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Superstizione.

(dal latino superstitio, der. di super: sopra e stare: stare). Nella sua accezione più generale, quell'insieme di credenze e pregiudizi, pratiche e comportamenti che, tanto dal punto di vista delle culture e delle religioni ufficialmente riconosciute in un dato contesto storico-sociale, quanto dal punto di vista del pensiero scientifico, si configurano quali sopravvivenze di sotto-sistemi culturali estirpati o parzialmente reinterpretati e assorbiti dalle tradizioni dominanti e, pertanto, sono percepite come arretrate, irrazionali e dannose al progresso della civiltà: è s. credere che rompere uno specchio sia causa di disgrazia per sette anni. ║ Pratica superstiziosa: gettarsi il sale dietro le spalle quando si è versato l'olio è una s. ancora viva. S. ideologiche, politiche: in senso lato, convinzioni false, opinioni erronee. • Encicl. - Occorre tuttavia ricordare che il termine s. può assumere svariate sfumature concettuali a seconda delle epoche storiche e, in particolare, a seconda dello specifico valore semantico attribuito dai distinti sistemi culturali nei quali la forma latina è penetrata, in qualità di prestito linguistico, alle varianti autoctone, derivate dal sostantivo superstitio, che hanno rimpiazzato quest'ultimo nelle lingue letterarie nazionali (ad esempio, il tedesco Aderglaube). L'etimologia stessa del termine latino superstitio è comunque di dubbia provenienza: è possibile che esso stia a indicare quell'insieme di comportamenti che sta al di sopra (super-) dei normali limiti imposti dalla religione ufficiale. D'altro canto non è da escludere che la forma latina costituisca un calco del greco ékstasis, nel qual caso designerebbe un tipo di religiosità individuale che, esplicandosi in qualità di rapporto soggettivo, non mediato da istituzioni superiori tra la divinità e il singolo, suscita la reazione della religione ufficiale di Roma. È invece da respingere l'interpretazione che associa al termine superstitio quegli atteggiamenti che, pur non essendo tollerati dalla religione ufficiale, sopravvivono in quanto non ancora soggetti a regolamentazione da parte di questa. Tra le interpretazioni etimologiche avanzate la più plausibile sembra essere la seconda, avvicinandosi maggiormente allo specifico valore semantico che il mondo romano attribuiva al concetto di s. come forma di religiosità individuale, non controllata e mediata da un'autorità superiore e, quindi, capace di minare il giusto rapporto tra l'uomo e la divinità e, con esso, l'equilibrio universale (pax deorum): donde l'aspra reazione da parte delle gerarchie religiose romane nei confronti di siffatta s., che veniva fortemente biasimata e disdegnata. La civiltà greca non dispone di un equivalente semantico della forma latina superstitio. Qui il concetto di s., espresso dal termine deisidaimonía (der. di deído: temo e daímon: divinità) e corrispondente alla caratterizzazione tradizionale che del superstizioso fornisce Teofrasto, si identifica con il timore della divinità, timore inteso come atto di ossequio alla divinità e pertanto imprescindibile, almeno fino ad Aristotele, dall'autentica religiosità stessa. Va rilevato, inoltre, che nella rappresentazione della s. lasciataci da Teofrasto si riscontrano non poche analogie con atteggiamenti che tuttora, nella civiltà contemporanea, vengono etichettati tanto dal più rigido osservante quanto dal miscredente, come superstiziosi. Un tratto costante sembra contraddistinguere il concetto di s. o, meglio, l'impiego che di esso è stato e continua a essere fatto nelle varie epoche storiche: vale a dire il fatto per cui esso viene sempre utilizzato dai portatori della religione dominante in senso retrospettivo, per indicare manifestazioni religiose che hanno già avuto il loro corso storico e che vengono considerate inferiori e arretrate rispetto a quelle vigenti. A prova di quanto affermato, si possono menzionare gli attacchi (dei quali peraltro troviamo chiara eco già nel Nuovo Testamento) mossi dai primi cristiani nei confronti di ogni ritualismo giudaico, considerato come forma di s. Ancora, possiamo ricordare il carattere superstizioso che, più avanti, fu attribuito al paganesimo in toto, condannato nelle sue manifestazioni idolatriche quali l'utilizzo, a fini di culto, di oggetti, immagini e templi, o la venerazione di elementi e fenomeni naturali, così come di animali ritenuti sacri (è importante tuttavia precisare che tale giudizio non viene mai esteso, da parte del mondo cristiano, a quelle forme di religiosità, quali l'Islamismo e il Manicheismo che, pur essendo "altre" non prevedono una concezione politeistica della divinità). Per quanto concerne la causa prima del formarsi di pratiche e convinzioni superstiziose accanto alle confessioni ufficiali, essa è solitamente da rintracciarsi nella necessità di soddisfare quei bisogni interiori, propriamente spirituali, che la religione dominante (soprattutto quando questa è troppo assorbita da fattori terreni come la politica o, al contrario, da fattori extraterreni come un'eccessiva cura della vita futura a scapito di quella presente) può a volte a trascurare. Tuttavia spesso la s. sopravvive come risposta a bisogni che si sono formati anteriormente al costituirsi di una religione istituzionalizzata, radicandosi negli strati culturalmente ed economicamente più arretrati della società, dove si esplica sotto forma di manifestazioni isolate e prive di ogni senso unitario e senza possibilità di sviluppo futuro. La nostra cultura contempla due fondamentali concezioni di s.: la prima è quella prevista dall'insegnamento della Chiesa cattolica, secondo la quale l'atteggiamento superstizioso è da identificarsi nell'adempimento di qualsiasi atto rituale falso o superfluo (cultus indebitus) quale, ad esempio, la venerazione di reliquie non consacrate ufficialmente, i rituali privati, le pratiche magiche, ecc. Gli sforzi della Chiesa cattolica per estirpare le sopravvivenze della s. risalgono ai suoi stessi albori; tuttavia va ricordato che la condanna e, a volte, la persecuzione non sono bastate a eliminare totalmente e definitivamente comportamenti e pregiudizi così profondamente radicati a livello della coscienza popolare. Pertanto la Chiesa si è trovata costretta, soprattutto di fronte a certe usanze di origine pagana legate all'ambiente agricolo (riti per la pioggia, processioni intorno ai campi per favorire la fertilità), ad assumere un atteggiamento di accondiscendenza: la tolleranza ha permesso alle gerarchie ecclesiastiche di inglobare tali sopravvivenze rituali nel proprio sistema di valori, trasformandone il senso ultimo conformemente alle esigenze di una politica culturale accentratrice. La classificazione delle ulteriori forme di s., nella cultura odierna, viene invece fatta sulla base delle diverse civiltà religiose in cui tali credenze, in quanto fenomeni storici, nascono e si sviluppano. Evitando considerazioni in merito a una presunta evoluzione delle varie esperienze religiose attraverso le epoche storiche, possiamo identificare alcune sopravvivenze di credenze animistiche, come, ad esempio, la convinzione nell'esistenza di spiriti, geni e demoni che interverrebbero nelle piccole questioni quotidiane e che, pertanto, esigerebbero da parte dell'uomo un atteggiamento ben specifico; ancora, nel nostro mondo culturale va rilevata la presenza di fenomeni che derivano chiaramente da antiche pratiche di magia, come il fatto di rivolgersi a indovini o fattucchiere che possano predire il futuro, o di scorgere in determinati individui particolari capacità e poteri, benefici o infausti che siano, esulanti dall'ambito propriamente umano. Tra le sopravvivenze di antiche credenze vanno annoverate le s. riguardanti gli auspici e i significati trasmessi dai sogni e quelle che attribuiscono un valore speciale a determinati numeri ed elementi naturali. Un tipo particolare di s. va inoltre identificato nelle s. dottrinali, che costituirebbero residui di convinzioni scientifiche in seguito sorpassate. Tuttavia non è da escludere che tali convinzioni, in virtù del carattere superstizioso e quindi irrazionale che ancora oggi conservano, fossero di provenienza religiosa. Indubbia origine religiosa hanno anche le s. di classe, che vengono tramandate di epoca in epoca da determinati gruppi sociali (cacciatori, contadini, pastori). Ad ogni modo va sottolineato il fatto per cui, affinché sia possibile che una religione superiore applichi il concetto di s. a un insieme di comportamenti e di pratiche giudicate collimanti con il proprio sistema di valori, è necessario che, in un dato contesto storico-sociale sia percepibile la nozione di altro: in altre parole, il panorama religioso, lungi dall'essere rigidamente monolitico, deve essere diversificato nelle sue manifestazioni. Osserviamo, infine, che nelle religioni dominanti a carattere politeistico l'idea di s. può essere formulata a proposito di atteggiamenti e tendenze, radicate nella propria comunità religiosa o in quelle di altri popoli, che presuppongono un modo sostanzialmente diverso di rapportarsi alla divinità. Tuttavia per una religiosità di tipo politeistico il concetto di s. non viene mai utilizzato nel senso di alterità per etichettare religioni diverse dalla propria.