Libri Sibilini.

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Libri sibillini

I Libri sibillini erano una raccolta di responsi oracolari scritti in lingua greca e conservati nel tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio.

La storia della religione romana tramanda di come la Sibilla Cumana avesse offerto libri, che erano in numero di nove, al re romano Tarquinio il Superbo, il quale però considerò il prezzo di quest'ultimi troppo esoso.

La Sibilla allora bruciò tre di questi libri e offrì di nuovo i sei rimasti al re.

Il re Tarquinio rifiutò ancora, quindi la sibilla ne brucio altri tre.

Riformulò quindi la proposta a Tarquinio, che questa volta accettò, però al prezzo iniziale dei nove volumi.

I libri sibillini furono quindi affidati alla custodia di due membri Patrizi (duumviri sacris faciundis), che in seguito furono aumentanti fino ad un numero di quindici, comprendendo fra essi anche cinque rappresentanti del popolo.

Il loro ruolo consisteva nel consultare gli oracoli su richiesta del Senato (i lectisternia), per evitare di contrariare gli dèi con nuove imprese.

I libri venivano conservati in una camera scavata sotto il tempio di Giove Capitolino.

I libri bruciarono in un incendio nel 83 a.C. e si tentò di ricostruirli cercandone i testi presso altri templi e santuari.

Queste nuove raccolte furono ricollocate nel tempio di Apollo sul Palatino grazie all'interessamento dell'imperatore Augusto.

Qui rimasero fino al V secolo, dopo di che se ne persero le tracce.

Rutilio Namaziano nel suo poema De Reditu suo accusa aspramente il generale Stilicone di averli bruciati nel 408.

Sibilla Cumana

La Sibilla Cumana è la più famosa tra le Sibille, figure profetiche della religione greca e romana: questo Libri Sibilini era detenuto dalla somma sacerdotessa dell'oracolo di Apollo (divinità solare ellenica) e di Ecate (antica dea lunare pre-ellenica), oracolo situato nella città magnogreca di Cuma, fondata dagli Ausoni (aurunci) .

Ella svolgeva la sua attività oracolare nei pressi del Lago d'Averno, in un antro conosciuto come "l'antro della Sibilla" ove la sacerdotessa, ispirata dalla divinità, trascriveva i suoi vaticini in esametri, su foglie di palma. La sua importanza era nel mondo italico pari a quella del celebre oracolo di Apollo di Delfi in Grecia.

Tali Sibille erano giovani vergini (ma spesso figurate come decrepite per l'antichità del lignaggio), che svolgevano attività mantica in uno stato di trance (furor).

L'etimologia e l'origine dell'appellativo è sconosciuta.

Alcuni nomi che ci sono rimasti delle Sibille Cumane sono: Amaltea, Demofila ed Appenninica (di cui abbiamo testimonianza in Licofrone e in Eraclito).

Nel libro VI dell'Eneide, Virgilio la chiama Deifobe di Glauco. In tale poema la Sibilla Cumana è il personaggio centrale, con la doppia funzione di veggente e di guida di Enea nell'oltretomba.

La presentazione dell'Oracolo è accompagnata dal cupo ritratto dei luoghi in cui vive e che formano un tutt'uno a suggerire un'immagine di paura ma allo stesso tempo di mistero.

Ella ha anche una leggenda: "Apollo innamorato di lei le offrì qualsiasi cosa purché ella diventasse la sua sacerdotessa,ed essa gli chiese l'immortalità , ma si dimenticò di chiedere la giovinezza,quindi, invecchiò sempre più finché ,addirittura, piccolo e consumato come quello di una cicala così decisero di metterla in una gabbietta nel tempio di Apollo finché il suo corpo non scomparve e rimase solo la voce; ma, Apollo le diede una possibilità se lei fosse diventata completamente sua lui le avrebbe dato la giovinezza, ma, lei per non rinunciare alla sua castità decise di rifiutare."

In Ovidio, inoltre, nel libro XIV delle Metamorfosi la Sibilla Cumana racconta ad Enea di aver ottenuto da Apollo mille anni di vita, tanti quanti i granelli di sabbia che aveva stretto nella propria mano.

Dimenticandosi, però, di chiedere al dio l'eterna giovinezza, la Sibilla è destinata a diventare sempre più debole e avvizzita col passare del tempo.

Tutt'ora è visibile l'antro della Sibilla Cumana nella frazione Cuma, che è divisa a metà tra il comune di Bacoli e quello di Pozzuoli entrambi in provincia di Napoli.

Alcuni testi greci e latini, che risalgono ai primi secoli della nostra era o anche fino ai primi due secoli dell'era precedente, provano la diffusione, dalla Babilonia all'Italia, della credenza in un salvatore solare.

Sono i Libri Sibillini, gli oracoli del vasaio e di Istapse e, infine, Virgilio nella sua IV Eglora.

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