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Stendhal.

Pseudonimo di Henri Beyle. Scrittore francese. Nato da un'agiata famiglia borghese, a soli sette anni rimase orfano della madre Henriette, figlia di un noto medico di Grenoble, seguace delle idee illuministe di Voltaire; trascorse quindi l'infanzia in un ambiente familiare opprimente, dominato dalla figura del padre, monarchico e tradizionalista; animato da una profonda ostilità nei suoi confronti, il giovane S. sviluppò un'indole egocentrica, anticonformista e ribelle alle costrizioni imposte e si entusiasmò per i principi della Rivoluzione, professandosi ateo e giacobino. Dotato di un ingegno vivace e precoce, fin da giovane si dedicò alla lettura, appassionandosi per autori quali L. Ariosto, M. de Cervantes, J.-J. Rousseau e soprattutto W. Shakespeare. Negli anni fra il 1796 e il 1799 proseguì gli studi a Grenoble; qui, sotto la guida di valenti insegnanti (Dubois-Fontanelle, L.J. Jay), continuò ad attendere con fervore alla lettura delle opere letterarie e teatrali, e scoprì nuovi interessi per il disegno, per la storia dell'arte e per la matematica, materia nella quale eccelleva. Grazie al cugino Pierre Daru, futuro ministro di Napoleone, S. trovò impiego presso il dicastero della Guerra; nel 1800, in qualità di addetto all'Intendenza, fu inviato in Italia al seguito del VI reggimento dei dragoni dell'esercito napoleonico, destinato di stanza a Milano. Il viaggio in Italia costituì un'esperienza determinante per S., che rimase affascinato dal carattere e dai costumi degli Italiani e dal paesaggio e dall'arte dei luoghi visitati. Tuttavia, non resistette a lungo alla monotonia della vita militare e, dopo essere rientrato a Parigi nel 1801, rassegnò le dimissioni dall'esercito. Nello stesso anno iniziò la stesura di un diario, il Journal (1888, postumo; edizione integrale, 1935), non destinato alla pubblicazione, che costituisce però un documento essenziale per ricostruire il periodo della sua formazione. Nella capitale francese si dedicò alla lettura di autori impegnati (egli stesso definì gli anni fra il 1802 e il 1805 "periodo di vita filosofica") e iniziò la sua attività letteraria, limitata alla stesura di un ambizioso programma comprendente, fra l'altro, un poema intitolato La Pharsale, in dieci libri, due tragedie e due commedie; di tale progetto solo queste ultime due furono abbozzate. Nel 1805 S. si trasferì a Marsiglia; ritornato a Parigi l'anno seguente, ottenne un impiego stabile nell'amministrazione dell'Impero napoleonico. Fra il 1806 e il 1814, come funzionario imperiale, svolse importanti incarichi sia civili sia militari, che lo obbligarono a lunghi e frequenti spostamenti: fu in Germania, a Parigi, in Austria al seguito dell'esercito impegnato nelle operazioni militari. Tornato nuovamente a Parigi nel 1810, intraprese un secondo viaggio in Italia. A questi frequenti spostamenti si accompagnarono altrettanti amori, che non lo distrassero tuttavia dai suoi impegni: nominato auditore al Consiglio di Stato, nel 1812, in qualità di direttore generale degli approvvigionamenti, partì con l'armata napoleonica per la campagna di Russia, durante la quale ebbe modo di assistere all'incendio di Mosca e alla battaglia della Moscova; riuscì miracolosamente a mettersi in salvo e a tornare in patria. Nel 1813 ripartì per la Slesia per partecipare alla campagna di Germania e nel 1814 organizzò la difesa del Delfinato. In quello stesso anno, a seguito di una malattia, chiese ed ottenne il permesso di recarsi in Italia per curarsi, soggiornando prima a Milano, quindi a Venezia. Alla caduta di Napoleone tornò a Parigi, rifiutandosi però di servire nell'esercito borbonico; privo di impiego e in ristrettezze finanziarie si trasferì nuovamente in Italia, dove rimase sette anni, dal 1814 al 1821 (se si eccettuano brevi viaggi a Londra, Parigi e Grenoble), periodo che egli ebbe a definire "il fiore della mia vita". Visse in prevalenza a Milano, città che amò al punto da volere che nell'epitaffio dettato per la sua tomba fosse scritto "Arrigo Beyle, milanese"; qui entrò in contatto con gli esponenti del movimento romantico e liberale italiano che si riunivano intorno al periodico "Il Conciliatore", frequentò assiduamente i salotti mondani e la Scala, si dedicò all'attività letteraria. Nel 1815 pubblicò con lo pseudonimo di L.A.A.C. Bombet la sua prima opera, il saggio Vite di Haydn, di Mozart e di Metastasio, in gran parte ricalcato su un volume di G. Carpani, che difatti lo accusò di plagio; nel 1817 diede alle stampe, con lo stesso pseudonimo, la Storia della pittura in Italia, anch'essa parzialmente derivata dall'opera di un altro autore italiano, l'abate L. Lanzi: nonostante tali debiti, entrambi i saggi costituiscono compilazioni interessanti e non prive di originalità né di spirito critico. Di fatto, l'autore non mancava di fare pungenti notazioni polemiche sui meriti del regime napoleonico e sulla decadenza seguita alla Restaurazione. Nello stesso 1817, assunto il nuovo pseudonimo di S. (derivato dalla città tedesca di Stendal, patria di Winckelmann), pubblicò Roma, Napoli e Firenze, diario di viaggio in cui si rivelano la sua intelligenza brillante e le sue doti di acuto osservatore e di implacabile avversario politico dei Borboni. Sospettato dalla polizia austriaca di appartenere alla Carboneria, nel 1821 abbandonò Milano e rientrò a Parigi. Nel 1822 uscì il trattato Dell'amore, singolare monografia psicologica ispirata a S. dall'infelice passione per una donna; nel 1823 pubblicò Vita di Rossini e la prima parte di Racine e Shakespeare (la seconda parte uscì nel 1825), sorta di manifesto romantico in cui, sotto l'evidente influsso delle dottrine dei letterati italiani L. di Breme ed E. Visconti, lo scrittore si schierava apertamente a favore della poetica elaborata dal Romanticismo. Nel frattempo iniziò a frequentare i salotti politici ed eleganti parigini, entrando in amicizia con la celebre cantante Giuditta Pasta e con lo scrittore P. Mérimée; in difficoltà economiche, fu indotto a collaborare a numerosi periodici, fra cui il "Journal de Paris", "Le Globe" e altre riviste inglesi, per le quali scrisse articoli di critica d'arte e musicale, di politica e di costume, molti dei quali vennero poi raccolti nel volume Corriere inglese. Nel 1825 compose Su un nuovo complotto contro gli industriali, interessante documento degli interessi di S. per le questioni di carattere sociale. Nel 1827 diede alle stampe il suo primo romanzo, Armance, o Qualche scena di un salotto di Parigi nel 1827, con il quale lo scrittore inaugurava il genere del romanzo realistico romantico. Ad esso fecero seguito le Passeggiate a Roma (1829) che, pur presentandosi come una specie di guida turistica, racchiudono pagine ricche di fascino e di notazioni acute e la novella Vanina Vanini (1829, poi inclusa nell'edizione delle Cronache italiane del 1855, postuma). Nel 1830 (ma con la data 1831) vide la luce il primo grande capolavoro di S., il romanzo Il rosso e il nero (V. ROSSO E IL NERO, IL): vi si narra la vicenda di Julien Sorel, definito dai critici "il primo eroe della letteratura moderna", ambizioso giovane di modeste condizioni in lotta contro la società della Restaurazione, insieme al quale si muovono due opposte figure femminili, l'appassionata e devota Madame de Rênal e l'aristocratica ed enigmatica Mathilde de La Mole. Il romanzo, connotato da una profonda intuizione psicologica e da una straordinaria descrizione dei fenomeni sociali, per la sua modernità lasciò sconcertati i lettori contemporanei, i quali non lo apprezzarono. Dopo la Rivoluzione del 1830 e l'avvento della Monarchia orleanista di Luigi Filippo, S. fu nominato console e inviato a Civitavecchia (1831-41). Nel 1832 scrisse i Ricordi di egotismo (postumi, 1892), di carattere autobiografico, mentre nel 1834 intraprese la stesura del romanzo Lucien Leuwen, la cui redazione interruppe l'anno successivo per dedicarsi a un'altra opera autobiografica, la Vita di Henri Brulard, abbandonata a sua volta nel 1836: entrambe videro poi la luce, postume e incompiute, rispettivamente nel 1894 e nel 1890. Fra il 1837 e il 1839 S. pubblicò su varie riviste una serie di novelle ispirate a cronache italiane del Rinascimento (Vittoria Accoramboni, 1837; I Cenci, 1837; La duchessa di Palliano, 1838; La badessa di Castro, 1839, riunite poi tutte in un'edizione postuma con il titolo Cronache italiane, 1855). Nel frattempo, nel 1838 erano uscite le Memorie di un turista e nel 1839 il suo secondo capolavoro, il romanzo La certosa di Parma (V. CERTOSA DI PARMA, LA). Anche in quest'opera, come ne Il rosso e il nero, lo spunto gli venne offerto da alcuni episodi reali, tratti dalle cronache italiane dei secc. XVI-XVII e adattati all'ambiente dell'Italia dopo il Congresso di Vienna; analogamente, vi è un giovane eroe protagonista, Fabrizio Del Dongo, conteso da due donne diverse fra loro, la brillante ed energica duchessa di Sanseverina e la dolce e patetica Clelia Conti: tuttavia, a differenza di Julien Sorel, l'eroe di questo romanzo è contraddistinto da grazia e ingenuità; inoltre, tutta la vicenda si svolge in un'atmosfera sospesa e quasi fiabesca. Negli ultimi anni della sua vita, S. fu costretto a rientrare a Civitavecchia, dove, pur compiendo frequenti visite a Roma, attese alla stesura di altre opere rimaste incompiute, fra cui i romanzi Il rosa e il verde e Lamiel, editi postumi nel 1889. Colpito da un attacco di apoplessia nel 1841, chiese e ottenne di rientrare a Parigi, dove morì. Il genio letterario di S. non fu compreso dai suoi contemporanei: solo negli ultimi anni della sua vita egli ricevette proposte di collaborazione da parte di riviste del calibro della "Revue des deux Mondes" e suscitò l'ammirazione di scrittori come Balzac. D'altronde, la sua produzione così innovativa e caustica nei confronti dell'ipocrisia e dell'ideologia borghese non poteva essere apprezzata da un pubblico che in larga parte apparteneva proprio alla borghesia e ne condivideva convinzioni e gusti; inoltre, il suo stile moderno, asciutto, privo di eloquenza e modellato sulla prosa impersonale delle cronache e della letteratura scientifica, fu non di rado accusato di sciatteria dai critici della sua epoca; in realtà, le scelte stilistiche di S. nascevano dall'esigenza di stabilire con il lettore un rapporto diretto, privo di ipocrisia e fondato sulla sincerità dei sentimenti. Solo mezzo secolo dopo la sua morte, ben più tardi della prima edizione completa delle sue opere curata dall'amico e cugino Romain Colomb fra il 1853 e il 1855, la figura e la produzione di S. iniziarono a essere pienamente rivalutate: alcuni critici e scrittori, fra cui E. Zola, videro in lui un maestro dello psicologismo individualistico e del realismo; altri, tra i quali F. Nietzsche, sottolinearono l'importanza di tratti quali l'egotismo, il culto dell'energia, il vitalismo, la volontà di gioia, dando luogo fra l'altro alla nozione di "beylismo" (con riferimento esplicito al cognome di S.) per definire l'atteggiamento morale e il modo di vivere di individui con tali caratteristiche. Al giorno d'oggi, anche in seguito alla pubblicazione delle opere incompiute, dei frammenti e dei documenti (fra cui spicca l'importante Corrispondenza, 1963-68), la critica è concorde nel valutare gli indubbi meriti di S., il suo stile rigoroso e asciutto, il suo talento nel forgiare personaggi di statura eroica e nell'indagarne la psicologia, la sua modernità, l'acutezza nel cogliere le tensioni della società del suo tempo e di rifletterle nei suoi romanzi, capolavori della grande corrente del Realismo (Grenoble 1783 - Parigi 1842). ║ Sindrome di S.: V. SINDROME.