(o
Tardoantico). Categoria
storiografica che identifica il periodo storico relativo agli ultimi secoli
dell'Impero romano fino al primo delinearsi delle civiltà altomedioevali.
Pur con alcune differenze tra studiosi di diverso orientamento, si è
soliti stabilire gli estremi cronologici del
T.a. nell'età
dell'imperatore Commodo (180-192) - ma alcuni spostano tale limite all'epoca
della tetrarchia istituita da Diocleziano (292-312) - e nel VII sec.,
cioè oltre l'epoca giustinianea. Lo studio del
T.a., pur avendo a
lungo privilegiato la dimensione artistica e monumentale della cultura, ha per
suo oggetto la globalità dei fattori sociali, culturali, storiografici
(in una parola
storici) dell'epoca in esame. Sono dunque parti integranti
della storiografia tardo antica, benché godano di un largo e autonomo
approfondimento, le branche inerenti alle vicende dell'Impero romano d'Occidente
e di quello d'Oriente come anche la storia del Cristianesimo nei primi secoli,
tutti settori che costituiscono un potente esempio della ricchezza e rilevanza
del periodo nel suo complesso. ║ Se già Montesquieu nelle sue
Considerations aveva impostato il suo interesse per la romanità in
termini di opposizione tra età repubblicana e imperiale, la storiografia
moderna ereditò l'interpretazione del
T.a. come età di
decadenza dalla monumentale opera di E. Gibbon
Declino e caduta dell'impero
romano (1776-88). L'influenza del lavoro di Gibbon sugli studiosi successivi
si espletò da un lato nell'indicare come problema storiografico centrale
l'individuazione della causa per cui si giunse all'evento-simbolo della
deposizione dell'ultimo imperatore a Roma nel 476; dall'altro nella generale
assunzione di una terminologia, in riferimento all'intera epoca, che mostrava
un'estrema negatività di giudizio su di essa. Una prima reazione a questa
visione ristretta si ebbe solo all'inizio del Novecento, nel campo della storia
dell'arte, quando A. Riegl (esponente della scuola viennese) mise in luce la
vitalità e autonomia dell'arte
t.a., che egli interpretava non
più come fenomeno di decadenza rispetto al canone winckelmanniano della
classicità romana ma come novità
tout-court. Fu nel secondo
dopoguerra, tuttavia, che questo cambiamento di prospettiva portò a un
profondo riesame, da parte degli studiosi, dei caratteri peculiari del
T.a. nel suo complesso, indagato non più quale periodo di
progressiva decadenza ma come momento di formazione di una cultura e
civiltà dotata di autonomia e identità (se pur composita). Se
inizialmente la scuola anglosassone (J.B. Bury, A.H.M. Jones, ecc.), e in
generale gli studiosi di impostazione marxista, ebbero la tendenza a
sottovalutare la rilevanza dell'elemento religioso nel panorama
t.a.
(elemento che vedremo recuperato qualche decennio dopo), essi posero però
un utile accento non solo sui fenomeni sociali e per così dire classisti
dell'epoca, ma anche su quelli economici e commerciali. Il perdurare infatti di
una rete produttiva e di scambi nel bacino del Mediterraneo venne identificato
come evento chiave, discrimine oltre il quale le singole realtà regionali
presero poi il sopravvento sull'unità culturale tardo antica. Secondo la
sempreverde tesi dello storico H. Pirenne, l'evento che segnò la rottura
del Mediterraneo tra Oriente e Occidente fu la conquista araba del VII sec., che
interruppe i commerci e determinò un'evoluzione separata dei due tronconi
dell'antico Impero (laddove la tradizione storiografica precedente aveva
imputato questa responsabilità alle invasioni barbariche dei secc. IV-V).
La moderna storiografia del
T.a. si caratterizzò quindi anche per
la tendenza a mantenere uniti i due oggetti di studio, Occidente e Oriente, che
in precedenza erano mantenuti distinti, ponendo al centro dell'analisi non tanto
la questione della decadenza imperiale, quanto invece l'evoluzione di questa
area geografica unitaria e i campi di indagine che interessino con maggiore
frequenza e diffusione il bacino mediterraneo (come, ad esempio, l'inurbamento,
la cultura materiale, la produzione e diffusione dei beni, i problemi di
acculturazione, le dinamiche sociali, ecc.). Accanto a questo sguardo
complessivo e unitario, che discerne il suo oggetto in base ai suddetti limiti
cronologici e geografici, si sviluppò anche una nuova attenzione per i
fattori regionali e locali: i risultati sono stati buoni, ed è stato
possibile rilevare, ad esempio, la sostituzione del primato di produzione della
regione italica con quello delle regioni dell'ex Africa proconsolare. Negli
ultimi decenni ha conosciuto nuova freschezza il dibattito in merito
all'importanza della religione (e in essa del Cristianesimo) nel
T.a.: se
già Gibbon aveva indicato la nuova confessione come una delle cause della
decadenza imperiale, da più parti oggi si indica la cristianizzazione del
Mediterraneo come una delle chiavi interpretative per comprendere i cambiamenti
storici dell'epoca, cassando tuttavia impliciti giudizi di negatività su
di essi. Si ricordano qui gli interessanti risultati ottenuti dall'applicazione
dell'analisi strutturale di C. Lévi-Strauss alla letteratura agiografica.
La centralità della religione nello studio della tarda antichità
è stata posta con particolare efficacia da P. Brown, alla cui opera
(
The World of late Antiquity, 1971) si deve in particolare la fortuna
della locuzione
T.a.: tra le tematiche di maggior interesse oggetto delle
sue indagini sono la stregoneria, il dissenso religioso e in generale i rapporti
tra culture locali e cultura ufficiale. Gli studi di M. Foucault sulla storia
della sessualità e della famiglia o quelli di E. Patlagean sulle
condizioni di povertà dei ceti umili nei villaggi e nelle città
bizantine dimostrano, tra gli altri, come discipline e documenti assai diversi
tra loro concorrano nel loro insieme a fornire informazioni significative per un
approccio generoso ed eclettico al
T.a. nel suo complesso. L'archeologia,
ad esempio, sta contribuendo in modo fondamentale a nuove valutazioni di questo
periodo, grazie alla precisione delle tecniche di datazione, all'attenzione
dedicata ai reperti più minuti di cultura materiale da cui si possono
trarre dati significativi sui cicli produttivi, sul commercio, sull'andamento e
la consistenza degli insediamenti urbani, ecc. Lo studio del
T.a. (che
ancora deve crescere e necessita non solo di un vero approccio
interdisciplinare, ma anche di studiosi in grado di vagliare congiuntamente il
materiale secolare e quello religioso, collegare dati provenienti dalla ricerca
numismatica come dall'analisi linguistica o letteraria, ecc.) si pone tuttavia
come una branca storiografica di sicura specificità e vastità,
sempre più distinta e autosufficiente rispetto alla storia romana, cui
è ovviamente legata senza per questo poter essere considerata come la sua
mera fase finale, età buia di decadenza e sterilità.