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Politica e società italiana Anno 2011

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Politica e società italiana Anno 2011

 

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Agli inizi di gennaio 2011 il dibattito politico s'incentrava sulle scelte che andava elaborando la Commissione bicamerale (Cb) incaricata di proporre al Parlamento alcune norme concernenti l'autonomia amministrativa degli Enti locali e periferici (Regioni e Comuni), nell'ambito del più vasto disegno correntemente noto con il termine "Federalismo" che da anni rappresentava l'obiettivo politico dichiarato dalla Lega Nord (LN), cioè il principale alleato del Popolo della Libertà (Pdl), il partito di maggioranza relativa del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Tre, in particolare, gli elementi del suddetto dibattito: a) l'atteggiamento adottato nella Cb dai rappresentanti di Futuro e Libertà per l'Italia (Fli), cioè il gruppo di parlamentari che nel corso del 2010 aveva abbandonato il Pdl denunciando, al seguito del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, l'atteggiamento sin troppo condiscendente di Berlusconi nei confronti della LN, la cui idea di Federalismo secondo Fli avrebbe provocato nel caso migliore un inutile e costoso doppione di funzioni amministrative, con il conseguente aumento dei motivi di contesa tra le Regioni e lo Stato centrale; nel caso peggiore, il peggioramento delle già difficili condizioni in cui vivevano vaste aree del Meridione, in particolare nei settori della tutela del lavoro, del welfare e dell'istruzione. b) la contrapposizione sempre più netta tra la LN e i cosiddetti Centristi, cioè i parlamentari via via aggregatisi nel corso del 2009 e 2010 all'Udc (Unione di Centro) di Pier Ferdinando Casini nella prospettiva del consolidamento del "Terzo Polo" (TP), il cui principale obiettivo dichiarato era quello di reintrodurre - prima delle eventuali elezioni anticipate rese necessarie dall'eventuale varo delle riforme federaliste – un sistema elettorale proporzionale, superando la logica degli schieramenti elettorali contrapposti (Centro-destra e Centro- sinistra): essi infatti sono degli aggregati di forze eterogenee che hanno accettato di presentarsi nell'uno o nell'altro cartello elettorale per ottenere i consistenti premi di maggioranza previsti dalla legge vigente. c) le difficoltà interne ed esterne con cui doveva fare i conti la dirigenza del principale partito dell'opposizione, il Partito Democratico (Pd), dopo il 14 dicembre 2010, giorno in cui la Camera, sia pure con una stretta minoranza di voti (alcuni dei quali raccolti all'ultimo momento), aveva bocciato una mozione di sfiducia al governo Berlusconi. Formalmente la richiesta era stata avanzata da Fli, tuttavia il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, aveva insistito per mesi sull'opportunità di favorire in ogni modo l'azione "eversiva" dei finiani, insistendo sia all'interno del partito che nei confronti dei due principali alleati: Sinistra Ecologia & Libertà (Sel), un gruppo eterogeneo che alle ultime elezioni politiche non era riuscita a mandare in Parlamento propri rappresentanti diretti, a causa dello sbarramento elettorale, e l'Italia dei Valori (IdV), il partito fondato agli inizi del decennio dall'ex magistrato Antonio Di Pietro. L'8 gennaio in un'intervista al quotidiano La Stampa il presidente della commissione Finanze del Senato, Mario Baldassarri (Fli) ha insistito nel richiedere modifiche al testo uscito dai lavori della Cb prima del passaggio in aula, previsto a fine mese; dal canto suo Bersani s'è invece dimostrato più disponibile nei confronti delle proposte della LN in tema federalista.

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Il leader del Pd, ormai convinto che dopo la sconfitta di dicembre gli aderenti a Fli fossero destinati ad aggregarsi ad una delle formazioni minori riconducibili al TP, sperava d'indebolire l'eterogenea alleanza governativa Centro-destra ponendo l'accento sul contrasto d'interessi in tema di Federalismo tra la LN e i dirigenti del Pdl provenienti dall'ormai disciolta Alleanza Nazionale (AN). Tuttavia nelle settimane seguenti sia l'anziano leader della LN Umberto Bossi che alcuni esponenti del partito, tra cui il ministro alla Semplificazione Legislativa Roberto Calderoli e il capogruppo LN alla Camera, Marco Reguzzoni, hanno smentito anche nei fatti l'ipotesi di possibili accordi con il Pd. Tale atteggiamento appariva motivato dal desiderio d'evitare che Berlusconi prestasse orecchio alle nuove e crescenti istanze dei deputati auto-definitisi "responsabili", dai quali era dipesa, il 14 dicembre 2010, la sopravvivenza del governo. Il 20 gennaio, una settimana dopo che era stata resa nota l'attesa sentenza con la quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato incostituzionale la legge sul cosiddetto "legittimo impedimento", fortemente voluta dal Pdl, i "responsabili" hanno formalizzato la nascita d'un nuovo gruppo parlamentare Iniziativa Responsabile (IR), che peraltro ha lasciato agli aderenti la facoltà di mantenere e/o introdurre altre sigle, onde ottenere la massima visibilità possibile e consentire ai singoli deputati di contrattare (spesso di volta in volta) il proprio sostegno alla risicata maggioranza governativa. Al Senato un'iniziativa analoga è stata adottata dal 26 febbraio, con la nascita di Coesione Nazionale (CN); il ritardo era dovuto al fatto che i "Responsabili" per raggiungere il numero minimo di 10 senatori hanno dovuto chiedere una mano a quattro colleghi, dimessisi dal gruppo del Pdl.

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Il ruolo di Napolitano.

Il 4 febbraio il voto contrario di Baldassarri è risultato decisivo per la bocciatura, in sede di Commissione, del quarto decreto attuativo della riforma federale dello Stato, ch'era incentrato sui poteri delle amministrazioni locali in campo fiscale; di fronte alle proteste della LN e alle minacce di uscire dalla maggioranza, Berlusconi decide di non tener conto del parere espresso dalla Commissione e di approvare ugualmente il testo del decreto. Tale decisione ha segnato l'approfondirsi del già ampio solco tra il premier ed il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il quale non ha gradito l'inedita maggioranza (Pdl e IdV, con astensione di Fli) ch il 16 maggio ha fatto passare (ma solo in prima lettura) un progetto di legge che nelle intenzioni di Di Pietro mirava a sancire l'inapplicabilità del cosiddetto "giudizio abbreviato" nei casi dov'era prevista la pena dell'ergastolo, ma che in seguito a modifiche volute dal Pdl (e fortemente contrastate dall'opposizione) avrebbe potuto servire (anche) al premier per allungare i tempi processuali sino alla prescrizione, in quanto un comma prevedeva che i giudici non potessero più rifiutarsi di ascoltare i testimoni citati dalla difesa, a prescindere dal loro numero e dalla presumibile (ir)rilevanza della loro testimonianza. La "moral suasion" del Quirinale ha contribuito a convincere i parlamentari che non era il caso d'insistere su quel provvedimento. La crescente frammentazione del quadro politico e i contraccolpi delle lotte interne ai partiti hanno trovato ampio risalto sui media e sulla stampa, considerati allo stesso tempo testimoni ed alimentatori di un clima di crescente sfiducia nei confronti della cosiddetta "Casta": un gruppo composto dai senatori e rappresentanti politici (nazionali, regionali e provinciali) nonché dagli alti dirigenti e funzionari dello Stato, spesso dipinti come persone incapaci, talvolta moralmente indegne, pronte a profittare d'una serie di privilegi oltre che dei lauti stipendi auto-attribuitisi, ed ormai incapaci di rendersi conto del sempre più diffuso disagio sociale, alimentato dall'inflazione crescente, in grado di falcidiare le entrate di molti pensionati, ed anche dalla disoccupazione sempre più diffusa, specie al Sud, nonché tra i giovani e le donne. In questo contesto non stupisce il fatto che nel corso del 2011 sia aumentato, rispetto al biennio precedente, il numero dei casi di corruzione e concussione nei quali la magistratura ha ipotizzato il coinvolgimento diretto di esponenti della classe dirigente. Ad esempio, il 7 febbraio a Roma la gup (giudice per le indagini criminali) Maria Finiti, nell'ambito del processo in merito alla privatizzazione dell'ex "compagnia di bandiera" Alitalia, ha posto a confronto uno degli imputati, Antonio Baldassarre, ex presidente della Corte Costituzionale, con Gian Carlo Elia Valori, ex presidente della Società Autostrade. Secondo gli avvocati di quest'ultimo avrebbe dovuto trattarsi d'una semplice formalità, prima dell'archiviazione; invece due pubblici ministeri, letti i verbali del confronto, hanno annunciato il 10 maggio di voler procedere nei confronti di Elia Valori e degli ex consulenti della società Sviluppo Mediterraneo, Claudio Prati e Danilo Dini, con l'accusa di aggiotaggio in concorso con Baldassarre.

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Il "processo breve".

Il 19 marzo l'opposizione parlamentare non ha frapposto ostacoli sostanziali alla decisione d'aderire alla coalizione militare occidentale attivata contro il governo di Gheddafi: il Pd era ben consapevole sia dei risvolti di tale decisione dal punto di vista degli equilibri nell'UE e nella NATO, mentre Fini quand'era ancora nella maggioranza s'era distinto per la sua avversione nei confronti del Trattato italo libico, che pure era ancora formalmente in vigore, come hanno sottolineato polemicamente alcuni esponenti della LN e dell'IdV. Data l'indisponibilità della LN a cedere alcunché ad IR, e dato che il fido Paolo Romani non aveva alcuna intenzione di lasciare, dopo pochi mesi, il dicastero dello Sviluppo Economico (da dove aveva dimostrato di saper "tenere il fiato sul collo" del suo collega all'Economia, Giulio Tremonti), Berlusconi ha deciso di "sacrificare" Sandro Bondi, la cui gestione dei Beni Culturali era stata soggetta a diverse critiche da parte dei media, in particolare a causa dei tagli ai bilanci e/o al commissariamento gestionale di alcuni prestigiosi Teatri Stabili ed Enti Lirici. Il 23 marzo è stato annunciato che il ministro delle Politiche Agricole Giancarlo Galan (Pdl) avrebbe sostituito Bondi ai Beni Culturali, lasciando il proprio dicastero all'avvocato catanese Francesco Saverio Romano (IR, ex Udc). Il passaggio di consegne, tuttavia, è stato procrastinato d'un paio di settimane: secondo alcuni osservatori in tal modo Napolitano, cui spetta il compito di accogliere il giuramento dei nuovi ministri, avrebbe espresso i suoi dubbi sulla nomina di Romano ("lambito" da inchieste giudiziarie sulle cosiddette infiltrazioni mafiose) pur senza assumersi la responsabilità d'un aperto contrasto con le scelte del governo Berlusconi IV. Tra marzo ed aprile una questione di forte rilevanza nel dibattito parlamentare è stato il "processo breve". ll ministro della Giustizia Angelino Alfano (Pdl), considerato ormai nei circoli politici romani il possibile erede politico di Berlusconi, ha presentato un provvedimento ufficialmente motivato dai sempre più frequenti rilievi all'Italia da parte delle istituzioni giuridiche dell'UE a causa dell'eccessiva durata dei processi, ma in realtà finalizzato, secondo l'IdV, a favorire l'assoluzione del premier "per sopravvenuta prescrizione" in alcuni dei processi in cui era imputato a Milano: infatti Berlusconi, pur avendo subito in passato lievi condanne in primo grado, era sempre riuscito vincitore nei successivi gradi di giudizio; e, in quanto incensurato (cioè, non avendo condanne passate in giudicato), avrebbe potuto beneficiare della prescrizione anticipata. Il 7 aprile la maggioranza non è riuscita a far passare il provvedimento, a causa delle perplessità di alcuni deputati della LN sensibili agli umori del loro elettorato di riferimento, che non gradiva la cattiva gestione da parte del governo dell'emergenza Lampedusa. Bersani ha così commentato il momentaneo stop del provvedimento: "Alfano deve ammettere che il processo breve è un'amnistia ": un concetto condiviso anche da molti nella LN. Più sfumata, invece, la reazione dell'Udc: secondo il vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura (Csm), Michele Vietti, "Il processo breve? È "pubblicità ingannevole"". Il giorno seguente Berlusconi, parlando a Palazzo Chigi ad un gruppo di giovani, ha dichiarato: "Non sono riuscito a fare le riforme non perché non le so fare, ma perché non sono stato capace di avere il 51% dei voti. Avevo così una maggioranza di coalizione, con alcuni partiti, come quelli di Fini e Casini, che sulla giustizia stavano dalla parte dei privilegi dei giudici.

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Ora ho una maggioranza più esile nei numeri ma più coesa, e andiamo avanti sulla riforma della giustizia. Per diventare una vera democrazia dobbiamo cambiare l'architettura istituzionale". A smentire queste rassicuranti parole, le notizie in merito alla conflittualità interna al Pdl. In particolare, il redivivo Claudio Scajola (sino al maggio 2010 ministro dello Sviluppo Economico) era intenzionato a seguire l'esempio di IR per ottenere cariche di rilievo per i deputati a lui fedeli. In particolare la sua Fondazione Colombo appariva forte in Liguria, Lazio e in Calabria. A lui si contrapponevano invece in Puglia gli amici di Raffaele Fitto e nel Veneto quelli vicini al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Tra i candidati alle amministrative parziali c'era inoltre una gara per ottenere sostegno finanziario e visibilità superiore a quella dei rivali. Molto attiva, in particolare, Forza del Sud (FdS), formazione i cui leader (il senatore Mario Ferrara e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianfranco Micciché) hanno scelto quale emblema il colore arancione, ispirandosi ai movimenti "modernizzatori" attivi nell'Europa dell'Est. Il testo di legge sulla prescrizione breve è stato approvato in prima lettura dalla Camera il 13 aprile, con 314 voti a favore e 296 contrari; la votazione articolo per articolo non aveva sortito l'effetto sperato dall'opposizione, che aveva polemizzato duramente sull'art. 3, dove si prevedevano tempi di prescrizione più breve per gli "incensurati": i voti favorevoli in quel caso erano stati 306. Il 28 aprile il governo è riuscito a far approvare alla Camera il Documento economico finanziario (Def) per il 2012; il testo sui media aveva ricevuto molte critiche preventive in quanto nell'elaborarlo Tremonti non avrebbe tenuto conto dell'aggravarsi della situazione economica del Paese; il Def ha ricevuto 283 voti a favore, ma è passato anche per l'assenza (stigmatizzata dall'IdV) di 16 deputati del Pd. In Senato, dove Berlusconi poteva contare su una maggioranza più solida, il Def è stato approvato il 5 maggio con 145 sì, 117 no e tre astenuti. Il presidente dell'Emilia Romagna (e della conferenza Stato-Regioni), Vasco Errani (Pd) ha criticato il governo per non aver rispettato la promessa (in sede di elaborazione del programma "federalista") d'inserire nel Def i 425 mln di euro destinati ad evitare il collasso finanziario per le aziende di trasporto pubblico locale, per le quali dal 2010 non era più garantito dallo Stato il ripianamento dei bilanci; il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli (LN) gli ha risposto che il governo intendeva rispettare gli accordi, ma facendo ricorso ad una non meglio specificata "misura di tipo amministrativo".

Il caso Rai.

Secondo il dirigente Maurizio Migliavacca gli assenti del Pd erano stati impegnati nella campagna elettorale per le elezioni amministrative. Particolarmente importante la posta in gioco a Napoli, dove il Pd - ormai certo dell'impossibilità di rifarsi un'immagine di fronte all'elettorato dopo la problematica esperienza degli ultimi mesi di amministrazione di Rosa Russo Iervolino – stava cercando di "ricollocarsi", cioè di decidere fino a che punto fosse il caso di appoggiare la candidatura dell'ex magistrato Luigi De Magistris, già deputato europeo per l'IdV. Berlusconi, pur consapevole del fatto che il Pdl in Campania era tutt'altro che unito e coeso, in quei giorni si preoccupava soprattutto delle difficoltà che incontrava a Milano la sindaco uscente Letizia Brichetto Moratti, considerata sin troppo autonoma rispetto alla linea ufficiale del Pdl (incarnata da dirigenti quali Mario Mantovani, oltre che dai presidenti della Provincia di Milano e della Regione Lombardia, Guido Podestà e Roberto Formigoni). Inoltre la Moratti aveva ben poco appeal su alcuni dirigenti locali della LN, primo fra tutti il giovane deputato europeo Matteo Salvini. A fine aprile, nell'arco di pochissimi giorni, ha trovato soluzione la vicenda della sostituzione del Direttore Generale della Rai, Mauro Masi, ritenuto inadeguato perché dimostratosi incapace di trovare soluzioni di compromesso atte ad evitare non solo danni d'immagine ma anche perdite economiche all'azienda televisiva pubblica, già fortemente penalizzata dai malumori suscitati nel pubblico più fidelizzato (gli anziani) dalla progressiva sostituzione, regione per regione, dei canali trasmessi "in chiaro" con quelli del "digitale terrestre". Il caso più eclatante riguardava la polemica con il presentatore Michele Santoro: forte del fatto che il suo reintegro in Rai era avvenuto a seguito d'una sentenza, e che il suo programma del giovedì sera aveva un buon indice d'ascolto, e per questo a differenza di molti altri programmi portava nelle casse della Rai proventi pubblicitari ben superiori ai costi, Santoro aveva polemizzato in diretta con Masi, intervenuto telefonicamente in trasmissione. Il 4 maggio il presidente della Rai, Paolo Garimberti, ha annunciato la decisione, per una volta unanime, del CdA: sostituire Masi (il quale, stranamente, non ha sollevato polemiche) con una manager interna all'azienda, la bolognese Lorenza Lei, 52 anni. La nomina della Lei è stata considerata un "regalo" del governo al segretario di Stato del Vaticano, Tarcisio Bertone, che aveva potuto apprezzarne le doti professionali a partire dal Giubileo del 2000. Due giorni dopo Napolitano ha voluto incontrare Garimberti e la Lei, raccomandando loro "la piena e tempestiva attuazione del regolamento approvato dalla Commissione parlamentare di vigilanza", in particolare in merito alla delicata questione degli spazi da garantire ai partiti durante la campagna elettorale. Mercoledì 4 maggio il governo aveva dimostrato di poter contare su una maggioranza abbastanza solida nella votazione sul via libera all'impegno dell'Italia ad una missione militare "più incisiva" in Libia, al fianco degli alleati della Nato; e ciò a dispetto del fatto che la LN, in polemica con il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto (Pdl), s'era dichiarata fortemente contraria ad un provvedimento oneroso e dalla dubbia legittimazione dal punto di vista del diritto internazionale.

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Forte del recente accordo con il capogruppo di IR, Luciano Sardelli, il premier ha concesso agli alleati solo un generico impegno a fissare "un termine temporale certo" per concludere le azioni offensive dell'aviazione sulla Libia. I voti a favore sono stati 309, i contrari 294. Nei giorni seguenti l'opposizione di sinistra, dopo aver stigmatizzato l'aumento di spesa originato dalle nomine di ben nove nuovi sottosegretari, ha preferito non insistere sull'incoerenza di Berlusconi e sul peso economico della campagna in Libia: le notizie provenienti da quel paese andavano radicando nell'opinione pubblica l'opinione secondo cui in caso di mancato impegno nell'ex colonia l'Italia avrebbe potuto perdere una serie di posizioni acquisite, ed in particolare i contratti petroliferi dell'Eni. Dato anche il rapido evolversi degli eventi nel Mediterraneo, nei mesi successivi quasi nessuno ha ricordat licata questione del futuro delle partecipazioni libiche in Unicredit e in altre importanti società italiane; esso è rimasto incerto anche alla fine del 2011.

Elezioni e Referendum.

Il 6 maggio la ministro per l'Ambiente, Stefania Prestigiacomo (Pdl) ha annunciato la nascita d'una nuova Authority destinata a regolamentare il mercato dell'Acqua in Italia. Sullo sfondo la preoccupazione espressa da alcune multinazionali, ma anche da molte società semi-pubbliche (attive in particolare in Toscana ed in Umbria, regioni amministrate dal Pd) sul futuro degli investimenti già programmati nella "razionalizzazione" delle reti di distribuzione dell'acqua, che peraltro erano già state realizzate nei decenni precedenti con soldi pubblici. Secondo alcuni commentatori l'annuncio avrebbe contrariato Tremonti, il quale aveva già il suo da fare per cercare di convincere Bossi ad evitare una spesa inutile quale il trasferimento al Nord della sede di due ministeri; tuttavia il governo non se l'è sentita di dire di no al vero proponente, Saglia, il quale era ben deciso a difendere il proprio ruolo al ministero dello Sviluppo rispetto alle ambizioni della Melchiorre e, soprattutto, intendeva tutelare le lobbies di riferimento rispetto al rischio-referendum. Infatti il 12 giugno si sarebbe tenuta la votazione in merito a quattro quesiti referendari, due dei quali intendevano abrogare tra l'altro, la "congrua remunerazione" prevista dallo Stato i favore degli investitori nelle reti locali di distribuzione dell'acqua potabile. Secondo il Comitato Promotore (CP) dei referendum, che poteva contare sul sostegno diretto dell'IdV e su quello indiretto di larga parte dell'elettorato del Pd (ma non di tutti i dirigenti), l'acqua "Non è una merce, è una risorsa": da non sprecare, ma neppure da sfruttare in un'ottica mercantilistica. Invece, secondo Saglia: "La decisione del governo testimonia che ci muoviamo nel solco del principio di sussidiarietà: acqua come bene pubblico, regolazione indipendente, gestione in concorrenza e investimenti. Il referendum non sarà superato legalmente, ma lo sarà nei fatti". Per la Prestigiacomo il lancio dell'Authority avrebbe dovuto sancire il fatto d'aver nuovamente ottenuto la piena fiducia del premier, il quale nel recente passato s'era invece dimostrato sensibile a quanti, nel Pdl, gli consigliavano di diffidare della grintosa ministra, perché a loro avviso era sin troppo pronta, pur d'acquisire consensi dalla stampa, a non impegnarsi in difesa di alcuni esponenti del partito coinvolti nelle numerose inchieste aperte in Campania sull'annoso problema della mala gestione delle discariche di rifiuti e del sottoutilizzo degli inceneritori. Tuttavia il disegno non le è riuscito: i suoi detrattori le rimproveravano un atteggiamento ondivago nei rapporti con il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo (MpA), malignando anche sul fatto che il marito della ministro dell'Ambiente fosse un imprenditore con interessi consolidati nel campo dell'estrazione petrolifera. In quanto a Saglia, dall'8 giugno è stato implicato dal gudice per le indagini preliminari (gip) Paolo Ielo in un'inchiesta per corruzione di funzionari dell'ente Gestore dei Servizi Energetici (Gse), che ha tratto sviluppo dall'arresto del noto imprenditore risicolo pavese Angelo Scotti, grande amico di Giancarlo Abelli (il referente politico di Saglia nel Pdl lombardo). Il complesso intreccio tra lotte politiche, casi giudiziari e nuovi equilibri in fase di definizione all'interno dei cosiddetti "poteri forti" (definizione con cui vengono usualmente indicate le banche e le grandi imprese industriali) è stato lo sfondo delle polemiche suscitate ai primi di maggio dalle sentenze emesse dal Tribunale di Torino nei confronti di alcuni dirigenti del colosso tedesco dell'acciaio Thyssen Krupp, ritenuti responsabili per la mancata applicazione di norme di sicurezza nello stabilimento torinese dove nel 2008 avevano perso la vita sette operai.

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Il 9 maggio, parlando ad un'assemblea dei suoi associati, la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha criticato la durezza delle pene inflitte in primo grado (la più alta: 16 anni per "omicidio volontario"). A suo avviso la sentenza "potrebbe allontanare gli investimenti esteri dall'Italia e mettere a repentaglio la sopravvivenza del nostro sistema industriale". Tale presa di posizione ha suscitato l'indignazione della Sinistra, tuttavia in Parlamento solo l'IdV ha assunto una posizione netta in difesa dei giudici. Numerosi esponenti del Pdl si son detti d'accordo con la Marcegaglia, mentre il Pd s'è rifugiato nella consueta formula "È meglio attendere le motivazioni della sentenza prima di esprimere un giudizio di merito". Il basso profilo scelto da Bersani traeva ragione nelle crescenti difficoltà interne al PD, sempre più condizionato dalle cosiddette "anime", cioè quelle che un tempo nel linguaggio politico si definivano le correnti. Tra i suoi critici cui più i media hanno dato spazio, oltre all'ambizioso sindaco di Firenze Matteo Renzi si è segnalato l'ex segretario del partito, il romano Walter Veltroni, il quale a gennaio, grazie all'appoggio dell'uscente sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, aveva organizzato all'ex stabilimento Fiat del Lingotto un convegno dell'anima che potremmo definire sia "moderata" (cioè dichiaratamente filo-centrista) che "laico-socialista" (cioè non proveniente dall'ex Partito Popolare, Ppi). Archiviate le polemiche sulla Tyssen, l'attenzione dei politici e dei media s'è concentrata sulle elezioni amministrative, che il governo aveva fissato al 15 e 16 maggio, escludendo l'ipotesi dell'accorpamento con i referendum, che era stato proposto con forza dall'opposizione per evitare spese inutili per i seggi e nella speranza che aumentasse il numero dei votanti, onde evitare l'annullamento dei referendum per mancanza del quorum minimo: gli ultimi referendum "validi" s'erano svolti nell'ormai lontano 1995. Tutte le sfide più importanti, sia in quelle date che nei ballottaggi (tenutisi due settimane più tardi) hanno messo in luce la debolezza del governo in carica, il quale non è stato in grado di sfruttare la buona notizia, giunta in quel periodo, della ormai molto probabile nomina del Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi alla guida della Bce. I commentatori hanno sottolineato in particolare l'emorragia di consensi per la LN, prendendo invece atto del fatto che la scelta del Pdl di accettare il contributo dei gruppi minori è risultata determinante, anche se ciò ha aperto la strada a condizionamenti di carattere localistico, primo fra tutti la lotta per dividersi assessorati e commissioni consiliari. A Torino il dirigente del Pd Piero Fassino è riuscito a farsi eleggere sindaco al primo turno, con il 56,6%; analogo risultato a Bologna; qui tuttavia Manes Bernardini (lo sfidante al candidato dal centrosinistra Virginio Merola) ha subito una sconfitta meno netta rispetto a quella del torinese Michele Coppola. A Milano al primo turno la Moratti ha raccolto solo il 41,6%, contro il 48% del candidato del centrosinistra Giuliano Pisapia (Sel), poi confermato al ballottaggio; analogo risultato a Trieste, dove Roberto Cosolini ha profittato della rivalità tra i dirigenti del centrodestra; in città buon successo anche alla Provincia (che peraltro in pratica coincide con i confini cittadini).

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A Napoli s'è rivelato decisivo l'accordo, al secondo turno, tra De Magistris e il candidato presentato congiuntamente dal Pd e da Sel, Mario Morcone. A farne le spese il candidato del Pdl e dei partitini satelliti "sudisti", Gianni Lettieri, che al primo turno non era andato oltre il 38,5%. A Cagliari ha vinto Massimo Zedda. Tra i capoluoghi di regione, quindi, il Centrodestra ha vinto nettamente solo a Catanzaro, dove Michele Traversa, sostenuto dal ben 11 liste, è passato al primo turno con il 62%. Per quanto riguarda i capoluoghi di provincia, a Varese (sia pure per pochi voti) Attilio Fontana ha dovuto attendere il secondo turno per essere confermato; ai partiti di maggioranza è andata peggio a Novara, dove Mauro Franzinelli aveva raccolto al primo turno quasi il 46% ma è stato battuto al ballottaggio da Andrea Ballaré (Pd), sostenuto per l'occasione da una lista Udc+Fli. Analoghi accordi tra questi partiti hanno avuto successo a Pordenone (dove peraltro Claudio Pedrotti era già in vantaggio al primo turno) ma non a Rovigo, dove al secondo turno è stato eletto per il centrodestra Bruno Piva. A Savona, Ravenna, Fermo, Siena ed Arezzo i candidati del centrosinistra (Federico Berruti, Fabrizio Matteucci, Nella Brambatti, Franco Ceccuzzi e Giuseppe Fanfani ) sono passati al primo turno, mentre a Rimini e a Grosseto Andrea Gnassi ed Emilio Bonifazi sono andati al ballottaggio. Latina s'è confermata città di Destra, eleggendo al primo turno Giovanni Di Giorgi. In Campania, Calabria e Puglia: Benevento, Salerno, Crotone e Barletta hanno visto la riconferma dei sindaci del centrosinistra Fausto Pepe, Vincenzo De Luca, Peppino Vallone e Nicola Maffei, mentre per la Destra a Caserta ha vinto Pio Del Gaudio, a Cosenza Mario Occhiuto ha sconfitto al secondo turno l'uscente Salvatore Perugini; a Reggio Calabria ha vinto facilmente Demetrio Arena, come a Ragusa Emanuele Di Pasquale. In Sardegna, dove gli elettori erano chiamati anche a ratificare con un referendum regionale la volontà di rifiutare eventuali centrali nucleari, il centrosinistra s'è imposto a Carbonia e Olbia, ma non a Iglesias, dove al ballottaggio Luigi Perseu ha battuto Marta Testa. Le elezioni per il rinnovo dei consigli provinciali, meno numerose, non hanno suscitato sorprese, tranne che a Pavia, dove al ballottaggio Daniele Bosone, appoggiato da Pd, IdV e Sel ha interrotto una lunga tradizione di centrodestra. Vercelli, Treviso, Campobasso e Reggio Calabria sono rimaste al centrodestra, Mantova, Ravenna, Lucca e Gorizia al centrosinistra. A Macerata è stata determinante la scelta dell'Udc di abbandonare l'uscente Franco Capponi (Pdl) e di sostenere, col Pd e l'IdV, Antonio Pettinari. Il comitato promotore dei referendum da mesi puntava a sfruttare l'insperato sostegno alle ragioni del referendum più importante, quello sulla scelta di reintrodurre in Italia le centrali nucleari, fornito negli ultimi mesi a seguito del disastro nucleare in Giappone. Sull'onda dei risultati delle amministrative la stampa di sinistra ha iniziato ad accusare il governo di lanciare il messaggio che recarsi alle urne sarebbe stato inutile, dato che: a) la nuova Authority avrebbe mutato i riferimenti normativi riguardo all'acqua; b) per il nucleare l'Italia aveva già deciso d'acquistare "Centrali di nuova generazione, molto più sicure di quelle di Fukushima"; c) la legge oggetto del quarto quesito, quella sul legittimo impedimento, era già stata "affossata" dalla sentenza di gennaio della Cassazione.

Il dibattito sui referendum ha favorito una ripresa dell'interesse per le polemiche in corso dal 1995 in Val di Susa (provincia di Torino) in merito alla costruzione d'una nuova linea ferroviaria di collegamento con la Francia. La materia del contendere s'è concentrata sul sito de La Maddalena, nel comune di Chiomonte, dove la società italo-francese Ltf, intenzionata a procedere ai lavori di scavo del tunnel di servizio al tratto italiano della nuova galleria, il 16 maggio ha avanzato alle ferrovie italiane (Rfi, società para-pubblica) la richiesta di "occupazione temporanea" di alcuni appezzamenti boschivi (già soggetti a "servitù") per i quali le procedure d'esproprio s'erano rivelate complesse, in quanto negli anni scorsi alcuni dei proprietari avevano accettato di frazionare i terreni in minuscole particelle catastali vendute ai militanti del movimento spontaneo che s'oppone ai lavori, noto come "i No-Tav". L'urgenza dei lavori era legata al fatto che l'Ue, la quale in fase progettuale s'era detta disponibile a contribuire alla nuova tratta ferroviaria finanziandone (forse) il 40%, aveva richiesto l'effettivo inizio dell'opera entro fine giugno. Tra il 24 e 25 maggio il governo ha posto la fiducia davanti alle Camere onde evitare di dover discutere centinaia di emendamenti proposti (anche da esponenti della sua maggioranza) al cosiddetto decreto legge Omnibus, cioè che raccoglie argomenti disparati; alcuni dei quali, secondo l'opposizione, privi dei requisiti d'urgenza previsti, almeno in teoria, dall'ordinamento. In particolare durante la discussione in Senato il governo, allarmato per il risultato del referendum sardo, ha annunciato d'aver cancellato le norme sulla costruzione delle centrali nucleari, nella speranza che ci fossero ancora i margini perché i giudici della Cassazione considerassero il quesito referendario sul nucleare ormai superato; in tal caso gli elettori probabilmente non si sarebbero recati alle urne per votare su quesiti considerati meno importanti; tale disegno tuttavia non è riuscito: il 1° giugno l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Cassazione, ha deciso, a maggioranza, che - nonostante le specificazioni introdotte il 25 maggio- il quesito riguardante le nuove centrali nucleari rimaneva valido, anche se era necessario adattarne alcune parti al nuovo testo della legge, che secondo i giudici era cambiata nella forma ma non nella sostanza. Il 26 maggio all'assemblea annuale di Confindustria la Marcegaglia, pur consapevole del fatto che l'assenza di Berlusconi e Tremonti era dovuto al concomitante vertice del G8, non ha rinunciato a toni molto duri nel criticare la lentezza e l'indecisione dell'azione del governo di fronte all'aggravarsi della situazione economica internazionale ed alle prospettive dell'Italia. L'8 giugno la LN, irritata per la reazione beffarda di Galan alla proposta avanzata da Calderoli di trasferire due ministeri, non ha votato compatta in Senato un emendamento del Pdl a seguito del quale il coordinamento del Piano nazionale anti-corruzione sarebbe stato affidato al governo. Anna Finocchiaro (Pd) ha subito tratto le conclusioni: "Con la sostanziale bocciatura dell'articolo 1 è caduto il provvedimento; il governo lo ritiri".

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E così è stato. Perché i quattro referendum del 12 e 13 giugno fossero validi il CP doveva chiamare alle urne almeno 25.209.425 elettori, cioè il 50% più uno degli aventi diritto; nonostante le preoccupazioni della vigilia, l'obiettivo è stato raggiunto, con percentuali vicine al 54,8% dei consensi espressi su ciascuno dei quesiti. Dal punto di vista formale i soli partiti sconfitti dall'esito erano l'Ap e l'Udc, in quanto avevano chiesto di votare "no" sui primi tre quesiti, ma in effetti si trattava d'una chiara sconfitta per la coalizione di governo, che aveva deciso di suggerire ai propri elettori "libertà di voto" solo dopo il fallito ricorso alla Corte Costituzionale sulla decisione del 1° giugno. Tra i primi a trarre le conseguenze del voto amministrativo e referendario si è distinta la FdS di Micciché, dichiaratosi disponibile, "per il bene del Meridione" anche "ad un'intesa con il Pd": il riferimento era all'idea d'un fronte comune contro l'idea - rilanciata il 19 giugno a Pontida da Bossi davanti alla consueta platea di militanti della LN - di aprire la sede dei ministri di cui erano titolari lui stesso e Calderoli presso alcuni locali della Villa Reale, di pertinenza del comune di Monza. Nella foga del discorso avrebbe aggiunto: "Sui ministeri Berlusconi aveva già firmato il documento, poi si è cagato sotto." Il progetto della LN è stato osteggiato dall'opposizione (che puntava ad un conflitto tra Pdl e LN), ma anche dalla Marcegaglia e dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, il quale pure era stato ben felice della precedente adesione della LN alla legge su Roma Capitale, destinata ad incrementare i finanziamenti per la Città Eterna. Un ulteriore danno d'immagine per il premier, in quei giorni, era rappresentato dall'ostinato rifiuto di Lorenzo Bini Smaghi di lasciare il proprio seggio nel direttivo della Bce ad un francese: condizione necessaria per il buon esito della staffetta tra Jean-Claude Trichet e Draghi. Bini si faceva forte del fatto che il suo "licenziamento" da parte del governo prima della scadenza naturale del mandato (maggio 2013) avrebbe creato un pericoloso precedente, non gradito agli altri membri del board della Bce; è riuscito a resistere alle pressioni di Berlusconi (e di Napolitano) sino al 10 novembre, quando ha accettato un'offerta di docenza dall'università di Harward (Usa). Ciò nondimeno il governo è riuscito il 21 giugno a far approvare, sia pure tramite l'ennesimo voto di fiducia (317 favorevoli, 293 contrari), un maxi-emendamento al cosiddetto Decreto Sviluppo, contenente norme più rigide in materia fiscale, graduate da Tremonti nel biennio 2011-2013; esso s'era reso necessario a causa delle continue sollecitazioni dell'Ue in merito alle dimensioni preoccupanti del debito italiano, sia in rapporto al Pil che in cifre assolute. Tra i provvedimenti, la reintroduzione dei ticket sanitari (a base regionale) e l'aumento delle accise sulla benzina; il dimezzamento della rivalutazione delle pensioni sopra i 1400 euro, l'aumento dell'Irap per le banche, e la riduzione al 2% annuo dell'aliquota di ammortamento prevista per le aziende che si avvalgono di concessioni governative.

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Verso la crisi di Governo.

Il 27 giugno a Chiomonte di Susa è iniziata la costruzione d'una recinzione a monte della centrale idroelettrica, destinata ad ospitare il nuovo cantiere per la Tav, che è stato subito presidiato da quasi duemila agenti tra polizia, carabinieri, guardia di finanza e forestali, tutti di turno sulle 24 ore e con il trattamento di missione, cioè non alloggiati nelle caserme di Torino; intanto a Roma Crosetto, forte del supporto morale di altri ministri d'area Pdl (primo fra tutti Romani) ha criticato duramente gli articoli del Decreto destinati ad innescare ulteriori meccanismi recessivi sull'economia italiana, ed il fatto che le maggiori tasse sulle rendite finanziarie, cioè sui risparmi delle famiglie, erano un tradimento delle promesse elettorali del centro destra. Nei giorni seguenti a fianco di Crosetto s'è posto il compagno di partito Osvaldo Napoli, successore di Chiamparino alla guida dell'Anci dal 18 maggio. Comuni e Regioni hanno definito il Decreto una manovra "iniqua", in grado di vanificare il percorso verso il federalismo fiscale, anche perché non ha minimamente scalfito il cosiddetto patto di stabilità, che ha posto ai comuni negli ultimi anni vincoli di spesa molto rigidi. I rapporti sempre più tesi all'interno della coalizione, nonché le preoccupazioni legate alle numerose pendenze giudiziarie, hanno indotto Berlusconi il primo luglio, nel corso del Consiglio Nazionale del Pdl indetto a Roma, a forzare i regolamenti interni del partito e a sancire per acclamazione la nomina di Alfano al vertice, cancellando il precedente organigramma basato sui tre coordinatori: "Gli organizzatori del Pdl hanno previsto da statuto una votazione che prevede i due terzi dei consensi, ma io [Silvio Berlusconi] da presidente e fondatore del partito vi propongo l'elezione di Alfano con questo applauso, a suffragio generale". Alfano ha accettato immediatamente, annunciando le proprie dimissioni da ministro entro due settimane. Dopo la rinuncia del premier alla guida del Pdl, Bersani ha assunto un atteggiamento più "morbido" nei confronti dell'esecutivo: ad esempio, il 3 luglio il Pd non s'è unito all'Idv nel denunciare la permanenza in Rai di alti dirigenti filo-Fininvest, la cosiddetta "struttura Delta". Due giorni dopo l'Idv ha presentato alla Camera una mozione che chiedeva di attuare nuovi risparmi mediante l'abolizione delle Province, il centrodestra ha potuto contare su soli 225 voti: avrebbe potuto essere l'occasione per battere il governo, ma il Pd s'è astenuto, e quindi i favorevoli alla mozione (respinta) sono stati solamente gli 83: l'Idv e (in parte) il TP e Fli. Tra i primi effetti della "cura Alfano", l'annuncio dei deputati Andrea Ronchi, Adolfo Urso e Filippo Scalìa di lasciare Fli per aderire al Gruppo Misto. Tuttavia la notizia più importante del giorno 9 luglio erano i commenti alla sentenza d'appello sul "Lodo Mondadori": per l‘azienda editoriale di Segrate (affidata da anni dal premier alla primogenita Marina Berlusconi) si profilava un esborso in favore della Cir del finanziere Carlo De Benedetti di 564 mln di euro. Mondadori aveva chiuso il 2010 con un utile netto consolidato di 42,1 mln, in crescita del 22,7% rispetto al 2009; la redditività, al 32%, era superiore alla media delle altre aziende Fininvest: da qui la determinazione con cui padre e figlia hanno contestato la sentenza, ed il 3 novembre Marina ha presentato ricorso in Cassazione.

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I legali Cir intanto avevano accettato, a garanzia del credito, una fidejussione data a Berlusconi dalla banca Intesa Sampaolo, amministrata da Corrado Passera. Il 14 luglio FdS ha annunciato l'accordo tra molti deputati meridionali, in particolare di Pt, per la nascita d'una federazione (Grande Sud) in grado di "ottenere quello che fino ad oggi ottiene solo la LN". Il disagio di molti leghisti nei confronti del Pdl e dei suoi alleati s'è evidenziato il 20 luglio, quando la maggioranza non è riuscita a salvare dall'arresto e dall'incarcerazione il deputato Alfonso Papa (Pdl), imputato a Napoli per reati finanziari; accese polemiche tra i partiti ha suscitato anche la decisione del Pdl, professatosi orgogliosamente "garantista", di votare in Senato contro l'autorizzazione a procedere nei confronti del sen. pugliese del Pd Alberto Tedesco, nonostante i dubbi sulla sua colpevolezza espressi a mezza voce da alcuni esponenti del suo stesso partito. Due giorni dopo Bossi e Calderoli hanno inaugurato le sedi monzesi dei ministeri, suscitando nuove critiche da parte di Napolitano. Il 28 luglio Alfano ha annunciato quale proprio successore Francesco Nitto Palma (Pdl), ex sottosegretario agli Interni; in occasione del mini-rimpasto è stato assegnato ad Anna Maria Bernini (Pdl) il ministero delle Politiche Europee, vacante dal 17 novembre 2010 (per l'adesione di Ronchi a Fli), mentre Elio Belcastro (Pt) ha ottenuto la nomina a sottosegretario all'Ambiente. Il primo risultato per il "garantista" Nitto Palma è stato la fiducia accordata dal Senato il 29 luglio al disegno di legge che consente alla difesa di presentare lunghe liste di testimoni e stabilisce che non si può più considerare come prova definitiva in un processo la sentenza di un altro procedimento, ancorché parallelo, e già passato in giudicato. Nei giorni seguenti l'annosa questione dei rapporti tra politica e magistratura è tornata incandescente: il primo agosto i magistrati napoletani hanno ottenuto (grazie anche al voto di alcuni esponenti della maggioranza) l'autorizzazione ad aprire le cassette di sicurezza di Milanese, coinvolto in un caso molto seguito dai media, i quali hanno ironizzato sul fatto che il ministro dell'Economia pagasse l'affitto in nero per un palazzo di Roma di proprietà di Milanese; lo stesso giorno i magistrati che indagano sulla (cattiva) gestione dei fondi destinati alla ricostruzione dell'Abruzzo hanno visto respinta dalla Camera (301 sì, 278 no e 3 astenuti) la richiesta di utilizzare nel processo le intercettazioni di Denis Verdini (Pdl), fedelissimo del premier. Ai primi di agosto ha suscitato notevole sensazione l'annuncio, enfatizzato in particolare dal Corriere della Sera, che i vertici della Bce avevano inviato a Berlusconi e Tremonti una lettera "riservata" in cui si evidenziavano le forti criticità cui era esposta l'Italia nei confronti del sistema finanziario europeo ed internazionale, e si suggerivano quindi una serie di riforme significative (tagli agli stipendi della pubblica amministrazione, maggiore flessibilità nel mercato del lavoro, privatizzazioni) atte a ridurre l'esposizione debitoria dell'Italia. I due destinatari non hanno protestato per l'ingerenza; dopo aver preso atto l'11 agosto che secondo la LN un eventuale intervento sulle pensioni avrebbe provocato una crisi di governo, il 12 Berlusconi e Tremonti hanno annunciato che il governo aveva allo studio l'ulteriore taglio dei trasferimenti agli enti locali 20 mld di tagli nel 2012 e 25 mld nel 2013 e la soppressione delle province.

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Tale provvedimento è stato fortemente contestato in una grande manifestazione nazionale tenutasi a Milano dagli amministratori degli enti locali, compresi molti legati ai partiti della maggioranza, tra cui Alemanno, Tosi e Napoli (il quale il 5 ottobre è stato sostituito alla guida dell'Anci dal sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, Pd). Il 3 settembre Grande Sud s'è costituita ufficialmente come gruppo parlamentare autonomo, forte di 13 deputati e ha intrapreso un'attiva campagna a sostegno della rielezione del presidente della regione Molise, Angelo Michele Iorio, il quale ha ottenuto, col voto del 16 e 17 ottobre, il terzo mandato consecutivo. Il 6 settembre, mentre Bersani si dimostrava possibilista rispetto all'adozione di nuove misure finanziarie, pur non cessando d'accusare Berlusconi e Tremonti d'aver tenuto nascosta per troppi mesi agli italiani la gravità della situazione, il principale sindacato di sinistra, la Cgil di Susanna Camusso, ha indetto uno sciopero generale contro la stretta fiscale: misure quali il ventilato blocco delle tredicesime per i dipendenti statali avrebbero avuto effetti depressivi sui consumi, rallentando la crescita.; il giorno dopo il governo in Senato è stato costretto a porre la fiducia sulla nuova manovra finanziaria. L'8 settembre il governo, dopo essere stato costretto ad una marcia indietro rispetto all'ipotesi di far ricorso ai fondi regionali Fas (destinati in origine alle "aree sottosviluppate", specie del Sud) nel caso in cui i ministeri non fossero riusciti ad eliminare dai bilanci di previsione per il 2012 spese correnti per 6 mld, ha annunciato di voler sostenere una modifica alla Costituzione, per rendere un obbligo avere i bilanci dello Stato in pareggio. Il 15 settembre Berlusconi ha compiuto un viaggio-lampo a Bruxelles e a Strasburgo, per spiegare ai vertici dell'Ue e del Parlamento europeo le nuove misure economiche in fase d'adozione da parte dell'Italia; è stato accolto con una certa freddezza, anche a causa delle notizie sui crescenti dissidi tra lui e Tremonti. Il quale seguiva con attenzione l'evolversi del caso Milanese: in quello stesso giorno la Giunta per le autorizzazioni a procedere ha respinto a stretta maggioranza (11 contro 10) l'ulteriore richiesta giunta dai pubblici ministeri napoletani; la decisione è stata confermata il 22 settembre in aula (312 a 305). Una settimana dopo i voti della LN (peraltro non compatta come un tempo) sono stati fondamentali anche per respingere la mozione individuale di sfiducia presentata dalle opposizioni contro il ministro Romano, sospetto secondo i magistrati siciliani di "concorso esterno in associazione mafiosa". La votazione s'è conclusa con 315 no e 292 sì; sei deputati del Partito Radicale, eletti nelle liste del Pd, hanno dichiarato di volersi astenere, per richiamare l'attenzione sulla difficile situazione delle carceri italiane; la loro scelta è stata criticata dai vertici del Pd. Il 30 settembre i Comitati Promotori, il cui principale referente politico era l'IdV, hanno depositato all'ufficio centrale elettorale della Cassazione più di un milione e duecento mila firme (molte delle quali raccolte tra la "base" del Pd) con cui chiedevano un referendum abrogativo della legge elettorale, in particolare gli articoli che consentono ai vertici dei partiti di scegliere in quale punto delle liste inserire i candidati.

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Il 3 ottobre nel direttivo nazionale del Pd sono emerse divisioni tra il vicesegretario Enrico Letta, sostenitore delle idee di Trichet e Draghi per risolvere la crisi, e il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, il quale ha dichiarato che "La ricetta neo-liberista riproposta dalla Bce in sintonia con i governi conservatori, prima che iniqua, è irrealistica". In polemica con quest'ultimo, il sen. Giorgio Tonini ha invitato Bersani a "chiarire" la linea del partito. Il segretario è apparso orientato verso la richiesta di elezioni anticipate, pur se frenato dall'idea che si sarebbero tenute con una brutta legge elettorale, ma la minoranza interna di Veltroni puntava invece a un esecutivo di transizione per avere il tempo di costruire un'alleanza politica con il TP, così da evitare una svolta a sinistra del Pd. Nello schieramento opposto tra i più convinti di tale opportunità apparivano gli ex ministri Scajola e Giuseppe Pisanu. L'11 ottobre, a causa delle numerose assenze nella maggioranza, la votazione sull'Art. 1 del rendiconto di bilancio 2010 è finita 290 pari; Fini (in accordo con Napolitano) ha deciso di bloccare l'iter del provvedimento sino a quando non vi fosse stata chiarezza in merito alla effettiva tenuta della maggioranza parlamentare; essa è arrivata il 14, con l'ennesimo voto di fiducia alla Camera (316 a 301). Il sostegno al governo è valso alla Polidoro e a Misiti la promozione da sottosegretario a vice-ministro, con deleghe di maggior peso (la prima al commercio estero, il secondo alle Infrastrutture); Viceconte è passato agli Interni ed il suo posto all'istruzione è stato lasciato ad un nuovo sottosegretario, Giuseppe Galati (Pdl). Frutto di equilibri interni alla maggioranza è stata la designazione a successore di Draghi alla guida della Banca d'Italia del vicedirettore Ignazio Visco, molto vicino a Tremonti e gradito al Pd; ancora una volta la LN è rimasta delusa da scelte del premier, traendo nuove motivazioni per opporsi ad un provvedimento decisamente impopolare quale la riforma delle pensioni, chiesta con insistenza dall'Ue a Berlusconi. Il 21 e 22 ottobre a Lecce s'è tenuto un convegno del Tp, cui hanno preso parte i leader di Udc (Casini), Fli (Fini), Api (Rutelli) e Mpa (Lombardo); in tale sede sono stati lanciati nuovi appelli ai centristi delusi dal Pdl, facendo leva sui recenti interventi dell'Ue negli "affari interni" italiani, ma si sono anche prese le distanze dalla Sinistra, per rivendicare autonomia di manovra del Tp rispetto agli altri partiti, a partire dalla reiterata richiesta di reintrodurre un sistema elettorale proporzionale. Gli effetti della riunione di Lecce si sono visti il 3 novembre: tre deputati già Pt (il sottosegretario Belcastro, Americo Porfidia e Arturo Iannacone) sono passati al Gruppo Misto; due del Pdl (Alessio Bonciani e Ida D'Ippolito) hanno aderito all'Udc. L'ultima speranza di Berlusconi per rilanciare la propria immagine in ambito internazionale è stato il vertice del G20 di Cannes, nel quale egli sperava di porre a frutto i meriti acquisiti dall'Italia grazie all'impegno militare a fianco della Nato in Libia; tuttavia in quella sede è stato sostanzialmente snobbato dai leader mondiali, con la sola eccezione della presidente brasiliana Dilma Rousseff, ed ha dovuto fare buon viso all'annuncio dell'Fmi in merito al prossimo arrivo a Roma d'una sua delegazione per monitorare gli effetti dei nuovi provvedimenti economici adottati dall'Italia sui conti pubblici.

Nei giorni seguenti la maggioranza ha continuato a perdere pezzi, mentre i titoli di alcuni grandi gruppi bancari (e quelli di Mediaset, principale azienda di famiglia del premier) hanno subito gravi perdite, a seguito delle continue vendite da parte di due azionisti di minoranza, un fondo d'investimento canadese (Mackenzie) ed uno Usa (Black Rock). Berlusconi l'8 novembre ha deciso che era giunto il momento d'un ulteriore passo indietro, e dopo un incontro con Napolitano ha annunciato d'essere intenzionato a dimettersi subito dopo l'approvazione da parte della Camera dei disegni di legge per il bilancio 2012 e per il triennio 2012-14. Il 9 novembre Napolitano ha annunciato, a sorpresa, la nomina a Senatore a vita dell'economista Mario Monti, docente all'Università Bocconi di Milano ed ex Commissario Ue (sino al 2004); tale atto ha ricevuto l'immediato plauso da parte dei principali media, a partire dal Corriere della Sera e da Repubblica, che sottolineavano le reazioni positive da parte della cancelliera tedesca Angela Merkel. Nonostante le pesanti misure previste dalla Legge di Stabilità, il 12 novembre essa viene approvata alla Camera da una larga maggioranza; subito dopo l'apertura anche formale della crisi di governo, Napolitano ha iniziato un brevissimo giro di consultazioni, motivando la propria decisione di fare appello alla concordia tra le forze politiche dell'intero arco parlamentare con la gravità della situazione finanziaria del Paese. E' apparso subito chiaro che Alfano, nonostante il formale gradimento della LN, non aveva speranze di ricevere l'incarico per il nuovo governo, subito definito dai media "tecnico", onde evitare la più cogente formula "di unità nazionale". Contro tale formula s'è espresso Di Pietro, preoccupato del fatto che il Pd avesse già rinunciato a chiedere le elezioni anticipate (considerate da Napolitano in quel momento una iattura per i conti pubblici dell'Italia) e fosse pronto ad appoggiare un governo tecnico aperto anche ai berlusconiani. Dopo quattro giorni di trattative convulse, nel corso delle quali è sfumata l'ipotesi d'un ruolo di primo piano nel nuovo governo sia per l'ex premier Giuliano Amato (gradito a Napolitano) che per l'ormai ex vice-premier Gianni Letta, proposto dal Pdl, il 16 novembre Monti, presidente incaricato dal giorno 13, ha sottoposto a Napolitano la lista dei ministri ed ha assunto a tutti gli effetti la guida del nuovo governo.

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Il Governo "tecnico".

Il 22 novembre Fassina s'è attirato le critiche dell'ala moderata del suo stesso partito, il Pd, a causa della seguente dichiarazione: "Dopo un trentennio dominato dalla flessibilità del lavoro e dalla moderazione salariale, le cause primarie della drammatica ed infinita crisi in cui siamo immersi, oggi il Commissario europeo agli affari economici insiste su maggiore flessibilità del lavoro e maggiore moderazione salariale. Se la Commissione Ue e la signora Merkel si ostinano ad imporre idee fallite, l'euro e l'Ue sono davvero a rischio. Speriamo che il Governo Monti riesca a far correggere la rotta in tempo". Il 24 novembre, mentre i media dedicavano largo spazio alle biografie dei ministri "tecnici" e alla decisione dei magistrati romani di archiviare il procedimento in cui Berlusconi era accusato di aggiotaggio nella vicenda Alitalia (2008), Monti ha incontrato a Strasburgo la Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, con i quali ha concordato gl'interventi più urgenti in sede Ue per uscire dalla grave crisi finanziaria dei paesi aderenti all'euro. Monti ha promesso ai suoi interlocutori il varo della quarta manovra economica del 2011 in Italia prima del Consiglio europeo dell'8 dicembre, con un intervento che prevedeva 15 milioni di ulteriori tagli alla spesa, ed in particolare un'importante riforma delle pensioni prossime a maturazione ed il contemporaneo innalzamento di quattro anni del requisito dell'età pensionabile. L'IdV, che aveva votato la fiducia nella speranza che Monti segnasse una discontinuità rispetto all'esecutivo precedente, col passare dei giorni ha spesso assunto atteggiamenti critici nei confronti del nuovo esecutivo; anche Berlusconi, dipinto da alcuni come deluso da Alfano, avrebbe cercato nell'ultima parte dell'anno di ricostruire attorno alla propria figura un gruppo di deputati fedeli, in prospettiva della nascita d'un nuovo partito pronto ad approfittare del crescente malumore della popolazione per le scelte impopolari del governo Monti, dipinto sempre più frequentemente dai giornali "di famiglia" come troppo succube degli interessi delle banche, a discapito degli strati più bassi della popolazione. Il 4 dicembre per veder approvata in tempi brevi la manovra fiscale aggiuntiva, sotto forma di decreto - legge: è stata articolata nei tre capitoli bilancio pubblico, previdenza e sviluppo e avrà una durata di tre anni; l'esecutivo s'è deciso a porre la questione di fiducia. Nei giorni seguenti il punto più discusso della nuova finanziaria è stato quello che prevedeva la reintroduzione della tassazione sulla prima casa: la sua abolizione era stato uno dei cavalli di battaglia di Berlusconi e Tremonti, e l'elettorato italiano appariva fortemente contrario al provvedimento. Il governo è stato accusato da un lato di voler tassare immobili che in passato erano sempre stati esenti, cioè i rustici di servizio presenti sui fondi agricoli, dall'altro di non aver chiarito per quale tipologia d'edifici di proprietà di enti ecclesiastici fossero riservate delle esenzioni. Per tutta la giornata di giovedì 8 dicembre i manifestanti No Tav, delusi dalla decisione del governo di proseguire nei lavori iniziati a Chiomonte, hanno occupato l'autostrada A32 Torino-Bardonecchia, nel tratto compreso fra Chianocco e Venaus; nel corso degli sgomberi sono stati effettuati centinaia di arresti.

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Il giorno seguente i giovani veneti del Pdl, per bocca del segretario Silvio Giovine, hanno invitato Alfano ed i vertici del partito ad una più decisa opposizione, anche al fine di non lasciare che fosse la LN a raccogliere consensi guidando il malcontento nei confronti dei "tecnocrati". Intanto a Roma venivano ritenuti da molti esperti di fatto inapplicabili alcuni punti della bozza presentata dal governo, ed in particolare una nuova tassazione specifica per i capitali portati all'estero e già soggetti in passato allo "scudo fiscale", la soppressione immediata delle province, la liberalizzazione degli orari e dei prodotti in vendita nelle parafarmacie. Il 16 dicembre, quando è stata presentata alla Camera la nuova manovra economica correttiva, il governo ha posto nuovamente la fiducia. Hanno votato contro LN, Idv, gli autonomisti sudtirolesi (Svp) e gli ex Pt di Noi Sud. In totale 402 si, 75 no e 22 astenuti. Nei giorni seguenti la LN ha intensificato la lotta contro la nuovo tassa sugli immobili, l'Imu; a nome dell'Anci Delrio ha sostenuto che l'Imu era prevista dalle norme sul federalismo fiscale, a suo tempo volute dalla LN, ma i leghisti hanno replicato che la tassa sarà "municipale" solo di nome, in quanto gran parte del gettito finirà a Roma. Il via libera definitivo alla manovra economica è stato votato al Senato il 22 dicembre (257 favorevoli e 41 contrari). Il 23 dicembre, il Consiglio dei ministri ha varato "un decreto che assicura la prosecuzione della partecipazione del personale delle Forze Armate e delle forze di polizia alle missioni internazionali e alle iniziative di cooperazione allo sviluppo". All'indomani del varo della manovra Monti, nella speranza di rendere meno pesante il clima sociale (e politico) ha annunciato l'intenzione di procedere alla cosiddetta "Fase due", o "Cresci Italia"; oltre che del suo mentore, Napolitano, ha ottenuto il sostegno incondizionato del Tp e anche di Berlusconi, il quale ha ribadito che il Pdl resta " Il partito di maggioranza relativa". Di tutt'altro avviso Calderoli: "Questo è un governo di sinistra: Berlusconi ha preso le distanze con alcune dichiarazioni ma deve anche dimostrare di non essere l'utile idiota che sostiene un governo di sinistra. Stacchi la spina e si vada al voto". Il 2011 si è chiuso con la morte di don Luigi Verzé, protagonista di un grave scandalo finanziario, quello dell'ospedale S. Raffaele, che ha coinvolto il gruppo di potere alla guida della Regione Lombardia da quattro legislature. Nel corso dell'anno la Regione è stata peraltro protagonista di altri due scandali, che hanno visto il coinvolgimento diretto di due membri dell'Ufficio di Presidenza, accusati entrambi di gravi episodi di concussione: l'ex presidente della Provincia di Milano ed ex sindaco di Sesto S. Giovanni Filippo Penati (Pd) e l'ex assessore regionale all'Ambiente, il bresciano Franco Nicoli Cristiani (Pdl).

Anno 2011. Politica e società italiana.

Ruby e le Altre.

L'interesse dei media per i risvolti giudiziari della vicenda di Karima el Mahorug, detta Ruby , è stato confermato nei primi mesi del 2011 dal grande risalto dato alla canzone parodia dei comici genovesi Luca & Paolo durante il Festival di Sanremo, tenutosi a metà febbraio, e trasmesso in diretta su Raiuno. I due simulavano un duetto-duello tra Berlusconi e Fini, pieno di riferimenti espliciti: il primo rivangava i sospetti secondo cui il Presidente della Camera avrebbe offerto un appartamento a Montecarlo (in origine ereditato dal partito AN, di cui era segretario politico) al fratello della propria "fiamma", Elisabetta Tulliani; il secondo replicava citando i "festini" del premier ed i loro protagonisti: dalla escort pugliese Patrizia D'Addario alle ragazze cui erano stati concessi appartamenti in un residence di via Olgettina, tra Milano e Segrate, di proprietà d'una immobiliare di Berlusconi, e per questo soprannominate "Olgettine". Le ultime battute sottolineavano il fatto che i risvolti giudiziari delle due vicende non erano i medesimi, e che a rischiare era soprattutto Berlusconi: Ti sto sputtanando/dove?/ da Santoro/ quando?/Ora!/ Chiamo.../ Ti sputtanerò. /Non mi butti giù./ Sì ma il 6 aprile in aula ci vai solo tu." Il 5 aprile l'avvocato on. Maurizio Paniz (Fli), il quale già il 2 febbraio aveva convinto la Giunta per le Autorizzazioni a procedere a negare ai giudici di Milano l'accesso agli uffici di via Olgettina del rag. Giuseppe Spinelli, "ufficiale pagatore" per conto di Berlusconi, è riuscito ad ottenere dalla maggioranza un voto (314 sì, 298 no, 1 astenuto) a seguito del quale la Camera ha formalmente sollevato davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione con il Tribunale di Milano in merito alle indagini ed al processo per "favoreggiamento personale e prostituzione minorile" intrapreso a carico del premier, reo di aver favorito personalmente tale tipo di attività da parte dell'allora minorenne Ruby. Secondo Paniz (e la maggioranza parlamentare), se in punta di diritto la tipologia di reato individuato dalla Procura di Milano non rientrerebbe tra quelli per i quali il premier gode dell'immunità legata alla sua carica, nel caso specifico il 27 maggio 2010 Berlusconi si sarebbe limitato a pressioni sulla Questura di Milano per il rilascio della giovane in quanto in quel momento sussisteva il dubbio che ella potesse essere una nipote del presidente dell'Egitto Hosni Mubarak: quindi il premier nella circostanza avrebbe agito non per motivi personali ma per evitare un potenziale imbarazzo ad un capo di Stato alleato dell'Italia. La pratica è pervenuta alla Corte solo il 17 maggio, ed il suo iter alla fine del 2011 non era ancora concluso, mentre a fine autunno si sono comunque aperti due processi legati alla vicenda: quello testé ricordato e un secondo, che vede quali imputati principali il giornalista Emilio Fede, il suo amico talent-scout Lele Mora e Nicole Minetti, consigliere alla Regione Lombardia; a lei era stata "arbitrariamente" affidata la minorenne, che è di origine marocchina. Questo processo fà riferimento ad alcuni episodi che avrebbero avuto quale cornice la villa di Berlusconi ad Arcore. In particolare, il 4 aprile due giovani piemontesi (Chiara Danese e Ambra Battilana) hanno denunciato che la serata del 22 agosto 2010 erano state indotte dagli imputati ad assistere ad un festino tenutosi dopo cena in un seminterrato della villa, il "Bunga Bunga". Tra le Olgettine presenti sono state indicate Roberta Bonasia, Marysthell Polanco, le gemelle napoletane Imma ed Eleonora De Vivo.

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Il 25 maggio Berlusconi, ospite di Bruno Vespa su Rai1, ha sostenuto che il 27 maggio sarebbe stato un funzionario della Questura a suggerirgli di mandare una persona maggiorenne ed incensurata a prendere in consegna Ruby; tale intervento è stato contestato il giorno dopo dall'on. Marilena Samperi, capogruppo del Pd nella Giunta per le autorizzazioni a procedere. Il 6 luglio la Corte Costituzionale ha riconosciuto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato nei confronti della Procura di Milano dalla Camera (e, il 13 settembre, anche dal Senato).

Lampedusa, Emergenza Continua.

Dalla fine di febbraio è andato crescendo il numero dei barconi carichi di disperati che cercavano di approdare sulle coste delle isole di Linosa e Lampedusa, estremo lembo mediterraneo del territorio italiano: quasi si trattasse di un effetto collaterale della crisi del regime tunisino (cui ha fatto seguito, in estate quella della Libia). Nel 2010 il governo di Roma aveva sottolineato con soddisfazione la diminuzione del flusso degli immigrati clandestini, legata ad (onerosi) accordi bilaterali con i due paesi magrebini; secondo alcune testimonianze, le motovedette tunisine in alcuni casi avevano fatto ricorso, quale deterrente, a raffiche contro i migranti in partenza, spesso giovani uomini per i quali l'approdo in Italia era solo una tappa d'un viaggio verso i paesi del Nord Europa, ed in particolare la Francia, dove la comunità tunisina è molto radicata. Berlusconi ed il ministro del'Interno Roberto Maroni (LN) hanno posto in atto iniziative d'emergenza apparse, per molti versi, contraddittorie; in parte legate anche al fatto che contro l'Italia era stato avviato da qualche mese all'Aia un procedimento d'infrazione del diritto internazionale a causa di alcuni episodi del 2009, cioè il "respingimento" dal mare verso le coste libiche di alcuni barconi. Inizialmente il governo ha dichiarato di voler applicare, come per tutti gli altri cittadini extracomunitari entrati clandestinamente in Italia, le complesse procedure della identificazione e della espulsione, nel caso non fossero riusciti a dimostrare di essere perseguitati per ragioni politico-religiose. Tuttavia ben presto la massiccia presenza di tunisini a Lampedusa ha causato un forte disagio tra la popolazione: non solo per le prospettive negative per il turismo, principale risorsa dell'isola, ma anche per il deterioramento delle condizioni igienicosanitarie e per la necessità di costosi rifornimenti di acqua e generi alimentari.

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In una seconda fase, a marzo, il governo, sensibile alle ragioni espresse da alcuni deputati del Sud, i quali paventavano i rischi connessi alla presenza di migliaia di persone in zone del Paese già segnate pesantemente dagli effetti della crisi economica, si è sforzato di predisporre un piano capillare per fornire "ospitalità temporanea" a piccoli gruppi di migranti in strutture che avrebbero dovuto mettere a disposizione, in primo luogo, comuni e prefetture d'ogni regione d'Italia. Tale decisione ha suscitato tre tipi di critiche: a) non erano chiari i criteri in base a cui per alcuni profughi veniva avviato l'iter del rimpatrio (eseguito in genere mediante il tradizionale e costoso sistema dei voli aerei), mentre altri venivano avviati a questa o quella città; b) sussisteva una notevole discrezionalità non solo in merito alla durata, anche presuntiva, del soggiorno, ma sul tipo di sistemazione considerata più idonea per i profughi: alcuni sono stati inviati in ex colonie estive di montagna, altri – come a Milano – concentrati in residence dalla scarsa clientela; c) in diversi casi i sindaci si sono stupiti per il fatto che i prefetti, su indicazione del governo, hanno dichiarato che lo Stato avrebbe provveduto a pagare le spese per vitto e alloggio ed avrebbe fornito anche un sostegno economico giornaliero ai profughi, (poi quantificato in 2,5 euro al giorno) ma a patto che ad essi non fosse assicurato alcun tipo d'impiego, neppure stagionale e/o "socialmente utile". Il 30 maggio il sottosegretario agli Interni con delega all'immigrazione Alfredo Mantovano ha annunciato le proprie dimissioni, allo scopo di stimolare il governo ad un'azione più efficace ed efficiente; Berlusconi non le ha accettate, ma non ha neppure dato seguito ai provvedimenti richiesti dal sottosegretario. Intanto, ai primi di aprile, durante una visita a Lampedusa Berlusconi aveva assicurato agli isolani lo sgombero dei clandestini "in 48-60 ore", utilizzando allo scopo grandi traghetti appositamente noleggiati per lo sgombero dell'isola, destinando il grosso dei clandestini alle tendopoli nel frattempo predisposte sul continente in località isolate, prima fra tutte quella di Manduria, in Puglia. Tuttavia le condizioni del mare e le ridotte dimensioni del porto hanno rallentato, nei giorni seguenti, lo sgombero; e, al contempo, le misure di sorveglianza poste in atto nella tendopoli si sono rivelate ben più blande rispetto a quelle usualmente applicate nei Centri d'identificazione italiani. Le immagini dei clandestini che saltavano una rete alta poco più d'un metro e si disperdevano rapidamente nelle campagne, inseguiti invano da un paio di agenti a cavallo, sono stati diffusi dalle televisioni di tutto il mondo, ed hanno avuto un impatto tale sull'opinione pubblica europea da giustificare, agli occhi di molti, l'iniziativa senza precedenti adottata dal governo di Parigi, cioè quella di fermare e di rimandare al valico di Ventimiglia tutti i tunisini entrati in territorio francese: non solo i clandestini, ma anche quelli dotati dall'Italia di un particolare salvacondotto provvisorio che faceva riferimento (sulla carta) al Trattato sulla libera circolazione dei cittadini europei.

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Roma ha protestato, mentre Parigi ha continuato a sostenere che il governo italiano voleva, furbescamente, liberarsi del maggior numero possibile di clandestini allentando le maglie della sorveglianza. In sede UE il dissidio s'è poi risolto riconoscendo all'Italia gran parte degli specifici contributi economici straordinari richiesti, tuttavia il 6 luglio Maroni in consiglio dei ministri ha subordinato il via libera della LN al rifinanziamento delle missioni militari all'assegnazione di 440 milioni alla Protezione Civile, per la gestione dell'emergenza profughi. Durante l'estate si sono susseguiti arrivi e partenze da Lampedusa; in settembre molti clandestini, temendo che le navi traghetto facessero rotta non sui porti del Nord Italia, ma verso la Tunisia, hanno rifiutato d'imbarcarsi senza precise garanzie; ancora il 20 settembre alcuni esagitati hanno preso tre bombole di gas dal ristorante Delfino Blu, nella zona portuale, minacciando di farsi esplodere. Poi agenti in tenuta antisommossa hanno caricato i tunisini, coinvolgendo però anche alcuni isolani, esasperati. A fare le spese della rabbia degli abitanti le troupe di Sky e della Rai, minacciate da un gruppo di esagitati. Negli stessi giorni, continue proteste degli "ospiti" involontari anche nel cosiddetto Centro di prima accoglienza realizzato sul lato opposto dell'isola, i quali protestavano appiccando piccoli incendi e dormendo all'aperto. Nei mesi seguenti il relativo stabilizzarsi delle relazioni tra Italia e il nuovo governo della Tunisia, il pattugliamento delle coste libiche da parte di unità militari pronte ad intervenire nelle ultime fasi della guerra civile e il progressivo peggioramento delle condizioni del mare hanno ridotto notevolmente i flussi migratori verso l'isola. Secondo lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) nel corso del 2011 sono giunti sul territorio italiano 28.123 migranti dalla Tunisia e 28.431 dalla Libia, nel corso di 757 sbarchi non autorizzati; gran parte di quei migranti (51.753) sono transitati per Lampedusa, sino all'11 novembre. A dicembre i "profughi" assistiti nelle strutture messe a disposizione dalle regioni erano circa 22.200, al netto dei rimpatriati (con biglietto aereo e 200 euro di buonuscita) e di quelli che hanno lasciato il territorio italiano senza dare più notizie.

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Geronzi e le Generali.

A metà aprile i politici ed i media italiani assistevano con grande interesse agli sviluppi della lotta di potere in corso a Roma per il controllo delle Assicurazioni Generali, la compagnia assicurativa che da alcuni anni aveva assunto il ruolo di "salotto buono della finanza italiana", parallelamente a Mediobanca, l'istituto di credito con cui dal 2008 era stata prassi costante l'incrocio azionario e finanche la governance, in un'ottica di reciproco controllo tra le due società, fortemente permeate dal sistema creditizio ed industriale italiano. Il 6 aprile il Consiglio d'amministrazione (Cda) di Generali ha dato il benservito al presidente "non esecutivo" Cesare Geronzi (considerato vicino sia a Berlusconi che al ministro della Difesa Ignazio La Russa, ricopriva la carica da soli 11 mesi), e l'ha sostituito con un manager in passato legato alla Fiat, Gabriele Galateri di Genola. Secondo alcuni analisti tale decisione era legata non solo e non tanto alla grandeur di Geronzi e alle sue spese "fuori controllo", bensì al caso Unicredit, cioè alla delicata situazione venutasi a creare nella governance della maggiore banca italiana dopo la defenestrazione, nel settembre 2010, dell'amministratore delegato (Ad) Alessandro Profumo. Nei primi mesi dell'anno non pochi dei maggiori azionisti di Generali non avevano gradito la mancata opposizione di Geronzi al fatto che il tedesco Dieter Rampl avesse mantenuto la presidenza di Unicredit, nonostante i suoi rapporti tesi con il nuovo Ad, Federico Ghizzoni. Avverse a Rampl erano soprattutto le Fondazioni bancarie azioniste, impegnate da mesi nel tentativo di aumentare il loro peso specifico, anche in vista del previsto lancio d'un grosso aumento di capitale considerato inevitabile per mantenere l'operatività di Unicredit e far fronte alla crisi internazionale, aggravata dall'incertezza sulla sorte del consistente pacchetto azionario (quasi il 5%) di proprietà di un fondo sovrano libico; ciò aveva provocato, da febbraio, una decisa caduta del valore delle azioni. Altri analisti hanno invece sostenuto che dietro il benservito a Geronzi vi fosse Alberto Nagel, Ad di Mediobanca, il quale non aveva digerito il fatto che dalla fine del 2008 Geronzi fosse diventato presidente anche di Mediobanca, nonostante le disavventure giudiziarie legate ai fallimenti Cirio e Parmalat; anche a lui (come l'anno prima a Profumo) sarebbe stata offerta una liquidazione molto consistente, 16,6 milioni di euro. Il primo ad uscire allo scoperto dopo l'uscita di scena di Geronzi è stato l'imprenditore Diego Della Valle, amico e socio di Luca Cordero di Montezemolo nel progetto, ormai giunto a maturazione, d'una seconda società ferroviaria autorizzata a servirsi dei binari della linea ad alta velocità Roma-Milano, la più redditizia del Paese. Della Valle ha suggerito ai nuovi amministratori di Generali di liberarsi della tutt'altro che redditizia partecipazione in Rcs, società cui fa capo (tra l'altro) il Corriere della Sera. La quota consente alla compagnia assicuratrice di far parte del Patto di sindacato tra i maggiori azionisti Rcs, in scadenza nel 2014.

Secondo alcuni analisti, Della Valle era consapevole del fatto che Galateri non gli avrebbe dato ascolto; far sapere pubblicamente d'essere disposto ad ampliare il proprio ruolo in Rcs era quindi un messaggio (indiretto) ad un altro azionista "anomalo" di Rcs: Giuseppe Rotelli, imprenditore della sanità privata che risultava detentore dell'11% di Rcs: una quota in gran parte "affidatagli" dalle grandi banche che nel 2005 erano state coinvolte nel (fallito) tentativo di scalata al Corriere da parte dell'immobiliarista Stefano Ricucci e di altri improbabili finanzieri. Sorprendendo molti, la mossa di Della Valle (considerato dai più come poco amico del premier) ha ricevuto l'avallo del finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, socio di lunga data di Berlusconi; tuttavia il tentativo d'incrinare i peraltro difficili equilibri in Rcs (date le forti perdite del titolo, appesantito da un cattivo investimento in Spagna) è stato "stoppato" dagli altri azionisti, ed in particolare dal banchiere Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit e consigliere di Mediobanca (primo azionista di Rcs). La vicenda peraltro è ben presto uscita dalle prime pagine dei giornali per lasciare spazio alla clamorosa inchiesta del pubblico ministero (pm) romano Luca Tescaroli su una truffa che ha coinvolto personaggi di primo piano dell'imprenditoria e dello spettacolo residenti nei quartiere-bene della Capitale.

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Il Rimpasto di Governo.

Il 5 maggio, è stato posto in atto l'atteso rimpasto del Berlusconi IV. Ecco le scelte, caso per caso: l‘on. Daniela Melchiorre (Liberal Democratici, LD), la quale insieme al suo partitino dal gennaio 2008 era passata all'opposizione, è stata ricompensata per il suo voto favorevole alla missione in Libia con la nomina a sottosegretario allo Sviluppo Economico. Resasi ben presto conto che il collega bresciano Stefano Saglia (Pdl) non aveva nessuna intenzione di rinunciare alle deleghe di maggior peso, il 28 maggio la Melchiorre s'è dimessa, dichiarandosi profondamente offesa per l'attacco di Berlusconi ai magistrati nel corso del G8, e insieme al coordinatore dei LD Italo Tanoni è tornata all'opposizione. A trarre vantaggio da questa scelta è stata Catia Polidori, di Popolo e Territoro (Pt, nuova denominazione assunta da IR), nominata anch'essa il 5 maggio sottosegretaria allo Sviluppo Economico. Il 5 maggio sono entrati nel ristretto club dei sottosegretari anche: il calabrese Aurelio Misiti, ai Trasporti; Bruno Cesario (IR), nominato agli Interni, e il transfuga dal Fli Roberto Rosso, alle Politiche Agricole; un altro ex Fli, Giampiero Catone (Pt), ha ottenuto analoga carica all'Ambiente. L‘ex senatore del PD Riccardo Villari (dal 2 marzo nel gruppo CN per il Sud) ha ottenuto la nomina ai Beni Culturali. Onde evitare malumori nel Pdl Berlusconi ha deciso anche di nominare tre nuovi sottosegretari del suo partito. Il primo, Luca Bellotti, che è andato ad affiancare, al ministero del Lavoro, Nello Musumeci, il quale era stato nominato già il 15 aprile, in rappresentanza del piccolo ma pugnace partito de La Destra, fondato dall'ex AN Francesco Storace. Il secondo, Guido Viceconte, è andato all'Istruzione. Il terzo, Antonio Gentile, è stato inviato all'Economia, con la speranza che potesse monitorare l'attività di Tremonti, ormai da mesi insofferente nei riguardi delle pressioni del Pdl nei confronti suoi e del fido collaboratore Marco Milanese. Onde isolare vie più il ministro dalla LN, la sottosegretaria Sonia Viale ( LN) è stata trasferita dall'Economia agli Interni. Napolitano il 6 maggio ha firmato i decreti di nomina, sottolineando che la scelta era stata "esclusivamente" del premier; ma non ha mancato di rilevare come fosse riduttiva la definizione di rimpasto, perché "sono entrati a far parte del Governo esponenti di Gruppi parlamentari diversi rispetto alle componenti della coalizione che si è presentata alle elezioni politiche". Il Pdl ha risposto fingendo di meravigliarsi del rilievo, in quanto "numerosi voti di fiducia, a partire da quello della svolta del 14 dicembre 2010, hanno chiarito il quadro politico, con ripetute verifiche nelle sedi parlamentari".

Il Cerchio Magico.

All'interno della Lega Nord (LN) andavano emergendo durante la crisi libica contrasti tra Reguzzoni, sostenitore del pieno accordo con il Pdl, e l'influente deputato Giancarlo Giorgetti; dietro i due contendenti andava delineandosi il contrasto tra Bossi ed il ministro dell'Interno Roberto Maroni. Quest'ultimo veniva sempre più sostenuto da un gruppo di amministratori locali, sempre più a disagio di fronte alle prospettive d'una imminente stretta fiscale ai danni delle Province (di cui un fronte trasversale, guidato dall'IdV, chiedeva l'abolizione) e, soprattutto, dei Comuni. Capofila di tale corrente, pronta ad esprimere una "fronda" nei confronti dell'esecutivo, erano oltre a Salvini il sindaco di Varese, Attilio Fontana, presidente della sezione lombarda dell'Associazione tra i comuni italiani (Anci); e il sindaco di Verona Flavio Tosi, il quale s'era posto in luce quale sostenitore del malessere delle Fondazioni bancarie azioniste di Unicredit nei confronti di Rampl e di talune scelte di Tremonti. La corrente legata a Maroni nei mesi successivi ha cominciato ad essere definita con la denominazione Barbari Sognanti (BaSo), con riferimento ai personaggi dei fumetti Asterix ed Obelix; i BaSo tendevano a dipingersi come i leghisti "della prima ora", duri e puri, in contrapposizione al cosiddetto "Cerchio Magico" (CeMa), cioè l'entourage di Bossi, formato dalla moglie, Manuela Marrone; dalla fidata accompagnatrice in pubblico Rosi Mauro, dal direttore amministrativo della LN Francesco Belsito e dai dirigenti provenienti dalle province di Bergamo e Brescia ai quali è particolarmente legato anche il figlio e delfino di Bossi, il giovane deputato regionale lombardo Renzo Bossi, noto come Il Trota. Alla vigilia del convegno nazionale di Pontida (19 giugno) il CeMa era considerato ormai da molti militanti sin troppo pronto ai compromessi con i detestati "partiti romani" e distante dalle esigenze e dalle preoccupazioni espresse da una base sempre meno convinta che per ottenere la riforma federalista dello Stato valesse la pena di votare sempre e comunque in favore d'un premier la cui principale preoccupazione rimaneva quella per i provvedimenti giudiziari aperti nei suoi confronti.

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La Benzina e l'Auto: Una Escalation Continua.

Mantenere l'automobile incide sempre più sui bilanci familiari. Nell'ultimo anno, sul banco degli imputati c'è innanzi tutto il costo dei carburanti, che ha conosciuto una stagione di aumenti a dir poco ragguardevoli. Se alla fine del 2010 gli automobilisti si lamentavano per l'alto costo della benzina verde (giunto a fine anno a Q1,444/litro), un anno dopo gli utenti delle quattro ruote si sono ritrovati in preda al più totale smarrimento, con la verde ben oltre Q1,700/litro e il gasolio "meno caro" di soli 4 centesimi. La causa di questa crescita iperbolica risiede certamente nel cosiddetto "decreto salva Italia" voluto dal governo Monti, ma a determinare l'aumento del 20% in soli dodici mesi sono concorsi altri fattori, non ultimo la gestione dei prezzi poco trasparente praticata dalle compagnie petrolifere. È infatti noto ormai che, quando la valutazione del greggio scende sensibilmente, quasi mai i prezzi dei carburanti alla pompa decrescono proporzionalmente. Anche il capitolo accise, nel 2011, ha visto un'escalation continua. Tutto è cominciato il 6 aprile, con il primo aumento delle accise sui carburanti deciso dal governo Berlusconi per finanziare il Fondo unico per lo spettacolo. L'8 giugno è stata la volta dell'aumento dell'imposta provinciale sull'Rc auto. Il 28 giugno il governo di centro-destra ha stabilito un ulteriore aumento delle accise per fronteggiare l'afflusso straordinario di immigrati. Solo tre giorni dopo è scattato un altro aumento delle accise relativo alla seconda tranche del Fondo unico per lo spettacolo. Il 15 luglio è entrato in vigore il superbollo per le autovetture con potenza superiore a 225 kW (306 CV). Il 17 settembre è entrata in vigore la nuova Imposta provinciale di trascrizione (IPT) proporzionale alla potenza; contestualmente è aumentata l'IVA, dal 20 al 21%. Il 1° novembre è scattato un altro aumento delle accise deciso per affrontare l'emergenza alluvioni in Liguria e Toscana. Il 7 dicembre è il giorno del quinto e ultimo aumento delle accise, questa volta deciso dal governo di Mario Monti: la verde tocca quota 1,70 euro. Il nuovo governo "tecnico" decide anche di estendere il superbollo alle auto con potenza superiore a 185 kW (246 CV). Altri aumenti di accisa sono già stati pianificati per gli anni a venire: con il 2014 l'Imposta sul Valore Aggiunto arriverà a 23,5%, cosicché chi acquisterà un'auto del valore attuale di 20.000 Q si troverà a pagarne 700 in più.

Il Governo Monti.

La prima lista dei ministri "tecnici" diffusa il 16 novembre, senza indicazioni dei partiti "amici":  

- ambasciatore Giulio Terzi di Santagata (Esteri)  

- Anna Maria Cancellieri (Interno)  

- avv. Paola Severino (Giustizia)  

- ammiraglio Giampaolo di Paola (Difesa)  

- dott. Corrado Passera (Sviluppo economico e Infrastrutture e Trasporti)  

- Mario Catania (Politiche agricole)  

- Corrado Clini (Ambiente)  

- prof. Elsa Fornero (Welfare con delega alle Pari opportunità)  

- Renato Balduzzi (Salute),  

- prof. Francesco Profumo (Istruzione e Università)  

- prof. Lorenzo Ornaghi (Beni culturali).  

Quali ministri senza portafoglio sono stati indicati:  

- Enzo Moavero Milanesi (Affari europei)  

- prof. Piero Gnudi (Turismo e sport),  

- Fabrizio Barca (Coesione territoriale),

- prof. Piero Giarda (Rapporti con il Parlamento)  

- Andrea Riccardi (Cooperazione internazionale e integrazione).  

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L'elenco dei ministri ha sollevato molteplici perplessità, in particolare per quanto riguarda il tema del potenziale conflitto d'interessi per Passera (considerato da molti una figura chiave del nuovo esecutivo), il quale nei giorni seguenti ha abbandonato ogni incarico in Banca Intesa. Anche Di Paola, presidente del Comitato militare della Nato, ha rassegnato dal 18 novembre le dimissioni dall'incarico. Monti ha ottenuto la fiducia in Senato il 17 novembre (281 sì, 25 no) e il giorno dopo alla Camera (556 si e 61 no). Al momento del voto l'unico gruppo dichiaratosi ufficialmente all'opposizione è stato quello della LN. Il 24 novembre il Consiglio dei Ministri affida a Gnudi gli Affari Regionali e a Giarda l'Attuazione del programma. Anche dopo la nomina dei sottosegretari (tra cui i discussi Carlo Malinconico, con delega all'editoria, e Filippo Milone, alla Difesa), avvenuta il 28 novembre, Monti ha deciso di tenere personalmente sia il ministero dell'Economia (sia pure con un ruolo di primo piano affidato a Vittorio Grilli), sia alcune deleghe legate alla figura della presidenza del Consiglio, tra cui quella sui servizi segreti. Tra i suoi più stretti collaboratori ha scelto il giovane Federico S.Toniato, funzionario trentaseienne del Senato. È stato invece dotato del rango di ministro senza portafoglio Filippo Patroni Griffi, con le deleghe nel passato governo ricoperte da Renato Brunetta (Pdl) e da Calderoli: Pubblica Amministrazione e Semplificazione.

Don Verzè: Santo o Criminale?

Luigi Verzé è sempre stato molto amato e molto odiato. Fin da piccolo. Il padre possidente veneto lo adorava ma lo diseredò quando seppe che sarebbe diventato sacerdote. La madre lo baciò una sola volta in vita sua, il giorno della prima comunione. Fu segretario di don Calabria, un santo. Fin da giovane ebbe la fissa dell'ospedale. Da arcivescovo di Milano, Montini cercò di fermarlo. Don Verzé confessò di aver pregato perché non divenisse Papa ("però lo stimavo moltissimo: ho scritto nei miei diari ogni frase che mi ha detto, come ho sempre fatto con i grandi che ho incontrato, per settant'anni"). A Borrelli inviò una lettera malaugurante che il magistrato gli rispedì indietro. Ma lo scontro più duro fu con Rosy Bindi, che da ministro della Sanità gli vietò lo sbarco a Roma. Lui così rievocava l'episodio, rivolgendosi come don Camillo direttamente al Padreterno: "Dio mio, tu mi hai tentato come hai fatto con Abramo, chiedendogli di sacrificare il suo figlio prediletto. Ma tu a me non hai mandato l'angelo a fermarmi il braccio, a me hai mandato Rosy Bindi, che è stata solo il manganello di ben altri poteri, di Roma ladrona; perché tale Roma è, anche se solo Bossi ha il coraggio di dirlo!". E qui don Verzé levava il dito con un sorriso enigmatico, evocando il don Bosco che annunciava imminenti funerali alla reggia per indurre Vittorio Emanuele II a non firmare le leggi di confisca dei beni ecclesiastici. Se don Luigi Verzé (nato a Illasi nel marzo 1920 e morto a Milano l'ultimo dell'anno 2011) se ne fosse andato un anno prima, sarebbe stato ricordato come l'uomo che creò dal nulla il più grande ospedale e il più grande centro di ricerca d'Italia, a prezzo di azzardi finanziari e disinvolture amministrative, di cui la magistratura si era occupata già ai tempi di Tangentopoli. Quest'ultimo, orribile anno, è stato segnato dal suicidio del braccio destro Mario Cal, dalla rivelazione di pratiche tangentizie non estranee al crac finanziario, da intercettazioni — "stanotte ci sarà del fuoco" — in cui emergono linguaggi malavitosi e metodi criminali per liberarsi di vicini molesti e di chiunque rappresentasse un ostacolo. In realtà, don Verzé non era ovviamente un criminale. Era un megalomane. La stessa megalomania che lo portò a fondare il San Raffaele lo induceva a comprarsi il jet privato per evitare le code al check-in. Lo spingeva a portare per primo in Europa la macchina per la tomoterapia "quanto costa? Dieci milioni di euro? La voglio!" e ad allestirsi zoo e scuderie dove scelse per sé un purosangue di nome Imperator. A chiamare per dirigere la sua università i migliori intellettuali italiani e a comprare fazendas in Sudamerica dove veniva fotografato a bordo piscina.

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