«La triplice alleanza» di Franco Valsecchi


Il trattato della Triplice Alleanza fra il regno d'Italia, l'impero germanico e l'impero austro-ungarico, firmato a Vienna il 20 maggio 1882, costittuisce il punto d'arrivo di una evoluzione che ha il suo punto di partenza nella situazione creatasi in Europa in seguito alla guerra franco-tedesca del 1870-71. Il cancelliere del nuovo impero germanico, Bismarck, mirava alla creazione di un sistema di alleanze che garantisse il frutto della vittoria tedesca contro ogni tentativo di rivincita della Francia. Aveva promosso, a questo scopo, l'alleanza dei tre imperatori - Germania, Austria e Russia - ma essa era minata, nella sua stabilità e nella sua consistenza, dalla rivalità austro-russa nel settore balcanico. I burrascosi rapporti dell'Italia con la vicina repubblica francese offrivano la possibilità di integrare il sistema con un nuovo alleato. V'era, sì, da parte italiana, la tradizione del Risorgimento, che separava Roma da Vienna, con l'irredentismo che ne rappresentava l'eredità. Ma, nell'isolamento in cui si trovava l'Italia, l'alleanza austro-tedesca rappresentava l'unica copertura possibile contro la crescente pressione francese nel Mediterraneo. L'insediamento francese in Tunisia (1881), sulle coste africane prospicienti la Sicilia, in una regione che costituiva lo sbocco naturale dell'emigrazione siciliana, diede l'ultima spinta. A un anno di distanza, il trattato della Triplice era concluso. Era un trattato di alleanza difensiva, rinnovabile ogni cinque anni: i contraenti si garantivano reciprocamente nel caso di aggressione della Francia. Nel primo rinnovo, del 1887, l'Italia otteneva uno specifico riferimento alla conservazione dello status quo nell'Africa Settentrionale. Nel 1888 una convenzione militare con la Germania consolidava ancor più i reciproci legami. L'alleanza era diretta contro la Francia. Già nel primo trattato del 1882 l'Italia aveva voluto specificare, in una dichiarazione aggiunta, che le garanzie previste non si applicavano all'Inghilterra. Seguiva, cinque anni dopo, un patto italo-inglese per la tutela dell'equilibrio mediterraneo, al quale diede la sua adesione anche l'Austria. Londra si allineava con le posizioni della Triplice. Il sistema di Bismarck trovava così il suo coronamento: la cerchia intorno alla Francia era chiusa. Il pericolo di un cambiamento di fronte della Russia, a causa della crescente tensione con l'Austria, veniva sventato con la conclusione di un trattato di controassicurazione russo-tedesco (1887), che sostituiva il tramontato accordo dei tre imperatori. La Triplice è al suo apogeo: unica coalizione fra le Grandi Potenze, costituisce la chiave di volta dell'assetto europeo. La caduta di Bismarck, nel 1890, muta i termini della situazione. Il delicato equilibrio che Bismarck era riuscito a instaurare con la Russia si rompe; il trattato di controassicurazione, alla sua scadenza, non viene più rinnovato. E si verifica quello che Bismarck aveva temuto: l'accordo tra la Francia e la Russia, le due Potenze agli opposti confini della Germania. Sorge, nel 1893, la Duplice franco-russa. La Triplice non è più la sola alleanza, in Europa. E non può più contare, come nel passato, sulle simpatie dell'Inghilterra: la politica di riarmo navale perseguita da Berlino allarma e irrita Londra, nel momento stesso in cui la rivalità franco-inglese, dopo Fashoda (1898), si va spegnendo. Anche al suo interno, la Triplice non è più quella di prima. Il trattato è stato rinnovato per la terza volta nel 1897. Ma la Germania non ha più voluto sottoscrivere la «clausola inglese», la dichiarazione aggiunta dall'Italia al primo trattato del 1882. Così, veniva a mancare all'Italia la copertura da parte dell'Inghilterra proprio mentre la Francia, uscita dall'isolamento, riacquistava la sua libertà d'azione. Lo scopo che si era proposta con la Triplice, la sicurezza nel Mediterraneo, appariva compromesso, e Roma cerca fuori della Triplice quello che nella Triplice non trova più. Cerca l'intesa con la Francia, con gli accordi del 1900 e del 1902: rinsalda con altri, paralleli accordi, l'amicizia con l' Inghilterra. E ottiene quel che voleva ottenere, un posto nel Mediterraneo, il riconoscimento delle sue aspirazioni sulla Libia, in cambio del riconoscimento delle aspirazioni francesi sul Marocco e di quelle inglesi sull'Egitto. Anche l'Austria, col rinnovo della Triplice del 1902, ha riconosciuto le aspirazioni italiane. Ma i rapporti fra gli alleati si fanno sempre più freddi: il mancato allineamento dell'Italia alle posizioni germaniche durante la crisi marocchina, ad Algeciras (1906), l'annessione austriaca della Bosnia nel 1906, rendono sempre più pesante l'atmosfera: e la visita dello zar al re d'Italia a Racconigi, nel 1909, non contribuisce certo ad alleggerirla. La Triplice sembra ormai svuotarsi del suo contenuto. Il cancelliere germanico von Bülow aveva cercato di minimizzare il nuovo corso della politica italiana con l'immagine famosa del «giro di valzer». In realtà, le rivalità mediterranee che avevano spinto l'Italia ad entrare nella Triplice non erano ancora spente. Nonostante gli accordi, l'impresa libica riaccendeva l'antica ostilità fra l'Italia e la Francia, mentre l'occupazione italiana del Dodecaneso suscitava la diffidenza di Londra. E' vero che ostilità e rancori non mancarono anche da parte austriaca: sino a indurre il Capo di Stato Maggiore, Konrad von Hötzendorf, a vagheggiare il piano di disfarsi dell'infido alleato mentre era impegnato in Libia. Ma gli avvenimenti indussero ben presto Vienna a più miti propositi: le inquietudini suscitate dalle guerre balcaniche esigevano la normalità dei rapporti con Roma. Il sesto rinnovo della Triplice, nel 1912, avveniva sotto gli auspici di un rilancio dell'alleanza: accordo con l'Austria per l' Albania e per il Sangiaccato di Novi Bazar: riconoscimento da parte austriaca del nuovo equilibrio mediterraneo creato dalla conquista della Libia. E ancora, nel 1913, una convenzione italo-austro-tedesca per la collaborazione nel Mediterraneo delle tre marine da guerra. Tuttavia, lo spirito della Triplice era svanito, l'Italia aveva raggiunto, con la conquista della Libia, la meta che si era prefissa. La politica dei suoi alleati perseguiva scopi che le erano estranei, quando non addirittura ostili, come era il caso per l'Austria. Sui rapporti con l'Austria, poi, gravava la non mai spenta ipoteca dell'irredentismo. L'Italia non costituiva più che un elemento eterogeneo, nella omogenea compagine dell'alleanza austro-tedesca. La dichiarazione di neutralità dell'Italia quando, nel luglio 1914, l'ultimatum austriaco alla Serbia scatenò la conflagrazione europea, fu la logica conseguenza di queste premesse. La giustificazione giuridica era offerta dal carattere stesso dell'alleanza, inequivocabilmente difensivo: poiché era stata l' Austria a dichiarare la guerra, il casus foederis non si verificava. La neutralità non era che l'espressione formale di un distacco sostanziale già in atto. L'Italia non aveva alcuna ragione di avallare la politica aggressiva dell'Austria: poteva al più, come fece, rivendicare dei compensi per l'avanzata austriaca nei Balcani, a termini dell'art. 7 del trattato. Ma le trattative si trascinarono a vuoto, nonostante gli sforzi di mediazione della Germania. L'Italia gravitava ormai nell'altro campo. Il 26 aprile 1915 il patto di Londra stabiliva le condizioni dell'intervento a fianco dell'intesa, il 3 maggio, l'Italia denunziava formalmente la Triplice. Il 24 maggio, era la guerra.

 

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