità, per non dire di immobilismo, quasi si trattasse del mantenimento puramente passivo di idee, valori, istituzioni, pratiche e costumi del passato. Ma tradizione in senso etimologico (ed etnologico) significa anche «trasmissione»; e di fatto tale processo, grazie al quale il patrimonio culturale viene trasmesso da una generazione all'altra, è solo in piccola parte inavvertito e per così dire automatico, mentre in larga misura impegna le coscienti energie morali e tecniche degli adulti, che di deliberato proposito comunicano ai bambini e ai giovani le loro credenze, nozioni e abitudini. Tradizione non è dunque solo retaggio del passato perpetuantesi per inerzia, ma processo attivo e dinamico del presente in ogni momento della storia, e indispensabile garanzia per il futuro. Il suo carattere di urgenza vitale tende a essere dimenticato talvolta nel quadro di una civiltà superiore, che ha comunque assicurato tutto il suo scibile e le sue memorie in documenti scritti; ma è di tutta evidenza nelle società senza scrittura, presso le quali tutto il sapere essenziale all'esistenza e alla stessa sopravvivenza del gruppo si conserva unicamente grazie a un incessante processo di trasmissione orale dagli adulti ai giovani. Se la tradizione è insostituibile garanzia esistenziale per ogni società, ciò non avviene a casaccio. Infatti essa è in tanto divenuta la somma totale di preziose esperienze attraverso innumerevoli generazioni, in quanto rispondeva efficacemente alle esigenze di un dato popolo. Per forza sua, la società ha prosperato o almeno si è mantenuta; l'individuo che ad essa si affida è sicuro dell'approvazione e della solidarietà dei suoi simili, cammina su suolo sicuro. La tradizione è efficace in quanto è sperimentata: non stupisce che quasi tutti i popoli le attribuiscano, in tutto o in parte, cerattere sacro. Con questo appoggio di valori positivi la tradizione porta tuttavia in sé i germi della precarietà. Ogni ripetizione di atti o ragionamenti del passato (si tratti di riti, giochi, operazioni tecniche o altro) è imperfetta: con tutta la buona volontà, nessun uomo riesce mai a ripetere con esatta fedeltà gesti o parole imparati da altri; pur convinto di riprodurli tali e quali, li altera sia pure in modo impercettibile, omette un particolare o aggiunge qualche cosa di suo: tanto più in società non meccanizzate e prive di quella guida inalterabile rappresentata dal documento stampato o comunque scritto. La somma di tali inconsapevoli modificazioni, con il passare del tempo, produce scostamenti sensibili dal modello originario che pur si crede di mantenere, e la tradizione ne risulta via via cambiata. A tale processo si dà in etnologia il nome di deriva culturale. Più sensibili sono le alterazioni dovute agli spostamenti etnici. Non è il caso di soffermarsi sui fenomeni di migrazione, che per il loro carattere macroscopico sono ben noti, anche fuori della sfera etnologica, insieme ai processi di acculturazione che ne derivano. Già il semplice cambiamento di sedi geografiche provoca di solito modificazioni in certi settori della cultura; ma ad esso si accompagnano per lo più incontri o scontri dei gruppi umani interessati, con effetti bi o plurilaterali. Se già la storia ci ragguaglia fin dall'antichità sulle più palesi conseguenze culturali della migrazione, è merito dell'etnologia moderna aver gettato luce su un processo di trasmissione culturale in parte analogo, ma che per la sua natura di gradualità e capillarità tende a sfuggire all'attenzione dei non specialisti fuorché nei risultati finali. Si tratta della propagazione di singoli elementi culturali, o di gruppi di essi, in via indipendente dallo spostamento dei popoli che ne sono i portatori originari. Tale propagazione non riguarda più solo grppi umani contigui, ma svolgendosi con velocità variabile attraverso lunghi periodi di tempo, per vie spesso incontrollabili appunto perché capillari, finisce per interessare popoli lontani l'uno dall'altro nello spazio, con andamento «a catena» non sempre regolare, valicando in certi casi gli stessi limiti dei continenti. A simili processi si dà in etnologia il nome di diffusione. Innumerevoli processi di diffusione (specie, oggi, fra le società industriali e i gruppi arretrati) si svolgono sotto i nostri occhi, e possono perciò essere analizzati de visu; ma infiniti altri, avvenuti in secoli e millenni passati, sono riconoscibili solo dalla distribuzione attuale degli elementi interessati, mentre mancano le testimonianze dirette di come e quando si siano svolti. Proprio al tentativo di ricostruire tali processi (ossia, in ultima analisi, al compito di tracciare la storia culturale dell'umanità, (primitiva e no) l'etnologia ha dedicato le sue migliori energie, affinando metodi d'indagine e di comparazione, e raccogliendo un'ampia e convincente documentazione su un grande capitolo della storia universale finora trascurato: il diffondersi di idee, scoperte e costumi attraverso il globo prima dell'invenzione della scrittura. Questa millenaria e molteplice irradiazione propone, quando la si studi, nuovi problemi. Che un popolo giunga a conoscenza (grazie a fenomeni di migrazione o di diffusione) di un elemento culturale fino allora ignorato, non significa che automaticamente lo faccia suo. Inizia a questo punto un nuovo processo dinamico (selezione) di osservazione e valutazione da parte dei singoli, sulla base dei giudizi di valore, delle capacità e disposizioni, spesso dei sentimenti e pregiudizi, ispirati dalla cultura tradizionale del popolo in questione, processo che può portare all'accoglimento come al rigetto del nuovo elemento. Nel primo caso, al risultato positivo della selezione si sovrappone un processo di integrazione: un nuovo strumento, un nuovo culto, una nozione innovatrice possono a volte essere accettati solo sottoponendoli a qualche adattamento che consenta di inserirli armoniosamente nel corpo vivente della cultura di base. Solo col tempo il nuovo elemento accettato sarà integrato in pieno, vale a dire inserito nella cultura nazionale o tribale alla medesima stregua degli elementi tradizionali; a quel punto, solo agli etnologi sarà possibile riconoscerne l'originale estraneità, la probabile provenienza, l'approssimativa data di introduzione. Si è delineato così lo sterminato campo d'indagini che forma argomento del diffusionismo, o dell'etnologia storicamente orientata. Ma vi è un ultimo ed essenziale processo che richiama la nostra attenzione, cioè l'invenzione. L'esperienza etnologica assicura che ogni qualvolta si rilevi in una società di livello pre-letterato («primitivo») l'introduzione di un elemento culturale nuovo, tale elemento risulta importato dal difuori. Ciò parrebbe confermare l'opinione popolare, secondo cui i gruppi umani esotici, arretrati, che una volta si chiamavano «selvaggi», sono tali appunto perché ancorati a una tradizione cristallizzata in forme arcaiche, incapaci di rinnovarsi, ossia sostanzialmente «non-inventivi», benché in certe condizioni capaci di imitare e copiare gli altri. E' certo, commisurate al metro della nostra civiltà industriale moderna, protesa alla ricerca di innovazioni in ogni campo (senza troppo riguardo al quesito se esse risulteranno alla lunga utili o dannose), le superstiti società illetterate appaiono torpide. Preistoria ed etnologia confermano sul piano scientifico tale lentezza di sviluppi, ma dimostrano anche che questa non corrisponde mai a totale staticità. Gii specialisti discutono, e discuteranno a lungo, sul significato di concetti quali invenzione, scoperta, innovazione, i quali con tutta evidenza non hanno avuto in lontane epoche e in zone remote il valore che noi attribuiamo loro oggi. Ma i fatti dimostrano che l'umanità non ha mai conosciuto periodi di assoluta stasi, cioè di totale assenza d'inventività: nozioni e tecniche a loro tempo rivoluzionarie, e ancor oggi fondamentali per noi moderni, come la ceramica, la metallurgia, la navigazione, la creazione e l'impiego della ruota, e tante altre, sono dovute a uomini di genio vissuti in società che ignoravano ancora la scrittura.
