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Teodorico.

Re degli Ostrogoti. Era figlio di Teodemiro, re della popolazione gota che nel V sec. si era stanziata in Pannonia e nei territori della penisola balcanica. T. trascorse la sua giovinezza presso la corte imperiale di Costantinopoli (462-472), come ostaggio in garanzia del trattato stretto fra il suo popolo e l'Impero, che riconosceva gli Ostrogoti come foederati ma con l'obbligo di difendere la frontiera del Danubio, oltre il quale si entrava in territorio bizantino, da altre popolazioni. La lunga permanenza nella capitale imperiale consentì a T. di conoscere a fondo la cultura e la politica romano-bizantina, ma non lo rese un uomo colto né un assimilato: sembra addirittura che egli non parlasse né scrivesse il latino. Nel 472 poté rientrare tra i suoi, con il titolo di patricius e di magister militum, guadagnando rapidamente una posizione di primo piano tra gli Ostrogoti, che condusse vittoriosamente in battaglia contro i Sarmati e a occupare, consenziente l'imperatore, la città di Singidunum (Belgrado). Nel 474 successe al padre alla guida degli Ostrogoti, eleggendo come sua capitale la città di Novae (Sistova) nella Mesia inferiore. Le relazioni con l'imperatore d'Oriente Zenone non furono tuttavia lineari: inizialmente amichevoli (per il sostegno che T. prestò all'imperatore contro l'usurpatore Basilisco e poi contro due funzionari di corte ribelli, Illo e Leanzio), si deteriorarono quando egli intraprese a sua volta una serie di scorrerie in territori imperiali (devastò l'Epiro, la Tracia e nel 487 marciò addirittura alla volta di Costantinopoli). La politica di T. era condizionata dal malcontento del suo popolo che riteneva insufficienti le terre concesse loro dall'Impero e mirava a occuparne di nuove. Maturando nel 488 la crisi tra l'Impero e Odoacre (V.), Zenone, mirando a rimuovere dalla penisola balcanica la minaccia degli Ostrogoti, concesse a T. di spostarsi in Italia per occuparla cacciando gli Eruli di Odoacre da quelle sedi. Muovendo con circa 100.000 uomini (tra cui contingenti di altre popolazioni barbariche, come i Rugi), T. entrò Italia nel 489, avendo sbaragliato i Gepidi lungo il cammino, e sconfisse Odoacre prima sull'Isonzo, quindi a Verona, attestandosi poi a Pavia. Lo scontro coinvolse altre popolazioni, poiché i Visigoti si unirono a T. mentre i Burgundi vennero in soccorso di Odoacre: ciò nonostante quest'ultimo fu nuovamente sconfitto sull'Adda (490) e costretto a ritirarsi a Ravenna. Dopo più di tre anni di assedio, Odoacre si arrese e venne ucciso con la sua famiglia e i notabili (494). Trovandosi di fatto padrone dell'Italia, T. cercò di legittimare la sua posizione chiedendo all'imperatore d'Oriente il riconoscimento della sua sovranità: gli Ostrogoti lo avevano già acclamato re in Ravenna, il Senato romano gli aveva conferito il titolo di patrizio riconoscendolo come inviato dell'imperatore, ma Zenone gli rifiutò le insegne regali. Un accordo fu raggiunto nel 498 con il nuovo imperatore Anastasio, che lo designò vicario imperiale, legittimando così lo stanziamento degli Ostrogoti in Italia e il loro diritto a ricevere un terzo delle terre. Il regno di T. in Italia durò fino al 526 e rappresentò un periodo di pace e di crescita economica e demografica in un territorio tanto devastato dalla guerra: a lui competevano la nomina di tutti gli uffici pubblici, l'emanazione di editti (che il Senato poteva convertire in leggi), il supremo potere esecutivo e giudiziario nonché quello militare, potendo disporre di un esercito indipendente dall'Impero e al servizio di una sua autonoma politica. Il nuovo Regno, che mantenne la capitale a Ravenna, si fondava sulla coesistenza dell'elemento goto-germanico e di quello italico-romano: tale coesistenza non contemplò tuttavia una fusione delle due etnie, ma piuttosto una loro distinzione (pacifica ma rigida, al punto che erano vietati i matrimoni misti). I Goti costituivano l'esercito a difesa del territorio, occupavano tutte le cariche militari e conservavano i propri usi e costumi, assurti al rango di leggi, in base alle quali essi venivano giudicati da organi militari; inoltre essi mantenevano la propria fede ariana (V. ARIANESIMO). La popolazione indigena e romanizzata, invece, conservava la confessione cattolica, rispondeva alle leggi romane, provvedeva mediante il lavoro agricolo e artigianale al mantenimento delle truppe ostrogote e, soprattutto, suoi esponenti reggevano tutte le cariche amministrative dello Stato. T., allo scopo di mantenere compatta la popolazione gota numericamente assai inferiore a quella indigena, limitò la distribuzione delle terre alle sole regioni centro-settentrionali dell'Italia, sul versante adriatico. Si preoccupò poi di guadagnarsi l'appoggio e il favore del patriziato dando nuovo lustro alle più antiche istituzioni romane (il Senato, il consolato, l'annona, i giochi circensi, ecc.), intraprendendo una campagna di costruzione di edifici pubblici tanto a Ravenna (palazzo di Teodorico, battistero degli Ariani, Sant'Apollinare Nuovo e in Classe, San Vitale, il Mausoleo) quanto a Roma, promuovendo una rinascita culturale nel solco della tradizione imperiale e scegliendo come suoi principali consiglieri alcuni membri dell'aristocrazia romana, quali Simmaco, Severino Boezio, Cassiodoro, Liberio, Festo. Per quanto riguardava la politica estera, T. inaugurò un'accorta politica di alleanze, anche matrimoniali, con gli altri Regni romano-barbarici, in particolare con Vandali, Burgundi, Visigoti, Franchi, ecc. Suo scopo era la creazione di una sorta di confederazione tra queste entità statali su cui lui stesso, in quanto vicario in Occidente dell'Impero bizantino, potesse esercitare una qualche supremazia. Tale disegno fu però vanificato dalla politica altrettanto ambiziosa del franco Clodoveo. L'antagonismo tra i due venne sfruttato da Anastasio, che giudicava ormai eccessivo il potere di T.: questi infatti, che aveva mantenuto la precedente signoria sull'Illirico e aveva poi acquisito oltre all'Italia anche la Dalmazia già possesso di Odoacre, si stava nuovamente espandendo verso Est e aveva già occupato (504) Sirmio, alla confluenza tra la Sava e il Danubio. L'attacco vittorioso di Clodoveo contro il visigoto Alarico (507), alleato degli Ostrogoti, richiamò T. in Occidente: egli sconfisse Franchi e Burgundi ad Arles nel 509, annettendo in tal modo ai propri domini la Liguria e i territori fino al Rodano e ponendo sotto la propria tutela anche la penisola iberica, che destinò al nipote Amalarico. Il Regno di T. si era così trasformato nella maggiore potenza occidentale, che controllava direttamente o indirettamente le regioni comprese tra il Danubio e le colonne d'Ercole, fatto che rese sempre più tese le relazioni con Costantinopoli. Dopo circa un altro decennio di pace, in Italia si produsse un deterioramento nei rapporti tra la componente gota e quella romana: infatti, la ricomposizione dello scisma tra Roma e il patriarcato di Costantinopoli (519), pur favorito da T., aveva rimosso il principale motivo di dissidio tra l'aristocrazia romana e la corte bizantina, riavvicinandole. T. vide con sospetto questa riconciliazione politica e religiosa e dubitò della lealtà verso lo Stato della popolazione italo-romana; la scelta poi di indicare nel genero Eutarico il proprio erede gli alienò realmente le simpatie dei romanizzati. Il circolo vizioso portò a provvedimenti di limitazione delle libertà per i Romani e addirittura all'incarcerazione e condanna a morte di molti senatori e perfino dei più stretti consiglieri di T. (Boezio, Simmaco, Albino). La situazione precipitò a causa della politica di restaurazione imperiale, per sua natura ostile a T., inaugurata dall'imperatore Giustino e continuata poi da Giustiniano; ad essa si aggiunse nel 524 l'editto imperiale di proscrizione del culto ariano come eretico. T., che fino ad allora aveva perseguito in materia religiosa una rara moderazione e tolleranza, ritenne il papa e l'aristocrazia romana conniventi con Costantinopoli e intraprese a sua volta una persecuzione contro i cattolici, cui sottrasse le chiese e impedì l'esercizio del culto. In questa situazione trovò la morte anche il pontefice Giovanni I. Essendo morto anche il suo erede, T. designò alla successione il nipote Atalarico, sotto la reggenza della madre Amalasunta, e morì poco dopo; gli eccessi delle sue rappresaglie negli ultimi anni di regno avevano però oscurato la fama di buon governante che si era guadagnata nei decenni precedenti (454 circa - Ravenna 526).