«La tragedia greca» di Raffaele Cantarella


La data di nascita della tragedia greca è l'anno 534 a.C., quando Tespi partecipò in Atene a un concorso drammatico, nel quale riuscì vincitore: per questa ragione egli fu tramandato «inventore» della tragedia. Dopo un periodo del quale rimangono scarse notizie (i nomi di alcuni poeti, Cherilo e Frinico; i titoli di alcuni drammi e scarsissimi frammenti), la tragedia si venne organizzando e perfezionando per opera di tre grandi poeti (Eschilo, Sofocle, Euripide), l'attività dei quali copre tutto il sec. V a.C.: onde la tragedia, insieme con Omero, rappresenta la più alta espressione artistica di tutta la letteratura greca. Ed è, inoltre, un fatto di immensa importanza per la letteratura universale: non solo perché da essa deriva, attraverso la tragedia latina, tutta la tragedia europea, medioevale e moderna, ma perché rimane l'esempio più alto, e finora insuperato, di poesia drammatica. Purtroppo, di tutta la produzione tragica del sec. V ci rimangono soltanto poche opere intere (sette di Eschilo, sette di Sofocle, diciotto di Euripide), mentre tutto il resto è andato perduto e ne abbiamo soltanto scarsi frammenti: ma esse sono più che sufficienti ad assicurarci della grandezza di quei poeti, dell'altezza religiosa e morale della loro opera, della perfezione artistica espressa in una mai più raggiunta unità di ispirazione: poiché il poeta era non soltanto l'autore del testo, ma il compositore delle parti musicali eseguite dal coro, l'inventore degli schemi di danza che accompagnavano la musica, il regista (come diremmo oggi); e infine, specialmente alle origini, fino a Eschilo, anche il principale attore. Per effetto dell'enorme importanza che Omero, fin dal suo apparire, ebbe sulla cultura e sulla letteratura greca, la materia tragica, fin dalle origini, fu tratta prevalentemente dalla tradizione epica: Agamennone, Oreste, Elettra, Aiace; la distruzione di Troia, Ecuba, Andromaca, Elena etc. Ma contribuirono anche il ciclo tebano (Edipo, Eteocle e Polinice), leggende locali (sulla antichissima storia greca: Danao e le figlie che giungono in Grecia dall' Egitto: Teseo e il figlio Ippolito: il ciclo delle imprese di Eracle; ecc.j; infine anche leggende sulla più antica storia dell'umanità, come Prometeo. Attraverso l'opera dei tre grandi poeti, la tragedia si venne profondamente modificando nello spirito e nelle forme, pur rimanendo fedele a una tradizione di elementi formali immutabili: numero fisso degli attori (tre: che però, cambiando costume, potevano rappresentare vari personaggi); uso della maschera (di origine religiosa); numero dei componenti del coro (12 fino a Eschilo; 15 da Sofocle in poi); attori-uomini che rappresentavano anche parti femminili (come sarà ancora fino al dramma elisabettiano e oltre). Ma cambia soprattutto, oltre alla espressione artistica, creata dalla personalità di ciascun poeta, lo spirito, la concezione religiosa e morale: dalla profonda religiosità di Eschilo alla angoscia esistenziale di Sofocle, alla visione euripidea tragicamente oscillante fra dubbio e fede, razionalismo e misticismo. Dopo il sec. V la tragedia si esaurisce intimamente come fatto d'arte, e pur cercando di rinnovarsi nella materia e nelle forme, continua una stanca e modesta esistenza, tuttavia sempre adempiendo a una importante funzione religiosa e sociale: i concorsi drammatici infatti avevano luogo in occasione di festività religiose (in onore di Dioniso), sotto il controllo e a spese dello Stato, mentre il pubblico assisteva gratuitamente allo spettacolo. Ai concorsi, ogni anno, secondo la tradizione, tre poeti presentavano sempre tre tragedie (e, in fine, un dramma satiresco, così detto perché il coro era formato da Satiri); ma ben presto, già nel sec. IV, cominciarono a rappresentarsi classici, soprattutto di Euripide. Nell'epoca ellenistica (sec. III), in Egitto, alla corte di Alessandria, la tragedia ebbe un'effimera reviviscenza letteraria e libresca, ad opera della cosiddetta Pleiade. Di questo periodo nulla ci rimane, salvo pochi titoli e frammenti. Poi, nonostante le rappresentazioni continuino fino all'età cristiana, la tragedia greca si esaurisce. Il suo esempio viene continuato dai poeti latini (Livio Andronico, Ennio, Pacuvio, Accio), che traducono e imitano le opere dei grandi poeti greci; fino a quel Seneca, alla cui enorme importanza e diffusione nel medioevo latino si deve la rinascita del teatro europeo.

 

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