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Sparta.

Città (15.000 ab.) della Grecia, capoluogo del nomo di Laconia; è situata a 224 m s/m., nel Peloponneso sud-orientale, sulla destra del fiume Eurota. Econ. - Al centro di una regione agricola (oliveti, vigneti, agrumeti), è il principale centro di commercio agricolo della zona e sede di industrie della trasformazione alimentare. La città attuale, ricostruita nel 1834 per volontà del re di Grecia Ottone, sorge un poco più a Sud del sito antico. St. - Dalle origini al VII sec. a.C.: la tradizione mitologica ellenica narrava l'episodio del “ritorno degli Eraclidi”, secondo il quale i discendenti di Eracle tornarono nel Peloponneso e lo colonizzarono. Già Tucidide, alla fine del V sec. a.C., interpretava questa notizia come il racconto simbolico dell'invasione dei Dori nella regione, fatto che, tra il XIII e l'XI sec. a.C., pose fine alla civiltà micenea. Si trattava, come risulta dai dati archeologici, di una popolazione di stirpe greca, dotata di una forza militare tale da cacciare gli Achei dalle loro terre: i Dori occuparono in particolare l'alto bacino dell'Eurota e gli insediamenti micenei locali. Un precedente sito miceneo sul colle di Terapne divenne, intorno al X sec. a.C., il primo stanziamento dorico della futura S.: il centro fu noto come Lakedàimon, nome ufficiale della città che ne nacque e origine del termine Lakedaimònioi con il quale gli antichi indicavano i suoi cittadini. Successivamente, tra il IX e l'VIII sec., i Dori si stanziarono nella piana sottostante; fondarono quattro villaggi limitrofi (Pitane, Mesoa, Cinosura e Limne) e occuparono, alla fine dell'VIII sec., la località di Amicle, conquistando gradatamente tutta la valle dell'Eurota fino al mare. La struttura a insediamenti sparsi (donde il toponimo Sparté, da speíro: semino, spargo) determinò il carattere di “città aperta” che S. mantenne fino al III sec. a.C., quando furono edificate per la prima volta mura di difesa. Il nome S., infatti, si riferisce non tanto all'una o all'altra delle borgate che la costituivano, ma alla pianura su cui esse erano dislocate. L'espansione territoriale spartana non perse slancio fino al VII sec.; una volta assicuratisi uno sbocco sul mare, infatti, la polis si volse alla conquista della Messenia, la regione confinante a Ovest con la Laconia. La prima guerra messenica (V. MESSENICO) scoppiò intorno al 770 a.C. (ma secondo alcuni studiosi qualche decennio più tardi, tra il 743 e il 736): i Messeni furono cacciati dalla fertile piana in cui abitavano e costretti alla resistenza sul Monte Itome. Parte di loro fu ridotta a una condizione servile, cui si ribellarono circa un secolo più tardi, dando origine alla seconda guerra messenica, che durò dal 654 al 628 a.C. In questa occasione i Messeni furono appoggiati da altre città del Peloponneso, interessate a contrastare la potenza spartana: Argo, Sicione, Tegea, Pisa e l'Arcadia. Altre popolazioni, però, si schierarono con gli S., in particolare gli Elei e i Sami; in breve i Messeni furono ridotti a una estrema resistenza sul Monte Ira e poi sconfitti. Gli Spartani si volsero allora contro le altre città nemiche, soprattutto quelle degli Arcadi: Orcomeno e Tegea. La regione meridionale dell'Arcadia, la Sciritide, fu direttamente incorporata alla Laconia, mentre le città (oltre alle due succitate, anche Mantinea e altre minori) furono costrette a un'alleanza militare (summachía), nocciolo della futura lega peloponnesiaca (V. PELOPONNESIACO). ║ Ordinamento sociale e istituzionale: durante l'VIII e il VII sec. a.C., S. non solo realizzò la prima espansione territoriale e militare, ma delineò anche la propria peculiare organizzazione socio-politica. Alla fine del VII sec., infatti, la costituzione spartana appariva già rigidamente delineata e non più passibile di modifiche né di diritto né di fatto, dal momento che il conservatorismo giuridico e sociale era esplicito e indicato come un preciso dovere della cittadinanza. La tradizione attribuiva a Licurgo, figura sulla cui storicità permangono fortissimi dubbi, la paternità dell'ordinamento di S. che sarebbe stato direttamente approvato da Apollo delfico; le leggi spartane risultavano così ammantate di sacrale irriformabilità. In realtà, il complesso legislativo fu esito di un lungo processo evolutivo, attestato con sufficiente certezza nelle sue fasi storiche e con ogni probabilità dipendente, almeno in parte, da quello dell'antica Creta. Fin dal principio al vertice della polis era una diarchia: due famiglie nobiliari (gli Agiadi e gli Euripontidi) davano di diritto i due re; la successione era ereditaria e spettava non al primogenito bensì al primo maschio nato dopo l'ascesa al trono. Gli storici hanno suggerito diverse possibili origini per questo istituto: esso era forse il risultato dell'antico dualismo di S., in origine formata dal borgo miceneo di Terapne e dai nuovi insediamenti di pianura; o forse l'esito di un compromesso tra una dinastia regnante e una stirpe nobiliare molto potente; o ancora si tratterebbe della semplificazione di una magistratura a tre (un re per ciascuna delle tre antiche tribù: Illei, Dimani e Panfili); infine alcuni ritengono che la diarchia fosse in origine una magistratura affine a quello che sarebbe stato il consolato romano, istituita dalla nobiltà come propria espressione in sostituzione del sovrano unico. Comunque fosse, i due re esercitavano in S. un potere di tipo esecutivo, che consisteva principalmente nella facoltà di dichiarare la guerra, nel comando dell'esercito e nella rappresentanza rituale della città ai sacrifici pubblici. I due re, tuttavia, compartecipavano alla gestione del potere legislativo e giuridico esercitato di diritto dalla gherusía, cioè da un consiglio formato da 30 membri (compresi i due re) eletti a vita e scelti tra gli aristocratici di S. che avessero compiuto i 60 anni. Il numero totale dei ghérontes (anziani) depone per l'antichità dell'istituto, che rispecchia certamente l'originaria divisione della popolazione in tre tribù. Il consiglio deliberava sulle questioni politiche e assolveva anche compiti giudiziari. Tutti i cittadini (spartiati) di età compresa fra i 30 e i 60 anni erano membri di diritto dell'assemblea cittadina (apella): essa veniva convocata regolarmente e aveva il potere di deliberare sulle proposte della gherusía, approvandole o respingendole. I membri dell'assemblea, tuttavia, non avevano diritto di parola e non potevano quindi presentare proprie proposte, ma solo valutare quelle degli anziani. La materia su cui l'apella era chiamata a deliberare riguardava questioni di pace e di guerra, la successione al trono in caso di controversie e le cariche elettive. Secondo Polibio, in una fase più tarda il voto dell'apella divenne da deliberativo solo consultivo, in quanto la gherusía, quando lo ritenesse opportuno, aveva la facoltà di non tenere conto dell'indicazione dell'assemblea generale. Oltre ai membri vitalizi della gherusía si eleggevano in S. con durata annuale cinque efóroi. Questa magistratura è forse la più recente e gli stessi antichi ne attribuivano l'istituzione non a Licurgo ma a un più tardo re Teopompo, vissuto forse nella seconda metà dell'VIII sec. a.C.; essa è comunque anteriore alla fine del secolo, dal momento che l'istituto collegiale degli efori si ritrova anche nelle prime colonie lacedemoni della Magna Grecia (Taranto venne fondata nel 706 a.C.). Il numero cinque, inoltre, sembra collegato a una più recente ripartizione dei collegi territoriali di nomina, sulla base dei cinque nomoi (borgate) che diedero vita allo Stato spartano (V. SOPRA). Il compito degli efori, che presiedevano l'apella, era quello di controllare gli atti dei funzionari statali, compresi i re e gli anziani, affinché non venissero commessi abusi nei confronti dei cittadini. Alla base di questo ordinamento politico stava un preciso assetto sociale, che venne forzosamente mantenuto inalterato a prescindere dal variare delle condizioni politiche e demografiche, conducendo così la società spartana verso il progressivo inaridimento civile e il declino militare. Le conquiste territoriali dei primi secoli costituirono il patrimonio fondiario iniziale di proprietà dello Stato (politiké chora: territorio cittadino): esso venne diviso in uguali appezzamenti di terreno (kléroi) e ogni spartiate ne riceveva uno in usufrutto inalienabile ma ereditario. L'essere titolari di un lotto di terra era infatti la condizione necessaria per ottenere o mantenere il diritto di cittadinanza: con i proventi della terra, infatti, gli spartiati pagavano il proprio contributo alla vita pubblica e si mantenevano in armi, secondo l'ordinamento oplitico. Per conservare integro il territorio cittadino, i singoli lotti venivano trasmessi senza frazionamenti al primogenito: gli altri figli maschi, ove ci fossero, dovevano acquistare un appezzamento nei territori dei perieci (V. OLTRE) oppure decadevano dal diritto di cittadinanza, diventando hupoméiones (inferiori); tale diritto infatti dipendeva non solo dall'essere nati da padre spartiate, ma anche dall'essere proprietari di un terreno che consentisse il mantenimento degli obblighi economici verso lo Stato. Dal momento che ai cittadini di Sparta era vietato l'esercizio del commercio e dell'artigianato e il possesso di monete d'oro e d'argento, l'unica fonte di reddito consentita era quella agricola. Si comprende facilmente come l'espansionismo territoriale di S. fosse in gran parte esito inevitabile della necessità di conquistare nuove terre per i figli cadetti delle famiglie cittadine e come, cessate le conquiste, fosse cominciato un lento ma inarrestabile decremento della classe sociale degli spartiati e perciò del numero di opliti che la città era in grado di schierare in battaglia. Le altre classi sociali del territorio direttamente soggetto a S., infatti, non godevano della cittadinanza e dunque non combattevano con gli Spartani, se non in occasioni eccezionali e in numero limitato, per ragioni di sicurezza. Gli iloti erano una classe semiservile, affine ai medioevali servi della gleba, cui spettava il compito di coltivare i terreni di proprietà degli spartiati, mentre questi si dedicavano alla preparazione militare prima e alla conduzione delle guerre poi. Secondo gli storici, gli iloti erano inizialmente i discendenti degli abitanti predorici del bacino dell'Eurota: al loro rango furono poi via via assimilati gli abitanti superstiti delle città sottomesse, come accadde ai Messeni. Privi come gli iloti dei diritti politici ma non di quelli civili erano invece i perieci, che vivevano in villaggi esterni al territorio strettamente cittadino, per lo più dislocati lungo la costa, e che potevano esercitare il commercio e le attività artigianali. Essi godevano di autonomia amministrativa ma erano soggetti a precisi obblighi contributivi e, talvolta, militari; inoltre non potevano perseguire una propria politica estera. Sollevati dalle incombenze strettamente economiche, gli spartiati conducevano una vita interamente dedicata alle necessità dello Stato: fin da ragazzi venivano allontanati dalla famiglia per essere educati nelle discipline militari, organizzati in gruppi di coetanei (sissizi) guidati da un maestro responsabile del programma educativo (agoghé). I ragazzi vivevano insieme, si allenavano e combattevano insieme e terminavano il proprio addestramento civile e militare intorno ai 20 anni. La rigida educazione spartana mirava a sviluppare coraggio e abilità: ci è stata tramandata la descrizione di alcuni cimenti cui venivano sottoposti gli allievi, come la kryptéia, in cui un giovane veniva abbandonato per un certo numero di giorni in un territorio sconosciuto, perché dimostrasse di saper sopravvivere in terra nemica. Coerente a questi dati è la tradizione secondo cui i bambini nati con difetti fisici che li rendevano inadatti alla guerra non venivano allevati ma esposti sul Monte Taigeto. A 20 anni si era soldati e si viveva negli accampamenti comuni; dai 30 anni i cittadini, se si era in tempo di pace, potevano sposarsi e vivere in una casa propria, ma la dimensione comunitaria veniva mantenuta dall'obbligo di prendere il pasto giornaliero alla mensa militare con il gruppo dei coetanei. Questo regime di estrema militarizzazione e austerità fu in realtà il punto terminale dell'evoluzione della società spartana; fino al principio del VI sec., infatti, l'egualitarismo socioeconomico stabiliva solo una condizione minima di ricchezza, che non precludeva possibilità di accumulo (ad esempio vi era chi riusciva a ereditare più lotti di terra). La vita culturale fu vivace, come dimostrano le composizioni poetiche di Alcmane o il prolungato soggiorno a S. di poeti come Terpandro di Lesbo e Stesicoro di Imera. Tuttavia, la rigidezza degli istituti sociali condusse alla tipica austerità della S. tradizionale, con un costante calo demografico della popolazione cittadina e una progressiva contrazione dei consumi interni, di modo che il declino di S. fu dovuto più alla sua struttura interna che ad eventi esterni. ║ La lega peloponnesiaca, le guerre persiane e l'egemonia spartana nella guerra del Peloponneso: dopo il VII sec., S. abbandonò la politica di annessioni e di riduzione alla condizione di iloti delle popolazioni vinte. L'esercito rimase pur sempre il principale strumento della politica estera spartana, ma esso fu utilizzato in senso egemonico all'interno di un sistema di alleanze; due furono le cause di questa decisione strategica. Da un lato il numero dei cittadini spartani di diritto, i soli che potevano essere schierati in armi, non fu mai molto elevato e non era perciò in grado né di conquistare né di mantenere in stato di soggezione territori troppo vasti. Inoltre l'ordinamento civico della polis non poteva applicarsi a uno Stato di dimensioni regionali o nazionali, a meno di essere riformato cosa che gli Spartani non volevano. La soluzione della summachía o alleanza militare, aveva il duplice vantaggio di fornire forze militari da poter impiegare a difesa o promozione degli interessi di S. e insieme di conservare la dimensione ottimale e tradizionale della città-stato: S. infatti era in grado di imporre la sua volontà sulle città aderenti alla lega con la propria superiorità militare - senza doverle direttamente conquistare - offrendo volentieri come contropartita la loro autonomia amministrativa e di politica interna. Durante il VI sec. a.C. confluirono nella lega peloponnesiaca quasi tutte le città della Grecia meridionale: gli Elei (che esercitavano la presidenza sul santuario di Olimpia e sui suoi giochi), le città dell'Argolide (esclusa la sempre nemica Argo), Fliunte, l'Isola di Egina e la grande città di Corinto, che portò in dote alla lega una forza navale seconda solo a quella ateniese. Le prime azioni degli “Spartani e dei loro alleati” attestate dagli storici antichi sono quelle del 525 a.C. contro il tiranno di Samo Policrate e quella del 510 a.C. contro i Pisistratidi di Atene, su richiesta degli esuli ateniesi. Il re promotore di questi interventi, Cleomene, sconfisse anche in modo decisivo la rivale Argo, sancendo l'egemonia indiscussa di S. nella regione. Il delinearsi del pericolo persiano catalizzò questo sistema di alleanze tra le poleis greche; anche Atene, all'indomani della rivolta delle città ioniche contro i Persiani nel 499-495 a.C., vi aderì. In realtà, il peso della prima guerra persiana ricadde quasi totalmente sulle spalle della sola Atene (vittoria di Maratona, 490 a.C.): il contingente spartano di soccorso arrivò infatti quando la battaglia era già conclusa. La guerra contro Serse, invece, vide la partecipazione delle poleis greche, sotto il comando spartano, organizzate in un organismo molto forte. Le battaglie delle Termopili (480 a.C.) e di Platea (479 a.C.), rispettivamente guidate dagli spartani Leonida e Pausania, confermarono il mito dell'invincibilità militare di S. (V. PERSIANO). Con lo spostamento del teatro delle azioni militari in Asia Minore e in Tracia, gli Spartani cominciarono un lento disimpegno, essendo quelle aree troppo lontane dai loro interessi immediati: questo fu un grave errore, che lasciò spazio al costituirsi della lega delio-attica a supremazia ateniese e al costituirsi, grazie ad essa, dell'imperialismo marittimo di Atene (V. ATENE e DELIO-ATTICA, LEGA). Presto Atene si staccò dalla lega peloponnesiaca, per organizzare subito, nel 462 a.C., una coalizione militare con i nemici storici di S.: gli Argivi e i Tessali (si sviluppò in questa occasione il mito dell'autoctonia continentale che contrapponeva i popoli pelasgici da sempre abitatori dell'Attica e della Grecia continentale alle stirpi doriche del Peloponneso). Seguirono anni di scontri per il controllo della Grecia continentale, nel corso dei quali, tra alterne vicende, prima S. si vide rinchiusa nel solo Peloponneso, poi l'Attica fu invasa dagli Spartani, fino a che si giunse nel 446 a.C. alla conclusione di una tregua trentennale tra le due città e al reciproco riconoscimento, tra le due leghe delio-attica e peloponnesiaca, delle rispettive zone di influenza (terrestre quella di S., sul Peloponneso e sulla Grecia centrale; navale quella di Atene, sulle Isole di Eubea e di Egina e sullo Ionio). Questa pace fu tuttavia di natura transitoria, dal momento che troppe erano le occasioni in cui l'una polis poteva entrare in competizione nella zona di influenza dell'altra. Nel 431 a.C., dunque, ebbe inizio la guerra del Peloponneso (V. PELOPONNESO) che terminò nel 404 a.C. con la vittoria spartana e l'estensione della sua egemonia in Grecia. Protagonisti del successo militare di S. furono soprattutto Brasida e Lisandro, che riuscirono a superare la tradizionale diffidenza spartana a portare i propri soldati fuori dal Peloponneso. La svolta decisiva che determinò la conclusione della guerra, tuttavia, fu l'alleanza strategica ed economica di S. con la Persia di Ciro. Alle città sconfitte furono imposti Governi oligarchici (come quello dei trenta tiranni ad Atene) e l'adesione alla lega peloponnesiaca. ║ La decadenza di S.: nonostante avesse raggiunto una posizione egemone addirittura superiore a quella conseguita con le guerre persiane, anche perché rimasta senza rivali, S. si avviò a un graduale declino, reso inevitabile sia da fattori interni sia da cause esterne. Il predominio spartano, infatti, assunse un carattere pesantemente impositivo e militare, molto più lesivo delle autonomie cittadine di quanto fosse stato in precedenza quello ateniese, senza per altro compensare questa sudditanza politica con significativi rapporti di tipo commerciale ed economico che portassero benefici e potessero saldare i rapporti tra polis egemone e centri sottomessi. Inoltre, il fatto che la flotta spartana fosse mantenuta con denaro offerto dalla Persia, sempre interessata a dominare le città greche d'Asia Minore e a stabilire una sua influenza su quelle continentali, dava all'egemonia spartana una natura anti-nazionale mal tollerabile. Per questa ragione gli scontri tra il re spartano Agesilao e il persiano Artaserse finirono per rimettere in moto la situazione anche in Grecia, dando fra l'altro ad Atene la possibilità di affrancarsi dalla soggezione a S. e di ricostituire una sua forza navale. La Pace di Antalcida nel 386 a.C. giovò agli interessi persiani più che a quelli di altri e rappresentò il punto di svolta verso la decadenza spartana. S. infatti, indebolita dallo sforzo militare e privata della flotta distrutta dall'ateniese Conone, vide crescere al suo interno una crisi economica e demografica: il gruppo degli spartiati era ormai ridotto a meno di 1.000 individui, mentre cresceva il numero di coloro che non riuscivano più a mantenere i requisiti minimi di cittadinanza. Inoltre, perieci e iloti premevano per affrancarsi dalla loro posizione subordinata e servile. Anche per questa debolezza S. non riuscì a impedire il sorgere della potenza di Tebe (V.), inizialmente appoggiata ma poi osteggiata da Atene: fu proprio Tebe a infliggere a S. la prima sconfitta in campo aperto della sua storia, a Leuttra nel 371 a.C. La guerra entrò nel Peloponneso, con il saccheggio della Laconia, la rivolta della Messenia e la battaglia di Mantinea (362 a.C.), che sancì la fine dell'egemonia spartana. Nessuna città poté però subentrare nel suo ruolo guida: Tebe non era sufficientemente potente, Atene era militarmente ed economicamente prostrata. Ciò lasciò spazio alla progressiva intromissione della Monarchia macedone. Dopo la battaglia di Cheronea (338 a.C.) in cui Filippo il Macedone sconfisse Atene e Tebe, anche S. fu costretta ad aderire alla lega panellenica. Nel 331 a.C., mentre Alessandro Magno (succeduto al padre) si trovava in Asia, S. tentò una rivolta, subito soffocata. Da allora le vicende spartane coincisero con quelle della Grecia, fatti salvi due tentativi di restaurare l'ordinamento di Licurgo da parte di due re (Agide IV e Cleomene III) nella seconda metà del III sec. a.C., che ebbero come unico esito l'occupazione di S. da parte del re macedone Antigono Dosone (222 a.C.). Un ultimo tentativo di riacquistare a S. l'indipendenza fu operato dal re Nabide intorno al 192 a.C. e fu stroncato dai Romani. Assimilata da questi ultimi alla lega achea (V. ACHEA, LEGA), S. ne condivise la sorte sotto la loro dominazione. Nel 395 d.C. S. fu saccheggiata dal generale vandalo Alarico e nei secc. VII e VIII dovette essere più volte ricostruita dopo le invasioni dei popoli slavi. Nel X sec. la zona fu evangelizzata e, successivamente, diventò avamposto franco e quindi, dal 1260 circa, capitale del despotato di Morea, che dipendeva da Bisanzio. La regione, e con essa S., passò all'Impero ottomano nel 1460. Archeol. - I resti della città sono venuti alla luce solo dal 1906, anno in cui la Scuola archeologica britannica di Atene cominciò gli scavi nel sito dell'antica S. Tra i reperti individuati è il tracciato delle mura, lunghe circa 9 km: la cinta muraria sorse molto tardi, forse solo dopo l'attacco alla città perpetrato da Demetrio Poliorcete nel III sec. a.C. Essa era costituita da mattoni cotti al sole e disposti lungo uno zoccolo di pietra. A Sud-Est della città sorgeva il santuario di Artemide Orthia, il principale monumento della città, dal quale si è tratto il maggior numero di informazioni anche grazie ai numerosi rifacimenti cui fu soggetto in età antica. In una prima fase il culto si svolgeva all'aperto (secc. IX-VIII a.C.), in un'area di circa 1.500 mq cinta da un peribolo e pavimentata con ciottoli di fiume; di questa fase si sono conservati i resti di due altari. Intorno all'800 a.C. furono realizzate delle fondamenta in pietra e un alzato in fango seccato e legno; questo edificio venne poi consolidato e ampliato, diviso in due navate da una fila di colonne lignee, tra cui anche il pilastro di Artemide, raffigurante la dea in peplo coronata di foglie (l'iconografia è desunta da quella di numerose statuette votive ritrovate in loco). Dopo il 600 a.C. il tempio fu abbattuto per far posto a una costruzione più grande, forse in antis, in stile dorico, con frontone decorato da due leoni araldici (il suo aspetto esteriore ci è noto attraverso una stele del II sec. a.C. che ritraeva il tempio dopo l'ultimo restauro). In età romana davanti al santuario fu costruita una cavea circolare a gradini per lo svolgimento delle cerimonie. Di particolare interesse il materiale votivo rinvenuto, che riguarda per lo più il periodo compreso tra il IX e il IV sec. a.C.: statuine della dea (in argilla, bronzo, piombo, avorio intagliato, ecc.), ex voto, maschere. Sul colle Paleocastro sorgeva l'acropoli (cinta da mura di età romana e bizantina): di particolare interesse il santuario di Athena Chalkioikos (Atena dalla casa di bronzo). Di esso restano poche rovine, ma sappiamo che la statua di culto e il rivestimento delle pareti dell'edificio con decorazioni in bronzo (donde il nome del santuario stesso) erano opera dell'artista spartano Gitiada (VI sec. a.C.); la loro descrizione, come quella di un gran numero di monumenti di S. di cui oggi non abbiamo traccia ci è stata tramandata dal periegeta Pausania. Presso l'acropoli sono i resti dell'abitato di età romana, di cui restano un portico, le terme e case, alcune delle quali hanno restituito magnifici mosaici. Infine su un colle presso il fiume Eurota sorgeva la tomba di Menelao ed Elena, con numerosi ex voto. Tutto il materiale recuperato attraverso gli scavi è oggi custodito nel Museo archeologico presso l'agorà.
Rappresentazione grafica della costituzione di Sparta