Il corpo degli alpini di Marcello Bosonetto

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«Il corpo degli alpini» di Marcello Bosonetto

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E' il nome di uno dei Corpi speciali più prestigiosi dell'Esercito Italiano, certo il più popolare in patria e il più conosciuto all'estero. Si tratta di una specialità dell'arma di fanteria, sorta nel 1872. Nell'attuale ordinamento dell'Esercito (1978), sono costituite cinque brigate alpine («Taurinense», «Orobica», «Tridentina», «Cadore» e «Julia») ciascuna comprendente 3 o 4 battaglioni alpini, 3 o 4 gruppi di artiglieria da montagna, unità controcarri, del genio, delle trasmissioni e supporti logistici. Una «Scuola militare alpina» (in Aosta), dello stesso livello ordinativo delle brigate, provvede all'addestramento sci-alpinistico dei quadri; istruisce gli ufficiali di complemento; inquadra i reparti che svolgono attività agonistica in montagna, e conduce ricerche e studi sull'ambiente alpino sotto l'aspetto topografico e meteorologico, e sui relativi equipaggiamenti, che sperimenta e collauda in collaborazione con l'organizzazione civile e le unità. Caratteristica peculiare degli alpini è il reclutamento regionale. In linea di massima, i giovani di leva delle Brigate prestano servizio militare nelle proprie terre di origine o, comunque, non lontano da esse, riuniti in compagini omogenee formate da conterranei. Ovviamente, le grandi migrazioni di massa dell'ultimo ventennio, in conseguenza della radicale trasformazione socio-economica del Paese prodotta dalla massiccia industrializzazione, hanno in parte introdotto delle eccezioni; va detto, tuttavia, che i reparti hanno continuato ad esercitare un'azione di amalgama tale da non lasciare che fosse compromessa, con le immissioni di «sangue nuovo», la propria particolare unitarietà. Risale agli albori dell'Esercito unitario l'idea di utilizzare per le operazioni in montagna - in particolare per la difesa dei confini sulle Alpi - la gente del luogo, esperta dell'ambiente, idonea ad affrontare le difficoltà e, inoltre, naturalmente legata da vincoli ancestrali alle proprie valli. Il capitano di Stato Maggiore Giuseppe Domenico Perrucchetti aveva enunciato questi principi in uno studio del 1871, pubblicato nel maggio 1872 sulla «Rivista Militare». Il ministro della Guerra Ricotti Magnani, appassionato pioniere dell'alpinismo e fondatore (con il Sella) del C.A.I. otto anni prima, aveva dedicato tanta attenzione al geniale disegno di Perrucchetti che, superate le non lievi difficoltà di ordine burocratico parlamentare, dopo pochi mesi sottoponeva alla firma del Sovrano il decreto n. 1056 con cui venivano costituite (un po' in sordina) le prime 15 compagnie alpine. Singolare atto di nascita, questo dei soldati della montagna: Vittorio Emanuele II lo firma il 15 ottobre 1872 a Napoli, davanti ad uno dei più fascinosi specchi di mare. C'è quasi un presentimento: sarà destino degli Alpini, infatti, nel corso di oltre cento anni di storia, solcare i mari per essere impiegati in Africa orientale e settentrionale, nei Balcani, ovunque insomma (oltreché sulle Alpi) l'Esercito Italiano sia stato chiamato a combattere. La data di nascita è ancora oggi celebrata come Festa della Specialità. Nel 1875 le compagnie vegono riunute in battaglioni, che ne comprendono 3 o 4; nel 1882 sono costituite in reggimenti in numero di sei, comprendenti ciascuno 3 o 4 battaglioni che, frattanto, dalla designazione numerale, sono passati a quella del nome della valle o della zona alpina in cui sono dislocati (battaglione Val d'Aosta, battaglione Cadore, battaglione Moncenisio, ecc.). Nel 1887, infine, i battaglioni assumono il nome della città in cui hanno il cosiddetto «magazzino di arredamento»: è quello destinato a durare, e che li contraddistingue tuttora. Un'analisi dell'evoluzione organica delle unità alpine esorbiterebbe dai limiti di questa monografia: basterà dire che, in fasi successive, si è passati dai raggruppamenti, alle brigate, alle divisioni alpine (in cui erano inquadrati i reggimenti ed i supporti durante la seconda guerra mondiale), per tornare all'attuale ordinamento in brigate: non è mutata tuttavia, la fisionomia delle compagnie e dei battaglioni che conservano tuttora numerazioni e nomi tradizionali, in omaggio alla persistente costituzione a base regionale. Gli alpini sono stati presenti su tutti i campi di battaglia, dalle campagne di Eritrea del 1887/97, alla Cina del 1900/01, alla campagna di Libia dei 1911 /14, alla prima guerra mondiale del 1915/18, alla guerra d'Africa del 1935/36, alla seconda guerra mondiale del 1940/43, alla guerra di liberazione dei 1943/45. I caduti alpini sono decine di migliaia; migliaia le decorazioni al Valor Militare meritate dai singoli e dai corpi; innumerevoli i nomi delle località che hanno assunto l'emblematica risonanza di un'epopea per le imprese in cui rifulse il valore alpino. Basterà ricordarne alcune, tra le più note, come tappe simboliche di una storia di sacrificio e dedizione che non conosce soste: Adua e Derna in terra d'Africa; il Vodice, Monte Nero, Monte Cukla, l'Ortigara e Monte Solaroli per la guerra 15/18; Mai Ceu per la guerra d'Etiopia del 35/36; Nicolajewka per la campagna di Russia nel 1943; Monte Marrone per la Guerra di Liberazione, senza dimenticare l'intera Italia settentrionale che, durante l'occupazione nazista, vide numerosissimi gli alpini, capi e gregari, impegnati nelle file della Resistenza. Gente pacifica quanto altre mai, i montanari, la popolazione cioè che alimenta le unità alpine; paziente, tuttavia, disciplinata, nativamente disposta ad obbedire tacendo, ad affrontare sacrifici e rinunce. Ci sono delle valli, - nel Cuneese, per esempio - in cui alcune classi maschili (dal 1917 al 1921, in particolare) sono state letteralmente cancellate dalla seconda guerra mondiale. Il peso sopportato dalle popolazioni rurali è stato veramente immenso. E' per questo che gli alpini, quando si ritrovano, ogni anno più numerosi, all'adunata nazionale che indice la loro Associazione (A.N.A.) - raggiungendo punte di trecentomila partecipanti, impensabili per qualunque altro sodalizio nel mondo - non danno luogo a «celebrazioni militaresche». Niente è più lontano dal loro spirito. Invadono pacificamente le città, ricordano i loro caduti, riscoprono il piacere di stare insieme, deprecano ogni forma di violenza e di odio, diffondono un messaggio di solidarietà e di fratellanza. Alpini in servizio ed in congedo hanno lavorato con insuperabile generosità in soccorso delle popolazioni colpite dalle calamità naturali durante la loro storia ultra centenaria: dall'incendio di Bersezio, al Vaiont, al Friuli, senza limiti di orario, senza paga, schivi di ogni riconoscimento (anche se poi ne sono venuti, a decine, a decorare le loro bandiere). Il cappello con la penna è stato portato con dolorosa fierezza su tutti i fronti, e mille volte si è intriso di sangue. Ma gli alpini preferiscono bagnarlo di sudore nelle opere di pace: a ricostruire un tetto di una casa terremotata, a riassestare una mulattiera, ad edificare un rifugio. Il sangue continuano a donarlo, ma alle emoteche itineranti o negli ospedali: questa è la forma di volontariato che preferiscono, questa è la scelta che si augurano, da operatori di pace quali sono per costituzione, definitiva.

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