Plastica e corrosione di Piero Weisz

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Plastica e corrosione di Piero Weisz













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«Plastica e corrosione» di Piero Weisz


Il fenomeno della corrosione dei materiali da costruzione metallici è uno dei problemi più gravi dell'industria moderna, particolarmente dell'industria chimica e di quelle che hanno a che fare con prodotti chimici. Ogni anno, migliaia di miliardi vengono spesi nel mondo per la manutenzione degli impianti esistenti, intaccati da fenomeni corrosivi, o per l'adozione di materiali particolarmente pregiati, che permettano di prolungare la durata in esercizio di particolari apparecchiature. Nell'ambito dei materiali da costruzione metallici, la lotta contro la corrosione è però senza speranza, almeno dal punto di vista di una totale eliminazione del problema. Tutti i metalli, infatti, vengono più o meno corrosi in condizioni di esercizio severe, quali temperature ed umidità elevate, contatto con sostanze chimiche aggressive, esposizione agli elementi, particolarmente in regioni in cui le condizioni atmosferiche sono poco clementi (e questo è spesso il caso delle zone industriali in cui le precipitazioni, proprio per la concentrazione elevata di gas inquinanti nell'atmosfera, hanno una violenta azione aggressiva). Il fenomeno, che può assumere forme diverse (corrosione galvanica, aerobica, uniforme, ecc.), ha una natura elettrochimica. E' appunto per questa ragione che l'industria, già da molti anni, si è rivolta alle materie plastiche, nella speranza di avere così un'arma valida, almeno in una certa gamma di temperature, contro la corrosione. Infatti, nessuno dei meccanismi corrosivi responsabili dell'attacco dei metalli è possibile nel caso delle materie plastiche. Ciò non significa naturalmente che questi materiali siano completamente esenti da degradazioni di natura che, anche se con termine improprio, potremo definire corrosiva. Le materie plastiche possono venire attaccate con due tipi di meccanismi: attraverso una rottura, dovuta ad agenti esterni, dei legami chimici che tengono unite le macro-molecole, oppure attraverso un attaco di tipo «solvente», che provoca un ringonfiamento della materia plastica ed un suo conseguente indebolimento. Le strutture molecolari delle materie plastiche sono, però, tanto varie, che quasi sempre è possibile trovare un materiale che, in determinate condizioni, non subisca né un attaco di tipo solvente, né una degradazione della catena molecolare. Come è noto, le materie plastiche si dividono in due grandi categorie: le termoplastiche e le termoindurenti. Le prime possono venir modellate mediante il calore, cioè si rammolliscono quando vengono riscaldate, e riassumono una consistenza maggiore in seguito ad un successivo raffreddamento; questo ciclo può venire ripetuto numerose volte, senza sostanziale degradazione delle caratteristiche del materiale. Dal punto di vista delle caratteristiche meccaniche, è ovvio che le materie termoplastiche, fra le quali potremo citare il polietilene, il polipropilene, il cloruro di polivinile, il polistirolo, l'acrilonitrile-butadiene-stirolo (ABS), ecc., risentono molto dell'effetto del calore, cioè le proprietà meccaniche diminuiscono progressivamente, man mano che la temperatura aumenta. Diverso è invece il comportamento delle materie termoindurenti, la cui struttura non è prevalentemente lineare come quella dei termoplastici, ma è tridimensionale, per cui il materiale, una volta che ha assunto una determinata forma (generalmente mediante azione combinata del calore e di uno o più catalizzatori), la conserva, e non può venire rimodellato per riscaldamento. Appartengono a questa classe le resine fenoliche e fenol-aldeidiche, gli amminoplasti, i poliesteri, le resine epossidiche e numerosi altri prodotti di condensazione. Le proprietà meccaniche delle resine termoindurenti sono relativamente poco influenzate dalla temperatura fino ad un certo livello, per poi decadere rapidamente quando questo livello viene superato. La temperatura oltre la quale le proprietà meccaniche cominciano a diminuire rapidamente è nota come «punto di inflessione sotto carico» o, con terminologia anglosassone, «heat distortion point». Questo comportamento delle proprietà meccaniche in funzione della temperatura è indubbiamente importante, per l'impiego di una materia plastica come materiale resistente alla corrosione e quindi anche in strutture autoportanti, ma non è l'unico fattore in gioco. Di notevole interesse è anche il comportamento alle basse temperature e agli sbalzi termici, in quanto queste condizioni si incontrano spesso negii impianti, particolarmente quando le apparecchiature sono installate all'aperto. Un altro fattore importante è naturalmente il costo, e qui è necessario aprire una parentesi. Le materie plastiche hanno spesso un costo superiore a quello dei metalli, particolarmente dei metalli resistenti alla corrosione (acciaio inossidabile, leghe speciali), su una base in peso. D'altro canto questa base è realistica, in quanto ii modulo a flessione delle materie plastiche è molto più basso di quello dei metalli (cioè la loro rigidità è minore), il che comporta la necessità di usarne spessori maggiori, ma nello stesso tempo anche la loro densità è molto più bassa, cioè un volume unitario di materia plastica pesa meno del medesimo volume di qualsiasi metallo. Per la valutazione del costo di un'apparecchiatura in materia plastica è quindi opportuno usare un nuovo parametro, cioè il rapporto resistenza meccanica/peso, che permette di confrontare il costo di pesi diversi di apparecchiatura, a parità di caratteristiche meccaniche. In altre parole, ammesso che un determinato serbatoio, realizzato in una materia plastica, pesi un terzo di un serbatoio analogo di acciaio inossidabile, la materia plastica sarà economicamente più conveniente se il suo costo, per kg. di apparecchiatura, sarà inferiore a tre volte il costo dell'acciaio inossidabile, sempre per kg. di apparecchiatura. Anche un confronto di questo tipo non è però necessariamente realistico, in quanto tiene conto del solo costo iniziale dell'apparecchiatura, ma trascura fattori che spesso possono essere anche più importanti, come i costi di installazione e di manutenzione. E' appunto da questi punti di vista che le materie plastiche si rivelano spesso la soluzione più economica. Il loro peso inferiore permette infatti notevoli risparmi nell'installazione, ed opere di fondazione meno imponenti. Inoltre, se la materia plastica è stata scelta con oculatezza, in funzione delle condizioni di esercizio, i costi di manutenzione sono spesso ridotti addirittura a un ordine di grandezza diverso, quando non spariscono del tutto. Si pensi solo alle periodiche verniciature di cui abbisognano le strutture metalliche, mentre la semplice incorporazione di un pigmento permette di ottenere una apparecchiatura in materia plastica di colore inalterabile e permanente, quando questo è richiesto per esigenze estetiche o di identificazione. Se invece la verniciatura ha unicamente funzioni protettive, nel caso delle materie plastiche la sua utilità sparisce, in quanto questi materiali sono in generale del tutto inerti agli agenti atmosferici. Possiamo ora esaminare, con maggior cognizione di causa, le principali materie plastiche che vengono impiegate come materiaii da costruzione resistenti alla corrosione. Fra i termoplastici, e probabilmente anche in assoluto, il più diffuso è indubbiamente ii cloruro di poliviniie (CPV o PVC). Questo materiale, quando non viene plastificato, è notevolmente rigido, e grazie alla sua struttura idrocarburica satura resiste ad una vastissima gamma di agenti chimici. Inoltre, la presenza nella sua macromolecola di un'elevata percentuale di atomi di cloro lo rende ininfiammabile, caratteristica molto utile in un materiale da costruzione. Il CPV viene normalmente prodotto in lastre, da cui, con opportuni procedimenti di sagomatura, si può ottenere una vasta gamma di strutture, da serbatoi a tubazioni, vasche, apparecchi di reazione, ventilatori, ecc. Dato che il CPV è termoplastico, alcune strutture, e particolarmente le tubazioni di piccolo diametro, si possono ottenere anche per estrusione. Gli apparecchi in CPV offrono caratteristiche indubbiamente interessanti dal punto di vista della resistenza chimica e del costo, relativamente modesto. Lascia invece spesso a desiderare il comportamento di questo materiale alla temperatura; abbiamo visto che la resistenza meccanica dei termoplastici diminuisce gradualmente all'aumentare della temperatura, ed il CPV non si sottrae a questa regola; la sua massima temperatura di impiego è infatti di circa 80°C, limite abbastanza basso per le moderne esigenze industriali. Inoltre, alle basse temperature il CPV subisce un fenomeno di infragilimento da cristallizzazione, particolarmente se le basse temperature vengono raggiunte rapidamente (escursione termica giorno-notte), per cui l'uso di questo materiale può spesso essere consigliabile per applicazioni all'aperto. Per ovviare in parte a questi inconvenienti, si è pensato di «proteggere» all'esterno il CPV con uno strato rinforzante di resina poliestere rinforzata con fibra di vetro. In questo modo lo strato interno di CPV esplica puramente un'opera di protezione dall'azione aggressiva del fluido in gioco, mentre il plastico rinforzato esterno fornisce la resistenza meccanica necessaria perché la struttura risulti auto-portante. Questa tecnologia ha avuto un certo successo, ma non elimina completamente i problemi. Infatti, anche se teoricamente le temperature di esercizio raggiungibili sono un po' superiori, la differenza fra il coefficiente di dilatazione lineare del CPV e del poliestere rinforzato può portare a fenomeni di distacco fra i due materiali. Inoltre, la resistenza alla corrosione è limitata alla porzione interna della struttura, mentre non vi è protezione all'esterno (i poliesteri usati per queste applicazioni sono, per ragioni di costo, del tipo ortoftalico, e quindi dotati di caratteristiche di resistenza chimica quanto meno opinabili). Infine, il costo di queste strutture «miste» è notevolmente superiore a quello delle strutture in solo CPV, e spesso non è competitivo con quello di altri materiali, come i poliesteri di tipo più pregiato. Altri due materiali che hanno avuto un certo successo, sempre nell'ambito dei termoplastici, sono il CPV superclorurato ed il polipropilene. Entrambi permettono di raggiungere temperature di esercizio superiori ai 100°C, il che li rende estremamente interessanti. Nel campo delle resine termoindurenti, due classi di materiali si impongono all'attenzione per le loro caratteristiche di lavorabilità da un lato e di resistenza alla corrosione dall'altro: le resine poliesteri e, in misura minore, le resine epossidiche. Entrambi questi termoindurenti vengono normalmente rinforzati con fibre di vetro, donde il loro nome di plastici rinforzati. Le resine poliesteri insature usate come materiali da costruzione si dividono in tre classi: (a) Resine ortoftaliche, ottenute per esterificazione di un composto poliossidrilato, generalmente glicole propilenico, con anidride ftalica e anidride maleica. Queste resine, naturalmente rinforzate con fibre di vetro, hanno trovato largo impiego nella costruzione di imbarcazioni da diporto (le barche in fiberglass), di pannelli ondulati per l'industria edilizia (del tipo «ondulux»), e anche di carrozzerie per automobili. Le loro caratteristiche di resistenza alla corrosione sono però minime, per cui da questo punto di vista non presentano praticamente interesse. (b) Resine isoftaliche, analoghe alle precedenti, ma in cui l'anidride ftalica è stata sostituita da acido isoftalico. Questi plastici rinforzati hanno già una discreta resistenza chimica, particolarmente ai prodotti petroliferi, e vengono largamente usati in questo settore. Recenti studi in Germania hanno dimostrato la convenienza dei poliesteri isoftalici anche per i serbatoi di benzina interrati delle stazioni di servizio. Le materie plastiche non sono infatti soggette al pericoloso fenomeno delle correnti vaganti, caratteristico dei serbatoi metallici. Inoltre, malgrado la loro combustibilità, comunque lenta, i poliesteri presentano sorprendentemente minori pericoli in caso di incendio. Nel caso infatti di una fonte esterna di incendio, un serbatoio metallico non brucia, ma trasmette il calore alla benzina in esso contenuta, che raggiunge rapidamente il suo punto di infiammabilità, incendiandosi con pericolo di scoppi. Un serbatoio in poliestere, invece, brucia lentamente, ma essendo un ottimo isolante termico, non permette il surriscaldamento della benzina, per cui l'estinzione dell'incendio risulta più facile e meno pericolosa. (c) Resine bisfenoliche, ottenute per esterificazione del bisfenolo A propossilato (cioè condensato con ossido di propilene) con acido fumarico. In generale, il principale meccanismo degradativo responsabile dell'attacco delle strutture in poliestere è l'idrolisi dei legami di estere stesso, particolarmente in ambiente alcalino. Mentre sia nelle resine ortoftaliche che in quelle isoftaliche i legami sono prevalentemente legami di «estere», la presenza delle lunghe catene propossiliche fa sì che, nei poliesteri bisfenolici, la metà dei legami siano eterei, mentre solo la restante metà dei legami sono di estere. I legami eterei sono molto più resistenti all'idrolisi dei legami di estere, e ciò è in larga parte la causa della notevolmente maggiore resistenza alla corrosione di questi poliesteri. Per fare un esempio, mentre dopo un anno di esposizione continua (a 100°C) ad acido solforico al 25% un campione di poliestere ortoftalico è completamente distrutto e un campione di poliestere isoftalico ha perso l'85% della sua resistenza a flessione iniziale, un campione di poliestere bisfenolico ha perso il 30% circa soltanto della resistenza a flessione originale. Le resine poiiesteri sono termoindurenti; non possono pertanto venire sagomate per riscaldamento, e successivo raffreddamento, come i termoplastici. La resina viene pertanto sciolta in un solvente reattivo, lo stirolo, che agisce anche da monomero reticolante, e con questa soluzione, in presenza di opportuni acceleranti e catalizzatori (generalmente del tipo a radicali liberi), si impregna un feltro o una stuoia di fibre di vetro, opportunamente sagomati su uno stampo, che verrà successivamente rimosso. Si continua l'operazione, con vari strati di vetro e di resina, fino ad aver raggiunto lo spessore desiderato. Questo procedimento, che può sembrare largamente artigianale, ma è passibile di una discreta automazione, è il più versatile per la costruzione di apparecchiaure in poliestere, in quanto permette di costruire strutture di qualsiasi forma, ma non è l'unico. Per strutture a sezione trasversale circolare, come tubi o serbatoi, si impiega infatti spesso un processo di avvolgimento («filament winding»), che consiste nell'avvolgere attorno ad uno stampo di forma adatta, rotante, un filamento di vetro (o, meglio, una serie di filamenti), dopo averlo fatto impregnare di resina per passaggio attraverso un bagno. Questo procedimento richiede macchine abbastanza costose, ma in cambio permette una produzione molto più rapida, specialmente di grandi serie di pezzi. Un altro procedimento che sta incontrando un certo successo è la centrifugazione, che consiste nell'introdurre il vetro in uno stampo di sezione circolare, cavo, che viene poi posto in rapida rotazione, mentre un distributore, lungo l'asse centrale dello stampo, spruzza la resina. Questa impregna quindi il vetro per effetto della forza centrifuga generata dalla rapida rotazione dello stampo. Questo processo di centrifugazione è particolarmente utile per la produzione di tubi. La resistenza chimica dei poliesteri, e particolarmente di quelli bisfenolici, è ottima nei confronti di una vasta gamma di agenti aggressivi. Fanno eccezione gli acidi ossidanti concentrati (acido nitrico ed oleum), gli alcali concentrati (soda caustica di concentrazione superiore al 50%), ed alcune classi di solventi organici, come gli acetati, l'acetone e in generale gli idrocarburi aromatici e clorurati. I poliesteri non presentano fenomeni di infragilimento alle basse temperature, resistono bene agli shock termici e sono impiegabili fino a temperature elevate, come 120°C o più. Il punto d'inflessione sotto carico dei poliesteri bisfenolici è infatti di circa 140°C. La massima temperatura di esercizio raggiungibile non dipende però solo dal deterioramento delle caratteristiche meccaniche dovuto alla temperatura, ma anche dal fluido corrosivo in gioco. Mentre infatti una tubazione in poliestere bisfenolico resiste all'attacco del cloro umido anche a temperature ben superiori a 100°C, nel caso, per esempio, di idrato sodico al 25% può essere pericoloso superare i 70°C, e con acido nitrico al 20% i limiti sono ancora più bassi. Resta da parlare delle resine epossidiche, un'altra classe di termoindurenti, che derivano dalla condensazione di epicloridrina con bisfenolo A. La loro struttura è quindi abbastanza simile a quella dei poliesteri bisfenolici, a cui assomigliano anche dal punto di vista delle caratteristiche chimiche. Le resine epossidiche hanno però una resistenza meccanica e termica notevolmente superiore a quella dei poliesteri, anche bisfenoiici, il che dovrebbe permetterne impiego in una più vasta gamma di applicazione. A ciò si oppongono, purtroppo, considerazioni di costo, che hanno limitato per ora l'impiego di questi materiali ad alcuni tipi speciali di tubazioni, ottenute generalmente per avvolgimento o centrifugazione.

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