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Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).

Stato (22.000.000 kmq; 286.717.000 ab. nel 1989) federale costituito nel dicembre 1922, sulla scia degli eventi scatenati dalla Rivoluzione d'Ottobre, e dissoltosi nel dicembre 1991. Si estendeva su quella parte dell'Europa orientale e dell'Asia centro-settentrionale in precedenza soggetta all'Impero russo, con la sola eccezione della Finlandia e dei territori occidentali di Ucraina e Bielorussia (tornati sotto la sovranità polacca). Si affacciava a Nord sul Mar Glaciale Artico, a Est sull'Oceano Pacifico, a Sud-Ovest sul Mar Nero, sul Mar Caspio e sul Mar d'Azov, a Nord-Ovest sul Mar Baltico; confinava a Sud con la Corea del Nord, la Cina, la Mongolia, l'Afghanistan, l'Iran, la Turchia, a Ovest con la Romania, l'Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia, a Nord-Ovest con la Finlandia e la Norvegia. Capitale: Mosca. Città principali: Leningrado (l'odierna San Pietroburgo), Taškent, Kiev, Minsk, Tbilisi, Harkov, Baku, Gorki, Sverdlovsk, Alma-Ata. Ordinamento: Repubblica federale socialista composta da 15 Repubbliche federate (Russia, Ucraina, Bielorussia, Estonia, Lettonia, Lituania, Moldavia, Armenia, Georgia, Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan - V. I SINGOLI STATI), nell'ambito delle quali esistevano 20 Repubbliche autonome. Organo federale supremo era il Soviet Supremo, suddiviso in due Camere (Soviet dell'Unione e Soviet delle Nazionalità) elette a suffragio universale per cinque anni. Moneta: rublo. Lingua ufficiale: russo; venivano parlate circa 200 lingue. Religione: greco-ortodossa; esistevano numerose comunità protestanti, cattoliche, ebree, musulmane. Popolazione: la distribuzione demografica dell'URSS si caratterizzava per un forte sbilanciamento in favore della Repubblica economicamente più progredita, la Russia, ove risiedevano oltre la metà degli abitanti dell'intero Paese; pur senza raggiungere i livelli russi, erano assai popolate anche l'Ucraina e l'Uzbekistan. Anche per quel che concerne la composizione etnica esisteva un predominio russo: nonostante fossero riconosciuti ufficialmente una cinquantina di gruppi etno-linguistici, russo era, infatti, il 50% della popolazione sovietica.

GEOGRAFIA

L'URSS ha rappresentato il più esteso Stato del mondo; al riguardo basti dire che esso costituiva un settimo di tutte le terre emerse. ║ Morfologia: a dispetto delle sue enormi dimensioni, tuttavia, il territorio sovietico era caratterizzato da una notevole uniformità morfologica, in cui predominava la presenza di pianure a terre basse, interrotte solo dalla catena degli Urali e da poche altre modeste alture. Si era soliti suddividere l'URSS in quattro regioni naturali: l'area delle catene montuose, che faceva da cornice all'intero territorio e correva lungo tutto il confine meridionale del Paese, comprendendo i Carpazi, i Monti della Crimea, il Caucaso, il Khorāsān, i Tien Shan e gli Altaj; l'area russa, che occupava quasi interamente le terre a Ovest degli Urali (tranne i Carpazi e il Caucaso), caratterizzate da bassopiani (baltico, sarmatico, bielorusso-ucraino) qua e là intervallati da alture che non raggiungono i 500 m (alture del Volga, Monti Timani); l'Asia centrale sovietica, una grande area desertica compresa tra il Mar Caspio, l'Ural, il Bassopiano Siberiano e le catene montuose meridionali; la Siberia, suddivisa tra terre basse, situate nel bacino dell'Ob e abbastanza fertili nella fascia centromeridionale, e le terre alte, dislocate nell'area segnata dal fiume Lena. ║ Flora: la vegetazione manteneva nel territorio sovietico un andamento piuttosto uniforme, facendosi sempre più rada man mano che l'aumentava la latitudine. Partendo dal margine artico del Paese, si incontravano la tundra (che costituisce l'8% della superficie complessiva), in cui il suolo permafrost consente la presenza dei soli muschi e licheni (tranne nella zona meridionale ove compaiono anche delle piante); seguivano la taiga (34% della superficie), un'immensa foresta di conifere che, andando verso Sud, si arricchisce di latifoglie, e poi la steppa (15% della superficie), costituita da terre nere assai fertili. In Asia centrale dalla steppa si passava alle aree semidesertiche del Kazakistan e a quelle desertiche della depressione caspica (14% del Paese), caratterizzate da terre sabbiose e scarsa vegetazione. Completano il quadro le inospitali aree montuose meridionali (29% della superficie) e la fascia mediterranea (1%). ║ Idrografia: in un Paese con atavici problemi di aridità, i fiumi svolgevano un ruolo piuttosto importante nella vita sovietica. Sei sono i bacini idrografici presenti sul territorio dell'URSS; di questi tre sono esoreici e tre sono endoreici. Gli esoreici sono: il bacino artico, con la Dvina Settentrionale che sfocia nel Mar Bianco, la Pečora che si getta nel Mar di Barents, l'Ob e l'Enisej che terminano il loro corso nel Mar di Kara, la Lena che sfocia nel Mar di Laptev; il bacino pacifico, drenato dall'Amur e dall'Anadyr; il bacino atlantico, che comprende Dnepr, Dnestr e Don (che sfociano nel Mar Nero) e Dvina Occidentale e Neva (che si gettano nel Baltico). I bacini endoreici sono, invece, il caspico (con Volga, Ural, Kuma), quello dell'Aral (Amu Dar'ja) e quello del Lago di Balchaš (Ili, Karatal, Lepsij). Quasi 300.000 sono, infine, i laghi; i più estesi sono, oltre al Mar Caspio, l'Aral, il Ladoga, il Bajkal e il Balchaš. ║ Clima: i territori che costituirono l'URSS si caratterizzano per un clima continentale su quasi tutto il suo territorio (ad eccezione della fascia mediterranea del Mar Nero), con notevoli escursioni termiche e inverni assai rigidi, nel corso dei quali la temperatura raggiunge valori abbondantemente sotto lo zero; ciò è dovuto essenzialmente alla presenza di rilievi montuosi a Sud che ostacolano l'arrivo delle correnti calde dell'Oceano Indiano e all'assenza di corrispondenti barriere naturali a Nord che limitino l'afflusso delle correnti artiche. Tre sono i sottotipi di continentalità di questi territori: media (aree occidentali, con elevate escursioni termiche e precipitazioni dell'ordine degli 800 mm annui); fredda (area siberiana, ove cresce l'escursione termica e le precipitazioni scendono a 500 mm) e arida (area caspica e asiatica centrale, escursioni termiche comunque rilevanti e precipitazioni scarse, dell'ordine dei 200 mm annui). Si può, comunque, rilevare come, in genere, escursione termica e durata del freddo diminuiscano al diminuire della latitudine e come poche siano le zone che non soffrono dell'insufficienza di piogge.

ECONOMIA

Nei primi anni di vita dell'URSS, la gestione dell'economia seguì le linee tracciate dalla NEP (Nuova Politica Economica) che ammetteva la proprietà privata delle imprese ma lasciava allo Stato ampi poteri nei settori giudicati vitali per l'economia del Paese. L'avvento di Stalin modificò radicalmente la situazione: fu, infatti, abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione e così pure il mercato, e fu attribuito allo Stato un ruolo di controllo diretto dell'economia. La pianificazione divenne lo strumento di attuazione degli intendimenti governativi: in questo modo a priori venivano fissati i livelli degli investimenti, determinate le priorità, definiti i tipi di beni da produrre, i prezzi di vendita. L'attenzione della classe dirigente sovietica si concentrò, in particolare, sul settore industriale, che fu sottoposto a una rigida centralizzazione sin dal primo dei vari Piani quinquennali di sviluppo che si susseguirono dal 1928 al 1990; i massicci investimenti dei quali l'industria sovietica ebbe a beneficiare e l'intensa macchina propagandista impiegata per incentivare aumenti della produttività permisero, in un periodo di tempo estremamente limitato, un impressionante decollo industriale (si calcola che il valore della produzione industriale sia cresciuto di 160 volte dal 1917 alla fine degli anni Ottanta). Di tutto questo fece le spese il settore agricolo che, sottoposto a un violento processo di collettivizzazione forzata che portò all'eliminazione fisica dei contadini ricchi (i kulaki) e a una drastica riduzione della produttività delle campagne, entrò, allora, in una crisi irreversibile. In definitiva, gli anni staliniani furono, da un punto di vista economico, contraddistinti da una trasformazione dell'URSS nelle sue caratteristiche strutturali; tale trasformazione si concretizzò in una radicale riorganizzazione degli spazi rurali e industriali, in un'intensa attività di urbanizzazione coatta della manodopera (anche attraverso una rigida politica di soppressione del nomadismo), in una politica economica orientata a privilegiare l'industria rispetto all'agricoltura e l'industria dei beni di produzione rispetto a quella dei beni di consumo. Sebbene queste linee-guida siano sopravvissute al suo ideatore (tanto è vero che solo due piani quinquennali, quello 1961-65 e quello 1985-90, provarono a favorire la produzione di beni di consumo), v'è anche da riconoscere che negli anni Cinquanta ebbe inizio una fase in cui furono tentate alcune innovazioni: si provò, infatti, da un lato a valorizzare, sia sotto il profilo agricolo sia sotto quello industriale, le aree asiatiche, dall'altro a decentrare la pianificazione con la creazione di 18 regioni economiche dotate di autonomia decisionale. Se il primo obiettivo poté essere raggiunto, non si può dire lo stesso per il decentramento che, nella sostanza, fallì (principalmente a causa dello scarso collegamento tra le regioni), cosicché nel 1965 si fece ritorno alla pianificazione centralizzata. Le spinte autonomistiche suggerirono, tuttavia, già all'inizio degli anni Settanta di mitigare la centralizzazione con alcune misure che garantivano spazi di autonomia ai poteri regionali e locali; non v'è dubbio, però, che la loro funzione rimase sempre subalterna rispetto al potere centrale. Solo con gli anni Ottanta, si provvide a ridurre la pianificazione e a tentare di creare un mercato che facesse da volano per l'ammodernamento del Paese e l'aumento della produzione; questo non evitò, tuttavia, all'URSS di sfuggire a una vera e propria crisi strutturale, in cui si venivano a mescolare fattori interni (cronica insufficienza dei beni di consumo, evidente arretratezza tecnologica, disparità di condizioni tra zona europea e zona asiatica, eccessiva terziarizzazione della forza-lavoro) e fattori esterni (diminuzione del prezzo del petrolio e del gas naturale, calo del dollaro con cui venivano pagate all'URSS le esportazioni). Tale crisi, unita all'emergere di tendenze autonomiste all'interno del Paese, avrebbe pesantemente contribuito al collasso politico del Paese agli inizi degli anni Novanta. ║ Agricoltura: benché alla fine degli anni Novanta fornisse oltre il 20% del prodotto interno lordo dell'URSS, facendone in questo modo la seconda potenza agricola del mondo, l'agricoltura sovietica scontava le notevoli difficoltà climatiche e le inefficienze e gli squilibri produttivi del sistema, che impedivano l'ottenimento di rese adeguate agli investimenti. In quest'ottica va letta la riforma agraria del 1990, che intendeva modificare l'organizzazione produttiva strutturata in aziende cooperative (kolchoz) o statali (sovchoz) e introdurre la possibilità per i contadini di avere la terra in usufrutto vitalizio, pur senza sottrarre allo Stato la proprietà. Col tempo, venne anche abbandonata la politica della bonifica delle terre vergini, politica che, nei decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, aveva consentito di incrementare considerevolmente la produzione (in particolare, di lino, cotone, canapa, tabacco, barbabietola da zucchero). L'azione dell'uomo non poteva naturalmente trasformare la realtà morfologica dell'URSS; non stupisce, da questo punto di vista, che, negli ultimi anni precedenti il crollo del regime sovietico, la produzione agricola rispecchiasse in larga misura la distribuzione delle fasce vegetative. Così, la tundra ospitava allevamento delle renne e coltivazioni in serra, la taiga corrispondeva all'area dell'economia forestale, la steppa forniva nelle terre nere cereali (grano, mais), soia, barbabietola da zucchero, nelle aree più aride cotone e tabacco, la fascia mediterranea offriva ortaggi, agrumi, vino e tè. ║ Allevamento: diffuso pressoché ovunque (tranne nelle zone musulmane) era, invece, l'allevamento bovino e suino, così come la pesca, che veniva praticata sia sul mare sia nelle acque interne. ║ Risorse minerarie: un discorso ben diverso si può fare, invece, per le risorse minerarie ed energetiche, di cui l'URSS risultava ricchissimo. L'URSS era, ad esempio, il primo produttore mondiale di petrolio grazie ai giacimenti dell'area compresa tra il Volga e gli Urali, della Siberia occidentale, della piana dell'Ob e di Baku; in realtà, poi, fino alla metà degli anni Ottanta quasi il 70% dell'energia elettrica venne prodotta impiegando il carbone, presente anch'esso in quantità copiosa (il 18% delle riserve mondiali accertate) sul territorio sovietico (giacimenti nel Kuzbass, a Karaganda e a Vorkuta). L'URSS era anche il primo produttore mondiale di gas naturale (giacimenti della Siberia, dell'Ucraina e dell'Asia centrale) e lignite, e tra i primi per quanto riguarda ferro, nichel, platino, oro, rame e manganese; solo bauxite e stagno, peraltro presenti in discreta quantità, venivano importati. A fronte di questa abbondanza di materie prime, l'URSS dovette scontare notevoli difficoltà legate agli elevati costi di trasporto per il loro sfruttamento, dal momento che le maggiori riserve erano situate a Est degli Urali, mentre il loro utilizzo e l'esportazione avvenivano nella zona europea. Così, oltre che a costruire gasdotti, oleodotti e ferrovie minerarie, lo Stato decise, infine, di indirizzare molti dei suoi investimenti nel settore dell'energia per potenziare la produzione idroelettrica (che arrivò a coprire il 15% del fabbisogno del Paese) e, soprattutto, per creare centrali nucleari; il ricorso a queste ultime subì, però, un sensibile ridimensionamento nel 1986 dopo l'incidente di Chernobyl (V.). ║ Industrie: la ricchezza di materie prime influì ovviamente nell'orientare la produzione industriale verso il settore pesante, il che determinò una crescita esponenziale dell'inquinamento e un evidente e mai recuperato ritardo tecnologico dell'URSS nei confronti dei Paesi occidentali in ambiti quali l'elettronica civile, la telematica e la meccanica di precisione. Particolarmente ingenti furono gli investimenti nella siderurgia e nella metallurgia, con la creazione di veri e propri distretti industriali attorno alle aree più ricche di materie prime. Accanto ai distretti industriali di Mosca e Pietroburgo, già sviluppati prima della Rivoluzione d'Ottobre, nacquero: il distretto dell'Ucraina, le cui industrie siderurgiche sfruttavano il carbone del Donbass e il ferro di Krivoj Rog e si integravano con le industrie per la produzione delle locomotive e dei macchinari pesanti; il distretto degli Urali, degli anni Trenta, all'interno del quale le industrie che lavoravano il ferro di Magnitogorsk e il carbone del Kuzbass si combinavano con le industrie dei trattori e dei macchinari pesanti (fu questo a lungo il più importante distretto industriale del Paese); il distretto di Kuznetsk, che si organizzò attorno al ferro presente nell'area, collegandolo al carbone del Kuzbass, e che diede impulso per la costruzione degli impianti industriali di Novosibirsk e di Tomsk; il distretto di Karaganda, che sfruttava giacimenti carboniferi e ferrosi locali. Non va, poi, dimenticata l'area industriale del Volga, ove furono realizzate centrali idroelettriche, impianti petrolchimici e industrie specializzate nella produzione di materiali e mezzi di trasporto. L'impegno sovietico verso l'industria pesante non determinò, però, lo sviluppo della sola industria siderurgica: anche la produzione di alluminio, quella del cemento, la chimica pesante e la meccanica pesante beneficiarono notevolmente degli investimenti statali. Quest'ultima, in particolare, dislocata essenzialmente nella parte europea dell'URSS, raggiunse degli standard elevati anche da un punto di vista qualitativo nella produzione di macchine utensili, di macchinari per l'industria, per il trasporto, per l'agricoltura e di materiali ferroviari; né vanno scordati i cantieri navali di Murmansk, Arcangelo, Vladivostok, Odessa. Di livello inferiore erano, invece, le produzioni meccaniche leggere (frigoriferi, televisori, lavatrici). Nella zona europea, un buon grado di sviluppo raggiunse l'industria chimica, specialmente nei settori della lavorazione e raffinazione del petrolio, della chimica di base, della produzione di fibre sintetiche; arretrata rimaneva, invece, l'industria farmaceutica. Diffusa in tutto il Paese era l'industria alimentare, mentre concentrata nella zona europea e nell'Asia centrale sovietica risultava essere l'industria tessile; sotto la pressione della crisi degli alloggi, evidenti progressi si ebbero, infine, negli anni Sessanta nel settore edilizio. Scarsamente redditizio risultava il turismo: sebbene, infatti, i visitatori dell'URSS a metà degli anni Ottanta si fossero quintuplicati rispetto a 20 anni prima, il loro numero (7 milioni) restava, comunque, decisamente inferiore se confrontato con quello dei Paesi occidentali; ciò era dovuto in gran parte all'eccessiva burocratizzazione delle strutture turistiche, sottoposte alla gestione di un ente di Stato, l'Inturist. Nemmeno il turismo interno risultava essere particolarmente sviluppato: anche in questo caso, il principale ostacolo era costituito dalla burocrazia, essendo le attività turistiche di fatto monopolizzate dalle organizzazioni legate al Partito comunista, all'atto pratico incapaci di rispondere alle esigenze della popolazione. ║ Comunicazioni: difficoltà climatiche e naturali penalizzavano le comunicazioni. Per ovviare alle grandi distanze tra le località del Paese, la politica sovietica dei trasporti privilegiò l'aereo (quasi tutte le città con almeno 100.000 ab. disponevano di un aeroporto e le tariffe erano assai basse) e la ferrovia. Meno sviluppato era, invece, il trasporto su gomma, che pagava la modestia delle infrastrutture, soprattutto di quelle autostradali. Notevole era, invece, la consistenza della flotta mercantile (la quinta al mondo), che pure risultava fortemente condizionata dai ghiacci che rendevano Murmansk l'unico porto accessibile tutto l'anno; di rilievo era anche la navigazione interna, che sfruttava una rete di 125.000 km (sebbene molti di questi risultavano impraticabili a causa del gelo per gran parte dell'anno). La bilancia commerciale ancora negli ultimi anni del regime sovietico rimase costantemente attiva: le importazioni di tecnologia, beni strumentali, mezzi di trasporto e prodotti alimentari erano, infatti, compensate dall'esportazione di fonti di energia, minerali, metalli preziosi e armamenti.

STORIA

La nascita ufficiale dell'URSS risale al dicembre del 1922, allorché la Repubblica socialista federativa sovietica russa, la Bielorussia, l'Ucraina e la Federazione transcaucasica (composta da Georgia, Armenia e Azerbaigian) decisero la loro unione. A queste si aggiunsero di lì a poco il Turkmenistan e l'Uzbekistan (1924), quindi il Tagikistan (1929), infine, il Kazakistan, il Kirghizistan e, previo scioglimento della Federazione transacaucasica, la Georgia, l'Armenia e l'Azerbaigian (1936). La Costituzione del 1923, entrata in vigore nel 1924, che sancì l'URSS come Stato socialista, annacquò, però, i principi federali, stabilendo una distribuzione di poteri sfavorevole alle singole Repubbliche. A questa centralizzazione si abbinarono presto due ulteriori elementi che condizionarono pesantemente la vita politica sovietica: da un lato la superiorità di fatto che, a dispetto dell'uguaglianza formale tra le Repubbliche, venne acquisendo la Russia, forte del 90% del territorio e del 70% della popolazione del Paese; dall'altro l'assoluta preponderanza del Partito comunista, che divenne da subito l'effettivo titolare del Governo sovietico. Il principale problema che dovette affrontare la classe dirigente della neonata URSS riguardava la crisi economica che attanagliava i suoi territori; sebbene, infatti, già verso la fine del 1922 la nuova politica economica (V. NEP) avesse iniziato a dare alcuni frutti nel settore agricolo, l'industria non raggiungeva quei livelli che sarebbero stati necessari per ovviare all'ormai cronica carenza di beni di consumo. Sulla strategia da perseguire per avviare lo sviluppo economico, nacquero all'interno della dirigenza sovietica accesi contrasti, che si intersecarono, dopo la morte di Lenin (gennaio 1924), con la lotta per il controllo del partito (PCUS). Da questa lotta, che si protrasse fino agli anni 1928-29, uscì alla fine vincitore il commissario per le nazionalità Stalin: egli dapprima emarginò l'opposizione di sinistra e il suo leader, L.D. Trotzkij (espulso dal partito nel 1927 ed esiliato nel 1929), che insisteva sulla necessità di esportare la rivoluzione, quindi sconfessò la destra del partito (rappresentata da N.J. Bucharin e alla quale si era appoggiato in precedenza), che vedeva nella continuazione della NEP lo strumento più adeguato per quell'espansione agricola che avrebbe consentito di ottenere i capitali necessari per il decollo industriale. Il programma staliniano, incentrato sulla pianificazione economica e sull'industrializzazione forzata da finanziarsi con un'agricoltura ripensata su basi collettivistiche, fu completato nel giro di un decennio: ne fecero le spese, soprattutto, i contadini benestanti (kulaki), che furono eliminati fisicamente allo scopo di favorire la creazione di grandi fattorie statali (kolchoz). Questi provvedimenti e l'adozione di un piano quinquennale per lo sviluppo industriale da realizzare negli anni 1929-33 ebbero conseguenze disastrose sulla produzione agricola e abbassarono notevolmente gli standard di vita della popolazione, ma favorirono indubbiamente l'industrializzazione del Paese; la pianificazione centralizzata e il ricorso a massicci investimenti consentirono, infatti, di sfruttare al meglio le enormi risorse naturali del Paese. La produzione si giovò anche dell'utilizzo di un'impressionante macchina propagandistica e, sebbene abbinata a una legislazione sul lavoro oltremodo repressiva (con la trasformazione dei sindacati in istituzioni statali e la proibizione di cambiare lavoro senza il permesso dell'autorità), dell'introduzione di premi materiali e morali agli operai. Per tutto questo, benché, al di là della propaganda ufficiale, gli irrealistici obiettivi del piano quinquennale fossero ben lontani dall'essere raggiunti, la crescita fu, comunque, ragguardevole, con aumenti della produzione industriale in media del 50% e con punte del 200% nei settori del carbone e dell'acciaio; e un ulteriore incremento, stavolta del 120%, si ebbe con il secondo piano quinquennale (1933-37), che pure esasperò l'attenzione per l'industria bellica a scapito dei beni di consumo e dei servizi. Questi indubbi successi produttivi suscitarono grande ammirazione in certa opinione pubblica occidentale che, allora, ignorava in larga parte i costi umani dei piani di sviluppo (costi che furono particolarmente drammatici nelle campagne) e che sottovalutava le reali dimensioni delle purghe staliniane, in forza delle quali, a partire dal 1934, milioni di individui (oppositori del regime ma non solo) vennero soppressi o destinati ai campi di concentramento. Quanto alle scelte di politica estera, l'URSS, nel primo dopoguerra, pagò inizialmente l'ostilità delle potenze occidentali: soltanto la Germania accettò, infatti, di stabilire relazioni diplomatiche con l'URSS (1922). Fu solo verso la fine degli anni Venti che l'URSS fu inserita nel concerto europeo; l'ingresso nella Società delle Nazioni come membro permanente del Consiglio (1934) può essere considerato il punto di svolta a partire dal quale l'URSS cominciò a giocare un ruolo di primo piano sullo scacchiere internazionale. Così, nel 1935, l'URSS firmò trattati di alleanza con Francia e Cecoslovacchia e, tramite la Terza Internazionale, favorì la formazione dei Fronti popolari in Francia e Spagna. La guerra civile spagnola (1935-39) vide l'URSS impegnato a sostegno delle forze repubblicane: alla fornitura di materiale bellico e alla promozione di campagne per il reclutamento di volontari (inquadrati nelle Brigate Internazionali) fecero, però, da contraltare, a partire dalla primavera del 1937, alcuni atteggiamenti ambigui che fomentarono quelle divisioni interne alle forze antifranchiste che ne determinarono la sconfitta. Di fronte all'atteggiamento equivoco di Francia e Inghilterra e alla crescente minaccia giapponese a Oriente, l'URSS aveva, nel frattempo, operato un graduale avvicinamento alla Germania, che condusse i due Paesi alla stipula di un patto di non aggressione (Patto Molotov-Ribbentrop, 23 agosto 1939), col quale venivano anche definite le zone d'influenza nell'area orientale. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, l'URSS poté iniziare la sua politica di espansione territoriale; dapprima aggredì la Finlandia (novembre 1939), ottenendo dal trattato di pace (marzo 1940) la Carelia (che divenne Repubblica federata e tale rimase fino al 1956); successivamente si annetté, elevandole al rango di Repubbliche federate, Moldavia, Estonia, Lettonia e Lituania (agosto 1940). Il quadro politico-militare venne, però, presto a mutare: il 22 giugno 1941, infatti, la Germania lanciò un'offensiva contro l'URSS, che Stalin prevedeva, ma non come così immediata. L'URSS fu colta assolutamente impreparata e l'avanzata delle armate del Reich avvenne senza particolari difficoltà nel corso dell'estate; l'attacco a Mosca si sviluppò, però, troppo tardi, all'inizio di ottobre: il maltempo rallentò le operazioni tedesche e i Sovietici, forti di un apparato bellico formidabile e di una riserva di uomini che pareva inesauribile, già in dicembre poterono cominciare la controffensiva, fino a ottenere la vittoria decisiva a Stalingrado (gennaio 1943). L'impegno antinazista dell'URSS determinò anche un incremento del peso contrattuale sovietico all'interno dello schieramento alleato; fu su pressione sovietica, infatti, che nella Conferenza interalleata di Teheran (novembre-dicembre 1943) fu deciso lo sbarco in Normandia. Sul fronte bellico, dopo aver respinto l'ultimo attacco tedesco (luglio 1943), le truppe sovietiche avviarono una lenta ma inarrestabile avanzata che portò alla liberazione dell'Europa orientale e balcanica e che si concluse tra la fine di aprile e l'inizio di maggio del 1945 con la conquista di Berlino. Il successo militare fu, quindi, completato con l'acquisizione delle Isole Curili e dell'Isola di Sachalin, strappate al Giappone cui l'URSS aveva dichiarato guerra due giorni dopo il bombardamento statunitense su Hiroshima (6 agosto 1945). Uscita, dunque, vincitrice dal conflitto mondiale, l'URSS si poneva come uno dei pilastri su cui si sarebbe dovuto costruire il nuovo ordine europeo; in questo senso, già la Conferenza di Jalta (febbraio 1945) le aveva assegnato delle zone d'influenza sulle aree tradizionalmente turbolente dei Balcani e dell'Est Europa. Con la Conferenza di Potsdam (luglio-agosto 1945), però, il clima venne a mutare: Stati Uniti e URSS risultarono, infatti, profondamente divisi sul futuro assetto della Germania; a questo fattore di tensione si aggiunsero, poi, i disegni decisamente imperialistici dell'URSS in Europa orientale (disegni che, tra il 1945 e il 1948, si attualizzarono con la riduzione di Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Cecoslovacchia a Stati satelliti dell'URSS) e l'irrigidimento statunitense a seguito dell'avvento alla presidenza di H.S. Truman. Iniziava quella che il giornalista W. Lippmann battezzò efficacemente come “guerra fredda”, intendendo con ciò quella situazione di irriducibile ostilità che caratterizzava il blocco degli Stati occidentali (guidato dagli Stati Uniti) e quello degli Stati orientali. Stalin affrontò con intatta energia la nuova situazione: nel 1947 organizzò un ufficio d'informazione dei partiti comunisti, il COMINFORM (V.); rafforzò i legami con gli Stati satelliti sia sul piano economico - nel 1949 creò il COMECON (V.) - sia su quello militare (Patto di Varsavia, 1955); decretò la nascita della Repubblica democratica tedesca in risposta alla proclamazione della Repubblica federale tedesca (1949); decise l'intervento a sostegno dei comunisti cinesi durante la rivoluzione cinese del 1949 e nord-coreani durante la guerra di Corea del 1950-53. Gli eventi della “guerra fredda” da un lato rinsaldarono ancora di più la posizione di Stalin, che esasperò la repressione (soprattutto nei confronti dei vari gruppi etnici accusati piuttosto sbrigativamente di collaborazionismo con la Germania), dall'altro diede il pretesto al leader sovietico per continuare a investire nell'industria pesante e nel settore bellico in particolare; fu così che nel 1949 l'URSS fu in grado di produrre la sua prima bomba atomica e nel 1953 la sua prima bomba all'idrogeno. In questo modo, non trovò, però, soluzione la grave crisi economica e sociale di cui era preda il Paese; un'agricoltura in dissesto, una cronica carenza di beni di consumo e un'ormai perduta stabilità interna (tutt'altre che rare erano divenute le rivolte), questa fu l'eredità che lasciò Stalin ai suoi successori quando morì nel marzo 1953. Alla guida del partito subentrò N.S. Krusciov, mentre presidente del Consiglio (carica che Stalin deteneva dal 1941) divenne G.M. Malenkov; fu, allora, avviata una massiccia opera di destalinizzazione, con la subordinazione al partito dell'apparato della polizia politica; ne fece le spese il ministro degli Interni e capo della polizia L.P. Berija, arrestato e giustiziato nel dicembre 1953. Dopo la nomina a presidente del Consiglio di N. Bulganin (febbraio 1955), l'autorità di Krusciov crebbe considerevolmente e di fatto furono lui e gli uomini del partito a decidere delle scelte politiche sovietiche di quegli anni. Quasi subito fu deliberato di promuovere un amento della produzione; a questo scopo furono consentite le imprese individuali e furono incrementati i prezzi all'ammasso (1953), quindi (dal 1954) fu avviato un progetto di messa a coltura delle terre vergini dell'Est. I risultati furono incoraggianti, soprattutto in quanto associati a provvedimenti meno restrittivi della libertà individuale in ambito lavorativo, ma rimase il vizio d'origine della politica economica sovietica, vale a dire uno sbilanciamento degli investimenti nell'industria pesante e militare a scapito della produzione dei beni di consumo; il che poteva certo portare l'URSS a cogliere significative vittorie sul piano ideologico (come accadde, ad esempio, con il lancio nello Spazio dello sputnik nel 1957), ma finiva per sottrarre risorse che avrebbero potuto essere impiegate in altri settori a sostegno dello sviluppo economico. Enorme eco ebbe in quegli anni la denuncia dei crimini staliniani che Krusciov fece nel febbraio 1956 nel corso del XX Congresso del PCUS; all'atto pratico, però, tale denuncia si limitò a una critica della collettivizzazione e dell'industrializzazione forzata e a una riabilitazione degli oppositori di Stalin, lasciando, però, in vigore il sistema staliniano e riproducendone, nel giro di pochi mesi, perfino le pratiche: nel novembre 1956 fu, infatti, rovesciato dall'esercito sovietico il Governo riformista ungherese di I. Nagy. Divenuto presidente del Consiglio nel 1958, Krusciov dovette subire lo scacco americano all'epoca della crisi dei missili a Cuba (1962) e un progressivo deterioramento nei rapporti con la Cina, contraria alla sua opera di destalinizzazione; posto di fronte a nuove difficoltà economiche e osteggiato da un partito che cercava da tempo ma invano di riformare, nell'ottobre 1964 Krusciov fu, infine, costretto alle dimissioni. I suoi successori, L.I. Breznev alla guida del partito e A.N. Kosygin a quella del Governo, decisero alcune misure di limitata liberalizzazione sia in campo agricolo sia in campo industriale, che determinarono qualche miglioramento della situazione economica. Sulla scia di questi provvedimenti, che andavano in direzione di una riduzione del controllo statale sull'economia, si svilupparono in Cecoslovacchia alcune spinte riformiste che diedero vita a una liberalizzazione della vita politica; la primavera di Praga (V. PRAGA) fu, però, stroncata nell'agosto 1968 dall'intervento militare sovietico. Le vicende cecoslovacche colpirono profondamente l'opinione pubblica occidentale e suggerirono all'URSS l'adozione di una politica estera più cauta e basata sulla distensione; in un quadro caratterizzato da un generale miglioramento dei rapporti diplomatici, poterono, dunque, essere firmati il trattato di non proliferazione nucleare (luglio 1968), il Salt I (1972) e l'atto finale della CSCE (1975). Contemporaneamente, però, peggiorarono le relazioni con la Cina (che nel 1978 sarebbe stata protagonista di un clamoroso avvicinamento agli Stati Uniti), cosicché nel Sud-Est asiatico Mosca perseguì una politica aggressiva fatta di aiuti militari all'India, al Pakistan e al Vietnam (una politica che, nei primi anni Settanta, in un mondo diviso in due blocchi, adottò anche in zone strategiche come il Medio Oriente o il Corno d'Africa). L'imperialismo sovietico toccò il suo culmine con l'invasione dell'Afghanistan (dicembre 1979); questo avvenimento e l'appoggio sovietico al colpo di Stato militare di W. Jaruzelski in Polonia nel 1981 provocarono notevoli attriti con l'Occidente, senza che, però, venissero posti in discussione gli accordi formalizzati nel Salt II (1979). Una politica di riforme volte a garantire una base di consenso al regime fu, invece, avviata a partire dal 1969 sul fronte interno: sicurezza dell'impiego e prezzi tenuti artificialmente non giovavano, però, all'efficienza del sistema produttivo, che nei fatti si reggeva sull'esportazione di materie prime (gas, petrolio) senza che l'industria civile raggiungesse un accettabile livello di sviluppo (fu, anzi, negli anni Settanta che si produsse il gap tecnologico che avrebbe separato l'URSS dalle società occidentali). Lo stesso incremento del commercio estero ebbe degli esiti contraddittori per quel che concerne la stabilità del regime: se da un lato esso, consentendo l'importazione di una quantità di beni di consumo sufficiente a migliorare la qualità della vita della popolazione sovietica, rafforzò la stabilità interna, d'altro canto veicolò con sé anche un scambio di informazioni e di idee che, sul medio periodo, scatenò il dissenso. Breznev, che dal 1977 era divenuto anche capo dello Stato, reagì imponendo un giro di vite autoritario; con l'approvazione della nuova Costituzione del 1977 il partito fu istituzionalizzato e assunse un ruolo ancora più centrale nella vita del Paese. Quando Breznev morì (novembre 1982), divenne, però, evidente la necessità di un rinnovamento del sistema politico e di uno svecchiamento dei quadri del partito, non di rado implicati in casi di corruzione; proprio in una tenace battaglia contro la corruzione si impegnò il nuovo segretario del partito J.V. Andropov nel corso del suo breve mandato, terminato con la morte nel febbraio 1984. I poteri da Andropov passarono a K. Černenko e da questi, nel marzo 1985, a M. Gorbaciov. Costui non esitò ad avviare un profondo ricambio della classe dirigente sovietica, a promuovere una campagna per una maggiore trasparenza (glasnost) e libertà d'informazione e, a partire dal 1987, a mettere in moto una profonda ristrutturazione dell'economia (perestrojka) con l'introduzione di misure di sapore liberista. Né indugiò, di fronte alle difficoltà di attuazione di questi provvedimenti, a far approvare una nuova legge elettorale che ammettesse almeno in parte la pluralità degli schieramenti (marzo 1989). Nel contempo, Gorbaciov inaugurò una nuova linea in politica estera, che si concretizzò nel ritiro dall'Afghanistan (1989) e in un progressivo disimpegno nel Sud-Est asiatico; soprattutto, però, egli diede un sensibile contributo per la creazione di un clima di distensione nei rapporti con gli Stati Uniti, prodromo dei successivi accordi sulla riduzione degli armamenti (V. DISARMO). Nel frattempo, però, si venne determinando un notevole peggioramento delle condizioni economiche (dovuto al crollo della produzione industriale e alle conseguenti difficoltà nell'approvvigionamento alimentare) che si saldò all'emergere di vigorose istanze separatiste all'interno del Paese; Gorbaciov rinunciò alla prassi consolidata in URSS di reprimere con la forza le proteste di piazza ed evitò altresì di intervenire negli Stati satellite a sostegno di regimi comunisti ormai in disgrazia presso la popolazione e prossimi alla caduta. L'URSS medesimo era, del resto, entrato in agonia: le elezioni multipartitiche del 1990-91 sancirono la vittoria in molte Repubbliche federate delle forze nazionaliste e in Lituania, Lettonia ed Estonia fu proclamata l'indipendenza. Gorbaciov (che nel marzo 1990 era stato eletto presidente della Repubblica e che dal novembre di quello stesso anno aveva ulteriormente ampliato i suoi poteri) invano tentò di mantenere unito lo Stato concendendo maggiori autonomie alle Repubbliche; nell'agosto 1991, infatti, al momento della firma del nuovo trattato che avrebbe dovuto regolare i rapporti tra le Repubbliche sovietiche, alcuni esponenti del Governo centrale, del PCUS e del KGB misero in atto un tentativo di colpo di Stato che, però, fallì per l'opposizione delle forze democratiche e per il mancato appoggio dell'esercito. La situazione precipitò: il presidente del Soviet supremo della Repubblica russa B.N. Eltsin acquisì di fatto il potere e ne approfittò per liquidare il PCUS, mentre le varie Repubbliche, una dopo l'altra, proclamarono l'indipendenza dall'URSS. L'incontro dell'8 dicembre 1991 tra i presidenti delle tre Repubbliche slave (Russia, Ucraina e Russia Bianca) sancì l'impossibilità di addivenire a un nuovo trattato di unione e la dichiarazione di dissoluzione dell'URSS ne fu la logica conclusione. Il 21 dicembre, quattro giorni prima che Gorbaciov si dimettesse da presidente dell'URSS, 11 Repubbliche diedero vita alla Comunità di stati indipendenti (V. CSI), mentre la Russia ereditava buona parte delle prerogative dell'URSS, tra cui il seggio all'interno del Consiglio di sicurezza dell'ONU e il controllo dell'arsenale nucleare.
Modello tridimensionale di camion sovietico lanciarazzi

LETTERATURA, ARTE, MUSICA

V. I SINGOLI STATI che componevano l'URSS.