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Sublime.

(dal latino sublimis: che giunge alla soglia più alta, der. di sub: sotto, dal basso in alto, e limen: soglia). Altissimo, assai elevato, più alto di qualsiasi altro: mirare la bellezza del mondo da luoghi s. ║ Fig. - Di cosa eccelsa, nobile, di grande levatura morale, intellettuale, spirituale, estetica: un uomo di s. virtù. ║ In senso enfatico, iperbolico, ironico o scherzoso, anche in riferimento a persona, grandissimo, assoluto, eccellente: lo guardò con s. indifferenza. Di persona, che ha grandi capacità, che ha dato prova di valore: Dario Fo è un s. interprete della satira contemporanea. ║ Stile s.: nella tripartizione degli stili della retorica classica, lo stile tragico, alto (l'insieme degli strumenti retorici, formali, lessicali che vanno usati per la descrizione e trattazione dei temi più elevati). • Mat. - Calcolo s.: espressione, oggi caduta in disuso, utilizzata nel linguaggio scientifico e matematico fino alla metà del XIX sec. per designare il calcolo infinitesimale. Conseguentemente, veniva definita fisica s. l'applicazione di questo tipo di calcolo alle trattazioni di problemi di fisica. • Est. - Massima manifestazione della bellezza, della grandezza, dell'imponenza e della maestosità nell'arte, nella natura, nei sentimenti, nella sfera morale, intellettiva, ecc. La storia dell'idea del s. inteso come peculiare attributo estetico ed etico dell'opera d'arte ha inizio nell'antichità classica con il trattato anonimo dei primi decenni del I sec. d.C. Perí hýpsous (latino De sublimitate). Questo trattato, più comunemente conosciuto come Anonimo del Sublime o anche, in virtù del fatto che fu per lungo tempo attribuito a Cassio Longino, come Pseudo-Longino, costituisce la fondamentale documentazione in nostro possesso per la ricostruzione del concetto di s. presso gli antichi e, nel contempo, rappresenta il punto di partenza di tutta la successiva letteratura sull'argomento. La nozione di s. possiede, secondo lo sconosciuto filologo che compose l'Anonimo, una duplice valenza, estetica ed etica. In qualità di concetto estetico il s. (nel trattato hýpsos: altezza) designa l'insieme delle qualità, dei tratti che rendono un qualsiasi oggetto eccelso, imponente, maestoso alla vista e alle facoltà emotive. D'altro canto non si specifica quali siano le caratteristiche oggettive che permettono di riconoscere in un dato oggetto il valore del s.: al contrario, la preoccupazione principale dell'autore sembra essere quella di indicare le svariate modalità, i diversi processi mentali ed emozionali tramite cui elevare l'animo, aprendogli la strada alla percezione del s. Pertanto l'Anonimo, pur considerando il s. un concetto di natura sostanzialmente retorica (come s. si definisce il più alto dei tre genera elocutionis; V. RETORICA), gli attribuisce anche un significato etico e, in questo modo, pone le basi per la futura evoluzione dell'idea del Bello oltre la categoria puramente formale, evoluzione che sarà portata a compimento solo dall'estetica preromantica e romantica. Sono numerosi gli spunti che l'Anonimo del Sublime ha offerto all'estetica moderna, in particolare dopo la sua pubblicazione, avvenuta in epoca rinascimentale (1554) a opera di F. Robortello, e la sua traduzione in francese (1673), eseguita da N. Boileau-Despréaux. Rilevante, nella letteratura settecentesca sul s., è l'opera di E. Burke Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful (1757). Secondo la visione empiristica di Burke, il sentimento del s. in arte sarebbe originato da qualunque idea, condizione, spettacolo o fenomeno naturale (l'oscurità, il silenzio più profondo, il mare in tempesta, le distese sterminate, l'orrido) in grado di suscitare sensazione di paura, dolore o pericolo. D'altro canto, le manifestazioni del s. provocherebbero, oltre al senso di smarrimento, precarietà e impotenza, una particolare sensazione di piacere (un "dilettoso orrore"), che sarebbe generata nel momento in cui l'istinto di conservazione permette all'uomo, dinanzi a un pericolo giudicato non letale, di vincere le sue paure e di far fronte alla minaccia incombente. Burke opera quindi una netta distinzione tra la categoria del bello e quella del s.: il sentimento del bello sarebbe infatti generato, contrariamente a quello del s., dall'osservazione distaccata dell'oggetto e sarebbe seguito da un piacere disinteressato. Le concezioni fondamentali dell'analisi di Burke, così come le conclusioni a cui perviene, furono accolte da I. Kant: le ritroviamo infatti, pressoché inalterate, nel suo Beobachtungen über Gefühl des Schönen und Erhabenen (1764). Diversa risulta invece la trattazione del concetto del s. nella Critica del Giudizio (1790), dove Kant prende decisamente le distanze da Burke. In particolare, il filosofo tedesco distinse tra due tipi di s.: un s. matematico, che si genera di fronte alla infinità spaziale e temporale della natura; un s. dinamico, che nasce contestualmente al senso di precarietà e impotenza della condizione umana dinanzi alla forza distruttrice di certi fenomeni naturali. Il s., inoltre, non provoca un piacere meramente estetico e disinteressato: facendo emergere l'opposizione tra ragione e sensibilità esso, attraverso i canali emotivi, desta nell'uomo la consapevolezza della propria superiorità in quanto essere razionale e lo avvicina a una dimensione sovrasensibile, che eccede il mondo fenomenico. Un'ulteriore interpretazione del concetto del s. è fornita dalla filosofia hegeliana. Il s. si identifica, secondo Hegel, con l'arte simbolica: in esso, infatti, troverebbe manifestazione l'impossibilità di far corrispondere l'ordine fenomenico "finito" (il "regno delle apparenze") a quello superiore e "infinito" dello Spirito. Svincolato da ogni valenza etica e sovrafenomenica, il concetto di s. ritorna come pura categoria estetica nel sistema filosofico di A. Schopenhauer, dove viene identificato con l'impeto irrefrenabile delle forze della natura. Malgrado l'interesse per il s. sia andato gradualmente affievolendosi a partire dall'epoca postromantica, esso sembra essere rinato nella cultura contemporanea, come dimostrano gli studi, di recente pubblicazione, di G. Santayana e dello statunitense H. Bloom.