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Strofa.

(o strofe; dal greco strophé: rivolgimento, voltata del coro, der. di strépho: mi volgo). Metr. - In poesia, periodo ritmico, che si ripete più volte, costituito da un raggruppamento di due o più versi che presentano un senso logico compiuto e uno schema prestabilito per numero di versi e sequenza di consonanze e rime. Variamente costruita nella lirica classica, la s. nella tradizione poetica moderna è determinata dal numero e dalla tipologia di versi, oltre che dalla disposizione fissa delle rime. Si usa il termine strofe per indicare la metrica antica e il termine strofa per la metrica moderna. ║ Metrica classica: la s. greca è un'unità ritmica composta da due o più cola (V. COLON), non sempre coincidenti con i versi, che si distinguono per fine di parola, iato o sillaba ancipite. In origine la s. consisteva nell'aria che il coro cantava girando intorno all'orchestra (strophé) ed era composta da un numero variabile di periodi, non sempre coincidenti con i versi. La s. era la prima parte della triade dorica, inaugurata da Simonide, che faceva seguire alla s. un'antistrofe e l'epodo. In base alla loro diversa struttura si distinguevano due grandi famiglie di s. nella poesia greca: da una parte la lirica dorica (Simonide, Bacchilide e Pindaro), di carattere corale, come il coro della tragedia attica, che prevedeva una grande libertà nell'uso dei metri diversi e nel numero dei periodi o versi che la componevano; dall'altra la lirica eolica (Saffo, Alceo), che richiedeva la successione regolare di periodi coincidenti con i versi, destinati a ripetersi secondo uno schema prefissato. Per esempio, la s. saffica era costituita da tre versi saffici minori cui seguiva un adonio. Alla fine del V sec. a.C. la poesia strofica andò progressivamente scomparendo, e la poesia greca divenne quasi esclusivamente recitativa. Nella letteratura latina delle origini, che pure godette di una grande polimetria, la maggior parte dei cantica di Plauto fu astrofica. Solo successivamente, grazie ai poeti cosiddetti neoteroi, e soprattutto a Catullo, la strofica ricomparve, valorizzata da Orazio che riprese e rese fisse le forme strofiche dei poeti di Lesbo. ║ Metrica italiana: il modello strofico comprende di solito il tipo e la quantità dei versi impiegati, l'uso e la collocazione delle rime. Si possono quindi distinguere s. monometre o isometriche, formate da versi dello stesso tipo (tutti decasillabi) e s. polimetre o anisometriche, formate da versi di tipo diverso. Le s. a schema fisso della nostra tradizione sono: il distico (o coppia), che è una s. formata da due soli versi; la terzina (o terza rima, terzetto, ternario), formata da tre versi; quartina (o quaternaria), formata da quattro versi; sestina (o sesta rima), formata da sei versi; ottava (o ottava rima), formata da otto versi; nona rima, formata da nove versi; decima rima, formata da dieci versi. Una s. libera, non vincolata da un preciso numero di versi, fu inventata da G. Leopardi per i suoi Canti. La stanza è la s. della canzone e contiene una diretta allusione all'arresto subito dal ritmo quando il periodo ritmico è compiuto, e in realtà si ha in quel momento una "pausa" (stanza) in attesa che la poesia continui con il "ritornello" o "ripresa". Anche le stanze vengono chiamate con nomi particolari; si hanno stanze divise quando da una stanza all'altra viene mantenuto lo stesso ritmo ma variano le rime; stanze indivise in cui, oltre al ritmo, sono mantenute anche le rime, nel senso che se le rime sono baciate in una stanza saranno baciate anche nelle stanze successive e se sono concatenate, saranno tali anche nelle altre stanze, e così via. I versi che compongono una stanza sono quasi sempre endecasillabi o settenari, ma vi possono anche essere mescolati, secondo certe regole, endecasillabi e quinari. La stanza divisa è costituita di due parti (fronte e volta) ciascuna delle quali può essere suddivisa, a sua volta, in periodi minori: piedi nella fronte; volte nella volta. Riepilogando diremo che è invalso l'uso di chiamare stanza i sistemi di versi cui ricorrevano i poeti prima del XVI sec.; s. quelli che si svilupparono a partire dal XVI sec. a imitazione dei sistemi di verseggiatura classica (Umanesimo). Le s. risultano di conseguenza assai più agili e più libere delle stanze, soprattutto perché non costrette da regole fisse per quanto concerne il numero dei versi e l'ordine delle rime. ║ Graficamente lo schema di una s. viene rappresentato ricorrendo alle lettere dell'alfabeto che indicano la successione dei versi e il legami di rima con la riproposizione di lettere uguali. Di solito la lettera maiuscola indica il verso endecasillabo, la minuscola tutti gli altri, che in caso di varietà sono specificati con il numero delle sillabe a esponente.