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Van Eyck, Hubert e Jan.

Pittori fiamminghi. Di Hubert, fratello maggiore di Jan, si hanno scarsissime notizie biografiche e non si conoscono opere di sicura attribuzione, tanto da far dubitare, sino a tempi recenti, della sua stessa esistenza. Forse attivo all'Aia, entrò intorno al 1415 al servizio di Guglielmo IV conte di Olanda. Si trasferì quindi nelle Fiandre; la sua presenza a Gand è documentata nel 1425. Nell'iscrizione del celebre polittico dell'Adorazione dell'agnello mistico (1432, Gand, cattedrale di Saint-Bavon) è citato come il più grande pittore del mondo (maior quo nemo reperitur) e fratello di Jan, nonché come colui che iniziò l'opera stessa, terminata poi dal fratello. La stessa iscrizione reca infatti l'anno di consegna del dipinto, il 1432, cioè sei anni dopo la morte di Hubert. A quest'ultimo sono inoltre attribuite due miniature del libro d'ore di Torino (la Virgo inter Virgines, distrutta in un incendio alla Biblioteca Reale di Torino nel 1904 e il Ritrovamento della Croce) e la tavola raffigurante le Tre Marie al Sepolcro, lavori che si collocano pienamente entro la cultura figurativa tardo-gotica d'area fiamminga, che sarà invece superata nell'opera pittorica di Jan. Le scarne notizie biografiche su quest'ultimo lo danno attivo all'Aia tra il 1422 e il 1424, alle dipendenze di Giovanni di Baviera per il quale doveva eseguire alcune pitture nel palazzo; nel 1425 si trasferì a Lille al servizio di Filippo il Buono di Borgogna, che lo incaricò anche di varie missioni diplomatiche. Venne infatti inviato a Tournai (1427), dove probabilmente entrò in contatto con Robert Campin (il Maestro di Flémalle) e R. van der Weyden, e nella penisola iberica (1428-29), come membro della delegazione inviata da Filippo a Giovanni I di Portogallo per chiederne in sposa la figlia Isabella. Dal 1430 fu pittore di corte e si stabilì a Bruges dove rimase sino alla morte. Numerose sono le opere di Jan firmate e datate, e altre concordemente attribuite, dall'analisi delle quali emerge la novità dello stile di V.E., considerato oggi uno degli iniziatori della pittura moderna. Il primo lavoro conosciuto dell'artista è da individuarsi in una serie di miniature di un libro d'ore eseguite all'Aia per Giovanni di Baviera tra il 1420 e il 1424. Le scene d'interno minuziosamente descritte, i paesaggi resi con estremo naturalismo, il senso della prospettiva, la funzione unificante della luce testimoniano una capacità di osservazione del reale superiore a quella della tradizione gotica dei Paesi Bassi e già preannunciante la grande pittura olandese del Seicento. Dalle prime opere documentate (Madonna nella chiesa, 1425 circa, dove già si nota un'accuratissima analisi della luce che irrompe dalle vetrate in un interno ecclesiastico; Stigmate di san Francesco; dittico con la Confessione e il Giudizio Universale, 1426 circa) si giunge al già citato polittico dell'Adorazione dell'agnello mistico. Composto da dodici tavole (di cui otto fungenti da sportello e dipinte su entrambi i lati), questo caposaldo del Rinascimento fiammingo presenta complesse implicazioni simboliche rese però con un linguaggio intensamente naturalistico, peculiare dell'artista. Quest'arte, capace di una così attenta indagine del mondo reale, raggiunge nei ritratti una straordinaria potenza evocativa (Timoteo, 1432; Uomo col turbante, 1433; Ritratto della moglie, 1439; Jan de Leeuw e il Cardinale Albergati, 1435 circa). Nel ritratto dei Coniugi Arnolfini (1434), commissionato all'artista da Giovanni Arnolfini, ricco commerciante lucchese residente a Bruges, la perfezione tecnica con cui è reso l'interno borghese accentua la carica simbolica della rappresentazione. Una solenne impassibilità caratterizza ancor più le figure dei dipinti di soggetto sacro (Madonna del canonico van der Paele, 1436; Madonna del cancelliere Rolin; Madonna di Lucca; Trittico di Dresda, 1437; Madonna della Fontana, 1439), anche se addolciti da elementi di umana quotidianità. Diversamente dai pittori del Rinascimento italiano, V.E. adottò soluzioni spaziali e prospettiche basate sull'osservazione empirica piuttosto che sulla razionale applicazione di principi matematici. La squisita nitidezza conferita a particolari anche lontanissimi è supportata da un'eccezionale qualità brillante e traslucida del colore. Questa capacità dell'artista di rendere le innumerevoli gradazioni luminose avvalorò la leggenda, ripresa da Vasari, che egli fosse l'inventore della pittura a olio, invece già nota. La tecnica di V.E., su cui l'umanista Bartolomeo Facio espresse acute osservazioni attorno al 1455, consisteva invece nella sovrapposizione di diversi sottilissimi strati di colore legati mediante un olio di cui non è stata stabilita con certezza la composizione. Celebrato già dai contemporanei, V.E. introdusse un realismo prodigiosamente evocativo nella pittura del suo tempo ed esercitò un influsso enorme sull'arte fiamminga ed europea. Anche in Italia, dove nel Quattrocento si fece conoscere sia per mezzo delle riflessioni critiche di intellettuali come Facio, sia attraverso opere commissionate da banchieri e commercianti italiani, V.E. suscitò grande ammirazione e artisti come Piero della Francesca, il napoletano Colantonio e il suo allievo Antonello da Messina risentirono della sua lezione stilistica (Hubert: m. Gand 1426; Jan: Maaseik 1390 circa - Bruges 1441).