Titolo italiano del dramma in prosa
Gengangere
(I morti che tornano) in tre atti di H. Ibsen, rappresentato nel 1881. Composto
a Sorrento, costituisce, insieme con
Nemico del popolo e
Casa di
bambola, una trilogia volta a denunciare l'insanabile contrasto fra la
libertà individuale e la costrizione imposta dalle convenzioni sociali,
intese come ipocrite e tiranniche. La protagonista, Elena Alving, vedova di un
uomo vizioso e turpe ma esteriormente stimabile e rispettato, pur animata da un
intenso desiderio di ribellione non ha saputo sottrarsi alle imposizioni della
morale corrente. Tradita dal defunto marito, individuo immondo che le chiedeva
spettacolo di dissolutezza, è rimasta con lui perché così
le imponeva il suo dovere, sacrificando a tale rispettabilità la sua
stessa esistenza che, per amore del figlio Osvaldo, brillante artista, consuma
in un'apparente devozione per il defunto. Tuttavia, proprio l'innocente figlio
è condannato a subire le conseguenze dei vizi paterni: quando si
invaghisce della domestica Regina (ignorando che è frutto di una
relazione illegittima del padre), Elena è costretta a rivelargli la
verità; minato dalla sifilide, trasmessagli dal padre, Osvaldo sente
vacillare la propria ragione e la propria creatività artistica
all'approssimarsi della paralisi progressiva che lo conduce a una irreversibile
demenza. Per l'arditezza dell'assunto e per l'aspro contenuto polemico e umano,
gli
S. suscitarono scandalo e incorsero nella critica del puritanesimo
offeso.