Poema di F. Villon, composto probabilmente
intorno al 1461 e pubblicato postumo nel 1489. Il poema, costituito da 185
strofe autonome di otto versi inframmezzate da ballate, riproduce lo schema,
caro ai poeti medioevali, del lascito testamentario. Nel prologo l'autore medita
sul destino dell'uomo: il senso della morte e del disfacimento, l'inevitabile
fugacità del tempo, la nostalgia della giovinezza perduta ispirano versi
di grande intensità, come la famosa
Ballata delle dame del tempo che
fu, mentre l'elenco dei lasciti evoca nella mente dell'autore una serie di
ritratti, talora commossi e talora spietati. L'apparente disorganicità
del poema si risolve, in realtà, nella sapiente alternanza di elementi
tra loro contrapposti: il tragico al grottesco, il grave al patetico,
l'invettiva all'oscenità. Il tessuto linguistico non disdegna i livelli
umili, popolari e anche triviali della lingua
.