Storico e oratore greco. La sua biografia è
scarsamente documentata: nacque nell'Isola di Chio e la sua esistenza fu
profondamente segnata dall'esilio, cui fu costretto, insieme con il padre
Damasistrato, dal governo democratico della città a causa delle sue
tendenze aristocratiche, che gli attirarono il sospetto di simpatie nei
confronti di Sparta (laconismo). Rientrò in patria solo nel 333-332 a.C.,
quando Alessandro Magno diede ordine di richiamare gli esuli; ma la sua
permanenza a Chio non dovette durare a lungo, in quanto, dopo la scomparsa di
Alessandro (323 a.C.), fu nuovamente costretto a fuggire. Dopo alcune
peregrinazioni trovò rifugio in Egitto, alla corte di Tolomeo I; secondo
una tradizione, questo sovrano avrebbe deciso di farlo sopprimere in quanto
"fomentatore di disordini", ma
T. riuscì a salvarsi
grazie all'intervento provvidenziale di alcuni amici. Tuttavia, è
probabile che egli sia morto in Egitto non molto tempo dopo, intorno al 320 a.C.
Nel corso della sua movimentata esistenza,
T. risiedette a lungo presso
la corte di Filippo II di Macedonia, e soggiornò pure ad Atene, dove fu
scolaro del celebre oratore Isocrate. Egli stesso ricorda di aver intrapreso con
successo l'attività di retore e di essere stato, insieme con lo stesso
Isocrate e Teodette, fra i più rinomati oratori greci; afferma inoltre di
aver visitato tutte le più importanti città greche, riscuotendo
ovunque unanimi consensi per la sua eloquenza. Secondo una testimonianza antica,
nel 351 a.C.
T. avrebbe ottenuto la vittoria in una gara retorica con un
Elogio in onore del dinasta Mausolo di Caria. Tuttavia, dei suoi discorsi
nulla è pervenuto, se non i titoli: si trattava probabilmente di
esibizioni oratorie imperniate su argomenti di attualità, come il
Panatenaico,
l'
Olimpico, il
Laconico. Inoltre,
T. fu autore di epistole di carattere politico, come le
Lettere a
Filippo e i
Consigli ad Alessandro, anch'esse per noi perdute, al
pari della polemica
Invettiva contro l'insegnamento platonico, in cui
Platone era bollato come plagiario e i suoi scritti sfrontatamente definiti
"inutili". Per contro, si sono conservati frammenti delle due grandi
opere storiche di
T., le
Elleniche o
Storia della Grecia,
in 12 libri, e le
Storie filippiche, in 58 libri. Le
Elleniche
costituivano una continuazione dell'opera storica di Tucidide e narravano gli
avvenimenti della Grecia dal 411 a.C. (laddove le
Storie tucididee si
interrompevano) al 394 a.C., anno della battaglia di Cnido, che segnò la
fine dell'egemonia marittima di Sparta. Di questa composizione sopravvivono
soltanto 19 frammenti, di lunghezza e di importanza molto variabile: doveva
essere una trattazione molto dettagliata, quantunque non si possa trarre alcuna
conclusione certa né sulla sua struttura, né sul suo valore
storico e letterario. Molto più numerosi sono per contro i frammenti
pervenuti delle
Storie filippiche: si trattava di uno scritto vasto, che
comprendeva la descrizione delle "imprese dei Greci e dei barbari"
ed era incentrata, come appare dal titolo, sulla personalità e sulla
storia di Filippo II di Macedonia, che regnò dal 359 al 336 a.C.
Quest'opera includeva inoltre una grande quantità di digressioni, talora
molto ampie, concernenti non solo la storia politica ma anche la topografia, la
geografia, nonché eventi prodigiosi o memorabili e divagazioni
mitografiche. Fra queste digressioni, le più note sono quella sui
demagoghi
ateniesi, che occupava un intero libro (X), e quella sulla
storia della Sicilia sotto le tirannidi di Dionigi il Vecchio e di Dionigi il
Giovane, che si estendeva per ben tre libri. Nel complesso, le opere storiche di
T., alle quali è da aggiungere anche una perduta
Epitome di
Erodoto in due libri, rivelano la sua predilezione per uno stile alto e
ampolloso, ricco di figure retoriche; non a caso egli è considerato dalla
critica l'iniziatore di un genere, quello della storiografia retorica, che ebbe
vasta diffusione nell'età ellenistica. Ma la caratteristica principale di
T. è certamente da individuare nella forte tinta moralistica che
egli diede ai suoi scritti, dove abbondano giudizi di valore, soprattutto di
biasimo e di condanna, e dove traspare continuamente la sua indignazione nei
confronti di ogni forma di depravazione morale. Tale tratto gli meritò la
fama di autore maldicente e maligno, sia fra gli antichi sia fra i moderni.
Rilevante, infine, l'attenzione rivolta da
T. alla psicologia dei
personaggi, dei quali indagava con sottigliezza le passioni, alla ricerca delle
ragioni più profonde e più vere dell'agire umano (Chio 378-387
a.C. - in Egitto 320 a.C. circa).