«Ciclismo: le origini» di Rino Negri
Il ciclismo agonistico iniziò dopo che il veterinario Dunlop inventò la gomma pneumatica (1888). Non è che prima fosse mancata l'attività, ma dal punto di vista tecnico e spettacolare lo sport ciclistico nacque con la camera d'aria. Uno dei primi avvenimenti che contribuirono all' affermazione del ciclismo ebbe come protagonista Henri Desgrange. Francese, noto a Parigi per la passione e il dinamismo che lo animavano, Desgrange volle dimostrare come, in un'ora, un «ciclista atleticamente e spiritualmente preparato, usando le gambe ma specialmente la testa», fosse in grado di percorrere almeno trentacinque chilometri: velocità alla quale non sempre riuscivano a viaggiare allora i treni. Era l'11 maggio 1893. Per questa dimostrazione, Henri Desgrange - che doveva diventare nel 1905 creatore e direttore del Tour de France - scelse la pista parigina di Buffalo, così chiamata perché l'impianto sorgeva in una zona della capitale francese dove la troupe del famoso colonnello William Cody, più noto come Buffalo Bill, era rimasta per tanto tempo accampata. Desgrange fu davvero molto bravo e percorse nei sessanta minuti la distanza di Km. 35,325. Prima che si entrasse nel'900, un campione del pedale riuscì a diventare ricco correndo e la cosa non mancò di stupire, perché a fare tanti quattrini fu un pistard americano di nome Arturo Augusto Zimmermann. A quei tempi «Zimmy» fu il solo ad ottenere di essere retribuito anche nei giorni in cui, a causa del maltempo, le manifestazioni non potevano aver luogo. E quando alcuni organizzatori pensarono di far venire Zimmermann in Europa, rimasero letteralmente senza fiato perché l«americano volante» (così definito dagli esperti in quanto si metteva alle spalle i duecento metri in 12") aveva posto condizioni capestro: 25 mila franchi a titolo di rimborso spese, un gettone di presenza di 1250 franchi per ogni manifestazione, una percentuale sull'incasso lordo (che poteva arrivare anche al trenta per cento) e una «garanzia» di 25 mila franchi destinata a compensare le somme non incassate per un motivo qualsiasi. Sulle prime i promotori europei pensarono di mandare Zimmermann a quel paese ma alla fine decisero di rischiare. E non sbagliarono. Difatti, per vedere l'«americano volante» la gente faceva ressa ai botteghini molte ore prima che avesse inizio la manifestazione. In un paio di occasioni furono ben 45 mila gli spettatori che accorsero ad ammirare il «più classico dei campioni». I corridori che gareggiando su strada all'inizio del secolo si arricchirono al punto di far ritenere il ciclismo uno sport redditizio e da praticare, nonostante i sacrifici durissimi che imponeva, furono Van Hauwaert (belga), Henri Pélissier (francese), Christophe (francese), Alavoine (francese), Garrigou (francese). Il primo «campionissimo» espresso dal nostro ciclismo fu invece Costante Girardengo. Il corridore di Novi Ligure oscurò la fama della coppia Gerbi-Cuniolo, che aveva tenuto desto fino allora l'interesse per lo sport ciclistico in Italia. Con l'esplosione di Girardengo il ciclismo italiano raggiunse un livello tecnico internazionale. Belloni fu l'antagonista più ostinato del campione di Novi Ligure, anche se otto volte su dieci era costretto a soccombere. Girardengo non diventò campione del mondo perché la corsa per il titolo ufficiale venne istituita soltanto nel 1927, quando lui era già nella fase di declino. Nel 1924 Girardenqo si aggiudicò a Parigi il gran premio Wolber, considerato il «campionato del mondo ufficioso»; ma l'occasione per far parlare moltissimo di sé anche nei Paesi esteri gli si presentò quando, nel 1923, lanciò - con una posta di cinquantamila lire - una sfida a tutti i corridori del mondo. Girardengo voleva dimostrare di essere il più forte, e il convincimento che lo fosse davvero si fece strada quando si vide che nessuno accettava di misurarsi con lui. «Gira» - il diminutivo era stato coniato dai giornali per comodità di titolazione - si era detto disposto a correre questa sfida sulla distanza di trecento chilometri, in Italia o nel Paese dello sfidante. Erano lontani i tempi in cui Romolo Buni si era cimentato, senza successo, sulla pista del Trotter di Milano contro il leggendario Buffalo Bill in sella ad uno dei suoi favolosi cavalli, ma ogni volta che si parlava delle possibilità di un asso del pedale gli appassionati si chiedevano che cosa questo asso avrebbe fatto se messo di fronte ad un purosangue di valore. I sostenitori dei ciclisti affermavano che Buffalo Bill aveva prevalso su Buni perché la sfida si era svolta su di un terreno e su distanze (due ore al giorno per una settimana) decisamente favorevoli al cavallo. Inoltre si doveva tener conto dell'eccezionalità del puledro e di chi lo montava, mentre Romolo Buni non poteva essere considerato, pur con tutto il rispetto che gli era dovuto, un ciclista eccezionale. Per dare soddisfazione ai tifosi che si erano dichiarati disposti a «scommettere la casa» sulla sconfitta del cavallo, Girardengo gareggiò e vinse contro un puledro di razza. Anche dopo il periodo detto «di Girardengo» altri corridori accettarono di incontrare un purosangue. L'ultima di queste curiose sfide venne allestita nel 1977 ed ebbe come protagonisti il belga Freddy Maertens, campione del mondo degli stradisti nel 1976 a Ostuni, in Puglia. All'ippodromo francese di Amiens il biondo fiammingo venne battuto ma non se la prese più di tanto forse perché incassò, lira più lira meno, i suoi cinque milioni. Il primo campionato del mondo per professionisti, che ebbe luogo nel 1927 in Germania, ad Adenau (Nürburgring), venne vinto da Alfredo Binda. Varesino di Cittiglio - dove venne poi anche eletto consigliere comunale - Binda si laureò campione del mondo altre due volte: nel 1930 in Belgio, a Liegi, e nel 1932 in Italia, a Roma. L'astro di Binda brillò dal 1923 al 1933. Dei suoi primati, uno continua a stupire; riguarda il numero delle vittorie che egli ottenne in un Giro d'Italia: nel 1927, sua annata d'oro, si aggiudicò difatti ben dodici delle quindici tappe in programma. Fu tale la superiorità manifestata da Binda, in quella e in altre edizioni, che gli organizzatori del Giro d'Italia si accordarono con i dirigenti della Legnano, la marca milanese per la quale correva, perché il campione, con ii pretesto di «pensare al Tour de France», disertasse l'edizione del 1930. A Binda la Legnano versò in anticipo la somma di ventiduemila e cinquecento lire, la stessa che l'«imbattibile» avrebbe incassato aggiudicandosi la corsa. Al Tour, poi, le cose si misero male per Binda che decise di abbandonare. Nessuno dei due grandi assi - Girardengo e Binda - riuscì mai a vincere il Tour de France. Il primo italiano che ebbe l'onore di salire sul podio di Parigi come vincitore della massacrante prova fu Ottavio Bottecchia, scritturato da un'industria francese, l'Automoto, la quale si era dovuta «accontentare» di lui non potendo ottenere la firma dell'affermato Giovanni Brunero. Bottecchia vinse il Tour per due anni di seguito (1924 e 1925) e stabilì un invidiabile record che venne uguagliato soltanto molti anni dopo. Primo in classifica generale al termine della prima tappa, difatti, Bottecchia vi rimase sino alla fine del Tour. Il corridore di San Martino Colle Umberto (Treviso) morì in seguito a un incidente, in allenamento, giudicato tuttora misterioso da chi non ha mai creduto all'«insolazione» che lo fece stramazzare al suolo privo di sensi. Se Girardengo aveva dato un indirizzo al ciclismo italiano sul piano della tecnica e della meccanica, Binda aveva contribuito a farne uno dei meglio organizzati dal punto di vista del funzionzionamento della squadra. Se Belloni era stato l'anti-Girardengo, Guerra divenne l'anti-Binda. Il ciclismo italiano campò per decenni sui dualismi; per questo alcuni osservatori stranieri, compreso Henri Desgrange, dissero che l'Italia non era un Paese di sportivi ma di tifosi. In fondo era vero e si dovette attendere a lungo prima che gli appassionati italiani di ciclismo accogliessero con entusiasmo anche i campioni esteri. Dopo che per sei lustri e più si era tanto parlato di Gerbi-Cuniolo, Girardengo-Belloni, Binda-Guerra, era logico che i cronisti sportivi attendessero con ansia il nome da contrapporre a quello di Learco Guerra, «la locomotiva umana», campione del mondo al termine di una prova di oltre centosettanta chilometri a cronometro. E fu proprio per la mancanza immediata del rivale da contrapporgli che dal punto di vista giornalistico si cercò di far «vivere» Binda più a lungo di quanto egli stesso desiderasse. Concludendo la nostra rapida rassegna dei primi 35 anni di attività professionistica, si devono ricordare altri campioni che hanno dato lustro al ciclismo in Europa: Thys, Aerts, Ronsse, Kint, Lucien e Marcel Buysse, Vervaeke, Romain e Sylvere Maes, Kaers belgi; Faber e Frantz lussemburghesi; Garin, Trousselier, Lapize, Francis Pélissier, Speicher, Leducq, Magne francesi; Montero, Berrendero, Canardi, Trueba spagnoli; Suter svizzero; Ganna, Galetti, Brunero, Linari, Martano, Olmo italiani.
