Che può essere visto:
da qui il faro
è v.
a occhio nudo, senza l'ausilio di strumenti ottici.
║
Campo del v.: in fisica, campo delle lunghezze d'onda
corrispondenti alle radiazioni elettromagnetiche percepite dall'occhio umano, e
compreso circa tra 400 e 800 nm. ║ Ciò che può essere visto:
ho visto tutto il v. ║ Fig. - Manifesto, evidente, palese:
era
in preda ad un'ansia v. ║ Che può essere visitato:
l'affresco sarà v.
alla fine del restauro. • Astron.
-
Astronomia v. o
ottica: branca dell'astronomia che studia gli
astri mediante la luce che proviene da essi. L'origine dell'astronomia
v., che fino alla metà dell'Ottocento si identificò con
l'astronomia, è molto antica: i Babilonesi nel 3000 a. C. avevano
già catalogato un buon numero di stelle e costellazioni. Si deve ai Greci
l'introduzione del metodo geometrico per la descrizione degli eventi celesti; in
particolare, nel 150 a. C. Ipparco catalogò per primo circa mille stelle,
suddividendole in sei classi in base alla loro luminosità. Il primo
modello dell'universo risale al 2° secolo d. C. ad opera di Tolomeo, che
nell'
Almagesto estese il lavoro di Ipparco e introdusse il modello
geocentrico, basato su sfere concentriche aventi come centro la Terra. Numerose
osservazioni compiute nei secoli successivi resero necessarie più
modifiche al modello tolemaico, che divenne così sempre più
complesso; la prima sostanziale modifica, tuttavia, si deve all'astronomo T.
Brahe che, verso la fine del 16° secolo, sviluppò un modello
dell'universo che prevedeva ancora al centro la Terra, ma proponeva la
possibilità che alcuni pianeti ruotassero intorno al Sole, che a sua
volta ruotava intorno alla Terra. Il distacco definitivo dalla teoria tolemaica
avvenne ad opera di Copernico, che nel 1543, nel suo
De revolutionibus orbimu
celestium propose il primo modello eliocentrico: la prima conferma
sperimentale della validità di tale modello si deve a G. Galilei, che per
primo introdusse il telescopio nelle osservazioni celesti. Il modello
copernicano trovò numerosi ostacoli, ma venne gradualmente accettato come
una descrizione semplice e corretta dei fenomeni celesti: si trattava ancora di
una descrizione osservativa, mentre per un modello fisico bisogna attendere fino
alla fine del 17° secolo, quando la legge di gravitazione universale di I.
Newton segnò la nascita della meccanica celeste. La nomenclatura attuale
delle stelle, individuate da una lettera dell'alfabeto greco seguita dal nome
latino della costellazione di appartenenza, venne introdotta nel 1603 da J.
Bayer. Lo sviluppo dell'astronomia
v. seguì di pari passo lo
sviluppo degli strumenti ottici: telescopi sempre più grandi e luminosi
consentirono osservazioni via via migliori, mentre lo sviluppo degli strumenti
micrometrici e di transito consentirono la determinazione delle posizioni
stellari fino a precisioni dell'ordine del decimo di secondo d'arco, raggiunte
dall'astronomo e matematico tedesco F. W. Bessel che riuscì ad
evidenziare il fenomeno della parallasse nel 1838 e a determinare così le
prime distanze stellari. La nascita della moderna astronomia
v.
può essere fissata convenzionalmente al 1789, con la realizzazione del
primo atlante telescopico del cielo ad opera di W. Herschel. Da questo momento
si susseguono le pubblicazioni di cataloghi stellari contenenti un numero sempre
maggiore di stelle aventi posizioni determinate con precisione sempre maggiore.
Accanto ad essi si iniziarono a stilare elenchi di oggetti non stellari, quali
nebulose, ammassi di stelle, galassie: una prima lista di 5000 oggetti si deve a
W. Herschel e a suo figlio John, che venne arricchita fino a raggiungere circa
15000 oggetti all'inizio del Novecento. In particolare nel 1845 W. Parsons
osservò che molte nebulose scoperte da Herschel avevano una struttura a
spirale, ed suppose per primo che queste particolari nebulose fossero solo degli
agglomerati di stelle molto lontani dalla nostra galassia, proponendo
così la limitatezza della Via Lattea e l'esistenza di galassie esterne;
questa ipotesi venne osteggiata per un lungo periodo, ma fu definitivamente
accettata con le osservazioni di E. Hubble, che dimostrarono la natura
extragalattica della galassia di Andromeda (1923). L'applicazione delle tecniche
fotografiche e spettroscopiche all'astronomia avvenuta nel corso del 19°
secolo segna la nascita della moderna astrofisica: grazie a tali tecniche,
infatti, è possibile studiare lo stato fisico-chimico dei corpi celesti e
costruire modelli che ne spieghino le proprietà. La prima fotografia
della Luna risale al 1840, eseguita da J. Draper, mentre risale al 1845 la prima
fotografia del Sole, ad opera di Fizeau e Foucault; per il primo atlante
fotografico completo del cielo bisogna attendere tuttavia fino al 1914, con la
pubblicazione del
Franklin-Adams Charts basato su 206 fotografie del
cielo. Alla fine del 19° secolo risalgono anche i primi fotometri
astronomici, perfezionati all'inizio del 20° secolo con l'introduzione
della cella fotoelettrica (1911) e, dalla fine degli anni Trenta, del
fotomoltiplicatore; i fotometri e i fotomoltiplicatori sono stati perfezionati
negli anni successivi con l'ottimizzazione dei materiali impiegati, l'uso delle
tecniche di conteggio e la riduzione della corrente oscura come effetto
dispersivo. Risale solo agli anni Settanta l'introduzione di componenti
fotosensibili a stato solido nella fotometria elettrica, come i fotodiodi pin, i
tubi televisivi e CCD; in particolare l'utilizzo di matrici CCD in astronomia
negli anni Ottanta ha rivoluzionato le tecniche di misura di immagini
astronomiche. Accanto allo sviluppo dei rivelatori si ebbe nel Novecento uno
sviluppo notevole dei telescopi, con la realizzazione di strumenti sempre
più grandi inseriti in appositi osservatori. Ricordiamo in particolare il
telescopio Hooker di Mount Wilson, in California, realizzato all'inizio del
Novecento, con specchio primario da 100 pollici, corrispondenti a 2,5 m; con
questo telescopio fu possibile uno studio sistematico delle galassie, e sempre
con esso E. Hubble scoprì nel 1929 la recessione generale delle galassie,
fenomeno previsto dalla teoria della relatività generale. La nascita
della spettroscopia astronomica, che accanto alla fotometria costituisce uno
degli strumenti fondamentali per l'astronomia
v., può essere
fissata all'inizio dell'Ottocento, quando J. Fraunhofer analizzò per la
prima volta la luce proveniente dal Sole scoprendo un numero elevatissimo o di
righe scure più o meno intense, ancora oggi individuate da una lettera
seguita dal suo nome; solo dopo 40 anni G.R. Kirchhoff e R. W. Bunsen riuscirono
a interpretare fisicamente le righe di Fraunhofer, corrispondenti alle righe di
assorbimento della fotosfera solare. Tale interpretazione mise in evidenza la
possibilità di studiare la composizione chimica e fisica degli astri
distanti mediante l'applicazione di tecniche spettroscopiche, nonché la
possibilità di stimare le velocità radiali stellari ed altre
grandezze ritenute fino ad allora non misurabili, grazie all'effetto Doppler.
Questo metodo è ancora oggi l'unico utilizzabile a questo scopo. PY076 Il
problema fondamentale della moderna astronomia del
v. consiste nel
convogliare il maggior numero possibile di fotoni provenienti da una sorgente
celeste su un rivelatore, eliminando i fotoni provenienti da fonti diverse. Le
quantità osservabili sono i
flussi luminosi, provenienti da
sorgenti puntiformi come le stelle, e le
brillanze, provenienti da
sorgenti diffuse come le nebulose e le galassie; la scala di grandezza
normalmente utilizzata per la misura di flusso e brillanza è logaritmica,
la cosiddetta scala delle
magnitudini. La moderna astronomia nel
v. utilizza telescopi e rivelatori sofisticati per studiare gli astri
più deboli e lontani. Il flusso di fotoni convogliato nel piano focale di
un telescopio varia a seconda della magnitudine dell'astro, e si rendono
pertanto necessari vari tipi di rivelatori; tuttavia, quando il numero di fotoni
in arrivo ogni secondo è troppo basso, la sensibilità dei
rivelatori non è più sufficiente ad eliminare il disturbo, causato
principalmente dalle fluttuazioni intrinseche alla statistica di Poisson
utilizzata. Oltre al problema della scarsezza di fotoni, è necessario
affrontare altri problemi di ottimizzazione per ottenere una buona immagine da
flussi luminosi deboli. Prima di tutto è necessario eliminare l'effetto
della turbolenza atmosferica, che genera distorsioni dell'immagine: la
conseguenza è che una stella puntiforme appare sul piano focale come una
macchia di dimensioni e posizione variabili, un fenomeno che prende il nome di
seeing. Tale fenomeno è ovviamente superato se si osserva con
telescopi operanti nello spazio. Una seconda condizione che deve essere
soddisfatta per l'osservazione di stelle lontane è la presenza di un
cielo sufficientemente buio: il telescopio, pertanto, deve essere montato
lontano da strade e città, ma la luce stellare diffusa dall'atmosfera
è una fonte di disturbo ineliminabile a terra. Uscendo dall'atmosfera
terrestre, la brillanza di fondo tende a ridursi a circa metà,: in un
campo di vista di un secondo d'arco questa brillanza è equivalente a
quella prodotta da una stella di 22-esima magnitudine. I rivelatori di norma
utilizzati nell'attuale astronomia nel
v. sono il fotomoltiplicatore, la
lastra fotografica e i CCD. I fotomoltiplicatori vengono utilizzati
prevalentemente per eseguire fotometrie di precisione; la lastra fotografica,
invece, è indispensabile nei rivelatori di grandi dimensioni, e consente
di immagazzinare una quantità enorme di informazioni, dell'ordine di
decine di gigabyte, con una risoluzione delle posizioni stellari estremamente
accurata. D'altro canto, tuttavia, l'informazione è immagazzinabile solo
in forma pittorica, comoda per analisi qualitative, ma non per quelle
quantitative, che richiedono l'elaborazione dell'immagine con speciali
apparecchiature: inoltre, l'emulsione fotografica non è un rivelatore
efficiente, e richiede un tempo di esposizione prolungato, con caratteristiche
che rendono difficili la calibrazione fotometrica. Per questo ed altri motivi il
rivelatore più diffuso nella moderna astronomia nel
v. è il
CCD, ovvero un componente a stato solido contenente una matrice di elementi
(pixel) che possono essere fino a qualche milione, ciascuno dei quali è
un rivelatore di luce; l'efficienza dei moderni CCD è molto alta, fino
all'80%, ed hanno una elevata sensibilità, che permette di visualizzare
sorgenti celesti di magnitudine 28. Le immagini, immagazzinate in forma
digitale, possono essere facilmente trasferite ad altri elaboratori, consentendo
l'immediata analisi distribuzione dei dati. Di contro, i mosaici CCD sono
piccoli, date le dimensioni di ogni pixel pari a circa 1 μm; i CCD,
pertanto, vengono utilizzati come rivelatori per la realizzazione di studi
dettagliati su singole sorgenti celesti, mentre per indagini esplorative del
cielo vengono ancora preferite lastre fotografiche. Le immagini ottenute
mediante CCD possono presentare, inoltre, alcuni difetti, causati principalmente
da eventuali elementi difettosi, dall'agitazione termica che genera comunque una
carica oscura, indipendentemente dalla luce incidente, e dalla presenza di
particelle ionizzanti dei raggi cosmici: tali disturbi, tuttavia, vengono
notevolmente attenuati utilizzando tecniche opportune. Lo sviluppo della moderna
dell'astronomia nel
v. ha portato alla stesura di diversi cataloghi
contenenti posizioni, moti propri e caratteristiche spettrali anche di milioni
di stelle, come quello di riferimento per l'Hubble space telescope. Grazie
all'accuratezza di tali dati è stato possibile elaborare una completa
teoria dell'evoluzione stellare, ed anche il livello di conoscenza della
distribuzione stellare nella Via Lattea ha raggiunto livelli un tempo
impensabili; campi in rapida crescita sono costituiti, invece, dallo studio del
mezzo interstellare, che presenta alcune manifestazioni di grande importanza nel
v., dallo studio della dinamica e della morfologia delle galassie esterne
e dallo studio della distribuzione su grande scala delle galassie, un tema
più prettamente cosmologico. Le tecniche osservative nel
v. hanno
raggiunto il loro apice con la messa in orbita, nel 1990, del telescopio
spaziale Hubble, indicato con la sigla HST; le caratteristiche di questo
telescopio (che permetterebbe di rivelare e risolvere la luce emessa da due
lucciole distanti tra loro un metro, poste a una distanza di 5.000 km) hanno
permesso di compiere osservazioni di fondamentale importanza in diversi settori
dell'astronomia. Per quanto riguarda la planetologia, HST ha permesso di
rivelare strutture sulla superficie del pianeta Plutone, evidenziando contrasti
che sono dello stesso livello di quelli generati sulla Terra dalla presenza di
continenti e oceani; inoltre, ha permesso di scoprire almeno due nuovi satelliti
di Saturno, e di studiare l'evoluzione delle atmosfere gassose dei pianeti
giganti (Giove, Saturno, Urano). Nell'ambito della fisica stellare e della loro
evoluzione, HST ha fornito importanti immagini di stelle nelle prime e nelle
ultime fasi della loro vita. In particolare, puntando HST sulla nebulosa di
Orione, originariamente una nuvola di gas interstellare formatasi meno di due
milioni di anni fa, è stato evidenziato il fenomeno della formazione di
stelle per contrazione gravitazionale: quelle più massive hanno
già raggiunto la sequenza principale, e sono estremamente luminose,
mentre quelle meno massive si stanno ancora contraendo. Inoltre, molte delle
stelle appena formate mostrano dischi di polvere che le circondano,
probabilmente sistemi solari in formazione: l'esistenza di dischi
protoplanetari, rivelata da HST anche in altre stelle, mostra che i pianeti sono
comuni nella Via Lattea, e conferma per la prima volta in modo diretto questo
fenomeno, già previsto in forma indiretta. HST ha permesso di ottenere
numerose altre immagini fondamentali per lo studio della fisica stellare:
ricordiamo, in particolare, la prima rivelazione diretta di una nana bruna, le
prime immagini nitide del centro dell'ammasso stellare M15, e l'individuazione
di una intera popolazione di nane bianche nell'ammasso globulare M4 (le stelle
più antiche osservabili). Per quanto riguarda l'astronomia
extragalattica, la capacità di HST di distinguere singole stelle in molte
galassie lontane ha permesso di capire, mediante tecniche particolari, quanto
siano diffusi i buchi neri al centro delle galassie, così come ha
permesso di evidenziare per la prima volta buchi neri supermassivi: si è
potuto osservare, inoltre, come tali oggetti siano piuttosto comuni nelle
galassie, pur non essendone nota ancora il meccanismo di genesi. HST, poi, ha
consentito lo studio delle radiogalassie, mostrandone una morfologia complessa
che non era stata rivelata dai telescopi a terra, e lo studio di galassie
lontanissime, che, a causa della velocità finita di propagazione della
luce, ci presentano l'immagine di come erano all'inizio dell'evoluzione
dell'Universo: queste osservazioni confutano direttamente e definitivamente la
teoria dello stato stazionario a favore dei quella del big-bang. Infine, per
quanto riguarda la cosmologia, le osservazioni effettuate mediante HST hanno
prevalentemente lo scopo di determinare la costante di Hubble, ovvero di
determinare la velocità di espansione dell'universo: tale valore è
estremamente importante in cosmologia, poiché consente di risalire
all'età dell'universo stesso.