«Il divisionismo» di Leonardo Borgese
L'impressionismo è un realismo e anzi un naturalismo intiero, assoluto, contro il soggetto rivisto, ripreso, riofferto secondo canoni ideali; contro la scena centrata, convenzionale; contro il chiaroscuro fermo, chiuso, monocromo; contro la linea di contorno seguibile e isolabile come un confine. A favore, invece, del soggetto quale subito capiti, non ornato, non abbellito, non premisurato; a favore della pennellata vibrante, sicura e ben visibile, cioè del tocco immediato, staccato, senza pentimento, senza rifacimento; a favore del franco, vivo colore che balzi da un corpo all'altro quasi annullando le forme stabili e concluse. Così, l'impressionismo spingeva verso una nuova purezza e freschezza del colore in quanto luce e della luce in quanto colore. Così, nascevano la moderna idea e il problema della pittura uguale a luce. Così, con tali principii della luce colorata anche nelle ombre, azzurre e violette («anche l'ombra è sole»), del dipingere non più fra i muri dell' accademia e dello studio, bensì en plein air, del rendere il movimento e gli effetti istantanei, cioè le impressions - diverse, psicologicamente, dai vecchi bozzetti preparatori - l'impressionismo spingeva come forza verso una specie di schiavitù davanti alla natura, verso un culto della natura in sé, specie della natura solare, e così da un'inconscia primordiale religione del sole si va magari verso una sorta di ottimismo eliotropico e di naturismo igienico ed elioterapico. (Non è vero che la fotografia abbia fatto nascere l'impressionismo. La fotografia nacque, essa, subito «accademica», simile a pittura accademica in studio, e gareggiò col fermo ritratto dipinto. E' vero, piuttosto, che l'impressionismo fece nascere la fotografia impressionistica, aperta, l'«istantanea», la fotografia a luce piena, solare, en plein air, veloce, dinamica). E l'impressionismo spingeva verso un gusto particolare e uno studio e un amore e un culto e un mito del colore in sé, mosso, libero, puro, alla lunga perfino assolutamente autonomo e infine astratto. Portava, quindi, con assurda logica, alle modernissime aperture e spontaneità, o spontaneismi, e volendo, alla interamente realistica assenza dell' autore e del giudizio. Quindi, dopo il 1880, si forma, deve formarsi logicamente un impressionismo scientifico, o neoimpressionismo, o puntinismo, o divisionismo. Vale a dire una maniera di dipingere usando colori puri non mescolati come già potevano notarsi talvolta nei primi impressionisti, e divisi più o meno minutamente, a punti, a lineette, a fili e fibre, a piatti tocchi tondi o quadrati o rettangolari, secondo il tipo di pennello. Anzi il pennello piatto e squadrato «da impressionista», lo inventarono e misero in commercio dopo l'ottima fortuna dell'impressionismo. La teoria del divisionismo deriva però dalla dottrina dell'Helmholtz circa l'intuizione spaziale per mezzo del senso visivo e dalla legge del contrasto simultaneo dello Chevreul. E primo incoraggiatore artista del divisionismo razionale e scientifico dovrebbe essere stato il Delacroix, che conoscendo l'idea dello Chevreul studiò gli effetti del verde, dell'arancione, del violetto e degli altri colori spettrali; e scrisse circa l'impressione di puro colore, libera da ogni soggetto e contenuto suppergiù come un tappeto, ottenibile guardando qualsiasi pittura in lontananza: e così avrebbe anche approntato un'assai comoda giustificazione agli astrattisti. Dopo le prove degli impressionisti non fu dunque difficile, con apparente logica, con scarsa scienza, con semplicistica estetica, inventare un modo di dipingere adoperando colori puri, mescolati e fusi dall'occhio a una certa distanza invece che impastati l'un l'altro sulla tavolozza. (Con Piet Mondrian, si arriverà ai soli tre colori fondamentali, rosso, giallo, azzurro, racchiusi in nitidi spazi rettangolari). Il divisionismo appare soprattutto lungo gli ultimi quindici anni dell'Ottocento e continua, qua e là, ormai deboluccio, fin verso il 1915. Primi quadri divisionistici si vedono a Parigi, nell'84, al Salon des Indépendants, mostra di rifiutati dal Salon ufficiale. Georges Seurat (1859-1891) parla subito di divisionismo; altri però di impressionismo scientifico, di neo-impressionismo, di puntinismo. Principali divisionisti oltre al Seurat, fondatore e capo riconosciuto del movimento, sono Paul Signac (1863 - 1935), fervido ammiratore di Claude Monet, l'impressionista più vero, più puro, più coerente, che del divisionismo fu il teorico a posteriori, Henri Cross (1856-1910) e poi, in altre esposizioni, Maximilien Luce (1858-1941) e, dall'88, Camille Pissarro (1830-1903). L'impressionismo italiano si chiama «macchia», sia essa toscana o napoletana o persino lombarda. Effettivamente, già i macchiaioli toscani desideravano una pittura scientifica, ottica, appunto grazie alla macchia che dovrebbe dare la piatta sintesi del colore e della forma, entro l'aria, entro lo spazio, abolendo come falsi, disonesti, qualsiasi chiaroscuro e qualsiasi contorno lineare: e grazie alla tavoletta stretta, con campo visivo orizzontale, con le figurine piccole secondo come l'occhio di solito le vede e non mai in grandezza al vero, cioè false e bugiarde, secondo come si conoscono intellettualmente, convenzionalmente. La mescolanza ottica-scientifica non ebbe, tuttavia, in Italia una fortuna seriamente buona. Dopo il tocco di Tranquillo Cremona, dopo una specie di puntinismo luministico in Daniele Ranzoni, dopo il predivisionismo o protodivisionismo di Filippo Carcano, non appare o appare poco, da noi, un divisionismo a colori puri, a colori di contrasto e richiamo. Abitualmente gli artisti seguitano a impastare i colori, preferendo, così, un tono più o meno naturale, anche se steso a trattini, a filamenti, a puntolini. E quando, poi, ci sia davvero, il loro complementarismo sembra intuitivo piuttosto che scientifico sul serio. Né la macchia poté mai aiutare un divisionismo rigoroso: per il semplice fatto che toscana, napoletana, lombarda essa restò sempre suppergiù tonale naturale, se non addirittura accademica. Importatore da noi del divisionismo è il mezzo ungherese e mezzo lombardo Vittore Grubicy (1851-1920) che fino all'84 aveva fatto il mercante d'arte e aveva viaggiato in Inghilterra, Francia, Germania, Belgio e, specialmente, Olanda anche per il Cremona, il Ranzoni, il Fontanesi e altri italiani. E il Grubicy cominciò a dipingere da dilettante, da autodidatta, frequentando diversi pittori come gli olandesi Mesdag, Maris e Anton Mauve (1838-1888), questi ammiratore del Millet e maestro in qualche modo di Vincent Van Gogh. Al quale, oltretutto, piaceva il Millett già prima di conoscere il Mauve. E bisogna anche notare come Giovanni Segantini (1856-1899) amasse l'arte formale, la luce materiale e spirituale, il contenuto umanitario-religioso del Millet. E come, simile per temperamento al Van Gogh, pur egli debba qualcosa al Mauve: infatti l'amico e mercante Grubicy, per avviarlo a una conoscenza, più o meno scientifica, dei colori nei reciproci rapporti, gli mostrò alcuni studi del Mauve. Vittore Grubicy riconosce di aver trovato e imparato il divisionismo fuori d'Italia; ma, lo stesso, nega l'origine francese, e spiega di avere invece preso dal Ranzoni, dal Carcano, dal Fontanesi, e da trattati scientifici, specie da uno del fisico statunitense O. N. Rood. Gaetano Previati (1852 - 1920) pubblica, poi, che non solo il divisionismo nostrano, ma anche il pointillisme viene dal Ranzoni; dimenticando, ignorando, che Georges Seurat espose nell'84 Une Baignade, dipinto fra l'83 e l'84, e che nell'84 lavorava a Un dimanche après-midi sur l'Ile de la grande Jatte, opera tutta con colori ormai purificati e separati. E il Segantini medesimo, in una lettera assai tarda, crede di aver già diviso la luce dipingendo l'interno un po' scolastico, un po' alla Mosè Bianchi col Coro della Chiesa di S. Antonio, cioè nel'78, mentre frequentava l'accademia; trascurando che il Grubicy, nell'86, a Savognino, lo persuase, non facilissimamente, affinché traducesse in divisionismo Ave Maria a trasbordo. Ad ogni modo, sussistono grandi differenze fra il nostro divisionismo e quello straniero. Principale è che lo straniero cerca di tenersi a un fisso naturalismo e realismo scientifico, d'altronde smentito presto da incalzanti modificazioni e nuove teorie scientifiche circa il colore, la luce, la visione; quando da noi il divisionismo, rimasto assai legato a una seria, classica, durevole pittura di tono naturale, riassume, viceversa, gli ideali del secolo XIX luce, movimento, velocità, caricandoli di nuovi sensi intelettuali, spirituaii, sociali e perfino religiosi. Il nostro divisionismo deriva, alla lontana, dall'illuminismo; cioè tanto dai simbolici lumi per l'umano progresso spirituale, quanto da quelli materiali, fisici, ottici: ma i nostri divisionisti, anche se poveri ingenui, credono che il mito della luce e della velocità collegate non deve restare fine a se stesso: la luce sia sempre intellettuale e amorosa, sia radiosa rivelazione che rischiari e guidi l'anima umana, e tale luce divina verità non deve, non può, finire nell'iiluminazione elettrica e poi nel neon, e l'umano cammino, il progresso, non può, non deve equivalere a pura velocità, all'auto, all'aereo, al razzo. Proprio e appunto il socialreligioso scopo ultimo fa sì che il nostro divisionismo già ottimo come fondo di classica pittura appaia anche appena in se stesso superiore a quello straniero. Vogliamo dire che il culto d'una moderna tecnica non lede nel profondo la pittura divisionistica italiana, sempre tenuta bene su dall'antica idea di una tecnica che fa tutt'uno con l'arte, indivisibilmente. Nei maggiori divisionisti italiani Segantini, Previati, Pellizza, si sente un socialismo spirituale, cristiano, aggiungiamo pure una specie, allora, di antisocialismo e perfino nel socialista ufficiale Giuseppe Pellizza (1868 - 1907); oltre che nel perfettamente composto e perfettamente pessimista e triste Angelo Morbelli (1853-1919). E addirittura una visione di celestiale sogno finiamo con l'avere dal Previati che, affine luminosamente, sentimentalmente, o magari dolciastramente, al Piccio cominciò trattando la luce nel gusto del Cremona, e si servì dunque del razionalistico, scientifico, tecnico divisionismo per rappresentare l'irrazionale e l'irreale. E nell'invece naturalista Segantini abbiamo un'alpe suprema, reale ma simbolica e religiosa, tutta materiata diciamolo pure di luce spirituale: abbiamo un vero e proprio paradiso, con dentro l'Angelo più che col superuomo. Vittoria italiana del sentimento spirituale e del contenuto poetico a scopo morale: ottenuta dal Piccio, dal Cremona, dal Fontanesi fino a Segantini.
