Cavalli e tecnologia di Luigi Gianoli.

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"Cavalli e tecnologia" di Luigi Gianoli

"Se non fossimo consci della lentezza del progresso umano, non si spiegherebbe perché le selle siano rimaste sconosciute sino al quarto secolo d.C. e le staffe, almeno in Europa, sino all'ottavo secolo, quando invece il morso e la briglia erano stati realizzati già all'inizio dell'éra del bronzo, se non anche più indietro nel tempo."

Così scrisse il Fuller nell'Influence de l'armement sur l'histoire, mettendo in evidenza la lentezza dell'uomo nell'introdurre un finimento ritenuto ormai fondamentale e indispensabile per la completa conquista e l'impiego più proficuo del cavallo.

I vantaggi che la sella e la staffa offrono alla stabilità del cavaliere sono tali, che davvero si stenta a credere alla lentezza dell'iter della staffa nel mondo, quella staffa apparsa in forma di sottopancia lento (sculture di Sanchi, Pathora e Matura in India - II sec. d.C.), poi di anello per l'alluce (ne restano esempi ancor oggi in Dancalia), che non poteva però essere usato da cavalieri calzati, e la cui diffusione fu ostacolata dai climi freddi del nord, a meno che proprio il bisogno di introdurre nell'anello la totalità del piede calzato non abbia indotto quei popoli nordici a ingrandire l'anello stesso.

Indicazione curiosa ci è offerta invece dal cammeo di Kushan (British Museum) del 100 d.C. dove appare un cavaliere, calzato, con i piedi sostenuti da qualche cosa che sembra un gancio rigido pendente dalla sella (uncino che poteva impigliare il cavaliere in caso di caduta), esperimento rivelatosi non soddisfacente, ma che dimostra gli sforzi dei popoli dei Pakistan settentrionale per adattare la staffa per l'alluce alle loro esigenze di guerrieri calzati con stivali.

La staffa completa è probabilmente invenzione cinese, o meglio elaborazione dell'invenzione indiana giunta in Cina attraverso l'ondata missionaria buddhista.

La prima menzione della staffa nella letterature cinese, nel 477 d.C., la indica in uso abbastanza comune; la prima raffigurazione di là pervenutaci è del 523 (stele al Riyal Museum di Ontario).

Dalla Cina le staffe si diffusero in Corea e in Giappone, da un lato, nell'Asia centrale dall'altro.

L'introduzione della staffa nel mondo islamico sarebbe avvenuta nel 694 cioè quando il generale Mihallab stava conducendo nella Persia centrale una campagna contro gli Azrakiti.

Ce ne dà notizia lo storico Al-Jahiz nel descrivere il disprezzo del persiano Shu-ubiyah per gli Arabi:

"Voi eravate abituati a cavalcare in battaglia i vostri cavalli a groppa nuda e quando un cavallo aveva una sella, questa era di cuoio, ma non aveva staffe. E le staffe sono i migliori finimenti da guerra sia per il lanciere che maneggia la lancia, sia per il guerriero che brandisce la spada, perché possono alzarsi in piedi su di esse od usarle come appoggio".

Al che Al-Jahiz risponde:

"Per quanto riguarda le staffe si sa che sono molto antiche, ma le staffe di ferro non erano usate dagli Arabi prima dei giorni degli Azrakiti".

Le staffe dovevano essere giunte nel Turkestan da poco, giacché erano sconosciute nel regno dei Sassanidi.

La prima menzione bizantina della staffa la si trova nello "Strategikon" attribuito all'imperatore Maurizio (582-602). Ma l'opera è apocrifa.

La staffa non la conobbero neppure gli Avari, provenienti dalle steppe dell'Asia Centrale;

l'avrebbero conosciuta i Longobardi, che furono spinti dalla Pannonia in Italia proprio dallo scontro con gli Avari nel 568.

Invece le tombe longobarde, pur ricche di finimenti equestri, sono prive di staffe sino all'VIII secolo, cioè con la tomba 41 di Castel Frosino.

Occorre tornare quindi all'opinione dei vecchi archeologi tedeschi secondo i quali le staffe sono apparse per la prima volta in occidente agli inizi dell'VIII secolo.

(Polidoro Vergilio era stato il primo a notare, nel De rerum inventoribus, Venezia 1499, cap. 13, che la staffa è invenzione post-classica).

Fu proprio in quell'epoca, al tempo appunto di Carlo Martello, che i verbi indicanti il montare e lo smontare da cavallo, insilire e desilire, cominciarono ad essere sostituiti da scandere equos e descendere, dove al senso di un'azione compiuta d'un balzo, subentra quello di un movimento graduale.

Con l'introduzione della staffa sparirono talune armi e la spatha si allungò sino a diventare la lunga spada del guerriero a cavallo, mentre si diffondeva una lancia dall'asta pesante e con sbarretta d'arresto al di sotto della lama per impedire che l'arma penetrasse troppo profondamente, il che poteva ostacolarne l'estrazione dal corpo del nemico.

Questa si trasformò presto nella tipica lancia gigliata carolingia, con sbarretta, il che è comprensibile solo in funzione del nuovo combattimento d'urto a cavallo, a lancia in resta, possibile solo con l'impiego della staffa.

Se nell'antichità la cavalleria aveva generalmente la funzione di difendere le ali dello schieramento della fanteria, con lo stabilizzarsi del cavaliere in sella e con la grande intuizione di Carlo Martello della massa di urto formata dal cavaliere e dal cavallo ormai saldati dalla sella e dalla staffa, la cavalleria divenne il nerbo dell'esercito franco e poi degli altri popoli.

La staffa dunque rese possibile una particolare maniera di combattimento che, a sua volta, creò una classe determinante per il Medioevo feudale, i cavalieri;

ma fu il genio di Carlo Martello che, afferrando in pieno le possibilità offerte dalla staffa, creò, in funzione di questa, un nuovo tipo di combattimento fondato su una nuova struttura dell'esercito e quindi della società, quella che chiamiamo feudalesimo.

Siccome la terra, infatti, era la sola forma fondamentale di ricchezza, quando Carlo Martello e i suoi eredi decisero che era indispensabile assicurarsi una cavalleria in grado di combattere secondo la nuova e costosa tecnica, presero l'unica decisione possibile:

confiscarono le terre alla Chiesa e le distribuirono ai vassalli a condizione che questi servissero come cavalieri nell'esercito franco.

Combattere secondo la nuova tecnica richiedeva forti spese.

I cavalli erano costosi e l'armatura doveva essere più pesante per far fronte alla violenza del combattimento d'urto.

Nel 761 si ha notizia della vendita di terre avite e di uno schiavo in cambio di un cavallo e di una spada. Sembra che l'equipaggiamento di un cavaliere costasse circa venti buoi.

Si aggiunga che ad un cavaliere occorrevano cavalli di ricambio per sé e per lo scudiere e che foraggio e avena erano molto cari.

A causa delle necessità di vettovagliamento di un esercito tutto o quasi a cavallo, dal tempo di Carlo Martello i famosi Campi di Marzo vennero spostati e divennero Campi di Maggio, cioè al tempo della prima fienagione.

La stessa Bisanzio, sotto l'influenza dei Franchi mutò presto il suo assetto militare e già al tempo di Niceforo Foca (963-969) la guarnigione di Costantinopoii constava di quattro reggimenti di cavalleria e di uno solo di fanteria.

Quando Guglielmo il Conquistatore ottenne la vittoria e la corona d'Inghilterra, modernizzò rapidamente il suo regno, cioè lo feudalizzò.

La vittoria gli era riuscita facile poiché gli Inglesi usavano la lancia ancora secondo il vecchio uso (a giavellotto) mentre i cavalieri normanni erano corazzati e portavano la lancia in resta.

L'Inghilterra dalla fine dell'XI secolo è l'esempio più tipico, nella storia europea, di disgregamento di un ordine sociale per l'improvvisa introduzione di una tecnologia militare rivoluzionata da una intuizione formidabile nell'impiego di un finimento, la staffa.

Poche invenzioni sono state più semplici della staffa, ma poche hanno avuto influenza così grande sulla storia.

Le esigenze del nuovo modo di combattere, che essa aveva reso possibile, trovarono espressione in una nuova organizzazione della società dell'Europa occidentale dominata da una aristocrazia cui erano state assegnate in beneficio le terre perché essa fosse in grado di combattere in un modo nuovo ed estremamente specializzato.

Questa nobiltà creò forme culturali e modi di pensiero e sentimenti in armonia col combattimento d'urto e col suo ruolo sociale.

"E' impossibile essere cavallereschi senza cavallo", si sosteneva.

L'uomo a cavallo, quale l'abbiamo conosciuto per un millennio, fu possibile grazie alla staffa, che unì l'uomo al destriero in una singola unità di combattimento.

Staffa deriva dalla parola longobarda significante passo, orma, pedata.

L'inglese stirrup, lo spagnolo estribo, il provenzale estreup, l'antico francese estrieu e l'anglosassone stirap derivano dal greco astrabe, basto da carico, trasformato talora in sella laterale da donna, con l'aggiunta, su di un lato, di un'asse sostenuta da cinghie per servire come sostegno per i piedi.

Di selle di tale tipo esistono un rilievo hittita del 730. a.C. e parecchi d'epoca gallo-romana.

Nell'età carolingia l'astrabe era venuta ad indicare non l'intera sella, ma solo il sostegno per i piedi.

Quando poi la vera staffa raggiunse l'occidente, essa fu assimilata linguisticamente all'astrabe, unico tipo di sostegno del piede per il cavaliere già familiare ai Franchi.

Se l'invenzione del morso e delle redini fu alla base dell'assoggettamento del cavallo, le tecnologie successive furono sollecitate dell'impiego stesso del cavallo e dal suo sviluppo.

Un cavallo piccolo come quello mediterraneo poteva essere agevolmente cavalcato e dominato solo mediante un morso molto forte.

Facile era salire e scendere dalla groppa di quell'animale di piccola statura.

Ma quando questo cominciò a crescere di statura, cosa che avvenne nella tarda antichità, vedasi il superbo cavallo da guerra della statua di Marco Aurelio, della fine del II secolo, occorreva stare in sella con maggiore sicurezza e salire e scendere di sella era più faticoso.

Le selle cominciarono a farsi più complesse e dall'ephippion greco di Senofonte, si arrivò alle gualdrappe romane poste su una armatura di legno con arcione sempre più pronunciato, a pomello, e con paletta sempre più vasta.

Ciò impediva al cavaliere di scivolare dall'indietro all'avanti, e viceversa;

ma non era risolto il problema delle cadute laterali.

Tali selle, che l'imperatore Teodosio ordinò di peso non superiore a sessanta libbre, composte di una carcassa di legno e coperte di stoffe con imbottiture di crine di lana, erano portate da cavalli ormai molto pesanti, riconoscibili nelle raffigurazioni dal III sec. in poi, dalle folte barbette e dalla criniera e coda ondulate.

Verso il IV secolo esistevano tre varietà di cavalli pesanti, una delle quali molto vicina allo Shire odierno.

Cavallo da tiro e da sella particolarmente apprezzato era il "noricum".

Per possedere completamente il cavallo e usarlo senza logorarlo è indispensabile l'applicazione del ferro agli zoccoli, invenzione anche questa stranamente tarda.

Lo sfruttamento dell'animale dura quanto durano i suoi zoccoli.

Gli zoccoli del bue sembrano meno soggetti a fratture che non quelli del cavallo, che sensibili all'umidità, si fanno molli e si logorano facilmente in terreni paludosi e nordici, mentre su terreni asciutti, come in Spagna o in Arabia, diventano tanto resistenti da poter affrontare persino terreni rocciosi.

Nel periodo classico, basta leggere Senofonte e altri scrittori militari, il piede del cavallo veniva protetto da sandali detti ippopodi, ipposandali, solae, attaccati con corregge e corde alla pianta del piede per ornamento o per favorire la guarigione di uno zoccolo rotto.

Senofonte raccomanda di tenere ii cavallo sempre all'asciutto, di farlo sostare su una lettiera asciutta e di sistemarlo su un suolo duro, un selciato fatto di sassi grandi quanto lo zoccolo, per rinforzare la parte cornea del piede.

Molti hanno voluto attribuire l'invenzione della ferratura all'epoca carolingia in base a un bronzetto raffigurante Carlo Magno a cavallo (ma la ferratura è aggiunta cinquecentesca).

La cavalleria non doveva essere ferrata in quell'epoca se nell'aprile dell'873 un freddo improvviso, avendo fatto congelare le strade in Aquitania, "rovinò gli zoccoli dei cavalli".

Il primo esempio sicuro di ferri da cavallo proviene dalle tombe dei cavalieri nomadi della regione dello Jenissei in Siberia che risalgono al IX secolo.

Contemporaneamente i ferri da cavallo vengono menzionati nella Tacita, opera dell'imperatore Leone Vl che regnò a Bisanzio dall'886 al 912.

Nel 973 Gerardo nei Miracula Sancti Ouldarici parla di ferri chiodati come cosa abituale, per coloro che compivano lunghi viaggi.

Nel 1038 Bonifacio di Toscana ostentava la sua condizione usando chiodi d'argento per i ferri dei suoi cavalli.

Un cavallo ferrato resta tuttavia di scarsa utilità per arare o tirare un carro se non è attaccato in modo che la sua forza di trazione possa essere utilizzata.

Nell'antichità i cavalli si attaccavano in maniera assolutamente inefficiente.

Il giogo, esemplato su quello del bue, applicato al garrese del cavallo veniva assicurato con due cinghie, una che circondava il tronco, l'altra che passava sul collo dell'animale.

Ne derivava che, non appena il cavallo cominciava a tirare, la cinghia del collo premeva sulla vena iugulare e sulla trachea, e tendeva così a soffocarlo e ad impedire il flusso del sangue alla testa.

Inoltre il punto di trazione risultava il garrese, troppo alto, da un punto di vista meccanico, per ottenere il massimo effetto.

Al contrario il tipo di bardatura moderno consiste in un collare rigido imbottito, che posa sulla spalla, in modo da permettere una libera respirazione e circolazione del sangue.

Al collare è attaccato il carico o per mezzo di tirelle laterali o di stanghe, in modo che il cavallo possa sfruttare tutto il suo peso per tirare.

Il cavallo d'epoca classica era dunque in grado di trainare un quinto del peso trainabile con bardatura a collare.

L'invenzione del collare non sorse d'un tratto.

Molti furono i tentativi romani, cinesi e bizantini per eliminare gli svantaggi della bardatura a giogo, modificando di volta in volta la cinghia e il pettorale.

Una fibula di Colonia, un mosaico di Ostia dei III secolo, un rilievo di Avignone del IV secolo, mostrano tutti questi tentativi e, in quest'ultimo, si può notare già una specie di collare anche se attaccato troppo alto sul collo.

Tuttavia testimonianze filosofiche, secondo le quali il termine inglese hames e il tedesco Kommut sono di origine turca, implicano una diffusione dall'Asia Centrale anche di questa invenzione.

L'arte ci testimonia con l'inizio del X secolo l'uso del collare attraverso tre miniature franche.

Ma recentemente è stata scoperta una miniatura del IX secolo nell' "Apocalisse" di Treviri, dove il collare è evidente e il carro a quattro ruote mostra quelle anteriori più piccole, presupponendo così l'esistenza del perno sul quale giravano gli assi anteriori nonché l'esistenza di bilancini.

Con l'invenzione del collare il cavallo divenne il più importante animale da lavoro sostituendo il bue nell'aratura (più veloce e forte e resistente del bue, il cavallo poteva arare nel medesimo tempo un'estensione doppia di terreno) e soprattutto sveltì e diminuì il costo dei trasporti terrestri.

Si verificò quindi una profonda rivoluzione economica che determinò crisi negli strati inferiori della popolazione europea e favorì la classe borghese dei commercianti.

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