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La divisione tetràrchica dell'impero

La guerra civile e la dissoluzione della terarchia (305-312)

Editto di Milano

Costantino e i suoi successori (312-363)

I successori di Costantino (337-363)

Teodosio e i suoi successori

Arcadio (395-408) e Onorio (395-423)

L'Occidente al suo destino

Ravenna capitale

Attila, «flagello di Dio»

Gli ultimi imperatori d'Occidente

Web link:

Gaius Aurelius Valerius Diocletianus

Da Diocleziano a Teodosio

Diocle

Diocleziano (284-305)

Con Diocleziano abbiamo una formale divisione dell'impero in impero d'oriente e impero d'occidente con un imperatore e un vice imperatore per ogni parte. Il sistema da lui architettato fallì addirittura durante la sua vita, ma qualcosa era destinato e rimanere. Dopo Diocleziano vedremo spesso almeno due imperatori contemporaneamente.

Nacque probabilmente nei pressi di Spalatum (Spalato) con il nome di Diocle (Diocles), in una povera famiglia dalmata. Fece la sua carriera nell'esercito. Sconfisse l'imperatore Carino il 01 Aprile 285 e prese il nome di Gaio Aurelio Valerio Doiocleziano. Passò molti anni affrontando invasioni e ribellioni su una varietà di fronti: Mesia, Pannonia [Pannoni], Sarmazia, Siria.

Nel 293 creò la tetrarchia, un sistema di quattro sovrani. Egli e il suo amico Massimiano presero il titolo di Augusto, con Massimiano al governo dell'ovest e Diocleziano al governo dell'est. Inoltre scelse Costanzo I come vice di Massimiano nell'ovest e Galerio come suo vice nell'est. Costoro ebbero anche il titolo formale di Cesare. Il progetto era che a ciascun Augusto sarebbe successo il relativo Cesare il quale a sua volta avrebbe scelto un nuovo Cesare e così via. Questo sistema creava quattro centri di comando che avrebbero sviluppato il loro effetto nei quattro angoli dell'impero. Ognuno di essi aveva sostanzialmente gli stessi onori e in questo modo si allontanava, in teoria, il rischio di una guerra civile ad ogni successione. Il Cesare veniva scelto parecchio tempo prima della morte dell'Augusto e ciò avrebbe allontanato le probabilità di richieste da parte di eventuali rivali.

La divisione tetràrchica dell'impero

L'impero era diviso solo dal punto di vista militare, ma non dal punto di vista politico. Le leggi riguardavano tutto l'impero e portavano le quattro firme degli Augusti e dei Cesari. Questa era non tanto l'ammissione che nessun uomo poteva governare l'impero, quanto il riconoscimento che il potere politico doveva essere maggiormente distribuito per aiutare il mantenimento della pace.

Diocleziano promosse riforme in molti campi. Riorganizzò completamente il sistema provinciale raddoppiando il numero delle province avendone dimezzato la superficie. Questo per rendere difficile ai diversi governatori di avere sufficienti risorse per tentare la presa violenta del potere imperiale. Le province furono raggruppate in unità amministrative più ampie dette diocesi, sotto un governatore generale che rispondeva a sua volta al prefetto del pretorio il quale a sua volta rispondeva a uno dei tetrarchi.

L'esercito fu completamente riformato. Con Diocleziano abbiamo la divisione formale tra esercito di frontiera ed esercito campale.

[Fortificazione campale. Opera in terra, eventualmente rafforzata da strutture murarie, costituita da centri di resistenza e di operazione allineati, collegati da trincee protette da reticolati metallici.]

L'esercito campale era mobile e poteva essere spostato dappertutto secondo le necessità. Ogni tetrarca aveva un esercito campale sotto il suo comando. Ogni tetrarca aveva anche una guardia di palazzo, innovazione, questa, che riduceva la guardia pretoriana a poco più di una guarnigione cittadina. Le truppe di frontiera erano chiamate "limitanei" o "riparienses", letteralmente uomini della riva, a dimostrazione dell'importanza dei confini del Danubio, del Reno, dell'Eufrate. Diocleziano aumentò il numero dei soldati fino ad avere mezzo milione di uomini sotto le armi.

Le spese militari e per il mantenimento della burocrazia richiedeva l'aumento delle entrate statali. Diocleziano vedeva che che il sistema di riscossione fiscale attuale era abbastanza efficiente, ma non bastava. Nel 294 tentò di riformare le finanze, ma fallì. Tentò di bloccare prezzi e salari, ma anche queste misure rimasero inefficaci. Egli rese normali dei prelievi fiscali che in passato erano stati eccezionali, e impose tassazioni ogni volta che ce ne fu bisogno. Egli tentò di fissare alcune professioni nelle relative famiglie obbligando i figli a seguire la professione del padre. Egli non ottenne un grande successo in queste riforme. Le condizioni delle finanze dell'impero erano nel marasma e ci sarebbe voluto tanto tempo per migliorare la situazione. I suoi tentativi sarebbero stati ripresi con maggiore successo dai successori.

Diocleziano è entrato nella storia del cristianesimo per aver promosso una delle più violente e sanguinose persecuzioni contro i cristiani. Galerio premeva di continuo su di lui perché promuovesse un'azione forte contro i Cristiani. Diocleziano inizialmente era riluttante, ma quando finalmente cedette alle insistenze di Galerio, lo fece con la tipica energia e senza trascurare niente. La persecuzione fu talmente capillare che intere comunità semplicemente scomparvero, o abiurarono o si nascosero.

Diocleziano abdicò il 01 maggio del 305. Questo suo ritiro sembra sia stato motivato da una grave malattia presa nel 303. Egli costrinse anche il suo coimperatore Massimiano a ritirarsi a sua volta. Massimiano non avrebbe mai voluto ritirarsi, ma lo fece per rispetto nei confronti del suo vecchio amico. Essi si dimisero nello stesso giorno.

Diocleziano visse ancora due anni, abbastanza per vedere il suo sistema a tetrarchia andare in frantumi. Ma egli aveva stabilito alcuni cambiamenti di importanza vitale per l'impero. Se gli fosse succeduto un uomo altrettanto abile le sue riforme avrebbero avuto una chance di divenire permanenti. Diocleziano è ricordato come uno dei massimi imperatori romani.

La guerra civile e la dissoluzione della terarchia (305-312).

Diocleziano vide ben presto il crollo della sua tetrarchia.

I due Cesari, Galerio e Costanzo Cloro, divennero Augusti e si scelsero due nuovi Cesari; ma ben presto da tutte le parti dell'impero pullularono altri Augusti e altri Cesari, fino a sei Augusti in contemporanea, finché rimasero due soli imperatori, Costantino [Costantino I "il Grande", figlio di Costanzo Cloro e della futura Sant'Elena, fu imperatore dal 306 al 337 d.C. Poté esercitare la sua carica a pieno titolo solo dopo la battaglia di Ponte Milvio nella quale sconfisse il suo rivale Massenzio. La sua politica fu estremamente favorevole nei confronti dei cristiani, tanto che con l'editto del 313 d.C. concesse al Cristianesimo piena libertà di culto. Nonostante sia da considerare sotto vari aspetti un grande imperatore, Costantino rappresenta pienamente quel mondo tardo antico che segnerà la fine della potenza di Roma. A questo proposito, un gesto carico di significato e di conseguenze fu il trasferimento della capitale imperiale da Roma a Bisanzio, successivamente chiamata Costantinopoli. A Roma costruì chiese e numerosi monumenti soprattutto legati alla famiglia imperiale e destinati dunque ad uso privato.], proclamato Augusto dalle legioni della Gallia e favorevole al cristianesimo.

Massenzio, figlio di Massimiano, proclamato Augusto dal senato e dal popolo di Roma, e favorevole al paganesimo.

Costantino "il Grande" calò in Italia, e, per quanto disponesse di forze inferiori, sconfisse Massenzio presso ponte Milvio, 312 determinando la vittoria del cristianesimo sul paganesimo.

Massenzio, nella fuga dei suoi, precipitò nel Tevere, dove mori annegato; Costantino entrò trionfalmente in Roma, dove gli fu dedicato l'arco [di Costantino I] famoso, che ancora si conserva.

Narra la tradizione che alla vigilia della battaglia Costantino vide nel cielo una croce con le parole: "In hoc signo vinces", e che, in seguito a questa apparizione, fece fare uno stendardo a forma di croce, sormontato dal monogramma di Gesù Cristo [labaro].

Editto di Milano.

Pochi mesi dopo la vittoria di ponte Milvio, Costantino I, trovandosi a Milano, emanò il famoso Editto di Milano (313), col quale concedeva ai Cristiani la piena libertà di culto.

costantino

Costantino e i suoi successori (312-363)

Costantino I (312-337).

Costantino, a cui i contemporanei diedero il titolo di Grande, fu il primo imperatore cristiano.

Egli aveva appreso a conoscere e a rispettare la nuova religione dal padre Costanzo Cloro, e soprattutto dalla madre Elena fervente cristiana [Santa Elena imperatrice].

Ma, nonostante e sue convinzioni religiose, ricevette il battesimo poco prima di morire.

Costantino, continuando la politica di Diocleziano, rese ancor più assoluto il potere imperiale, accentrando nelle sue mani gli affari più importanti e tenendo nel suo saldo pugno il comando dell'esercito.

Egli mantenne la divisione dell'impero in quattro parti (corrispondenti alle quattro parti della tetrarchia di Diocleziano), ma diede a tale divisione carattere semplicemente amministrativo, e, perciò, le chiamò prefetture mettendo a capo di ciascuna di esse un prefetto del pretorio, rivestito soltanto di poteri civili.

Tali parti furono l'Italia, la Gallia, l'Illirico [Illiri] [Illiria], l'Oriente.

Mantenne inoltre la suddivisione in diocesi (12) e in province (117). Ogni provincia fu suddivisa in regioni, che corrispondevano ai territori delle varie città.

Ma il fatto più notevole del suo governo fu il trasferimento della capitale da Roma a Bisanzio, che i posteri chiamarono Costantinopoli, poiché la nuova città, per la sua posizione, sembrava più adatta per la difesa del confine danubiano e orientale, da cui provenivano le più gravi minacce alla sicurezza dell'impero (330).

Costantino favori in ogni modo il cristianesimo, non solo emanando il famoso Editto di Milano (313), col quale concedeva ai Cristiani la piena libertà di culto, ma difendendo la nuova religione contro le eresie che ne minacciavano l'unità. La più famosa tra esse fu allora l'arianesimo, fondato da Ario, prete di Alessandria d'Egitto, che sosteneva che Cristo era figlio di Dio, ma non partecipe della divinità del Padre.

Costantino, accordatosi col papa Silvestro I, convocò il concilio di Nicea (325), primo concilio ecumenico (o universale), in cui, per opera soprattutto di Atanasio, vescovo d'Alessandria, fu condannata l'eresia di Ario e fu fissato il Credo, o Simbolo, della religione cristiana.

I due imperi Ronao d'Oriente e d'Occidente

I successori di Costantino (337-363).

Costantino I "il Grande", morendo, divise l'impero fra i suoi tre figli, Costantino II, Costante e Costanzo II, che si combatterono fra loro in una lunga guerra fratricida. Costanzo II (353-361), dopo la morte dei fratelli, riuscì a riunire sotto di sé tutto l'impero; ma, seguendo una politica contraria a quella del padre, favorì gli ariani e perseguitò i cattolici.

Giuliano (361-363), cugino di Costanzo, a cui i Cristiani diedero l'odioso titolo di "apòstata", cercò invece di restaurare il paganesimo, pur senza giungere ad una vera e propria persecuzione dei Cristiani.

Egli aveva avuto una prima educazione cristiana, ma poi, avendo appreso ad Atene la filosofia greca, era divenuto un fervido ammiratore dell'ellenismo e del paganesimo.

Morì durante una spedizione contro i Persiani, e si narra che, morendo, esclamasse: Hai vinto, Signore!, riconoscendo così la vittoria del cristianesimo.

Con lui si estingueva la discendenza di Costantino.

Teodosio e i suoi successori

Teodosio (379-395).

Teodosio, a cui i contemporanei diedero il titolo di Grande, fu l'ultimo imperatore degno di Roma.

Egli, fervente cattolico, subì fortemente l'influenza di Sant'Ambrogio, vescovo di Milano.

Nel 380 pubblicò, insieme all'imperatore Graziano, che governava allora l'Occidente, l'editto di Tessalonica, con cui si dichiarava che "sola religione dell'impero era quella che il divino apostolo Pietro aveva trasmessa ai Romani"

Nel 390, avendo agito con troppa crudeltà contro gli abitanti di Tessalonica e che si erano ribellati, Sant'Ambrogio lo escluse per ben otto mesi dalla comunione dei fedeli, obbligandolo a fare pubblica penitenza.

Teodosio vinse anche i Visigoti (o Goti occidentali), che avevano varcato il Danubio, invadendo la penisola balcanica; ma, non potendo allontanarli, permise ad essi di stabilirsi nella Tracia e nella Macedonia [Macedonia] in qualità di alleati dell'Impero (379).

Arcadio (395-408) e Onorio (395-423)

Teodosio, morendo, divise l'Impero tra i suoi due figli, Arcadio, che ebbe l'Oriente, e Onorio, che ebbe l'Occidente; ma poiché i due nuovi sovrani erano ancora molto giovani, pose il primo sotto la tutela del prefetto del pretorio Fufino, gallo di origine; e il secondo sotto il generale Stilicone, vandalo di origine, ma fedele agli ideali romani.

Questa volta la spartizione si trasformò in una vera e definitiva divisione dell'impero: ma mentre l'impero d'Occidente, travolto dalle invasioni barbariche, si avviò a una precipitosa rovina, l'impero d'Oriente sopravvisse per più di mille anni.

L'Occidente al suo destino

Primo sacco di Roma (410)

Con i successori di Teodosio, l'Occidente abbandonato al proprio destino, dopo avere opposto una sempre più debole resistenza alle pressioni esterne, iniziò il cammino verso il proprio frazionamento e la conseguente fazione di regni romano barbarici. Durante il regno di Onorio e dei suoi successori venne infatti assalito da tanti invasori, che in pochi anni si sfasciò e si incamminò all'ultima rovina attraverso complicate vicende, che ebbero il loro drammatico epilogo all'inizio del V secolo d.C. con il saccheggio di Roma del 24 agosto del 410 da parte dei Visigoti guidati dal re Alarico.

Un simile avvenimento destò enorme turbamento nelle coscienze del tempo, visto che Roma da otto secoli, cioè dall' invasione dei Galli del 390 a.C., non aveva più conosciuto l'umiliazione dell'occupazione straniera.

Secondo sacco di Roma (455)

Impressione non minore finì tuttavia per suscitare nel 455 un nuovo saccheggio alla «Città Eterna» da parte dei Vandali.

L'azione distruttiva, condotta in questa circostanza da re Genserico per quattordici giorni quasi senza incontrare resistenza, finì per determinare distruzioni ben maggiori rispetto a quelle causate alcuni decenni prima dai Visigoti e già per se stesse gravissime. Nel corso del saccheggio, perpetrato ai danni del patrimonio storico e artistico presente ormai da secoli nella città, ben poco sfuggi alla furia cieca e irrazionale degli invasori, che tutto rovinarono e abbatterono non risparmiando neppure edifici quali il palazzo dei Cesari e il tempio di Giove, del quale giunsero perfino a scoprire il tetto al fine di impossessarsi delle lamine di bronzo dorato di cui era ricoperto. Di qui il termine «vandalismo» per indicare la tendenza a «rovinare e distruggere senza necessità e senza ragione per gusto perverso, per sciocca o insulsa ostentazione o per incapacità a comprendere la bellezza e l'utilità di certe cose».

Ravenna capitale.

Nel frattempo alla corte di Ravenna, ove sin dal 401 il giovane Onorio abbandonando Milano aveva trasportato la capitale, essendo la città adriatica ben difesa dalle paludi e facilmente raggiungibile via mare dai rifornimenti, avevano preso ad esercitare un ruolo di primo piano alcuni generali di origine barbarica, molti dei quali lasciarono il proprio nome alla storia o per avere costituito l'estrema difesa del traballante impero o per avere rovesciato il proprio imperatore.

Fra quanti si batterono per difendere l'integrità territoriale dell'Occidente ci limiteremo a ricordare il celebre Ezio, originario della Mesia sul Basso Danubio e ultimo dei grandi condottieri romani, che seppe fronteggiare pericolose incursioni di barbari in Gallia e in Italia, tra le quali famosissima quella del 451 portata a compimento dagli Unni, una popolazione mongola nomade proveniente dall'Asia centro-orientale.

Attila, «flagello di Dio»

Erano costoro guidati, dal re Attila, detto «il flagello di Dio», che li aveva riorganizzati al punto da costituire un vastissimo regno negli attuali territori della Russia e della Siberia. Di là dopo avere invaso e sottoposto a tributo l'impero d'Oriente, avanzò verso Occidente raggiungendo la ricca regione gallica, ove il generale Ezio riuscì a vincerlo in una grande battaglia ai Campi Catalaunici nei pressi dell'odierna Chàlons sulla Marna (451). Attila allora si ritirò nella Pannonia, donde l'anno seguente mosse di nuovo, invadendo l'Italia e prendendo d'assalto Padova, Verona, Milano ed altre città per poi accamparsi alla confluenza del Mincio nel Po, presso Govèrnolo, deciso a marciare su Roma.

Intanto però una terribile peste era scoppiata tra le sue orde: nello stesso tempo Ezio sì disponeva a fargli resistenza sulla destra del Po e l'imperatore d'Oriente si accingeva a mandare un esercito in difesa dell'Italia. Stretto così da tanti mali e pericoli, Attila accolse un'ambasceria romana condotta dal papa Leone I e si piegò al trattato di pace ch'essa gli propose. Dopo di che, carico di doni e di bottino, lasciò l'Italia e rientrò in Germania, ove poco dopo morì, aprendo in tal modo la via alla totale dissoluzione del suo regno.

Gli ultimi imperatori d'Occidente

Nel frattempo le condizioni dell'impero d'Occidente, già drammatiche, divennero addirittura disperate al punto che tra il 455 e il 476 nel giro di ventuno anni si succedettero ben nove imperatori, la maggior parte dei quali semplici comparse assolutamente prive di effettiva autorità. A spadroneggiare nell'impero erano infatti alcuni generali barbarici, che, non osando assumere personalmente il titolo imperiale, si facevano strada sbarazzandosi del legittimo sovrano e sostituendolo con persone di loro fiducia, delle quali avevano certezza di poter disporre a proprio talento.

Tra essi degno di particolare menzione il goto Oreste, il quale nel 475 con l'aiuto di mercenari al soldo di Roma e da lui comandati si rivoltò contro il nuovo imperatore Giulio Nepote, che pure l'aveva colmato di onori e di favori, e lo costrinse a fuggire dall'Italia. Anche questo generale barbaro rinunciò naturalmente ad attribuirsi l'altissima carica e si limitò a collocare sul trono il proprio figlio Romolo Augusto, dal popolo soprannominato Augustolo a causa della sua tenera età.

Ben presto però, prima che fosse trascorso un anno, quegli stessi mercenari germanici, che avevano aiutato Oreste a scacciare Giulio Nepote, pretesero quale compenso il possesso di un terzo delle terre d'Italia; ma, avendone avuto il rifiuto, si ribellarono e crearono loro capo Odoacre, il più abile e il più ardimentoso fra loro. Questi naturalmente marciò subito contro Oreste, lo vinse e, dopo averlo fatto prigioniero a Pavia, l'uccise.

Augustolo fu allora costretto ad implorare la clemenza del vincitore, il quale ebbe compassione del fanciullo e, assegnatagli una pensione, lo relegò con i suoi familiari nel castello Luculliano sul capo Miseno. Rimasto in tal modo signore d'Italia, Odoacre, rinunciando a sua volta a prendere la porpora e il diadema, mandò le insegne dei Cesari dell'Occidente all'imperatore d'Oriente, che era in quel tempo Zenone; quindi fece dichiarare dal Senato di Roma che bastava al mondo la maestà del solo imperatore di Costantinopoli [Istanbul], in nome del quale egli prese a governare l'Italia con il titolo di «patrizio».

E' a questo punto che si è soliti far terminare la Storia Antica e cominciare quella del Medioevo.

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