«L'industria britannica dell'automobile nel 1979» di Paolo Ferrini


All'inizio del ventesimo secolo esistevano nel Regno Unito più costruttori di automobili di quanti ve ne siano oggi in tutto il mondo. Avevano iniziato infatti la loro attività la Rover (1878), la Star (1883), la Daimler (1893), la Lancashire (1896) che nel 1920 prese il nome di Leyland, la Standard (1903), la Austin (1905), la Morris (1913). Questa situazione era però destinata a modificarsi con il passare degli anni. Molti costruttori cominciarono infatti ad associarsi tra loro e già nel 1928 il gruppo Nuffield Organisation, controllato dalla Morris, comprendeva la MG, la Riley, la Wolseley, la Hotchkiss, la SU. Venti anni più tardi la AEC, specializzata nella costruzione di autocarri e di autobus, rilevò le rivali Crossley, Maudslay, Thornycroft dando vita alla Associated Vehicles. Nel 1955 la Leyland Motor Company, produttrice anch'essa di veicoli industriali, riunì sotto il suo marchio la Albion, la Halley, la Scammel. Nel decennio che va dal 1950 al 1960 si registrò una continua espansione dell'industria automobilistica britannica, una delle più pronte a riprendersi dal caos della seconda guerra mondiale, tanto è vero che già nel '50 essa riuscì a superare per la prima volta il milione e mezzo di autoveicoli prodotti. Un importante contributo in questo senso venne nel 1952 quando la fusione della Austin con la Nuffield Organisation portò alla nascita della BMC (British Motor Corporation). La BMC poté infatti contare su una nuova Morris Minor, disegnata da Alec Issigonis, che con la sua ampia carrozzeria e il suo solido motore si rivelò un grosso successo commerciale. La Morris Minor fu infatti la prima automobile inglese che superò il milione di esemplari prodotti (per l'esattezza ne vennero costruiti 1.600.000). Nel 1956 la crisi di Suez costrinse la Gran Bretagna a severe sanzioni economiche e per un breve periodo anche al razionamento del petrolio. Di tale situazione risentì anche l'industria automobilistica la cui produzione nei due anni successivi non andò mai oltre i livelli raggiunti nel 1955. A risollevare le sorti dell'automobile inglese giunsero provvidenziali nel 1959 la Ford Anglia e la Mini che le BMC costruì a Longbridge come Austin Seven ed a Oxford come Morris Mini Minor. Il fatto che la Mini venisse proposta alla clientela con nomi e marchi diversi (in seguito si aggiunsero anche quelli di Riley Elf e di Wolseley Hornet) non deve stupire. Tutti i maggiori costruttori britannici hanno sempre avuto la tendenza a diversificare la loro produzione più dei loro colleghi europei e statunitensi inserendo uno stesso modello nella gamma di tutte le marche loro affiliate. Solo in tempi molto recenti ci si è resi conto della scarsa economicità di questa estrema diversificazione ed è stato avviato un processo di razionalizzazione produttiva. Nel 1961 una contrazione del mercato interno, dovuta ad una serie di restrizioni economiche, e un netto crollo delle esportazioni (in particolar modo verso gli Stati Uniti dove il lancio delle «compatte» ridusse di oltre due terzi le importazioni di automobili straniere) furono le cause di un nuovo rallentamento della produzione. La situazione migliorò l'anno successivo quando la riduzione della tassa d'acquisto, l'aumentata domanda dall'estero e la presentazione di parecchi nuovi modelli portarono ad un nuovo aumento produttivo tanto che nel 1964 si poté raggiungere il milione e 800 mila veicoli costruiti, pari a una media di 35.200 unità la settimana. Dopo questo momento favorevole la produzione tornò a calare in seguito all'introduzione nel giugno-luglio del 1965 e nel febbraio e nel luglio del 1966 di più severe norme fiscali. E' in questo periodo (1966) che la Jaguar/Daimler si unì alla BMC dando vita alla BMH (British Motor Holding). Dopo una prima ripresa nel 1967, la situazione migliorò sensibilmente nei 1968, anno che si chiuse infatti con significativi aumenti della produzione (17%) e delle esportazioni (40%). Nel maggio di quello stesso anno l'unione delle BMH, della Pressed Steel e del gruppo Leyland (che nel frattempo aveva assorbito la Associated Commercial Vehicles, la Standard/Triumph, la Rover Company e la Alvis) portò alla costituzione della BLMC (British Leyland Motor Corporation) che, in seguito a due successive riorganizzazioni interne, cambiò il suo nome prima in British Leyland Ltd, (1975) e quindi in BL Ltd, (1977). Oggi la produzione annua dell'industria automobilistica britannica si aggira attorno a un milione e 600 mila autoveicoli, il 98% dei quali proviene da quattro grandi complessi industriali; la BL (45%) la Ford (26%), la Chrysler UK (14%), la Vauxhall (13%). Di questi soltanto il primo, al quale fanno capo Austin, Daimler, Jaguar, Land Rover, Morris, MG, Rover, Triumph, può essere considerato completamente inglese. La Ford, la Chrysler UK (divenuta recentemente parte integrante della PSA/Peugeot-Citroën-Chrysler) e la Vauxhall sono infatti delle filiazioni dell'industria statunitense. La Chrysler Corporation acquisì infatti nel 1964 il 30% delle azioni ordinarie del gruppo inglese Rootes (Hillman, Humber, Sunbeam), tre anni dopo se ne assicurò il controllo e nel luglio del 1970 ne cambiò definitivamente il nome in Chrysler Uniter Kingdom. La Ford Motor Company e la Vauxhall Motors sono tradizionalmente delle vere e proprie sussidiarie dei gruppi Ford e General Motors. Accanto a questi «quattro grandi» il panorama automobilistico britannico vede un gran numero di piccoli costruttori che si dedicano alla produzione di vetture sportive e di gran lusso in numeri limitati. Tra questi costruttori troviamo nomi prestigiosi come quelli di Rolls Royce, Bentley, Aston Martin, Lotus e molti apprezzati specialisti come AC, Jensen, Marcos, Morgan, Reliant, Bristol, TVR. In Gran Bretagna viene inoltre costruita la maggior parte dei bolidi che oggi partecipano alle più importanti competizioni internazionali. Accanto alla Lotus, che ha anche una produzione di vetture granturismo, troviamo un gruppo di imprese a carattere artigianale depositarie di tecniche avanzatissime delle quali Tyrrell, Brabham, McLaren, March, Chevron, Arrows, Williams sono alcune delle più brillanti espressioni. Altro settore particolarmente vitale è nel Regno Unito quello dei veicoli industriali (autocarri e autobus). La Leyland (gruppo BL), la Ford e la Bedford (gruppo GM), alle quali si affiancano costruttori minori come la ERF, la Foden e la Seddon Atkinson (gruppo International Harvester), coprono l'80% circa del mercato interno. L'attività di questo settore spazia senza soluzione di continuità dai veicoli commerciali leggeri ai grandi articolati capaci di trasportare carichi di oltre 100 tonnellate. Di un'ottima reputazione godono in tutte le parti del mondo gli autobus ad uno ed a due piani costruiti nel Regno Unito. Sulla soglia degli anni ottanta l'industria britannica occupa il quinto posto nella graduatoria dei maggiori produttori mondiali di autoveicoli; la precedono le tre «locomotive» dell'economia internazionale (Stati Uniti, Giappone, Germania Federale) e la Francia, né è pensabile che questo stato di cose sia destinato a cambiare nei prossimi anni, «I nostri traguardi» ha dichiarato Michael Edwardes, presidente e direttore generale della BL «sono un maggiore pregio ed un più alto grado di specializzazione. E' nostro desiderio occupare nel mercato dell'automobile il posto che gli Svizzeri ebbero per molti anni in quello degli orologi». Nel prossimo futuro avremo dall'industria britannica automobili dalla personalità ben distinta, comprovata da un prestigioso passato, ma certamente non asservite a mode ed a metodi superati. La tradizione, come è nello spirito inglese, verrà rispettata, ma l'ormai centenario patrimonio tecnologico dell'industria automobilistica britannica, lungi dall'essere dimenticato, troverà nei nuovi modelli la sua giusta valorizzazione.

 

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