(dal latino
substantia: ciò che
sta sotto, essenza, calco del greco
upóstasis). Elemento o aspetto
essenziale di una cosa, che si contrappone a ciò che è invece
marginale o superfluo:
ciò che conta è la s. e non
l'apparenza. ║ Con accezione specificamente filosofica, il carattere
permanente di una data realtà, che si mantiene immutato ed è
sotteso a eventuali cambiamenti. In questo senso si oppone ad
accidente.
║ Realtà in senso generico, materia; in tale accezione il termine
è spesso accompagnato da attributi che ne specificano la natura:
s.
medicinale. ║ Insieme dei beni di proprietà di un singolo, di
una famiglia, di un ente o istituzione. In questa accezione è più
usato al plurale:
ha perso al gioco tutte le sue s. ║
S.
nutritiva: il potere nutritivo di un alimento. Lo stesso significato
è attribuito talvolta al termine usato in senso assoluto:
la s. di un
cibo. ║
S. vivente: struttura organica dotata di
capacità biologica di vita (in cui cioè è riscontrabile il
ciclo vitale contraddistinto dagli eventi di nascita, crescita e morte). ║
Per antonomasia, Dio, definito anche come
prima s. o
s. increata.
• Biol. - Un complesso organico di composizione omogenea ed estensione ben
definita. ║
S. bianca e
s. grigia: nel sistema nervoso
centrale, le due componenti fondamentali che costituiscono gli emisferi
cerebrali, il cervelletto, il midollo allungato e il midollo spinale. Esse sono
definite così in funzione la prima del colore delle fibre mieliniche
(nervose) che la costituiscono e la seconda per la caratteristica pigmentazione
dei neuroni (cellule nervose). ║
S. nera (calco del latino
scientifico
substantia nigra): formazione pigmentata del
mesencefalo, appartenente al sistema piramidale (V.
PIRAMIDALE). ║
S. corticale e
s. midollare:
definizioni utilizzate per definire rispettivamente la sezione periferica e
quella centrale di organi a struttura non omogenea (reni, ovaie, ecc.). •
Fisiol. - Termine con cui si definiscono quei composti biochimici di cui non
sono noti con precisione ed esattezza gli elementi costitutivi, ma di cui si
conosce l'azione svolta a livello fisiologico. Ad esempio, le
s. dette
istaminosimili sono composti di natura differente rispetto all'istamina,
ma che svolgono una funzione analoga ad essa. • Chim. - Specie di materia
che, in base a proprietà caratteristiche e intrinseche, si differenzia da
ogni altra specie (acqua, vetro, legno, acciaio, ossigeno, zucchero, ecc.).
Queste proprietà sono possedute da ogni corpo che risulti costituito da
una determinata
s., a prescindere da altri caratteri contingenti che tali
corpi possano avere. Ad esempio, un bastone di legno e una barra di acciaio
possono condividere il dato contingente e accidentale della forma e dello
spessore, ma differiscono nei caratteri sostanziali della materia che li
costituisce. • Filos. - In ambito filosofico, il termine
s. (il cui
corrispondente latino
substantia fu utilizzato per la prima volta da
Quintiliano) indica in genere un
quid che permane immutato al variare
delle qualità apparenti o accidentali. La ricerca di tale
quid
costituì la traccia fondamentale delle speculazioni cosmogoniche e
cosmologiche delle scuole presocratiche, al fine di individuare ciò che
riduce il molteplice a unità, ciò che è origine del
molteplice e insieme ne spiega il continuo divenire. Di volta in volta il
principio unificatore e regolatore del reale fu individuato nel fuoco,
nell'aria, nell'acqua o in un
quid indeterminato, distinto da tutte le
cose sperimentabili: sempre, tuttavia, l'elemento sostanziale riconosciuto come
sotteso alla realtà ebbe carattere materiale e intrinseco alla natura
stessa. Anche l'unità originaria concepita dai pitagorici fu pensata come
entità corporea e localizzata in uno spazio. Fu Platone il primo a
pervenire al concetto di
s. immateriale: le
idee, infatti, sono
realtà oggettive, indipendenti tanto dal mondo sensibile quanto dalla
rappresentazione mentale che l'uomo si fa di esso. Si tratta di enti
autosufficienti, eterni e immutabili, puri ideali intelligibili, non immanenti
ma trascendenti il mondo materiale e la realtà sensibile. Ad Aristotele
si devono definizioni più particolari e diversificate del concetto di
s.: egli intese il termine sia nell'accezione generale di
ciò
che è e permane (
ousía), sia di sinolo (unione)
di materia e forma, in questo caso intendendo la
s. non più come
elemento trascendente e puro intelligibile ma come sostrato individuale. Il
filosofo distinse infatti tra
s. prima, cioè il soggetto che non
necessita di essere predicato da null'altro, e
s. seconde, le
categorie intellettive con le quali l'uomo classifica il reale in
generi
e
specie. Agostino, seguendo Platone, indicò nella mente di
Dio la sede delle idee, cioè della
s. ultima che si attua nelle
creature. Il pensiero medioevale e scolastico approfondì la ricerca e
formulò teorie assai vicine al Panteismo: se la
s. è
ciò che esiste in sé e che consente l'esistenza degli accidenti
(
ens quod per se subsistit et sustinet accidentia), è anche
necessario che ogni accidente inerisca a un qualcosa che lo
supporti, una
s. (ciò che
sta sotto, appunto) immanente a tutto
ciò che esiste. Ne consegue che la vera
s. si riconosce per il
fatto che è sempre uguale a se stessa (
quod semper id ipsum
est,
vera substantia dicitur). Cartesio non si discostò da
tale concezione, se mai la esplicitò, affermando che, se si definisce
s. ciò che non ha bisogno di nient'altro al di fuori di sé
per esistere, tale
s. non può essere che unica e pertanto coincide
con Dio. Il termine dunque non può correttamente riferirsi a Dio e ad
altri nello stesso tempo: per ciò Cartesio affiancò alla
s.
divina in senso stretto (
casa sui) altre due
s. che da essa
derivano, la
s. estesa (
res extensa, cioè la materia) e la
s. pensante (
res cogitans, cioè lo spirito),
definendole come
res quae solo Dei concursu agent ad existendum. B.
Spinoza, pur rifacendosi all'impostazione panteista cartesiana, non ne
accettò le distinzioni, ma concepì la sostanza (
quod in se est
et per se concipitur) secondo un carattere di assoluta unicità, di
cui estensione e pensiero sarebbero gli attributi, cioè le
modalità della sua manifestazione. Il processo dissolutivo della nozione
di
s. ebbe inizio con J. Locke che, pur ammettendo la realtà della
s., nega la sua conoscibilità: dal momento, infatti, che la
conoscenza può basarsi solo sulle risultanze empiriche delle
facoltà sensoriali e della riflessione, l'uomo non può attingere
con l'intelletto il sostrato permanente e immutabile delle cose ma solo le
qualità di esse e le proprie attività. La
s., tuttavia,
benché inconoscibile necessariamente esiste: se così non fosse le
qualità e gli attributi che l'uomo percepisce sarebbero inerenti al
nulla, fatto che non può sussistere. In direzione del fenomenismo
progredì la speculazione di G. Berkeley, per il quale non è
neppure necessario postulare l'esistenza di un sostrato permanente e immutabile
cui ineriscano gli attributi: le qualità percepite dall'intelletto umano,
infatti, esistono non in realtà ma solo in quanto percepite e sono
instillate nell'uomo direttamente da Dio. Solo D. Hume, tuttavia, ebbe il
coraggio di portare alle estreme conseguenze queste affermazioni, sostenendo
l'inesistenza non solo della
s. materiale ma anche di quella spirituale
(che Berkeley non aveva negato). Per Hume, infatti, l'idea di
s. deriva
da una libera associazione della mente umana, che mediante questa categoria
concettuale interpreta il dato del regolare e costante ripresentarsi
all'esperienza di sensazioni simili tra loro. I. Kant sistematizzò questa
intuizione, facendo del principio di
s. una delle tre categorie
trascendentali dell'intelletto (insieme a spazio e tempo), cioè una
funzione di relazione dello spirito. La
s., in pratica, è per Kant
una funzione del conoscere, che consente al soggetto di unificare la
molteplicità del sensibile in un'esperienza possibile: riordinando il
dato esperienziale nella struttura della categoria, la
s. non coincide
più con l'essenza delle cose quali sono, ma solo con la rappresentazione
che l'intelletto si fa di esse. L'Idealismo, infine, non poteva accettare il
concetto di
s. in quanto cosa in sé (cioè come oggetto che
esiste esternamente all'intelletto e alla percezione di un soggetto): per gli
idealisti, infatti, non si dà esistenza oggettiva di un
quid che
sia inconoscibile. Il contenuto del termine
s., dunque, venne
reinterpretato dagli idealisti non più come dato permanente e immutabile
che soggiace al reale, ma come attività produttiva dello spirito, che
rende attuale la realtà in quanto attua se stesso.