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Zolfo.

Chim. - Elemento chimico di numero atomico 16 e peso atomico 32,066; simbolo: S. Nella tavola periodica degli elementi costituisce il secondo termine del VI gruppo, sottogruppo A, avendo come omologo inferiore l'ossigeno e come omologhi superiori il selenio, il tellurio e il polonio. Lo z. presenta quattro isotopi naturali stabili (tra parentesi le abbondanze relative): 32S (95,02%), 33S (0,75%), 34S (4,21%) e 36S (0,02%). Tra gli isotopi artificiali preparati ricordiamo il 35S, instabile, che decade in beta meno con un periodo di semitrasformazione di 87 giorni, e viene impiegato in medicina e biologia. Lo z. è uno dei pochi elementi che si trovano allo stato libero in natura, e perciò conosciuto e impiegato fin dall'antichità; è certo che fin dal 200 a.C. esistevano in Sicilia miniere per la sua estrazione. La grande maggioranza del quantitativo estratto oggi viene impiegata per la produzione di acido solforico, consumato soprattutto dall'industria dei fertilizzanti e quindi in agricoltura. Lo z. è relativamente abbondante nella crosta terrestre, della quale costituisce lo 0,05% in peso; anche nell'universo è abbondante: si stima che ne esistano 3,75 · 105 atomi ogni milione di atomi di silicio, nel qual caso sarebbe fra i dieci elementi più diffusi nell'universo. Allo stato nativo, cioè come elemento non combinato, lo z. è diffuso in vicinanza degli antichi vulcani, in mezzo a strati di gesso o di calcare, soprattutto negli Stati Uniti (Louisiana, Texas, Nevada), nel Canada, in Cile, in Francia, in Polonia e in Giappone, dove esistono i maggiori giacimenti. In Italia si hanno dei buoni giacimenti in Sicilia (Enna, Agrigento e Caltanisetta); giacimenti minori si trovano anche in Campania e in Calabria. ║ Proprietà fisiche: a temperatura ambiente lo z. si presenta come un solido tenero e fragile, di colore giallo, inodore, con peso specifico 2,06; è cristallizzato nel sistema rombico, ma per riscaldamento a circa 95 °C si trasforma in una forma monoclina (forma α) in quanto presenta il fenomeno del polimorfismo. A 119,2 °C fonde in un liquido giallo e mobile. Per ulteriore riscaldamento si trasforma in una massa scura e viscosa, che diventa sempre più scura e sempre più viscosa fino a circa 160 °C; sopra questa temperatura tende a ridiventare più fluido, pur restando di colore bruno cupo. A 444,6 °C bolle con vapori giallo-arancio che diventano rossi a circa 500 °C, ma ritornano chiari a temperature più elevate. Il solido raffreddato a -80 °C diventa quasi incolore. Tutti questi cambiamenti sono dovuti alla diversa forma molecolare dello z. A temperatura ambiente la forma rombica presenta una molecola ottoatomica S8 ciclica, non piana, che si può rappresentare nel modo seguente:

Zolfo00.png

intendendo che i legami interi si trovano sopra il piano del foglio e quelli a punti sotto il piano mentre i due verticali sono normali al piano stesso. Si ritiene che nella fusione questi anelli si aprano formando delle catene che, all'aumentare della temperatura, si congiungono fra loro provocando un aumento della viscosità. A temperature ancora più elevate succederebbe invece il fenomeno contrario. Allo stato gassoso lo z. si dissocia in molecole biatomiche S2 e, a temperature elevate, anche in molecole monoatomiche S. La struttura dello z. nelle sue varie forme solide è alquanto complessa, dato che se ne conoscono ben 36 forme. Ricordiamo qui solo le principali. 1) Z. rombico o α-z.: è la forma comune, che si ottiene per cristallizzazione da una soluzione di solfuro di carbonio o altri solventi, oppure per solidificazione lenta del fuso. Gli anelli di otto atomi di z. sono raggruppati in una struttura ordinata; 16 anelli formano la cella elementare. Ha durezza 2,5 della scala Mohs ed è insolubile in acqua, ben solubile in solfuro di carbonio, soprattutto a caldo (100 grammi di questo sciolgono 181 grammi di z. a 55 °C); si scioglie lentamente anche in alcol etilico, etere etilico e benzolo. Per riscaldamento lento si trasforma dapprima in monoclino, che, come detto, fonde a 119,2 °C; un riscaldamento rapido lo porta però direttamente alla fusione a una temperatura inferiore. In effetti un raffreddamento lento dello z. fuso permette di ottenere la forma rombica che ha un punto di fusione (metastabile) a 112,8 °C. 2) Z. monoclino o β-z: si forma per riscaldamento lento del rombico e ha una cella elementare costituita da sei anelli S8. A differenza del precedente si presenta in cristalli aghiformi giallo chiaro, aventi peso specifico 1,96 e si scioglie abbastanza rapidamente in alcol etilico. Si forma anche a contatto con le pareti di un recipiente in cui si raffreddi del fuso; gli aghi prismatici di z. monoclino si sgretolano però nel tempo in polvere di z. rombico. 3) Z. plastico o γ-z.: è una modificazione amorfa, ottenibile raffreddando velocemente il fuso da una temperatura prossima all'ebollizione a quella ambiente. A differenza degli altri ha peso specifico 2,046; è poco solubile in solfuro di carbonio e fonde a 120 °C. Si pensa che contenga delle lunghe catene di atomi di z., cosa che giustifica anche la differenza di punto di fusione. 4) Z. purpureo: si ottiene raffreddando i vapori di z. da un'alta temperatura a quella dell'azoto liquido (-196 °C). Si pensa per questo motivo che sia una forma cristallina con molecole biatomiche S2. Come il precedente, torna lentamente alla forma rombica se lasciato a temperatura ambiente. 5) Latte di z: si tratta di una dispersione colloidale di z. in acqua, ottenuta per decomposizione di polisolfuri mediante acidi. Questo z., precipitato (magistero di z.), si presenta in forma amorfa ma solubile in solfuro di carbonio. La soluzione colloidale stabilizzata trova impiego in medicina. Lo z. presenta la struttura elettronica del neon, con in più 2 elettroni nello strato 3s e 4 elettroni nello strato 4p. I suoi stati di ossidazione più stabili sono quindi -2, +4 e +6. ║ Proprietà chimiche: lo z. è un elemento molto reattivo, anche se non come l'ossigeno, suo omologo inferiore. Anch'esso forma composti con quasi tutti gli elementi della tavola periodica, anche combinandosi direttamente: con ossigeno o aria brucia se acceso a una temperatura superiore a 250 °C, formando anidride solforosa SO2:

S + O2 → SO2

Si osservi che, data l'incertezza che molte volte sussiste sulla natura della molecola di z. (S2, S8 o altre forme) lo si è indicato monoatomico. Il rame in polvere brucia rapidamente nei vapori di z. bollente, con formazione del solfuro di rame. Un impasto di z. e mercurio si trasforma in solfuro mercurico HgS:

Hg + S → HgS

già a temperatura ambiente. Con il ferro in polvere mescolato a z. il solfuro ferroso FeS si forma solo per riscaldamento. La combinazione con gli alogeni avviene anche solo alla temperatura dello z. fuso; con idrogeno la reazione ha decorso esplosivo. ║ Estrazione e usi: benché quantità elevate di z. vengano recuperate già in forma di composti (particolarmente H2S e SO2), la maggior parte dello z. utilizzato attualmente viene recuperato allo stato elementare, cioè come z. nativo purificato. Le prime miniere di z. di cui si abbia notizia si trovavano in Sicilia verso il 200 a.C.; a quei tempi questo elemento veniva impiegato soprattutto in medicina o per essere bruciato in cerimonie o per disinfestazioni, bruciandolo a SO2. Nel Medioevo, con l'invenzione della polvere da sparo, lo z. divenne un elemento di primaria importanza e la sua produzione subì un forte aumento. Per trovare un nuovo impiego dello z. si deve giungere al 1787, anno in cui fu iniziata la produzione di soda con il metodo Leblanc, che richiedeva grandi quantità di acido solforico, prodotto appunto a partire dallo z. Fino a questi anni la Sicilia riforniva di questo elemento praticamente tutto il mondo. Allorché (1835) fu introdotto l'impiego di pirite per la produzione di ferro, che aveva come sottoprodotto della SO2 utilizzabile per fabbricare l'acido solforico, iniziò la crisi dell'industria siciliana dello z. L'introduzione dell'uso dello z. come antiparassitario in agricoltura, soprattutto per i vigneti, segnò una ripresa della produzione che nel 1893 giunse a 375.000 t, valore enorme per quel tempo. Frattanto negli USA erano stati scoperti enormi giacimenti a forma di lenti, cioè banchi spessi 30÷50 m di calcare impregnato di z., posti sotto uno strato friabile di 100÷200 m di argilla, sabbia impregnata di acqua sulfurea e calcare poroso e anch'esso friabile. Vista la particolare conformazione, sembrava che questi non fossero economicamente sfruttabili finché (1894) fu tentato il metodo proposto alcuni anni prima dall'ingegnere chimico Herman Frasch, di cui si dirà poi. Nel 1896 veniva accertato che tale metodo permetteva un recupero dello z. con costi assai bassi; due anni dopo il metodo fu tentato anche in Sicilia, ma si rivelò un fallimento in quanto i giacimenti qui presenti, originati per deposizione in letti porosi dalla migrazione di idrocarburi, non ne permettevano l'applicazione. Nel frattempo anche in Sicilia veniva raggiunto un notevole progresso con l'introduzione dei forni Gill, che permettevano un recupero dello z. molto superiore rispetto ai calcaroni fino allora in uso. Nel 1911 si toccarono le 537.000 t/anno. La scarsità di manodopera fece scendere la produzione durante la prima guerra mondiale; al termine di questa l'industria americana per i ridotti costi di produzione e l'abbassamento dei noli marittimi, partiva alla conquista dei mercati mondiali. La produzione siciliana si stabilizzava sulle 240.000 t/anno, nonostante le miniere venissero espropriate e nascesse un organismo nazionale per l'estrazione e la vendita all'estero dello z. Dopo la seconda guerra mondiale, nonostante i perfezionamenti dei metodi usati (introduzione dell'arricchimento per flottazione) l'industria nazionale non poté tenere il passo con i metodi assai più economici utilizzati negli USA e nei nuovi giacimenti scoperti in Messico, Francia, Canada e Polonia. La produzione nazionale, che per due millenni era stata la principale nel mondo, non è più sufficiente per i bisogni interni e rappresenta ormai una piccola percentuale del totale mondiale. Negli anni Novanta la produzione mondiale di z. nativo ha raggiunto circa 10 milioni di t, molto inferiore alla produzione dei decenni Sessanta e Settanta. La produzione è largamente dominata dagli USA e dalle Repubbliche ex-sovietiche, Paesi che, con la Cina, il Canada e la Polonia, arrivano a coprire oltre la metà del totale. I metodi per la produzione di z. elementare, come appare dalla storia sintetica della produzione di questo elemento, sono essenzialmente due: i calcaroni e il metodo Frasch. Esaminiamoli separatamente. A) Metodo Calcaroni: questo metodo, vecchio di due millenni, è stato impiegato fino alla fine del secolo scorso. Il minerale estratto dalla miniera viene accatastato dentro un forno scoperto, costruito in muratura, su un pendio inclinato; nella sua forma più semplice è un muro circolare con opportune aperture. La pila di minerale, detta calcarone, viene fatta alla rinfusa, salvo in certe zone ordinate in modo da lasciare dei camini verticali che attraversano tutta la massa. Si copre con minerale fine e poi con minerale esausto, frutto di una precedente operazione di estrazione. Si accende il calcarone nella parte bassa e si lascia procedere per qualche giorno: una parte dello z. brucia con aria a SO2, mentre la parte restante, per effetto del calore generato dalla combustione, fonde e scende sul fondo inclinato, da cui esce e viene recuperata fusa. Il rendimento è del 60÷65% dello z. presente nel minerale in quanto una parte del calore va persa anche per riscaldare la ganga del minerale, che resta nel forno e va rimossa al termine del ciclo. A parte i problemi di inquinamento che un simile metodo comporterebbe oggi, il rendimento è decisamente basso. Un perfezionamento si ebbe con l'introduzione dei forni Gill: il processo si basa sempre sulla generazione di calore per combustione di una parte dello z., ma si opera in forni con recupero del calore, per cui il rendimento complessivo giunge al 70÷75% dello z. del minerale. Se prima di caricare i forni si opera una concentrazione del minerale mediante flottazione, con eliminazione della maggior parte della ganga, il rendimento può essere superiore e i gas uscenti possono essere trattati per il recupero della SO2 per fabbricare acido solforico. Lo z. prodotto con questi metodi ha però una purezza limitata al 98% circa, dato che contiene delle ceneri di minerale. La purificazione si esegue per distillazione e condensa in opportune camere fredde: sul fondo si recupera z. in pani, mentre sulle pareti si forma una polvere detta fiori di z. B) Metodo Frasch: questo metodo permette lo sfruttamento dei ricchi depositi lenticolari scoperti dapprima negli USA e poi in diverse nazioni, producendo direttamente uno z. al 99,5%, quanto basta per molte applicazioni. Il metodo si basa sul fatto che simili giacimenti sono compresi fra due strati abbastanza compatti e opera una fusione in loco dello z. e la fuoruscita del liquido alla superficie, dove viene raccolto in grandi bacini per la solidificazione. Si attua una perforazione fino alla lente di z. attraverso il letto sovrastante, immergendo un tubo di 20 cm circa di diametro fin quasi al fondo del giacimento. Questo tubo porta numerosi fori nella sua parte terminale inferiore. All'interno di questo ne viene posto un altro, concentrico, avente un diametro di circa 10 cm. All'interno del tubo da 10 cm ne viene posto ancora uno concentrico, da circa 2,5 cm di diametro, un po' più corto dei due precedenti. Si inizia l'operazione chiudendo il tubo più piccolo e immettendo negli altri due acqua molto calda sotto pressione: questa a contatto con lo z. (che fonde a 119 °C) lo porta a fusione, mentre lo mette in pressione. Si cessa allora di immettere acqua nel tubo da 10 cm, sempre immettendone in quello da 20 cm: lo z. fuso risale allora nel primo tubo fino a un centinaio di metri o più. A questo punto si manda aria calda sotto pressione nel tubo da 2,5 cm: questa al termine del tubo, esce in quello da 10 cm e si mescola con lo z. fuso, formando una schiuma leggera che risale nel tubo da 10 cm fino alla superficie. A questo punto l'estrazione è a regime: basta bilanciare la quantità di acqua calda pompata nel tubo da 20 cm e l'aria calda pompata in quello da 2,5 cm per avere un getto continuo di z. fuso emulsionato con aria da quello da 10 cm. Questo z. viene convogliato con tubazioni in un grande bacino dove libera l'aria e solidifica, contenuto da pareti di alluminio. Dopo che si è formato un certo strato solido, le pareti del bacino possono essere smontate nella parte più bassa e rimontate in quella più alta perché lo z. indurito ha una sufficiente consistenza. Si opera continuamente in questo modo finché si è formato un enorme blocco di z. alto 10÷15 m e con una pianta di molte centinaia di mq. Si inizia quindi un nuovo blocco mentre il precedente serve come deposito all'aperto, dato che lo z. non ha alcuna tendenza ad alterarsi all'atmosfera. Questi blocchi vengono poi attaccati con macchine simili a quelle utilizzate per scavo e caricati sui carri ferroviari che li portano alle zone di utilizzo. In certi casi viene invece rifuso e trasportato in cisterne riscaldate oppure addirittura in tubazioni pure riscaldate. ║ Metodi di recupero: una parte consistente dello z. necessario all'industria viene recuperata per diverse vie, sia come elemento sia come composto. Le principali sono le seguenti. A) Dai gas naturali acidi, che sgorgano attraverso fessure naturali della crosta terrestre oppure attraverso pozzi appositamente perforati. Questi gas sono ricchi di acido solfidrico (o idrogeno solforato) H2S che viene assorbito mediante soluzione di ammine in appositi assorbitori. La soluzione viene poi trattata per il recupero dello H2S e la rigenerazione; in un successivo reattore il gas ricco in H2S viene bruciato in difetto di aria secondo una reazione del tipo:

H2S + 1/2 O2 → H2O + S

ottenendo z. elementare e acqua. Essa avviene incompletamente ma viene terminata in uno stadio successivo, in presenza di un catalizzatore. Lo z. raccolto può avere un buon grado di purezza. B) Dagli idrocarburi. La necessità di asportare lo z. dai grezzi o dagli intermedi di raffineria è nata dapprima come operazione indispensabile in certe lavorazioni per evitare l'avvelenamento dei catalizzatori usati in molte reazioni e recentemente anche come esigenza per rispettare le leggi antinquinamento che impongono dei tenori massimi di z. a quasi tutti i combustibili liquidi. La desulfurazione viene in generale condotta con un processo di trattamento con idrogeno (disponibile in grandi quantitativi dalle operazioni di cracking per produrre olefine) che porta alla formazione di H2S. Questo gas viene bruciato con produzione di z. oppure in impianti che ne effettuano direttamente una conversione per stadi ad acido solforico, usato in diverse operazioni di raffinazione degli idrocarburi e di produzione di derivati organici. C) Dalla pirite o da altri solfuri metallici. Per la produzione di ferro a partire da piriti o di altri metalli (nichel, piombo, zinco, rame, ecc.) a partire dai rispettivi solfuri, si opera dapprima un arrostimento con aria ai rispettivi ossidi, che vengono poi ridotti a metallo con carbone. In questa operazione lo z. presente si ossida ad anidride solforosa secondo una reazione del tipo:

NiS + 3/2 O2 → NiO + SO2

Questa SO2 viene utilizzata per la produzione di acido solforico col metodo delle camere a piombo. In Italia per molti anni la produzione di acido solforico è stata effettuata pressoché solo a partire da pirite FeS2, scartando l'ossido di ferro Fe2O3 che se ne otteneva come sottoprodotto. Oggi in diversi impianti anche questo viene utilizzato per la produzione di ghisa in altoforno. D) Dalla distillazione del carbon fossile. Nella distillazione per produrre coke metallurgico o gas illuminante si ottiene una frazione gassosa relativamente ricca in H2S che viene recuperato per assorbimento su una massa di ossido ferrico idrato (massa di Lamig); esponendo questa all'aria umida si libera z. che viene recuperato. E) Dal gesso. Alcune industrie europee hanno introdotto dei processi di produzione di acido solforico a partire da gesso, trattato a caldo con carbone e sabbia; come sottoprodotto, indispensabile per rendere economico il processo, si ha del clinker, miscuglio di ossidi e silicati usato per la composizione del cemento Portland. Altri solfati possono essere lavorati per il recupero dei metalli che contengono, avendo z. o SO2 come sottoprodotto. F) Per via biologica. La scoperta di alcuni ceppi di microrganismi che operano una riduzione dei solfati o dei solfuri a z. elementare ha aperto la speranza di poter giungere per questa via al trattamento di enormi depositi sedimentari di materiale solforato per ricavare economicamente z. Non si prevede però che questo metodo possa avere un'applicazione se non in un futuro ancora lontano. Di tutti questi metodi, il più importante appare oggi il primo, cioè il recupero di H2S dai gas naturali acidi. In Francia il giacimento di Lacq, nei Pirenei, lavora una falda gassosa, posta a una profondità fra i 3.000 e i 5.000 m, con una pressione di 650÷700 atmosfere, contenente al 15% di H2S, oltre a butano, propano e altri gas in quantità minore. Attraverso lo sfruttamento di risorse di questo genere, Francia e Canada si stanno contendendo il secondo posto nel mondo per la produzione di z. ║ Composti: i composti dello z. sono numerosissimi e molti di essi hanno grande importanza industriale; ci si limiterà quindi a citare i principali. ║ Composti non ossigenati: il più importante è l'acido solfidrico H2S, un gas detto anche idrogeno solforato o solfuro di idrogeno che bolle a -59,6 e solidifica a -82,9 °C. È molto tossico e infiammabile. È solubilissimo in acqua, soprattutto a freddo, ed è dotato di un caratteristico odore di uova putride; è incolore ma il suo odore pungente ne permette il riconoscimento anche in quantità minime. Presente nell'aria in piccolissime quantità, è il principale responsabile dell'annerimento dell'argenteria domestica. È un energico riducente ed è impiegato per questo da diverse industrie. In soluzione è un acido debolissimo, spostato da quasi tutti gli altri in quanto la sua ionizzazione

H2S → H+ + HS-

non supera l'1% mentre è ancora inferiore la seconda dissociazione

HS- → H+ + S2-

Se passato attraverso soluzioni di cationi di molti metalli (piombo, rame, mercurio, stagno, antimonio, bismuto, cadmio, nichel, zinco, ecc.) in condizioni di PH opportune dà con estrema facilità i precipitati dei rispettivi solfuri (PbS nero, Cu2S nero, HgS nero, SnS bruno o SnS2 giallo, Sb2S3 rosso-arancio, Bi2S3 rosso-bruno, CdS giallo limone, NiS nero, ZnS bruno, ecc.). L'analisi sistematica dei cationi ricorre sovente alla precipitazione di questi con H2S; i solfuri sono poi riconosciuti in base al PH di precipitazione, al colore e alla loro solubilità in diversi reagenti. Molti minerali sono solfuri o solfuri doppi; rame, piombo, stagno, nichel, cobalto e alcuni altri elementi sono estratti prevalentemente da solfuri. L'acido solfidrico forma però anche sali acidi, detti solfuri acidi o solfidrati; questi si formano anche per idrolisi dei solfuri neutri, per la bassa ionizzazione dello H2S. Così il solfuro neutro di sodio NaS in soluzione genera il solfidrato di sodio NaHS secondo la reazione di idrolisi:

Na2S + H2O → NaHS + NaOH

I solfuri ottenuti per precipitazione hanno un aspetto e un comportamento diverso dai solfuri minerali, che sono più cristallini; diventano simili a essi per fusione. Per assorbimento di z. in solfuri di metalli alcalini si possono preparare i polisolfuri, secondo una reazione del tipo:

K2S + (n - 1) S → K2Sn

ove n può avere diversi valori interi, comunemente compresi fra 2 e 9. I polisolfuri si preparano facilmente anche da basi organiche e da radicali alchilici. I polisolfuri di idrogeno noti sono H2S2, un liquido giallo detto disolfuro di idrogeno e H2S3, pure un liquido giallo, detto trisolfuro di idrogeno; altri polisolfuri di questo tipo sono stati preparati, ma hanno interesse solo teorico. Ricordiamo poi che lo z. può talvolta sostituire l'ossigeno nei suoi composti e dare dei composti analoghi a quelli che dà l'ossigeno. I solfuri dei non-metalli possono funzionare come delle anidridi, dando origine a dei solfosali, esistenti anche in natura come minerali, del tipo Na2AsS4, solfoarseniato di sodio, simile all'arseniato di sodio Na2AsO4, K2CS3, solfocarbonato di potassio, analogo al carbonato di potassio K2CO3 e così via. Per contro i solfuri dei metalli possono essere talvolta considerati come delle solfobasi. Talvolta i solfosali si possono ottenere dai sali corrispondenti per azione di H2S, che provoca la sostituzione di ossigeno con z.:

Na3AsO3 + 3H2S → Na2AsS3 + 3H2O

Fra i solfoacidi ricordiamo in particolare l'acido solfocarbonico o tritiocarbonico (il prefisso tio- indica appunto la presenza di z.) H2CS3 che si decompone facilmente in solfuro di carbonio e acido solfidrico secondo la reazione:

H2CS3 → CS2 + H2S

Molti tiosali sono dotati di elevata stabilità, paragonabile a quella dei corrispondenti sali contenenti ossigeno. La sostituzione ossigeno-z. avviene in rapporto uno a uno, cioè un atomo di z. si sostituisce a un atomo di ossigeno; naturalmente le caratteristiche chimico-fisiche dei composti variano con la sostituzione. In chimica organica ad esempio l'ossigeno forma dei gruppi —OH che danno origine agli alcoli; parallelamente lo z. dà dei gruppi —SH che danno origine ai tioalcoli o mercaptani. Indicando con R— un radicale alchilico. si hanno le seguenti formule generiche:

R—O—H R—S—H
alcoli mercaptani

Con gli ossidanti i mercaptani danno facilmente dei disolfuri, secondo la reazione del tipo:

2R—SH + 1/2 O2 → H2O + R—S—S—R

Analogamente i solfuri alchilici possono essere considerati paralleli agli eteri, con la sostituzione dello z. all'ossigeno:

C2H5 —O—C2H5 C2H5—S —C2H5
etere etilico solfuro di etile

per questo motivo vengono detti anche tioeteri. Parallelamente ai solfuri si possono avere anche i polisolfuri alchilici. ║ Composti con gli alogeni: lo z. si combina vivacemente con gli alogeni, eccettuato lo iodio, formando numerosi composti, alcuni dei quali hanno anche interesse industriale. Col fluoro si formano composti gassosi, incolori. Fra questi il più stabile e meglio studiato è l'esafluoruro SF6, un composto chimicamente pressoché inerte e ininfiammabile, utilizzato come gas isolante per alte tensioni. Il tetrafluoruro SF4 viene invece impiegato per fluorurare composti organici. Col cloro si formano SCl2, S2Cl2, SCl4 e S4Cl2; in quest'ultimo composto riappare la tendenza dello z. a formare catene —S—S—S— con più atomi di z., che si comportano come bivalenti. Il monocloruro S2Cl2 è un liquido giallo, dotato di sgradevole odore, irritante, che bolle a 137 °C e solidifica a -76,5. Viene utilizzato come solvente e nella vulcanizzazione a freddo della gomma eventualmente in miscela con gli altri composti z.-cloro. Si ammette generalmente la formula:

Zolfo01.png

piuttosto che quella Cl—S—S—Cl, in accordo con il suo comportamento e con gli spettri di Raman, che mostrano un doppio legame fra atomi di z. Gli altri cloruri hanno scarso interesse pratico. Con il bromo si ottiene solo il composto S2Br2, assai instabile. È da notare poi che il gruppo SO═ bivalente, detto tionile dà facilmente alogenuri, detti anche ossialogenuri di z., quali ad esempio SOF2, SOCl2, SOBr2 e SOClF. Fra gli alogenuri di solforile ricordiamo SO2F2, SO2Cl2 e SO2ClF. Da questi composti, per sostituzione di un alogeno con un gruppo —OH, si possono pensare derivati gli acidi alosolfonici come HOSO2Cl e HOSO2F. Il primo di questi, detto anche acido clorosolfonico o cloridrina solforica (in quanto può pensarsi derivato dall'acido solforico (HO)2SO2 per sostituzione di un —OH con un cloro) si ottiene per azione diretta di SO2 sul cloro Cl2 gassoso, catalizzando con radiazioni luminose o composti organici tipo canfora. È un liquido incolore, di odore sgradevole, che bolle a 69 °C e solidifica a -54 °C. All'aria umida fuma fortemente perché l'acqua lo decompone violentemente. Può venir impiegato in chimica organica per trasformare gli acidi carbossilici in cloruri acilici, per sostituzione di un —OH con un cloro; si usa anche per effettuare la solfonazione (V.), cioè l'introduzione di gruppi —SO3H fortemente acidi su molecole organiche. Questo impiego ha un notevole sviluppo, in quanto i derivati solfonati hanno grande diffusione nella fabbricazione di detersivi, resine scambiatrici di ioni e così via. ║ Ossidi: lo z. forma con l'ossigeno diversi composti binari, alcuni dei quali di grandissimo interesse industriale. I composti finora accertati sono ben 7 e precisamente:

S2O sottossido di z.
SO monossido di z.
S2O3 sesquiossido di z.
SO2 diossido di z. o anidride solforosa
SO3 triossido di z. o anidride solforica
S2O6 triossido di z. dimero
S2O7 eptossido di z.
SO4 tetrossido di z.

Le caratteristiche principali dei meglio caratterizzati sono raccolte nella seguente tabella:

Composto Punto di fusione (°C)
Punto di ebollizione (°C)
Reazione con acqua
S2O3
70 (d.)
-
d. a dare S + vari acidi
SO2
-75,5
-10,0
solubile senza d.
SO3
16,8
44,6
d. a dare H2SO4
S2O6
50
d.
d. a dare H2SO4
S2O7
0
10 (s.)
d. a dare H2SO4
SO4
3 (d.)
-
d.

d. = decomposizione; s. = sublima.

Consideriamo ora singolarmente i vari composti sopra citati. A) Sottossido S2O: si forma per combustione di z. in ossigeno a circa 600 °C e a pressione ridotta. È un gas incondensabile anche alla temperatura dell'aria liquida. Ha solo interesse teorico. B) Monossido SO: detto anche protossido di z., si forma per scariche elettriche a bassa pressione in una atmosfera di SO2 + z. a 150÷200 °C. È un gas condensabile alla temperatura dell'aria liquida con formazione di un solido rosso-arancio, stabile solo a pressione ridotta. Si presume che allo stato gassoso abbia molecole dimere (SO)2, mentre allo stato solido dovrebbe essere formato da lunghe catene —S—O—S—O—. Con acqua reagisce dismutando in acido solfidrico e solforoso:

3SO + 3H2O → H2S + 2H2SO3

mentre con i metalli reagisce dando solfuri. C) Sesquiossido S2O3: si ottiene per reazione fra SO3 e z. e si decompone facilmente rigenerando gli stessi reagenti:

S2O3 → S + SO3

Si presenta come un liquido azzurro che solidifica in un solido verde-azzurro; con acqua si decompone con formazione di z. acido solforoso, acido solforico e acidi politionici (V. OLTRE). D) Anidride solforosa SO2: è presente in alcune acque termali, come pure in emanazioni gassose e in certi soffioni. Si forma quantitativamente per combustione e arrostimento di solfuri dello z. in aria o in ossigeno; è un gas incolore, dal caratteristico odore soffocante, tossico. Per le sue proprietà battericide e disinfestanti è stata impiegata per lungo tempo per combustione di quantità limitate di z. Si forma anche per combustione degli idrocarburi che contengono sempre aliquote più o meno elevate di z. Insieme all'ossido di carbonio è uno dei principali responsabili delle cattive condizioni ambientali che si creano nelle grandi città o nelle zone a elevata concentrazione industriale. È un gas facilmente coercibile (temperatura critica + 157,2 °C, pressione critica 77,7 atmosfere) e fu infatti uno dei primi liquefatti (bolle a -10 °C a pressione ambiente). Presenta un notevole calore di evaporazione; abbassando moderatamente la pressione sul liquido lo si può raffreddare per evaporazione anche a -50 °C; per questo motivo viene talvolta impiegato come fluido refrigerante per impianti industriali. Liquefatta, l'anidride solforosa scioglie bene diversi sali, assumendo colorazioni spesso caratteristiche, dando soluzioni che conducono la corrente e possono essere elettrolizzate. In acqua è solubile, soprattutto a freddo: 79,8 litri per litro di acqua a 0 °C e 39,4 litri a 20 °C; dalla soluzione viene eliminata completamente per ebollizione. In presenza di altri sali si può avere precipitazione di sali, detti solfiti, derivanti da un acido solforoso H2SO3 non isolabile (V. OLTRE). Trova qualche impiego in quanto tale come agente sbiancante, come antifermentativo per vini, mosti e conserve, come fluido refrigerante, come disinfestante per grandi ambienti, soprattutto in presenza di sostanze alimentari. Il suo impiego essenziale è però come soluzione intermedia per la fabbricazione di anidride solforica SO3, nella quale si trasforma anche per semplice ossidazione con aria:

SO2 + 1/2 O2 → SO3

Industrialmente questa reazione viene condotta a temperature sui 450÷600 °C, catalizzando con anidride vanadica V2O5 supportata su composti di potassio e silicati; si opera circa a pressione ambiente in un reattore a strati, con temperatura decrescente dal primo all'ultimo in quanto, essendo la reazione esotermica, il suo grado di completamento è tanto più alto quanto minore è la temperatura. Viene anche commerciata in bombole a pressione, allo stato liquido. E) Anidride solforica SO3: si forma anche, sia pure in minima quantità accanto alla SO2 nella combustione dello z.; nell'arrostimento delle piriti se ne forma una quantità insignificante. Si forma per ossidazione con aria od ossigeno della SO2 a temperatura moderatamente elevata; la reazione è catalizzata da molte sostanze fra cui platino, asbesto platinato, anidride vanadica. Un riscaldamento ad alta temperatura provoca invece la dissociazione di nuovo in SO2 e ossigeno:

2SO3 → 2SO2 + O2

La reazione è praticamente completa sui 1.000 °C. Si può produrre anche per decomposizione termica di certi solfati, ad esempio quello di ferro (ferroso):

Fe2 (SO4) 3 → Fe2O3 + SO3

oppure dell'acido solforico fumante:

H2S2O7 → H2SO4 + SO3

Con acqua reagisce violentemente, con formazione di acido solforico:

SO3 + H2O → H2SO4

La reazione è fortemente esotermica (23,2 kcal/mole di SO3). La SO3 si scioglie anche nell'acido solforico stesso, con formazione di acido solforico fumante o acido pirosolforico:

H2SO4 + SO3 → H2S2O7

Con gli ossidi dei metalli reagisce energicamente, formando i rispettivi solfati. È anche un ossidante abbastanza energico, dato che si può ridurre a SO2 cedendo ossigeno. Si può ottenere in tre forme, designate α, β e γ. La forma α è la comune, che fonde a 16,8 °C e bolle a 44,6 °C; la sua molecola appare costituita effettivamente da SO3 come tale. La forma β si ottiene in presenza di tracce di umidità e appare piuttosto come un polimero composto da lunghe catene di gruppi SO3 legati fra loro a costituire delle macromolecole; si forma quantitativamente se si condensa SO3 alla temperatura dell'aria liquida in presenza di umidità. Fonde a 32,5 °C e dà con acqua le stesse reazioni della forma α, sia pure meno rapidamente; per riscaldamento a 50 °C sublima. La forma γ appare condensando α—SO3 alla temperatura di -80 °C in assoluta assenza di umidità; si presume che le sue molecole siano trimere, cioè (SO3)3. Si presenta come un solido simile al ghiaccio, che fonde a 16,8 °C e per riscaldamento rigenera α—SO3. È molto più reattiva delle altre due forme. Le interrelazioni fra queste non sono però ben chiarite; secondo alcuni autori la forma β addirittura non esisterebbe e sarebbe una varietà della forma γ. Come tale l'anidride solforica viene usata essenzialmente per solfonazioni, cioè per introdurre il gruppo —SO3H in molecole organiche, la stragrande maggioranza viene invece convertita in acido solforico o pirosolforico per assorbimento rispettivamente in acqua o in acido solforico. F) Triossido dimero S2O6 ovvero (SO3) 2: questo composto sembra formarsi in particolari condizioni ma la sua esistenza non è accertata; secondo alcuni si tratterebbe nient'altro che di una forma intermedia del sistema complesso della SO3. G) Eptossido S2O7: è una sostanza che si produce mediante scariche elettriche in un'atmosfera di SO2 o SO3, ozono e vapori di z. Non è nota esattamente la sua struttura che, a quanto pare, contiene dei ponti perossidici —O—O——. Ha interesse solo teorico. H) Tetraossido SO4: anche questo è un composto instabile, avente interesse solo teorico. Si forma per scariche elettriche attraverso una miscela di SO2 + O2 a pressione ridotta. È un energico ossidante. ║ Acidi ossigenati: lo z. dà origine a una vasta serie di acidi, alcuni dei quali sono di importanza capitale per l'industria chimica. La maggior parte di questi si possono pensare derivati dagli ossidi per idratazione, ma in molti casi la derivazione è solo formale. Esaminiamo brevemente i principali, che sono raccolti nella seguente tabella con la loro denominazione e quella dei loro sali neutri

Formula Acido Anidride corrispondente
Nome dei sali
H2SO2
solfossilico
SO
solfossilati
H2S2O2
tiosolforoso
S2O
tiosolfiti
H2S2O3
tiosolforico
SO
tiosolfati
H2S2O5
pirosolforoso
SO2
pirosolfiti
H2S2O4
idrosolforoso
S2O3
idrosolfiti
H2SO3
solforoso
SO2
solfiti
H2SO4
solforico
SO3
solfati
H2S2O7
pirosolforico
SO3
pirosolfati
H2SnO6
politionici
-
politionati
H2S2O8
perossidisolforico
S2O7
perossidisolfati
H2SO5
monopersolforico
SO4
monopersolfati

Si osservi che la derivazione dall'anidride in alcuni casi è puramente formale. I principali acidi derivanti dallo z. verranno ora descritti brevemente. A) Acido solfossilico H2SO2: la dissoluzione di SO in soluzione di basi forti dà origine a sali detti solfossilati, del tipo K2SO2; l'acido libero non si può però isolare. I sali inorganici sono molto instabili; i derivati organici sono più stabili; qualcuno di questi è usato come colorante. B) Acido idrosolforoso H2S2O2: anche di questo sono noti solo i sali, poco stabili. Non ha interesse pratico. C) Acido tiosolforico H2S2O3: non è noto allo stato libero ma i suoi sali, detti tiosolfati, sono stabili in soluzione basica e allo stato solido. Si possono preparare per ebollizione di un solfito alcalino in soluzione con z. oppure per ossidazione di disolfuri all'aria o ancora per azione della SO2 su solfuri alcalini in soluzione o trattamento dei politionati con basi forti. Le indagini hanno mostrato che questo acido è fondamentalmente strutturato come l'acido solforico H2SO4, con la sostituzione di un ossigeno con uno z.:


Zolfo02.png

donde si ha il prefisso tio-. È interessante il fatto che in questo caso lo z. nella molecola è presente con numero di ossidazione diverso per i due atomi: +6 per uno e -2 per l'altro. Fra i sali più importanti cui dà origine ricordiamo il tiosolfato sodico Na2S2O3 in commercio nella forma idrata Na2S2O3·· 5 H2O col nome di iposolfito sodico, un sottoprodotto della fabbricazione di coloranti allo z. o del solfuro sodico. Questo composto è di uso corrente in fotografia per il fissaggio di pellicole e lastre: dopo lo sviluppo, che ha decomposto gli alogenuri di argento colpiti dalla luce, occorre rimuovere quelli non decomposti, operazione detta appunto fissaggio. Il tiosolfato sodico in soluzione acquosa esplica un'azione di dissoluzione attraverso la formazione di ioni complessi contenenti argento, del tipo

[Ag(S2O3) 2]3-

In questa applicazione è talvolta sostituito con il tiosolfato di ammonio (NH4) 2S2O3, che esplica un'azione più rapida. D) Acido pirosolforoso H2S2O5: se ne conoscono solo i sali, detti pirosolfiti, aventi formula del tipo K2S2O5, che possono pensarsi derivati dai solfiti per perdita di una molecola di acqua. E) Acido idrosolforoso H2S2O4: è detto anche iposolforoso o ditionoso; i sali saranno quindi detti idrosolfiti, iposolfiti o ditioniti. Non è mai stato isolato libero ma la sua formazione in soluzione appare certa; ad esempio è noto da tempo che lo zinco si scioglie in acido solforoso senza svolgimento di idrogeno appunto perché si forma questo acido. I suoi sali si preparano per azione di zinco su soluzioni di solfiti alcalini oppure per riduzione catodica degli stessi. La prima reazione è del tipo:

Zn + 2H2SO3 → ZnS2O4 + 2H2O

Nella soluzione acida questi sali si decompongono, anche se lentamente; sono abbastanza stabili se cristallini. I ditionati alcalini, soprattutto quello di sodio, noto col nome di idrosolfito sodico, sono impiegati in diversi campi e particolarmente in tintoria, come agenti riducenti. È da notare che nella terminologia corrente si chiama iposolfito sodico anche il tiosolfato sodico, perpetuando un errore tradizionale. F) Acido solforoso H2SO3: la soluzione di SO2 in acqua dà origine a un acido H2SO3 non isolabile se non in forma dei suoi sali, detti solfiti se neutri o bisolfiti se acidi. Dalle soluzioni è stato però cristallizzato una SO2 eptaidrata SO2 · 7 H2O che potrebbe scriversi anche come acido esaidrato H2SO3 · 6 H2O. Si tratta di un acido abbastanza forte, almeno come prima dissociazione (costante di dissociazione: K1 = 1,54 · 10-2 e K2 = 1,02 · 10-7 a 18 °C). È dimostrato che questo acido in soluzione presenta il fenomeno della tautomeria, essendo in equilibrio fra due forme, l'una delle quali bibasica e l'altra monobasica:

Zolfo03.png

Esso generalmente reagisce come la prima formula; nei composti chimici si comporta invece preferibilmente come nella seconda. Diversi solfiti danno largo impiego industriale. Fra questi ricordiamo il solfito sodico Na2SO3, usato in fotografia e come antisettico, il solfito acido o bisolfito sodico NaHSO3, usato come antifermentativo e conservante, il bisolfito di calcio Ca(HSO3)2 usato nella fabbricazione della cellulosa di legno. G) Acido solforico H2SO4: la sua fabbricazione assorbe l'87% di tutto lo z. o composti solforati prodotti nel mondo. A sua volta è usato soprattutto (60% circa) per la produzione di fertilizzanti; altri impieghi (in ordine di importanza quantitativa) si hanno nella fabbricazione di prodotti chimici diversi, in metallurgia delle leghe ferrose e non ferrose, nella produzione di resine e materie plastiche (incluse le fibre tessili) e nella lavorazione del petrolio. I suoi sali, detti solfati, sono diffusissimi in natura: ricordiamo ad esempio l'anidrite CaSO4, il gesso CaSO4 · 2 H2O e tutti gli allumi (solfati di alluminio, potassio ed eventualmente altri elementi). Di questo composto è trattato diffusamente alla voce acido solforico; i suoi sali principali sono descritti a proposito dei singoli metalli. H) Acido pirosolforico H2S2O7: detto anche acido solforico fumante o acido pirosolforico od oleum (per il suo aspetto di liquido oleoso), si forma per addizione di SO3 all'acido solforico, secondo la reazione:

H2SO4 + SO3 → H2S2O7

Si presenta come un liquido denso (peso specifico 1,85÷1,95 secondo la concentrazione in SO3; il prodotto secondo la formula ha peso specifico 1,858 a 20 °C) incolore o, se impuro, leggermente giallognolo; puro fonde a 35,15 °C e si decompone prima di bollire. Reagisce violentemente con acqua, provocandone un forte riscaldamento e dando H2SO4. Il suo nome deriva dal fatto che formalmente si può ottenere da due molecole di acido solforico per eliminazione di una molecola di acqua; la sua formula di struttura comprende un ponte ossigeno fra i due atomi di z:

Zolfo04.png

Il prodotto commerciale contiene sempre una parte di SO3 in soluzione, per cui è liquido a temperatura ambiente; in questa forma si può conservare in recipienti di ferro che esso non attacca se non in presenza di acqua. I) Acidi politionici H2SnO6: si tratta di una serie di acidi nei quali n può variare da 2 (acido ditionico) a 6 (acido esationico) e forse anche più. Il ditionico è noto anche libero, gli altri solo in forma di sali (tritionati, tetrationati, ecc.). A questi acidi si attribuisce generalmente una formula in cui compaiono due gruppi monovalenti —SO3H legati fra loro da una catena di atomi di z. del tipo —S—S—. Come esempio riportiamo le formule del ditionico e del trionico:


Zolfo05.png

Questi acidi danno sali che si possono produrre in vari modi (ad esempio per azione di SO2 sui tiosolfati in presenza di AS2O3) e trovano qualche applicazione pratica. L) Acido perossidisolforico H2S2O8: detto anche persolforico o dipersolforico, è stato isolato in forma di un solido cristallino igroscopico, che fonde a 65 °C decomponendosi. I suoi sali, detti persolfati, sono energici ossidenti, come l'acido stesso. Questo per riscaldamento a 100 °C in soluzione si decompone generando acqua ossigenata H2O2. Questa reazione viene utilizzata industrialmente per produrre H2O2 in celle elettrolitiche: si opera un'elettrolisi di una soluzione contenente solfato acido di ammonio e solfato acido di sodio; all'anodo si forma per ossidazione dell'acido persolforico che con il potassio dà un precipitato di K2S2O8. Questo viene distillato nel vuoto in presenza di acqua e H2SO4 ottenendo acqua ossigenata secondo una reazione del tipo:

H2S2O8 + 2H2O → 2H2SO4 + H2O2

Nella distillazione si forma in realtà del solfato acido di potassio che ritorna nella cella. M) Acido monopersolforico H2SO5: viene anche detto persolforico, ma questa denominazione è da evitare perché si confonde con quella (abituale) dell'acido del punto precedente; alternativamente viene anche detto acido di Caro. Si forma per azione di acido solforico sui persolfati e ha effettivamente la struttura in un perossido:

Zolfo06.png

Si può isolare allo stato solido in cristalli che fondono a 45 °C; è un energico ossidante. A differenza di tutti gli altri acidi, non ne sono noti sali stabili e cristallizzabili. N) Acido solfammico H(NH2)SO3: si può considerare come la monoammide dell'acido solforico, visto che ha formula di struttura:


Zolfo07.png

È un acido monobasico in quanto l'unico idrogeno sostituibile con cationi metallici è quello del gruppo —OH. Gli idrogeni del gruppo —NH2 a loro volta possono essere sostituiti da radicali alchilici, come nelle ammine primarie. Il cicloesilfammato di ammonio (noto col nome commerciale di ciclammato) viene utilizzato come dolcificante per bevande e altri generi alimentari (anche se di recente sono state avanzate riserve sulla sua innocuità). I sali dell'acido solfammico non sostituito nel gruppo —NH2, detti solfammati, sono dotati di ottima solubilità in acqua, salvo rare eccezioni. I solfammati di molti metalli pesanti (rame, nichel, piombo, stagno, ecc.) vengono utilizzati in soluzioni da elettrolizzare o per la raffinazione dei metalli stessi o per la loro deposizione catodica a scopo protettivo. Il solfammato di ammonio (NH4)SO3NH2 viene diffusamente impiegato come diserbante e per il trattamento di tessuti per renderli ininfiammabili. ║ Composti organici: lo z. entra a far parte delle molecole di moltissime sostanze organiche, alcune delle quali presentano un forte interesse industriale. Ci limitiamo qui a citare solo le principali, dividendole per classi. A) Mercaptani: si è già detto che hanno una formula generale simile a quella degli alcoli, ove l'ossigeno venga sostituito con z. bivalente. Detto R— un radicale alchilico, hanno formula generale R—S—H. Si preparano per alchilazione di acido solfidrico o dei suoi sali acidi, i solfidrati, mediante alogenuri o solfati alchilici, secondo una reazione di questo tipo:

R—Cl + KSH → KCl + R—SH

Si possono anche ottenere per alchilazione della tiourea, seguita da idrolisi oppure per riduzione di altri composti colorati come i disolfuri o i solfocloruri. Con le basi danno dei sali, detti mercapturi, per sostituzione dell'idrogeno del gruppo —SH, che ha deboli proprietà acide. Se trattati con ossidanti danno i disolfuri:

2R—SH + 1/2 O2 → R—S—S—R + H2O

mentre con gli ossidanti energici danno acidi dialchil-solfonici:

Zolfo08.png

Diversi mercaptani trovano impiego come intermedi per sintesi chimiche, come reagenti di laboratorio e per preparazioni farmaceutiche, oltre che in vari altri campi. B) Tioeteri o solfuri alchilici: possono essere considerati i sali dell'acido solfidrico con radicali alchilici, dato che hanno formula generica R—S—R', ove R'— può anche essere uguale ad R-. Si preparano dai solfuri inorganici con alogenuri alchilici o dai mercapturi. Sono liquidi insolubili in acqua, molto reattivi, utilizzati per sintesi chimiche. C) Polisolfuri alchilici: si conoscono i disolfuri R—S—S—R', i trisolfuri R—S—S—S—R', ecc., analoghi ai solfuri alcalini. Si tratta di composti che non danno il parallelo fra quelli ossigenati, confermando la maggior tendenza dello z. a dare ponti —S—S—S— anche con molti atomi. D) Acidi alchilsolfonici: sono composti che si possono pensare derivati dall'acido solforico H2SO4 per sostituzione di un gruppo —OH con un radicale alchilico o arilico; hanno quindi formula generica R—SO3H ovvero:

Zolfo09.png

L'idrogeno del gruppo —OH è fortemente acido e può essere facilmente sostituito con metalli. I sali di questi composti vengono utilizzati in grandi quantitativi come sostanze detergenti; resine solfonate (cioè nelle quali sono stati introdotti gruppi solfonici) sono usate per scambio ionico. Gli acidi alchilsolfonici aromatici sono utilizzati in grande quantità come intermedi per sintesi chimiche in quanto il gruppo solfonico può essere facilmente sostituito con altri gruppi funzionali. Si preparano per solfonazione diretta degli idrocarburi, per alchilazione di solfiti o per ossidazione di mercaptani con acido nitrico. E) Altri composti: come i mercaptani e i tioeteri, si possono avere anche altre serie di composti come le tioammidi, parallele alle ammidi, tiochetali, paralleli ai chetali, tioaldeidi, parallele alle aldeidi, tioglicoli, paralleli ai glicoli e così via. Fra questo enorme numero di composti ricordiamo solo alcuni dei più significativi. La tiourea è simile alla urea anche nei metodi di preparazione, oltre che come formula:

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È un importante intermedio per sintesi. I tiocianati R—S—C≡N sono simili per formula ai cianati R—O—C≡N e hanno usi simili. Passando ai composti ciclici, è da notare anche qui uno stretto parallelismo con i derivati dell'ossigeno: ad esempio si hanno con facilità i tiofenoli, ecc. Molti derivati dello z. sono preziosi perché l'atomo di z. è più facilmente sostituibile con azoto di un atomo di ossigeno posto nella stessa posizione. Molte sostanze contenenti z. hanno importanti applicazioni anche in medicina. Citiamo come esempio la solfammide o solfanilammide, un composto avente formula:

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che è il capostipite dei solfammidici, importanti farmaci di difesa contro le infezioni da cocchi. Essa non è altro che l'ammide dell'acido solfanilico:

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un acido solfonico da cui derivano veri importanti composti. Parecchi acidi naftol-sonici vengono correntemente utilizzati per sintesi di sostanze medicinali e coloranti. Fra i composti eterociclici che contengo z. nell'anello occorre ricordare principalmente i seguenti:


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Il tiofene viene prodotto in grandi quantità in quanto intermedio per sintesi: il suo anello è presente anche in certe sostanze naturali. In piccole percentuali (0,1÷0,5%) è presente nel benzene recuperato dal catrame di carbone fossile. Nell'ambito dei composti dello z. occorre ancora ricordarne uno importantissimo, l'acido α-lipoico (o tiottico):


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che è uno degli acidi grassi essenziali (vitamina F) che devono essere assunti per il corretto funzionamento del nostro organismo. Questo acido è presente nella maggior parte dei tessuti animali e vegetali; nel metabolismo dei carboidrati si comporta come la base di un sistema ossido-riduttivo attraverso il quale si compie il ciclo di ossidazione degli alimenti. La forma ossidata sopra riportata è infatti in grado di assumere un gruppo acetilico per apertura del doppio legame, con formazione dell'acido S-acetil-α-lipoico:

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Questo reagisce con il coenzima A, acetilandolo ad acetil-coenzima A e trasformandosi in acido α-lipoico ridotto:


Zolfo16.png

A sua volta questo si riossida ad acido α-lipoico per azione del DPN (difosfopiridina nucleotide) che si riduce. Una classe a parte di importanti composti organici dello z. è costituita dai cosiddetti coloranti allo z. che si ottengono per riscaldamento di composti organici con polisolfuri alcalini o z. elementare. Sono insolubili in acqua, quindi ben resistenti ai lavaggi, e particolarmente adatti per il cotone. • Bioch. - Lo z. costituisce lo 0,017% della biosfera (complesso di tutti gli organismi viventi sul pianeta) ed entra nella composizione di importanti proteine e altre sostanze. Lo z. è un costituente essenziale degli organismi animali, nei quali è presente essenzialmente come acido solforico, acido solfocianico e come gruppo solfidrilico. Lo z. costituisce inoltre il centro reattivo di molti enzimi, ai quali permette di svolgere la loro funzione catalizzatrice. • Med. - Tecnopatie da z.: serie di disturbi dovuti al prolungato contatto con solfuro di carbonio, idrogeno solforato, anidride solforosa e acido solforico. La cura è diversa a seconda dei casi.
Zolfo traslucido in cristalli con calcite