Umanista italiano. La sua famiglia
annoverò letterati, uomini politici, notai: si ricorderanno il padre
Abramo (Cicco), il fratello maggiore Jacopo, Carlo e Manfredo, figli di Jacopo.
Dopo aver cominciato la carriera come
magister, e successivamente come
doctor artium,
V. nel 1427 divenne lettore di retorica e poesia
nello Studio di Bologna, mantenendo l'incarico per dieci anni. Nel decennio
successivo fu scrittore della Cancelleria pontificia; nel 1446 divenne
consigliere di Sigismondo Malatesta, signore di Rimini (città natale di
V.) e di Roberto, figlio di Sigismondo; questa carica fu conservata da
V. per quasi 30 anni, fino alla sua morte. L'importante incarico da lui
ricoperto, la stima dei Malatesta, il suo spessore culturale gli conferirono
grande prestigio, tanto che si guadagnò il nome di “rei publicae
Ariminensis pater”. La sua opera più importante è il
De
re militari (scritto tra il 1446 e il 1455), in 12 libri, dedicata a
Sigismondo. In questo trattato, in cui si affrontano tutti i temi di carattere
militare, si coglie da una parte il richiamo alle fonti classiche, dall'altra il
riflesso della fervente vita culturale della corte di Rimini. Nell'opera sono
inseriti anche disegni di antiche macchine da guerra e di altri soggetti simili,
la cui attribuzione è incerta. Particolarmente pregevoli furono le prime
edizioni del trattato, pubblicate a Verona nel 1472 e nel 1483, anno in cui,
nella stessa città, l'opera uscì in una traduzione italiana di
Paolo Ramusio. Degna di nota, tra le opere minori di
V., è
un'epistola a Maometto II, scritta in appoggio a una missione di Sigismondo
Malatesta presso il sultano. Il letterato ebbe rapporti con altri importanti
esponenti della cultura umanistica, come Poggio Bracciolini. Donò la sua
biblioteca, di cui rimangono purtroppo soltanto alcuni manoscritti, al convento
di San Francesco (Tempio Malatestiano) (Rimini 1405-1475).