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Il mistero di Atlantide di Peter Kolosimo

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Il mistero di Atlantide di Peter Kolosimo

 

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Il mistero di Atlantide di Peter Kolosimo

 

Un continente scompare di colpo dalla faccia del globo senza lasciare traccia se non in passi di antichi autori, in brani enigmatici aperti a molte interpretazioni: in paralleli mitologici, archeologici, paleontologici tanto affascinanti quanto discussi dalla scienza tradizionalista: si tratta di Atlantide, la terra sommersa su cui sono stati scritti almeno 25 mila libri, con incalcolabili monografie e articoli. Lasciando da parte speculatori, visionari, cultori di «scienze esoteriche», prendendo in considerazione soltanto i lavori di studiosi qualificati, vedremo come a questa regione leggendaria siano state attribuite le più diverse posizioni geografiche: si va dal Mediterraneo al Sahara, da Helgoland all'Asia Minore. Nel 1678, tuttavia, un geniale ricercatore, padre Kirker, gettò quelle che sembrano le basi più solide dell' «atlantologia» moderna, affermando che le Canarie e le Azzorre dovrebbero essere le ultime cime affioranti del continente sommerso, il quale si sarebbe esteso fra le coste dell'Europa occidentale, l'Africa del nord-ovest e l'America centro-meridionale. Tale ipotesi concorda appieno con la descrizione fornitaci da Platone nei suoi due dialoghi Timeo e Crizia. Attingendo probabilmente alle rivelazioni fatte da sacerdoti egizi al legislatore ateniese Solone verso il 570-560 a.C., il filosofo scrive: «Oltre quelle che ancora oggi chiamano Colonne d'Ercole si trovava un grande continente detto Poseidonis o Atlantis, che misurava tremila stadi in larghezza e duemila in lunghezza, più grande dell'Asia e della Libia prese assieme, e da questo si poteva andare ad altre isole, e da queste isole ancora alla terraferma che circondava il mare in verità così chiamato».

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Le «altre isole» sono state identificate da vari scienziati dei nostri tempi con le Antille, mentre la «terraferma» starebbe a designare l'America. Significativo ci sembra il fatto che anche le leggende diffuse ancora oggi presso gli indigeni messicani ci parlano di una terra scomparsa, posta, in un remoto passato, «là dove sorge il Sole e dove ora non c'è che acqua». E quella terra era chiamata dagli Aztechi con un nome davvero tale da fare riflettere: Aztland. I Nahua (un gruppo etnico a cui appartengono i discendenti degli Aztechi) designano, poi, la loro patria originaria con il vocabolo Nahoatlan, che significa «terra fra le acque», e le loro tradizioni ne parlano come di «un grande paese» situato ad est del continente americano, paese distrutto «dalle furia del fuoco e del mare». Disponiamo di prove tali da appoggiare seriamente le teorie relative all'ubicazione della terra sommersa, sulle quali concordano numerosi ricercatori contemporanei? Sì, e ne possiamo riassumere una parte richiamandoci alle dichiarazioni del geologo sovietico professor N. Zirov, il quale ci dice, fra l'altro: «Parecchi studiosi dell'URSS ritengono che dove oggi si trovano gli oceani potevano esservi in passato notevoli massicci di terraferma, in seguito inabissatisi. Da tale punto di vista l'esistenza di Atlantide diventa pienamente possibile. Secondo le indicazioni di Platone, Atlantide era un paese montagnoso. Di conseguenza nell'Oceano Atlantico doveva esservi una vasta regione montagnosa sommersa. E, in effetti, le spedizioni del 19º e del 20º secolo hanno stabilito con certezza l'esistenza di un gigantesco sistema steso da un circolo polare all'altro. La sua parte nordatlantica è composta da due allineamenti montuosi paralleli separati da una stretta e profonda pianura.

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A tale pianura può essere collegata l'indicazione di Platone circa l'esistenza, nel regno principale di Atlantide, di un grandioso canale d'irrigazione tracciato tra poderosi rilievi». «Negli ultimi decenni», continua Zirov, dopo essersi soffermato sull'affondamento dei rilievi stessi, «le spedizioni oceanografiche hanno raccolto materiale testimoniante come la cessazione del periodo glaciale in Europa e nell'America settentrionale sia stata provocata appunto dall'inabissamento della catena montuosa, vale a dire dalla scomparsa di Atlantide. Tale idea è stata avanzata quasi contemporaneamente ed autonomamente dagli studiosi sovietici Vladimir Obrucev e Ekaterina Khagemeister e dell'atlantologo svedese René Malaise. «Questi studiosi hanno collegato la causa dell'inizio e della fine dell'ultimo periodo glaciale con la direzione della Corrente del Golfo e con Atlantide. Quando ancora esisteva, Atlantide (sulla base della catena nordatlantica e dell'altopiano delle Azzorre) sbarrava alle acque l'accesso alle coste dell'Europa. Quando s'inabissò, la Corrente del Golfo si fece strada fino all'Europa, portando con sé il calore che, a poco a poco, doveva sciogliere i ghiacci. Dai rilievi dell'idrologo sovietico M. Armolaev, emerge che l'attuale regime delle acque dell'Artico si stabilì circa 12 mila anni or sono. La data è anche quella della fine del periodo glaciale in Europa e nell'America settentrionale, come è stato confermato da numerosi accertamenti effettuati con il metodo isotopico della cronologia assoluta». Circa 12 mila anni or sono: la data concorda approssimativamente con quella fissata da Platone alla scomparsa della terra leggendaria e con quella risultante da parecchi impressionanti rilevamenti. Già nel 1913 il geologo francese Pierre Termier si era detto convinto che un pezzo di lava vetriforme (tachilite) tratto alla luce presso le Azzorre si era potuto solidificare solo all'aria aperta.

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Nel 1934 altri prelievi confermarono la sua scoperta: emerse, cioè, il fatto che i campioni di lava raccolti non avrebbero potuto in alcun modo essere eruttati da vulcani sottomarini e che numerosi fossili pescati erano quelli di animali in grado di vivere solo sulla terraferma. In seguito con la spedizione oceanografica svedese Albatros, Malaise trovò, in un campione di terra pescato tra la catena nordatlantica e la Sierra Leone, alghe d'acqua dolce (appartenenti alle Diatomee) evidentemente provenienti da quello che era stato un tempo un lago. E venne la scoperta più sensazionale: «Dalla cima di uno dei monti subacquei chiamato Atlantis in onore di una nave americana addetta alle ricerche oceanografiche», ci dice ancora Zirov, «fu tratta a galla una tonnellata di strani dischi calcarei. Il loro diametro è di circa 15 centimetri, lo spessore di circa 4 centimetri, e il loro aspetto è tale da far pensare a un'origine artificiale. Inoltre, gli esami effettuati con il metodo del carbonio hanno rivelato che 12 mila anni fa i dischi si trovavano in condizioni subaerali. Di conseguenza, la montagna subacquea Atlantis era a quel tempo un'isola!». Portiamoci al di là dell'oceano, sulla poderosa Cordigliera delle Ande: a 3500 metri di altitudine, essa è percorsa in diversi punti e per tratti lunghi talvolta oltre 500 chilometri, da una striscia bianca. Si tratta di sedimentazioni di piante marine, il che dimostra in modo inconfutabile che quelle regioni dovevano essere un tempo bagnate dalle acque oceaniche. Una catastrofe di portata inimmaginabile aveva dunque sbalzato le Ande a quella che è la loro attuale altitudine. Ed è così che la ricostruisce, su dati estremamente precisi, il geologo austriaco Otto Much: «il 5 giugno dell'anno 8496 a.C. un planetoide con una massa di 200 miliardi di tonnellate, tratto fuori dalla sua orbita da una rarissima congiunzione Terra-Luna-Venere, sarebbe caduto sul nostro globo, spostando l'asse di rotazione del pianeta, provocando distruzioni immani, rivoluzionando la geografia, facendo sprofondare vastissime distese nel mare, traendone altre dagli oceani». «Con un boato tremendo», riassume il geologo H. Fischer, «una colonna di fuoco si levò al cielo, trascinando con sé gas, ceneri, lava, lapilli, titaniche masse di magma infuocato. Per migliaia e migliaia di chilometri non fu che un inno alla distruzione.

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Il mare cominciò a bollire, una quantità inimmaginabile di acqua si trasformò in vapore e, mescolata alla polvere e alla cenere, si condensò in nubi nere che oscurarono il Sole. E tutti i vulcani esplosero con furia apocalittica». Parlando del misterioso passato dell'America ancora senza nome, non ci sarebbe difficile sconfinare in argomenti tali da incoraggiare ipotesi sensazionali. Sembrano esistere comunque, profondi legami tra le civiltà fiorite al di qua e al di là dell'Atlantico. Su tutti gli antichi popoli dell'America centromeridionale si leva il segno della piramide a gradini: ed è la stessa piramide che sorge a Sakkara, in Egitto, la stessa mole tronca a sette piani che i Sumeri eressero tra il Tigri e l'Eufrate, la stessa maestosa costruzione che dominò Babilonia. Sulla «Porta del Sole» di Tiahuanaco spicca un fregio che sembra tolto dal mausoleo di un faraone. E tratti egizi mostrano immagini del Messico e dell'Ecuador, con certe statue degli Olmechi, la cui collocazione nel tempo e nell'arco delle culture messicane è ancora oggi molto discussa. Una migrazione transoceanica intrapresa da popoli mediterranei o americani è senza dubbio possibile. La sua portata non può però essere stata tale da avviare tante civiltà geograficamente così lontane su cammini paralleli, quando non identici: per questo numerosi scienziati moderni sono assai più propensi ad ammettere l'esistenza di un «ponte» gettato un tempo dalla natura attraverso l'Atlantico. «Nessun'altra cultura della Mesoamerica», scrive Pierre Honoré, «consente di tracciare paragoni tanto marcati con le nostre come quella degli Olmechi. Da ciò nasce spontanea la domanda: gli Olmechi emigrarono dal 'vecchio mondo' nel Messico? Potrebbero avervi portato la piramide, la stele, la conoscenza dell'asfalto, l'ascia cerimoniale, la giada, la mania delle teste di leone e di giaguaro. «Ma queste cose erano già da tempo dimenticate nel 'vecchio mondo' quando gli Olmechi si presentarono sulla scena del Messico. Nemmeno la scrittura di Creta, a cui quella olmeca si avvicina moltissimo, può essere stata direttamente portata dal Mediterraneo all'America: quando gli Olmechi fondarono il loro regno, la cultura cretese era morta da un millennio e mezzo. Chi dall'Europa fosse venuto in America non poteva più averla conosciuta. Gli Olmechi debbono quindi avere ricevuto la loro civiltà e la loro scrittura da una stirpe molto più remota». Da quale? Da quella di Atlantide, si sarebbe tentati di rispondere. In effetti il racconto di Platone potrebbe essere una testimonianza di antichissimi rapporti tra i popoli mediterranei e quelli di una terra misteriosa dell'«estremo occidente». Dobbiamo identificarli con quelli del Messico precolombiano? E' certo uno dei più appassionanti misteri del nostro passato.

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