Stato (22.000.000 kmq; 286.717.000 ab. nel 1989)
federale costituito nel dicembre 1922, sulla scia degli eventi scatenati dalla
Rivoluzione d'Ottobre, e dissoltosi nel dicembre 1991. Si estendeva su quella
parte dell'Europa orientale e dell'Asia centro-settentrionale in precedenza
soggetta all'Impero russo, con la sola eccezione della Finlandia e dei territori
occidentali di Ucraina e Bielorussia (tornati sotto la sovranità
polacca). Si affacciava a Nord sul Mar Glaciale Artico, a Est sull'Oceano
Pacifico, a Sud-Ovest sul Mar Nero, sul Mar Caspio e sul Mar d'Azov, a
Nord-Ovest sul Mar Baltico; confinava a Sud con la Corea del Nord, la Cina, la
Mongolia, l'Afghanistan, l'Iran, la Turchia, a Ovest con la Romania, l'Ungheria,
la Cecoslovacchia, la Polonia, a Nord-Ovest con la Finlandia e la Norvegia.
Capitale: Mosca. Città principali: Leningrado (l'odierna San
Pietroburgo), Taškent, Kiev, Minsk, Tbilisi, Harkov, Baku, Gorki,
Sverdlovsk, Alma-Ata. Ordinamento: Repubblica federale socialista composta da 15
Repubbliche federate (Russia, Ucraina, Bielorussia, Estonia, Lettonia, Lituania,
Moldavia, Armenia, Georgia, Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan,
Tagikistan, Turkmenistan - V. I SINGOLI STATI),
nell'ambito delle quali esistevano 20 Repubbliche autonome. Organo federale
supremo era il Soviet Supremo, suddiviso in due Camere (Soviet dell'Unione e
Soviet delle Nazionalità) elette a suffragio universale per cinque anni.
Moneta: rublo. Lingua ufficiale: russo; venivano parlate circa 200 lingue.
Religione: greco-ortodossa; esistevano numerose comunità protestanti,
cattoliche, ebree, musulmane. Popolazione: la distribuzione demografica
dell'
URSS si caratterizzava per un forte sbilanciamento in favore della
Repubblica economicamente più progredita, la Russia, ove risiedevano
oltre la metà degli abitanti dell'intero Paese; pur senza raggiungere i
livelli russi, erano assai popolate anche l'Ucraina e l'Uzbekistan. Anche per
quel che concerne la composizione etnica esisteva un predominio russo:
nonostante fossero riconosciuti ufficialmente una cinquantina di gruppi
etno-linguistici, russo era, infatti, il 50% della popolazione
sovietica.
GEOGRAFIA
L'
URSS ha rappresentato il più
esteso Stato del mondo; al riguardo basti dire che esso costituiva un settimo di
tutte le terre emerse. ║
Morfologia: a dispetto delle sue enormi
dimensioni, tuttavia, il territorio sovietico era caratterizzato da una notevole
uniformità morfologica, in cui predominava la presenza di pianure a terre
basse, interrotte solo dalla catena degli Urali e da poche altre modeste alture.
Si era soliti suddividere l'
URSS in quattro regioni naturali: l'
area
delle catene montuose, che faceva da cornice all'intero territorio e correva
lungo tutto il confine meridionale del Paese, comprendendo i Carpazi, i Monti
della Crimea, il Caucaso, il Khorāsān, i Tien Shan e gli Altaj;
l'
area russa, che occupava quasi interamente le terre a Ovest degli Urali
(tranne i Carpazi e il Caucaso), caratterizzate da bassopiani (baltico,
sarmatico, bielorusso-ucraino) qua e là intervallati da alture che non
raggiungono i 500 m (alture del Volga, Monti Timani); l'
Asia centrale
sovietica, una grande area desertica compresa tra il Mar Caspio, l'Ural, il
Bassopiano Siberiano e le catene montuose meridionali; la
Siberia,
suddivisa tra
terre basse, situate nel bacino dell'Ob e abbastanza
fertili nella fascia centromeridionale, e le
terre alte, dislocate
nell'area segnata dal fiume Lena. ║
Flora: la vegetazione manteneva
nel territorio sovietico un andamento piuttosto uniforme, facendosi sempre
più rada man mano che l'aumentava la latitudine. Partendo dal margine
artico del Paese, si incontravano la tundra (che costituisce l'8% della
superficie complessiva), in cui il suolo permafrost consente la presenza dei
soli muschi e licheni (tranne nella zona meridionale ove compaiono anche delle
piante); seguivano la taiga (34% della superficie), un'immensa foresta di
conifere che, andando verso Sud, si arricchisce di latifoglie, e poi la steppa
(15% della superficie), costituita da terre nere assai fertili. In Asia centrale
dalla steppa si passava alle aree semidesertiche del Kazakistan e a quelle
desertiche della depressione caspica (14% del Paese), caratterizzate da terre
sabbiose e scarsa vegetazione. Completano il quadro le inospitali aree montuose
meridionali (29% della superficie) e la fascia mediterranea (1%). ║
Idrografia:
in un Paese con atavici problemi di aridità, i
fiumi svolgevano un ruolo piuttosto importante nella vita sovietica. Sei sono i
bacini idrografici presenti sul territorio dell'
URSS; di questi tre sono
esoreici e tre sono endoreici. Gli esoreici sono: il
bacino artico, con
la Dvina Settentrionale che sfocia nel Mar Bianco, la Pečora che si getta
nel Mar di Barents, l'Ob e l'Enisej che terminano il loro corso nel Mar di Kara,
la Lena che sfocia nel Mar di Laptev; il
bacino pacifico, drenato
dall'Amur e dall'Anadyr; il
bacino atlantico, che comprende Dnepr, Dnestr
e Don (che sfociano nel Mar Nero) e Dvina Occidentale e Neva (che si gettano nel
Baltico). I bacini endoreici sono, invece, il
caspico (con Volga, Ural,
Kuma), quello dell'Aral (Amu Dar'ja) e quello del Lago di Balchaš (Ili,
Karatal, Lepsij). Quasi 300.000 sono, infine, i laghi; i più estesi sono,
oltre al Mar Caspio, l'Aral, il Ladoga, il Bajkal e il Balchaš. ║
Clima: i territori che costituirono l'
URSS si caratterizzano per
un clima continentale su quasi tutto il suo territorio (ad eccezione della
fascia mediterranea del Mar Nero), con notevoli escursioni termiche e inverni
assai rigidi, nel corso dei quali la temperatura raggiunge valori
abbondantemente sotto lo zero; ciò è dovuto essenzialmente alla
presenza di rilievi montuosi a Sud che ostacolano l'arrivo delle correnti calde
dell'Oceano Indiano e all'assenza di corrispondenti barriere naturali a Nord che
limitino l'afflusso delle correnti artiche. Tre sono i sottotipi di
continentalità di questi territori:
media (aree occidentali, con
elevate escursioni termiche e precipitazioni dell'ordine degli 800 mm annui);
fredda (area siberiana, ove cresce l'escursione termica e le
precipitazioni scendono a 500 mm) e
arida (area caspica e asiatica
centrale, escursioni termiche comunque rilevanti e precipitazioni scarse,
dell'ordine dei 200 mm annui). Si può, comunque, rilevare come, in
genere, escursione termica e durata del freddo diminuiscano al diminuire della
latitudine e come poche siano le zone che non soffrono dell'insufficienza di
piogge.
ECONOMIA
Nei primi anni di vita dell'
URSS, la
gestione dell'economia seguì le linee tracciate dalla NEP (Nuova Politica
Economica) che ammetteva la proprietà privata delle imprese ma lasciava
allo Stato ampi poteri nei settori giudicati vitali per l'economia del Paese.
L'avvento di Stalin modificò radicalmente la situazione: fu, infatti,
abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione e così pure
il mercato, e fu attribuito allo Stato un ruolo di controllo diretto
dell'economia. La pianificazione divenne lo strumento di attuazione degli
intendimenti governativi: in questo modo a priori venivano fissati i livelli
degli investimenti, determinate le priorità, definiti i tipi di beni da
produrre, i prezzi di vendita. L'attenzione della classe dirigente sovietica si
concentrò, in particolare, sul settore industriale, che fu sottoposto a
una rigida centralizzazione sin dal primo dei vari Piani quinquennali di
sviluppo che si susseguirono dal 1928 al 1990; i massicci investimenti dei quali
l'industria sovietica ebbe a beneficiare e l'intensa macchina propagandista
impiegata per incentivare aumenti della produttività permisero, in un
periodo di tempo estremamente limitato, un impressionante decollo industriale
(si calcola che il valore della produzione industriale sia cresciuto di 160
volte dal 1917 alla fine degli anni Ottanta). Di tutto questo fece le spese il
settore agricolo che, sottoposto a un violento processo di collettivizzazione
forzata che portò all'eliminazione fisica dei contadini ricchi (i
kulaki) e a una drastica riduzione della produttività delle
campagne, entrò, allora, in una crisi irreversibile. In definitiva, gli
anni staliniani furono, da un punto di vista economico, contraddistinti da una
trasformazione dell'
URSS nelle sue caratteristiche strutturali; tale
trasformazione si concretizzò in una radicale riorganizzazione degli
spazi rurali e industriali, in un'intensa attività di urbanizzazione
coatta della manodopera (anche attraverso una rigida politica di soppressione
del nomadismo), in una politica economica orientata a privilegiare l'industria
rispetto all'agricoltura e l'industria dei beni di produzione rispetto a quella
dei beni di consumo. Sebbene queste linee-guida siano sopravvissute al suo
ideatore (tanto è vero che solo due piani quinquennali, quello 1961-65 e
quello 1985-90, provarono a favorire la produzione di beni di consumo),
v'è anche da riconoscere che negli anni Cinquanta ebbe inizio una fase in
cui furono tentate alcune innovazioni: si provò, infatti, da un lato a
valorizzare, sia sotto il profilo agricolo sia sotto quello industriale, le aree
asiatiche, dall'altro a decentrare la pianificazione con la creazione di 18
regioni economiche dotate di autonomia decisionale. Se il primo obiettivo
poté essere raggiunto, non si può dire lo stesso per il
decentramento che, nella sostanza, fallì (principalmente a causa dello
scarso collegamento tra le regioni), cosicché nel 1965 si fece ritorno
alla pianificazione centralizzata. Le spinte autonomistiche suggerirono,
tuttavia, già all'inizio degli anni Settanta di mitigare la
centralizzazione con alcune misure che garantivano spazi di autonomia ai poteri
regionali e locali; non v'è dubbio, però, che la loro funzione
rimase sempre subalterna rispetto al potere centrale. Solo con gli anni Ottanta,
si provvide a ridurre la pianificazione e a tentare di creare un mercato che
facesse da volano per l'ammodernamento del Paese e l'aumento della produzione;
questo non evitò, tuttavia, all'
URSS di sfuggire a una vera e
propria crisi strutturale, in cui si venivano a mescolare fattori interni
(cronica insufficienza dei beni di consumo, evidente arretratezza tecnologica,
disparità di condizioni tra zona europea e zona asiatica, eccessiva
terziarizzazione della forza-lavoro) e fattori esterni (diminuzione del prezzo
del petrolio e del gas naturale, calo del dollaro con cui venivano pagate
all'
URSS le esportazioni). Tale crisi, unita all'emergere di tendenze
autonomiste all'interno del Paese, avrebbe pesantemente contribuito al collasso
politico del Paese agli inizi degli anni Novanta. ║
Agricoltura:
benché alla fine degli anni Novanta fornisse oltre il 20% del prodotto
interno lordo dell'
URSS, facendone in questo modo la seconda potenza
agricola del mondo, l'agricoltura sovietica scontava le notevoli
difficoltà climatiche e le inefficienze e gli squilibri produttivi del
sistema, che impedivano l'ottenimento di rese adeguate agli investimenti. In
quest'ottica va letta la riforma agraria del 1990, che intendeva modificare
l'organizzazione produttiva strutturata in aziende cooperative (
kolchoz)
o statali (
sovchoz) e introdurre la possibilità per i contadini di
avere la terra in usufrutto vitalizio, pur senza sottrarre allo Stato la
proprietà. Col tempo, venne anche abbandonata la politica della bonifica
delle terre vergini, politica che, nei decenni successivi alla fine della
seconda guerra mondiale, aveva consentito di incrementare considerevolmente la
produzione (in particolare, di lino, cotone, canapa, tabacco, barbabietola da
zucchero). L'azione dell'uomo non poteva naturalmente trasformare la
realtà morfologica dell'
URSS; non stupisce, da questo punto di
vista, che, negli ultimi anni precedenti il crollo del regime sovietico, la
produzione agricola rispecchiasse in larga misura la distribuzione delle fasce
vegetative. Così, la tundra ospitava allevamento delle renne e
coltivazioni in serra, la taiga corrispondeva all'area dell'economia forestale,
la steppa forniva nelle terre nere cereali (grano, mais), soia, barbabietola da
zucchero, nelle aree più aride cotone e tabacco, la fascia mediterranea
offriva ortaggi, agrumi, vino e tè. ║
Allevamento: diffuso
pressoché ovunque (tranne nelle zone musulmane) era, invece,
l'allevamento bovino e suino, così come la pesca, che veniva praticata
sia sul mare sia nelle acque interne. ║
Risorse minerarie: un
discorso ben diverso si può fare, invece, per le risorse minerarie ed
energetiche, di cui l'
URSS risultava ricchissimo. L'
URSS era, ad
esempio, il primo produttore mondiale di petrolio grazie ai giacimenti dell'area
compresa tra il Volga e gli Urali, della Siberia occidentale, della piana
dell'Ob e di Baku; in realtà, poi, fino alla metà degli anni
Ottanta quasi il 70% dell'energia elettrica venne prodotta impiegando il
carbone, presente anch'esso in quantità copiosa (il 18% delle riserve
mondiali accertate) sul territorio sovietico (giacimenti nel Kuzbass, a
Karaganda e a Vorkuta). L'
URSS era anche il primo produttore mondiale di
gas naturale (giacimenti della Siberia, dell'Ucraina e dell'Asia centrale) e
lignite, e tra i primi per quanto riguarda ferro, nichel, platino, oro, rame e
manganese; solo bauxite e stagno, peraltro presenti in discreta quantità,
venivano importati. A fronte di questa abbondanza di materie prime,
l'
URSS dovette scontare notevoli difficoltà legate agli elevati
costi di trasporto per il loro sfruttamento, dal momento che le maggiori riserve
erano situate a Est degli Urali, mentre il loro utilizzo e l'esportazione
avvenivano nella zona europea. Così, oltre che a costruire gasdotti,
oleodotti e ferrovie minerarie, lo Stato decise, infine, di indirizzare molti
dei suoi investimenti nel settore dell'energia per potenziare la produzione
idroelettrica (che arrivò a coprire il 15% del fabbisogno del Paese) e,
soprattutto, per creare centrali nucleari; il ricorso a queste ultime
subì, però, un sensibile ridimensionamento nel 1986 dopo
l'incidente di Chernobyl (V.). ║
Industrie: la ricchezza di materie prime influì ovviamente
nell'orientare la produzione industriale verso il settore pesante, il che
determinò una crescita esponenziale dell'inquinamento e un evidente e mai
recuperato ritardo tecnologico dell'
URSS nei confronti dei Paesi
occidentali in ambiti quali l'elettronica civile, la telematica e la meccanica
di precisione. Particolarmente ingenti furono gli investimenti nella siderurgia
e nella metallurgia, con la creazione di veri e propri distretti industriali
attorno alle aree più ricche di materie prime. Accanto ai distretti
industriali di Mosca e Pietroburgo, già sviluppati prima della
Rivoluzione d'Ottobre, nacquero: il distretto dell'Ucraina, le cui industrie
siderurgiche sfruttavano il carbone del Donbass e il ferro di Krivoj Rog e si
integravano con le industrie per la produzione delle locomotive e dei macchinari
pesanti; il distretto degli Urali, degli anni Trenta, all'interno del quale le
industrie che lavoravano il ferro di Magnitogorsk e il carbone del Kuzbass si
combinavano con le industrie dei trattori e dei macchinari pesanti (fu questo a
lungo il più importante distretto industriale del Paese); il distretto di
Kuznetsk, che si organizzò attorno al ferro presente nell'area,
collegandolo al carbone del Kuzbass, e che diede impulso per la costruzione
degli impianti industriali di Novosibirsk e di Tomsk; il distretto di Karaganda,
che sfruttava giacimenti carboniferi e ferrosi locali. Non va, poi, dimenticata
l'area industriale del Volga, ove furono realizzate centrali idroelettriche,
impianti petrolchimici e industrie specializzate nella produzione di materiali e
mezzi di trasporto. L'impegno sovietico verso l'industria pesante non
determinò, però, lo sviluppo della sola industria siderurgica:
anche la produzione di alluminio, quella del cemento, la chimica pesante e la
meccanica pesante beneficiarono notevolmente degli investimenti statali.
Quest'ultima, in particolare, dislocata essenzialmente nella parte europea
dell'
URSS, raggiunse degli standard elevati anche da un punto di vista
qualitativo nella produzione di macchine utensili, di macchinari per
l'industria, per il trasporto, per l'agricoltura e di materiali ferroviari;
né vanno scordati i cantieri navali di Murmansk, Arcangelo, Vladivostok,
Odessa. Di livello inferiore erano, invece, le produzioni meccaniche leggere
(frigoriferi, televisori, lavatrici). Nella zona europea, un buon grado di
sviluppo raggiunse l'industria chimica, specialmente nei settori della
lavorazione e raffinazione del petrolio, della chimica di base, della produzione
di fibre sintetiche; arretrata rimaneva, invece, l'industria farmaceutica.
Diffusa in tutto il Paese era l'industria alimentare, mentre concentrata nella
zona europea e nell'Asia centrale sovietica risultava essere l'industria
tessile; sotto la pressione della crisi degli alloggi, evidenti progressi si
ebbero, infine, negli anni Sessanta nel settore edilizio. Scarsamente redditizio
risultava il turismo: sebbene, infatti, i visitatori dell'
URSS a
metà degli anni Ottanta si fossero quintuplicati rispetto a 20 anni
prima, il loro numero (7 milioni) restava, comunque, decisamente inferiore se
confrontato con quello dei Paesi occidentali; ciò era dovuto in gran
parte all'eccessiva burocratizzazione delle strutture turistiche, sottoposte
alla gestione di un ente di Stato, l'Inturist. Nemmeno il turismo interno
risultava essere particolarmente sviluppato: anche in questo caso, il principale
ostacolo era costituito dalla burocrazia, essendo le attività turistiche
di fatto monopolizzate dalle organizzazioni legate al Partito comunista,
all'atto pratico incapaci di rispondere alle esigenze della popolazione. ║
Comunicazioni: difficoltà climatiche e naturali penalizzavano le
comunicazioni. Per ovviare alle grandi distanze tra le località del
Paese, la politica sovietica dei trasporti privilegiò l'aereo (quasi
tutte le città con almeno 100.000 ab. disponevano di un aeroporto e le
tariffe erano assai basse) e la ferrovia. Meno sviluppato era, invece, il
trasporto su gomma, che pagava la modestia delle infrastrutture, soprattutto di
quelle autostradali. Notevole era, invece, la consistenza della flotta
mercantile (la quinta al mondo), che pure risultava fortemente condizionata dai
ghiacci che rendevano Murmansk l'unico porto accessibile tutto l'anno; di
rilievo era anche la navigazione interna, che sfruttava una rete di 125.000 km
(sebbene molti di questi risultavano impraticabili a causa del gelo per gran
parte dell'anno). La bilancia commerciale ancora negli ultimi anni del regime
sovietico rimase costantemente attiva: le importazioni di tecnologia, beni
strumentali, mezzi di trasporto e prodotti alimentari erano, infatti, compensate
dall'esportazione di fonti di energia, minerali, metalli preziosi e
armamenti.
STORIA
La nascita ufficiale dell'
URSS risale al
dicembre del 1922, allorché la Repubblica socialista federativa sovietica
russa, la Bielorussia, l'Ucraina e la Federazione transcaucasica (composta da
Georgia, Armenia e Azerbaigian) decisero la loro unione. A queste si aggiunsero
di lì a poco il Turkmenistan e l'Uzbekistan (1924), quindi il Tagikistan
(1929), infine, il Kazakistan, il Kirghizistan e, previo scioglimento della
Federazione transacaucasica, la Georgia, l'Armenia e l'Azerbaigian (1936). La
Costituzione del 1923, entrata in vigore nel 1924, che sancì
l'
URSS come Stato socialista, annacquò, però, i principi
federali, stabilendo una distribuzione di poteri sfavorevole alle singole
Repubbliche. A questa centralizzazione si abbinarono presto due ulteriori
elementi che condizionarono pesantemente la vita politica sovietica: da un lato
la superiorità di fatto che, a dispetto dell'uguaglianza formale tra le
Repubbliche, venne acquisendo la Russia, forte del 90% del territorio e del 70%
della popolazione del Paese; dall'altro l'assoluta preponderanza del Partito
comunista, che divenne da subito l'effettivo titolare del Governo sovietico. Il
principale problema che dovette affrontare la classe dirigente della neonata
URSS riguardava la crisi economica che attanagliava i suoi territori;
sebbene, infatti, già verso la fine del 1922 la nuova politica economica
(V. NEP) avesse iniziato a dare alcuni frutti nel
settore agricolo, l'industria non raggiungeva quei livelli che sarebbero stati
necessari per ovviare all'ormai cronica carenza di beni di consumo. Sulla
strategia da perseguire per avviare lo sviluppo economico, nacquero all'interno
della dirigenza sovietica accesi contrasti, che si intersecarono, dopo la morte
di Lenin (gennaio 1924), con la lotta per il controllo del partito (PCUS). Da
questa lotta, che si protrasse fino agli anni 1928-29, uscì alla fine
vincitore il commissario per le nazionalità Stalin: egli dapprima
emarginò l'opposizione di sinistra e il suo leader, L.D. Trotzkij
(espulso dal partito nel 1927 ed esiliato nel 1929), che insisteva sulla
necessità di esportare la rivoluzione, quindi sconfessò la destra
del partito (rappresentata da N.J. Bucharin e alla quale si era appoggiato in
precedenza), che vedeva nella continuazione della NEP lo strumento più
adeguato per quell'espansione agricola che avrebbe consentito di ottenere i
capitali necessari per il decollo industriale. Il programma staliniano,
incentrato sulla pianificazione economica e sull'industrializzazione forzata da
finanziarsi con un'agricoltura ripensata su basi collettivistiche, fu completato
nel giro di un decennio: ne fecero le spese, soprattutto, i contadini benestanti
(
kulaki), che furono eliminati fisicamente allo scopo di favorire la
creazione di grandi fattorie statali (
kolchoz). Questi provvedimenti e
l'adozione di un
piano quinquennale per lo sviluppo industriale da
realizzare negli anni 1929-33 ebbero conseguenze disastrose sulla produzione
agricola e abbassarono notevolmente gli standard di vita della popolazione, ma
favorirono indubbiamente l'industrializzazione del Paese; la pianificazione
centralizzata e il ricorso a massicci investimenti consentirono, infatti, di
sfruttare al meglio le enormi risorse naturali del Paese. La produzione si
giovò anche dell'utilizzo di un'impressionante macchina propagandistica
e, sebbene abbinata a una legislazione sul lavoro oltremodo repressiva (con la
trasformazione dei sindacati in istituzioni statali e la proibizione di cambiare
lavoro senza il permesso dell'autorità), dell'introduzione di premi
materiali e morali agli operai. Per tutto questo, benché, al di là
della propaganda ufficiale, gli irrealistici obiettivi del piano quinquennale
fossero ben lontani dall'essere raggiunti, la crescita fu, comunque,
ragguardevole, con aumenti della produzione industriale in media del 50% e con
punte del 200% nei settori del carbone e dell'acciaio; e un ulteriore
incremento, stavolta del 120%, si ebbe con il
secondo piano quinquennale
(1933-37), che pure esasperò l'attenzione per l'industria bellica a
scapito dei beni di consumo e dei servizi. Questi indubbi successi produttivi
suscitarono grande ammirazione in certa opinione pubblica occidentale che,
allora, ignorava in larga parte i costi umani dei piani di sviluppo (costi che
furono particolarmente drammatici nelle campagne) e che sottovalutava le reali
dimensioni delle
purghe staliniane, in forza delle quali, a
partire dal 1934, milioni di individui (oppositori del regime ma non solo)
vennero soppressi o destinati ai campi di concentramento. Quanto alle scelte di
politica estera, l'
URSS, nel primo dopoguerra, pagò inizialmente
l'ostilità delle potenze occidentali: soltanto la Germania
accettò, infatti, di stabilire relazioni diplomatiche con l'
URSS
(1922). Fu solo verso la fine degli anni Venti che l'
URSS fu inserita nel
concerto europeo; l'ingresso nella Società delle Nazioni come membro
permanente del Consiglio (1934) può essere considerato il punto di svolta
a partire dal quale l'
URSS cominciò a giocare un ruolo di primo
piano sullo scacchiere internazionale. Così, nel 1935, l'
URSS
firmò trattati di alleanza con Francia e Cecoslovacchia e, tramite la
Terza Internazionale, favorì la formazione dei Fronti popolari in Francia
e Spagna. La guerra civile spagnola (1935-39) vide l'
URSS impegnato a
sostegno delle forze repubblicane: alla fornitura di materiale bellico e alla
promozione di campagne per il reclutamento di volontari (inquadrati nelle
Brigate Internazionali) fecero, però, da contraltare, a partire
dalla primavera del 1937, alcuni atteggiamenti ambigui che fomentarono quelle
divisioni interne alle forze antifranchiste che ne determinarono la sconfitta.
Di fronte all'atteggiamento equivoco di Francia e Inghilterra e alla crescente
minaccia giapponese a Oriente, l'
URSS aveva, nel frattempo, operato un
graduale avvicinamento alla Germania, che condusse i due Paesi alla stipula di
un patto di non aggressione (Patto Molotov-Ribbentrop, 23 agosto 1939), col
quale venivano anche definite le zone d'influenza nell'area orientale. Con lo
scoppio della seconda guerra mondiale, l'
URSS poté iniziare la sua
politica di espansione territoriale; dapprima aggredì la Finlandia
(novembre 1939), ottenendo dal trattato di pace (marzo 1940) la Carelia (che
divenne Repubblica federata e tale rimase fino al 1956); successivamente si
annetté, elevandole al rango di Repubbliche federate, Moldavia, Estonia,
Lettonia e Lituania (agosto 1940). Il quadro politico-militare venne,
però, presto a mutare: il 22 giugno 1941, infatti, la Germania
lanciò un'offensiva contro l'
URSS, che Stalin prevedeva, ma non
come così immediata. L'
URSS fu colta assolutamente impreparata e
l'avanzata delle armate del Reich avvenne senza particolari difficoltà
nel corso dell'estate; l'attacco a Mosca si sviluppò, però, troppo
tardi, all'inizio di ottobre: il maltempo rallentò le operazioni tedesche
e i Sovietici, forti di un apparato bellico formidabile e di una riserva di
uomini che pareva inesauribile, già in dicembre poterono cominciare la
controffensiva, fino a ottenere la vittoria decisiva a Stalingrado (gennaio
1943). L'impegno antinazista dell'
URSS determinò anche un
incremento del peso contrattuale sovietico all'interno dello schieramento
alleato; fu su pressione sovietica, infatti, che nella Conferenza interalleata
di Teheran (novembre-dicembre 1943) fu deciso lo sbarco in Normandia. Sul fronte
bellico, dopo aver respinto l'ultimo attacco tedesco (luglio 1943), le truppe
sovietiche avviarono una lenta ma inarrestabile avanzata che portò alla
liberazione dell'Europa orientale e balcanica e che si concluse tra la fine di
aprile e l'inizio di maggio del 1945 con la conquista di Berlino. Il successo
militare fu, quindi, completato con l'acquisizione delle Isole Curili e
dell'Isola di Sachalin, strappate al Giappone cui l'
URSS aveva dichiarato
guerra due giorni dopo il bombardamento statunitense su Hiroshima (6 agosto
1945). Uscita, dunque, vincitrice dal conflitto mondiale, l'
URSS si
poneva come uno dei pilastri su cui si sarebbe dovuto costruire il nuovo ordine
europeo; in questo senso, già la Conferenza di Jalta (febbraio 1945) le
aveva assegnato delle zone d'influenza sulle aree tradizionalmente turbolente
dei Balcani e dell'Est Europa. Con la Conferenza di Potsdam (luglio-agosto
1945), però, il clima venne a mutare: Stati Uniti e
URSS
risultarono, infatti, profondamente divisi sul futuro assetto della Germania; a
questo fattore di tensione si aggiunsero, poi, i disegni decisamente
imperialistici dell'
URSS in Europa orientale (disegni che, tra il 1945 e
il 1948, si attualizzarono con la riduzione di Polonia, Ungheria, Romania,
Bulgaria e Cecoslovacchia a Stati satelliti dell'
URSS) e l'irrigidimento
statunitense a seguito dell'avvento alla presidenza di H.S. Truman. Iniziava
quella che il giornalista W. Lippmann battezzò efficacemente come
“guerra fredda”, intendendo con ciò quella situazione di
irriducibile ostilità che caratterizzava il blocco degli Stati
occidentali (guidato dagli Stati Uniti) e quello degli Stati orientali. Stalin
affrontò con intatta energia la nuova situazione: nel 1947
organizzò un ufficio d'informazione dei partiti comunisti, il
COMINFORM (V.); rafforzò i legami
con gli Stati satelliti sia sul piano economico - nel 1949 creò il
COMECON (V.) - sia su quello militare
(Patto di Varsavia, 1955); decretò la nascita della
Repubblica
democratica tedesca in risposta alla proclamazione della
Repubblica
federale tedesca (1949); decise l'intervento a sostegno dei comunisti cinesi
durante la rivoluzione cinese del 1949 e nord-coreani durante la guerra di Corea
del 1950-53. Gli eventi della “guerra fredda” da un lato
rinsaldarono ancora di più la posizione di Stalin, che esasperò la
repressione (soprattutto nei confronti dei vari gruppi etnici accusati piuttosto
sbrigativamente di collaborazionismo con la Germania), dall'altro diede il
pretesto al leader sovietico per continuare a investire nell'industria pesante e
nel settore bellico in particolare; fu così che nel 1949 l'
URSS fu
in grado di produrre la sua prima bomba atomica e nel 1953 la sua prima bomba
all'idrogeno. In questo modo, non trovò, però, soluzione la grave
crisi economica e sociale di cui era preda il Paese; un'agricoltura in dissesto,
una cronica carenza di beni di consumo e un'ormai perduta stabilità
interna (tutt'altre che rare erano divenute le rivolte), questa fu
l'eredità che lasciò Stalin ai suoi successori quando morì
nel marzo 1953. Alla guida del partito subentrò N.S. Krusciov, mentre
presidente del Consiglio (carica che Stalin deteneva dal 1941) divenne G.M.
Malenkov; fu, allora, avviata una massiccia opera di destalinizzazione, con la
subordinazione al partito dell'apparato della polizia politica; ne fece le spese
il ministro degli Interni e capo della polizia L.P. Berija, arrestato e
giustiziato nel dicembre 1953. Dopo la nomina a presidente del Consiglio di N.
Bulganin (febbraio 1955), l'autorità di Krusciov crebbe considerevolmente
e di fatto furono lui e gli uomini del partito a decidere delle scelte politiche
sovietiche di quegli anni. Quasi subito fu deliberato di promuovere un amento
della produzione; a questo scopo furono consentite le imprese individuali e
furono incrementati i prezzi all'ammasso (1953), quindi (dal 1954) fu avviato un
progetto di messa a coltura delle terre vergini dell'Est. I risultati furono
incoraggianti, soprattutto in quanto associati a provvedimenti meno restrittivi
della libertà individuale in ambito lavorativo, ma rimase il vizio
d'origine della politica economica sovietica, vale a dire uno sbilanciamento
degli investimenti nell'industria pesante e militare a scapito della produzione
dei beni di consumo; il che poteva certo portare l'
URSS a cogliere
significative vittorie sul piano ideologico (come accadde, ad esempio, con il
lancio nello Spazio dello sputnik nel 1957), ma finiva per sottrarre risorse che
avrebbero potuto essere impiegate in altri settori a sostegno dello sviluppo
economico. Enorme eco ebbe in quegli anni la denuncia dei crimini staliniani che
Krusciov fece nel febbraio 1956 nel corso del XX Congresso del PCUS; all'atto
pratico, però, tale denuncia si limitò a una critica della
collettivizzazione e dell'industrializzazione forzata e a una riabilitazione
degli oppositori di Stalin, lasciando, però, in vigore il sistema
staliniano e riproducendone, nel giro di pochi mesi, perfino le pratiche: nel
novembre 1956 fu, infatti, rovesciato dall'esercito sovietico il Governo
riformista ungherese di I. Nagy. Divenuto presidente del Consiglio nel 1958,
Krusciov dovette subire lo scacco americano all'epoca della crisi dei missili a
Cuba (1962) e un progressivo deterioramento nei rapporti con la Cina, contraria
alla sua opera di destalinizzazione; posto di fronte a nuove difficoltà
economiche e osteggiato da un partito che cercava da tempo ma invano di
riformare, nell'ottobre 1964 Krusciov fu, infine, costretto alle dimissioni. I
suoi successori, L.I. Breznev alla guida del partito e A.N. Kosygin a quella del
Governo, decisero alcune misure di limitata liberalizzazione sia in campo
agricolo sia in campo industriale, che determinarono qualche miglioramento della
situazione economica. Sulla scia di questi provvedimenti, che andavano in
direzione di una riduzione del controllo statale sull'economia, si svilupparono
in Cecoslovacchia alcune spinte riformiste che diedero vita a una
liberalizzazione della vita politica; la
primavera di Praga
(V. PRAGA) fu, però, stroncata nell'agosto
1968 dall'intervento militare sovietico. Le vicende cecoslovacche colpirono
profondamente l'opinione pubblica occidentale e suggerirono all'
URSS
l'adozione di una politica estera più cauta e basata sulla distensione;
in un quadro caratterizzato da un generale miglioramento dei rapporti
diplomatici, poterono, dunque, essere firmati il trattato di non proliferazione
nucleare (luglio 1968), il Salt I (1972) e l'atto finale della CSCE (1975).
Contemporaneamente, però, peggiorarono le relazioni con la Cina (che nel
1978 sarebbe stata protagonista di un clamoroso avvicinamento agli Stati Uniti),
cosicché nel Sud-Est asiatico Mosca perseguì una politica
aggressiva fatta di aiuti militari all'India, al Pakistan e al Vietnam (una
politica che, nei primi anni Settanta, in un mondo diviso in due blocchi,
adottò anche in zone strategiche come il Medio Oriente o il Corno
d'Africa). L'imperialismo sovietico toccò il suo culmine con l'invasione
dell'Afghanistan (dicembre 1979); questo avvenimento e l'appoggio sovietico al
colpo di Stato militare di W. Jaruzelski in Polonia nel 1981 provocarono
notevoli attriti con l'Occidente, senza che, però, venissero posti in
discussione gli accordi formalizzati nel Salt II (1979). Una politica di riforme
volte a garantire una base di consenso al regime fu, invece, avviata a partire
dal 1969 sul fronte interno: sicurezza dell'impiego e prezzi tenuti
artificialmente non giovavano, però, all'efficienza del sistema
produttivo, che nei fatti si reggeva sull'esportazione di materie prime (gas,
petrolio) senza che l'industria civile raggiungesse un accettabile livello di
sviluppo (fu, anzi, negli anni Settanta che si produsse il gap tecnologico che
avrebbe separato l'
URSS dalle società occidentali). Lo stesso
incremento del commercio estero ebbe degli esiti contraddittori per quel che
concerne la stabilità del regime: se da un lato esso, consentendo
l'importazione di una quantità di beni di consumo sufficiente a
migliorare la qualità della vita della popolazione sovietica,
rafforzò la stabilità interna, d'altro canto veicolò con
sé anche un scambio di informazioni e di idee che, sul medio periodo,
scatenò il dissenso. Breznev, che dal 1977 era divenuto anche capo dello
Stato, reagì imponendo un giro di vite autoritario; con l'approvazione
della nuova Costituzione del 1977 il partito fu istituzionalizzato e assunse un
ruolo ancora più centrale nella vita del Paese. Quando Breznev
morì (novembre 1982), divenne, però, evidente la necessità
di un rinnovamento del sistema politico e di uno svecchiamento dei quadri del
partito, non di rado implicati in casi di corruzione; proprio in una tenace
battaglia contro la corruzione si impegnò il nuovo segretario del partito
J.V. Andropov nel corso del suo breve mandato, terminato con la morte nel
febbraio 1984. I poteri da Andropov passarono a K. Černenko e da questi,
nel marzo 1985, a M. Gorbaciov. Costui non esitò ad avviare un profondo
ricambio della classe dirigente sovietica, a promuovere una campagna per una
maggiore trasparenza (
glasnost) e libertà d'informazione e, a
partire dal 1987, a mettere in moto una profonda ristrutturazione dell'economia
(
perestrojka) con l'introduzione di misure di sapore liberista. Né
indugiò, di fronte alle difficoltà di attuazione di questi
provvedimenti, a far approvare una nuova legge elettorale che ammettesse almeno
in parte la pluralità degli schieramenti (marzo 1989). Nel contempo,
Gorbaciov inaugurò una nuova linea in politica estera, che si
concretizzò nel ritiro dall'Afghanistan (1989) e in un progressivo
disimpegno nel Sud-Est asiatico; soprattutto, però, egli diede un
sensibile contributo per la creazione di un clima di distensione nei rapporti
con gli Stati Uniti, prodromo dei successivi accordi sulla riduzione degli
armamenti (V. DISARMO). Nel frattempo,
però, si venne determinando un notevole peggioramento delle condizioni
economiche (dovuto al crollo della produzione industriale e alle conseguenti
difficoltà nell'approvvigionamento alimentare) che si saldò
all'emergere di vigorose istanze separatiste all'interno del Paese; Gorbaciov
rinunciò alla prassi consolidata in
URSS di reprimere con la forza
le proteste di piazza ed evitò altresì di intervenire negli Stati
satellite a sostegno di regimi comunisti ormai in disgrazia presso la
popolazione e prossimi alla caduta. L'
URSS medesimo era, del resto,
entrato in agonia: le elezioni multipartitiche del 1990-91 sancirono la vittoria
in molte Repubbliche federate delle forze nazionaliste e in Lituania, Lettonia
ed Estonia fu proclamata l'indipendenza. Gorbaciov (che nel marzo 1990 era stato
eletto presidente della Repubblica e che dal novembre di quello stesso anno
aveva ulteriormente ampliato i suoi poteri) invano tentò di mantenere
unito lo Stato concendendo maggiori autonomie alle Repubbliche; nell'agosto
1991, infatti, al momento della firma del nuovo trattato che avrebbe dovuto
regolare i rapporti tra le Repubbliche sovietiche, alcuni esponenti del Governo
centrale, del PCUS e del KGB misero in atto un tentativo di colpo di Stato che,
però, fallì per l'opposizione delle forze democratiche e per il
mancato appoggio dell'esercito. La situazione precipitò: il presidente
del Soviet supremo della Repubblica russa B.N. Eltsin acquisì di fatto il
potere e ne approfittò per liquidare il PCUS, mentre le varie
Repubbliche, una dopo l'altra, proclamarono l'indipendenza dall'
URSS.
L'incontro dell'8 dicembre 1991 tra i presidenti delle tre Repubbliche slave
(Russia, Ucraina e Russia Bianca) sancì l'impossibilità di
addivenire a un nuovo trattato di unione e la dichiarazione di dissoluzione
dell'
URSS ne fu la logica conclusione. Il 21 dicembre, quattro giorni
prima che Gorbaciov si dimettesse da presidente dell'
URSS, 11 Repubbliche
diedero vita alla Comunità di stati indipendenti
(V. CSI), mentre la Russia ereditava buona parte
delle prerogative dell'
URSS, tra cui il seggio all'interno del Consiglio
di sicurezza dell'ONU e il controllo dell'arsenale nucleare.
Modello tridimensionale di camion sovietico lanciarazzi
LETTERATURA, ARTE, MUSICA
V. I SINGOLI
STATI che componevano l'
URSS.