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Visione.

(dal latino visio, der. di videre: vedere). Processo di percezione degli stimoli luminosi, capacità di vedere: v. vicina, lontana, chiara, diretta. ║ L'atto del vedere: prendere in v. ║ Film in prima v.: film trasmesso per la prima volta nelle sale o in televisione. ║ Apparizione che si vede o si crede di vedere in stato di estasi o di alterazione delle normali capacità sensoriali o anche in sogno: da quando ha avuto quella v., non è stato più lo stesso. ║ Fig. - Idea, opinione: penso tu abbia una v. distorta della realtà. • Filos. - V. in Dio: concetto chiave della teoria gnoseologica di N. Malebranche. Non sussistendo, secondo il pensatore francese, nessi causali di alcun genere tra lo spirito e il corpo dell'uomo, né tra gli innumerevoli corpi costituenti l'universo, ogni legame tra essi è solo apparente e "occasionale" (di qui il termine di occasionalismo per indicare il sistema malebranchiano); causa della conoscenza che l'uomo ha di se stesso e del mondo non può essere, di conseguenza, che Dio in persona, nel senso che la mente dell'uomo "vede" le cose e i loro rapporti direttamente in Dio. • Fisiol. - Percezione degli stimoli luminosi che attraverso l'occhio, si trasformano nella rappresentazione degli oggetti appartenenti al mondo reale esterno, così come avviene sulla lastra sensibilizzata di una macchina fotografica. Lo stimolo luminoso, proveniente dall'esterno attraverso la pupilla arriva all'interno dell'organo della vista inducendo sulla retina modificazioni chimiche, istologiche ed elettriche che si traducono nell'impressione visiva dell'oggetto esterno da cui è partito lo stimolo luminoso. Questa impressione viene trasmessa dalla retina al nervo ottico e da questo convogliata ai centri ottici del cervello che la elaborano in sensazione visiva. Perciò, con l'occhio viene percepita l'impressione visiva dell'oggetto esterno, mentre col cervello (cioè con i centri nervosi ottici) si ottiene la sensazione visiva; ed è solo a questo punto, e non prima, che l'oggetto viene visto. La retina possiede, nella maggior parte dei vertebrati, due tipi di cellule visive: i bastoncelli e i coni. La loro stimolazione, che dipende dalla decomposizione di determinate sostanze visive per azione della luce, si trasmette, nei vertebrati, alle cellule gangliari bipolari e da queste alle cellule gangliari multipolari. I processi (neuriti) che si dipartono dalle cellule gangliari multipolari confluiscono concentricamente e, uniti tra loro come nervo ottico, vanno dagli occhi al cervello. L'occhio è capace di adattamento alle varie intensità della luce e questo si realizza in modi diversi: se la luminosità aumenta, l'iride si contrae per via riflessa cosicché la pupilla si restringe in forma circolare o di fessura allungata, lasciando penetrare nell'occhio meno luce; nel contempo, i bastoncelli si allungano nello strato di pigmento, mentre i coni si accorciano. Col diminuire dell'intensità luminosa si ha, invece, un processo inverso. La v. di oggetti che si trovano a distanze diverse è messa a punto dal cristallino, che provvede, secondo la necessità, a modificare il grado della propria curvatura e la distanza dalla retina. L'avvicinamento del cristallino alla retina è comandato da uno speciale muscolo detto retrattore del cristallino; quando la sua contrazione ha termine, una banda elastica lo riporta in posizione normale. Sulla retina l'impressione luminosa di un oggetto esterno persiste per tutta la durata dello stimolo e anche per un trentesimo o un cinquantesimo di secondo dopo la cessazione dello stimolo; quindi, perché siano percepite ben distintamente le immagini di due oggetti esterni che si susseguono rapidamente davanti al nostro occhio, occorre che la velocità con cui si susseguono non sia superiore al trentesimo di secondo. Si noti, inoltre, come a ciascun punto della retina di un occhio corrisponde topograficamente e funzionalmente un punto della retina dell'altro; tali punti, stimolati contemporaneamente dai raggi luminosi provenienti dallo stesso oggetto esterno, generano, nei due occhi, due diverse impressioni visive (una per ciascun occhio), che, però, in sede cerebrale vengono esattamente e perfettamente sovrapposte così da formare una sola immagine. Una questione controversa è quella relativa alla v. dei colori; secondo R. Granit, le percezioni cromatiche si otterrebbero con differenti combinazioni di tre colori fondamentali (rosso, verde e blu) grazie all'esistenza di tre diversi sistemi di fotorecettori sulla retina, coadiuvati da altrettanti modulatori che possiedono una sensibilità differente per le diverse lunghezze d'onda della luce. • Teol. - Nella tradizione cristiana, si parla di v. beatifica o intuitiva per indicare la v. di Dio, riservata agli eletti al Paradiso.