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Socialismo.

Insieme di dottrine e movimenti accomunati dalla critica al capitalismo, fondato sulla proprietà privata e sull'accentramento della ricchezza nelle mani di una minoranza privilegiata, e dalla proposta di una trasformazione della società in senso collettivistico ed egualitaristico. In senso più storicamente determinato, il S. ha rappresentato e rappresenta ancora oggi un sistema di idee e valori in grado di indirizzare i gruppi e i partiti, che al S. si richiamano, verso l'obiettivo di un ordine politico e sociale dove le sperequazioni siano superate attraverso correttivi applicati ai processi di produzione e ridistribuzione del reddito. • St. - La concezione di S. ha radici in tempi assai anteriori alla Rivoluzione industriale: basti ricordare i movimenti ereticali (meglio detti comunionisti) del Medioevo, che predicavano l'uguaglianza totale nella comunione dei beni e, su un piano di elaborazione intellettuale, le utopie di T. Moro e T. Campanella. Tuttavia il termine comincia ad apparire soltanto negli anni 1820-30 in Francia e in Inghilterra, rispettivamente negli scritti di P. Leroux e presso il gruppo facente capo a R. Owen. Nel primo caso, sotto l'etichetta di S. prendeva forma una decisa opposizione al Liberalismo, mentre nel secondo prevaleva l'istanza sociale e la priorità della questione operaia. A questa prima fase del pensiero socialista, detta genericamente del S. utopistico (secondo la definizione di K. Marx) appartiene la schiera di teorici e militanti francesi, accomunati dal riferimento storico alla Rivoluzione del 1789. Subito si evidenziano, all'interno del movimento, due correnti di pensiero originate da una differente interpretazione di questo evento storico: da una parte la posizione di pensatori quali C.-H. de Saint-Simon, F.-M.-Ch. Fourier, J.-J.-Ch.-L. Blanc, E. Cabet, P.-J. Proudhon, che ricavarono dalla constatazione del sostanziale tradimento delle istanze rivoluzionarie un atteggiamento di rifiuto della politica e dei suoi metodi violenti. Fourier e Saint-Simon furono teorici puri che elaborarono dei progetti di società organizzata secondo principi di solidarietà e collaborazione, nella quale la soluzione dei problemi sociali è affidata al progresso della scienza e della tecnica. Fortemente ridimensionata appare la funzione dello Stato, limitata alla salvaguardia dell'ordine pubblico e della sicurezza. Tra i principali bersagli critici di questi pensatori è la Chiesa, connivente nella conservazione dello status quo. Ampio seguito ebbero anche le idee di Proudhon che, profondamente contrario allo statalismo, elaborò l'idea di una società di cooperative, divisa in federazioni e nella quale venisse attuato il decentramento; dal pensiero di Proudhon nascerà l'Anarchismo come indirizzo avverso al S. per la diversa interpretazione del ruolo dello Stato. Dall'altra parte abbiamo invece gli esponenti dell'ala radicale del S. utopistico, tra cui L.-A. Blanqui, F. Buonarroti, F.-N. Babeuf, che considerarono prioritario il momento dell'azione, facendone oggetto esclusivo delle loro riflessioni. Attribuito il fallimento della Rivoluzione francese a una carenza organizzativa, essi indicarono nella conquista del potere politico, ottenuta attraverso l'azione cospirativa e insurrezionale, il necessario presupposto per l'affermazione del principio egualitario e del comunismo dei beni. Fin da allora questa corrente preferì adottare la definizione di Comunismo piuttosto che di S.; comuniste venivano anche chiamate le società segrete attive in Francia fra il 1835 e il 1840, ispiratrici della linea Babeuf-Buonarroti. In Gran Bretagna si sviluppò un movimento che, a differenza di quelli francesi, rivolse la propria attenzione all'ambito socio-economico piuttosto che politico, senza preoccuparsi di elaborare rigidi sistemi teorici entro cui adattare l'azione concreta. L'esponente più rappresentativo del cosiddetto S. pragmatico anglosassone fu R. Owen. Egli tentò di tradurre in pratica le sue idee, prima nella fabbrica di New Lanark di cui era comproprietario e direttore, poi fondando nel 1826 la colonia comunistica New Harmony·(Stati Uniti). Lontano dal rigettare il progresso industriale e tecnico, Owen auspicava invece una pianificazione della produzione industriale che ponesse al centro la tutela della classe operaia, garantendo accettabili condizioni di lavoro e di vita. In particolare, egli affermò l'importanza della funzione delle trade unions, libere associazioni fra lavoratori, quali baluardi nella difesa dei livelli salariali. II riformismo pragmatico di Owen fu assimilato dal movimento cartista e dal sindacalismo inglesi, che rifiutarono invece gli eccessi del S. rivoluzionario. Con K. Marx e F. Engels il S. internazionale subì una svolta cruciale, di cui gli autori stessi furono consapevoli definendo il loro come S. scientifico. Nel Manifesto del partito comunista (1848), essi distinsero il loro S. dalle altre versioni “degeneri”, tra le quali annoverarono anche il S. utopistico di Proudhon. In effetti, i due pensatori intrapresero un'analisi scientifica rigorosa dei rapporti che si formano tra le componenti sociali in relazione alla struttura economica capitalistica e del loro prevedibile sviluppo storico. Solo il totale capovolgimento del sistema economico avrebbe portato al cambiamento di ogni altra “sovrastruttura”, cioè lo Stato, la politica, il diritto, la morale, ecc. Secondo questa analisi, il proletariato sarebbe stata la forza in grado di realizzare il programma di azione rivoluzionaria per la trasformazione della società capitalistica in società socialista e quindi comunista. A questo punto i due termini di S. e Comunismo subiscono una differenziazione di rilevanza fondamentale per le loro applicazioni storiche successive. Secondo Marx, infatti, il S. rappresenta una fase transitoria del processo rivoluzionario, nella quale si instaura la dittatura del proletariato e, con essa, la fine della proprietà privata, fase necessaria a preparare l'avvento della società comunista. Dopo il fallimento dei moti rivoluzionari del 1848 si presentò il problema di organizzare su scala sovranazionale il movimento operaio e socialista dal momento che, proprio nella formulazione teorica marxista, la lotta delle masse supera le divisioni nazionali in quanto, al di là dell'appartenenza o meno a una Nazione, ciò che veramente distingue gli uomini sono le differenze di classe. Nacque così la Prima Internazionale (1864-76), con lo scopo di coordinare e indirizzare le varie organizzazioni proletarie verso obiettivi comuni. Qui il Marxismo si incontrò con il movimento operaio dei diversi Paesi europei, che cominciava a liberarsi del velleitarismo proprio del primo S. Fu riconosciuta l'importanza tattica del riformismo democratico, con una serie di obiettivi di medio termine (miglioramento salariale e delle condizioni di lavoro, riconoscimento delle associazioni operaie, conquista dei diritti civili), nonché l'opportunità delle “vie nazionali” al S., anche non rivoluzionarie nei Paesi a tradizione liberal-democratica (Gran Bretagna, Stati Uniti). Intanto, dall'esperienza duramente repressa della Comune parigina del 1871, diretta da blanquisti, proudhoniani e giacobini, Marx ricavò la convinzione che non vi fossero le condizioni oggettive per il successo di un'azione insurrezionale. Nel 1889 sorgeva la Seconda Internazionale (1889-1917) che vide la preminenza della socialdemocrazia tedesca, il cui ideologo principale era K. Kautsky. I dibattiti tra e all'interno dei vari partiti operai europei (laburismo inglese, socialdemocrazie tedesca e austriaca, S. francese e italiano) furono accesissimi durante tutto il periodo della Seconda Internazionale; la stessa dottrina marxista venne reinterpretata ora in chiave rivoluzionaria ora in chiave riformistica, con risultati che segneranno in modo indelebile lo sviluppo del S. nelle diverse realtà storiche. In Inghilterra il Marxismo rimase sempre una componente minore del movimento operaio, il quale era rappresentato dal Partito laburista (1906) collegato alle trade unions. K. Kautsky e R. Luxemburg furono i paladini dell'ortodossia marxista, difendendo la necessità dell'azione rivoluzionaria contro le posizioni fortemente critiche di E. Bernstein, che confutava le previsioni scientifiche del materialismo storico e indicava alle masse la strada del gradualismo e della democrazia, “alta scuola di compromesso”. Inoltre, negli anni precedenti il primo conflitto mondiale, la controversia sulla posizione da assumere nei confronti della guerra dimostrò l'incapacità dei partiti socialisti, nella loro maggioranza neutrali o favorevoli al conflitto, di porre la solidarietà di classe al di sopra degli interessi nazionali. Queste tensioni sfociarono nella creazione, nel 1919, della Terza Internazionale, o Internazionale Comunista, che ebbe come partito-guida quello bolscevico e come modello la rivoluzione sovietica compiuta due anni prima. Lenin, il capo della fazione vittoriosa, liquidò sprezzantemente il S. revisionista e indicò nell'ideologia comunista, “onnipotente perché giusta”, la dottrina ufficiale del partito rivoluzionario e dello Stato socialista con il quale si identifica. I partiti socialisti europei della corrente riformista accusavano il Comunismo sovietico di degenerazione dispotica e difendevano la democrazia parlamentare; un'altra corrente, più vicina alle posizioni comuniste, pur ammettendo la necessità della dittatura del proletariato, non approvava i metodi sovietici di conduzione dello Stato e del partito. Solo l'aggravarsi della situazione internazionale e l'avvento in Europa delle dittature di destra determinarono un avvicinamento delle due posizioni, con la costituzione di fronti popolari per la comune lotta di resistenza. Nel secondo dopoguerra il S. europeo, opponendosi nettamente alle esperienze sovietica e cinese e sviluppando le tendenze già presenti tra le due guerre, compì il suo affrancamento dall'ideologia marxista e rivoluzionaria secondo un processo che comportò la legittimazione del sistema parlamentare, nonché l'accettazione di un ruolo di pragmatismo politico. Significativi, a questo riguardo, alcuni fatti tra i quali, in Italia, la rottura del patto fra PSI e PCI dopo l'invasione sovietica in Ungheria (1956), il congresso di Bad Godesberg (1959) che segnò, da parte della socialdemocrazia tedesca, l'abbandono del Marxismo, dell'idea di partito di classe e del S. come ultimo fine. I partiti socialisti, diventati a tutti gli effetti partiti socialdemocratici, si sono venuti costruendo un'identità sempre più popolare e sempre meno di classe e, come tali, hanno assunto ormai da tempo responsabilità di governo nei rispettivi Paesi: basti pensare al Partito laburista in Gran Bretagna e alle socialdemocrazie scandinave. La loro azione politica ed economica, quali forze governative, è stata soprattutto ispirata al principio del welfare state, come contemperamento fra le esigenze di giustizia ed equità sociale propugnate dal S. e i meccanismi del libero mercato e dell'accumulazione capitalistica. Tale modello di Stato, all'impostazione teorica del quale hanno contribuito studiosi quali J.A. Schumpeter, W.H. Beveridge e J.M. Keynes, inaugura impensatamente l'incontro fra S. e Liberalismo e rappresenta il risultato del profondo cambiamento degli orientamenti etico-politici del S., che ha sostituito all'idea della nazionalizzazione generale quella del controllo del mercato, da parte dello Stato, mediante programmi concordati fra le varie parti sociali. Tuttavia, sul piano dell'analisi teorica, il welfare state e la stessa praticabilità del S. democratico e liberale sono state sottoposte a una valutazione critica da parte sia della sinistra rivoluzionaria, secondo la quale le politiche di welfare non sono che un modo mascherato per consolidare il sistema capitalistico, sia del Liberalismo radicale (per esempio di F.A. von Hayek, L. von Mises, M. Friedman) per il quale lo Stato sociale tende inevitabilmente alla burocratizzazione e al collettivismo, preparando la strada al totalitarismo. Su un piano storico, il S. come programma politico e come progetto di società alternativa ha subito presso l'opinione pubblica i duri contraccolpi dovuti al progressivo sgretolarsi, dalla fine degli anni Ottanta, degli Stati a S. reale dell'Est europeo. ║ S. della cattedra: espressione coniata dal liberista tedesco H.B. Oppenheim nel libro Der Kathedersozialismus (1872), in polemica verso un gruppo di studiosi (tra i quali G. von Schmoller, A.H.G. Wagner, L.J. Brentano) che sostenevano in Germania la necessità di limitare gli effetti negativi del Liberalismo sul piano etico-sociale attraverso l'attuazione, da parte dello Stato, di una politica sociale a favore delle categorie più disagiate.
Karl Marx

"Socialismo reale e realtà" di Bettino Craxi