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Smalto.

(dal francone smalt, der. del tedesco schmelzen: fondere). Sostanza vetrosa, di composizione varia, usata per rivestire o decorare superfici metalliche o ceramiche, su cui viene applicata a fuoco. ║ Oggetto smaltato: nel suo palazzo si trova una pregevole collezione di s. ║ Termine generico con cui si indicano sostanze variamente composte, utilizzate per rendere lucida e levigata una superficie. ║ S. per unghie: cosmetico femminile di vario colore che serve a colorare o a rendere brillanti le unghie; è in genere costituito da collodio elastico disciolto in alcool ed etere oppure da celluloide disciolta in acetone. ║ Fig. - Brio, brillantezza, alto rendimento: sul finale la squadra ha perso lo s. • Anat. - S. dentario: tessuto che riveste esternamente la corona dei denti, proteggendola. Di struttura microcristallina, è composto per il 97% da sali inorganici, per il 3% da proteine. È prodotto dalle cellule epiteliali dell'organo dello s. durante lo sviluppo della gemma dentaria. La cuticola esterna dello s., detta membrana dello s. o membrana adamantina, è presente soltanto all'epoca dell'eruzione del dente, consumandosi in seguito a causa dell'usura. • Arte - Nella decorazione a s. viene applicata su un fondo di metallo una polvere di vetro fusa, costituita da vetri colorati con ossidi di metallo e macinati finemente, che viene impastata con acqua e applicata sul metallo con un pennello; l'adesione della polvere al fondo avviene per mezzo del processo di fusione. Nell'antichità e nel Medioevo erano due i tipi di processo impiegati: il cloisonné e lo champlevé; nel primo lo s. riempie alveoli costituiti da sottili strisce di metallo componenti il disegno e saldate sulla superficie dell'oggetto, mentre nel secondo gli alveoli riempiti dallo s. vengono ricavati sulla superficie del metallo. In seguito vennero introdotti lo s. traslucido, che consiste nello stendere la pasta su una superficie precedentemente incisa o scolpita a bassorilievo al fine di ottenere gradevoli effetti di trasparenza, e lo s. dipinto, ovvero l'applicazione diretta dei colori sulla superficie metallica o su una superficie di s. bianco. I più antichi s. vennero lavorati dalle civiltà mediterranee. Fin da epoche remote l'Egitto conobbe amuleti in quarzo; ad essi si affiancarono in seguito anche s. di due colori, utilizzati soprattutto nel rivestimento interno, e la terracotta smaltata, parimenti diffusa nella zona mesopotamica. Esemplari di s. a caldo, attestati già dal VI sec. in Grecia, si diffusero in seguito in tutta l'Asia Minore. Ripresa dai Romani, la tecnica dello s. ebbe fortuna in Europa occidentale, specie in Gallia e in Bretagna. Lo s. bizantino, che prediligeva la tecnica cloisonné, conobbe la sua maggiore fioritura tra il X sec. e l'inizio del XIII sec.; venne utilizzato soprattutto per abbellire vari arredi destinati al culto, come pure oggetti di uso profano (il tesoro di San Marco, a Venezia, possiede il complesso più importante di oggetti di quest'arte). In Occidente lo s., che nel periodo merovingio predilesse il procedimento champlevé, risentì fin dall'epoca carolingia dell'influsso bizantino (ne è un esempio l'altare d'oro di Vuolvinio in Sant'Ambrogio a Milano, risalente all'824-859 circa). In epoca romanica, lo s. ad alveoli rapportati su oro venne gradualmente sostituito, forse per ragioni economiche, con quello ad alveoli ricavati su metallo meno prezioso (per lo più rame) dorato nelle parti scoperte; ciò consentì l'esecuzione di opere di carattere monumentale. A partire dalla seconda metà del XII sec. lo champlevé conobbe un'epoca di straordinario splendore con tre grandi scuole: quella mosana, quella renana e quella di Limoges. La prima si caratterizzò per il contrasto fra la ricca policromia degli s. e il fondo oro e produsse prevalentemente oggetti destinati a uso liturgico. Anche la scuola renana curò gli effetti cromatici, insistendo in particolare sul contrasto azzurro-oro. La scuola di Limoges, infine, inizialmente vicina alle esperienze renane, se ne distaccò a favore di uno stile che si concretizzò nell'accentuazione delle forme plastiche su uno sfondo in genere azzurrognolo; la produzione, monastica e laica al tempo stesso, si sviluppò a livello industriale dando avvio a una vasta esportazione di oggetti preziosi. Verso la fine del XIII sec. la maggiore diffusione dei metalli preziosi determinò lo sviluppo di una nuova tecnica, lo s. traslucido, che permetteva di sfruttare i riflessi dell'argento e dell'oro e di variare con lo sbalzo la profondità della lamina di supporto, al fine di graduare gli effetti di chiaroscuro. In Europa i maggiori centri di produzione furono l'Italia, la Francia settentrionale e la Renania, dove artisti di grande rilievo realizzarono grandi opere per lo più religiose (scuola renana, calice di Sigmaringen, 1320). Al traslucido su bassorilievo si affiancò in seguito l'applicazione di s. nel tutto tondo, procedimento che conobbe grande fortuna fino alla fine del XVII sec. e anche oltre (B. Cellini, saliera d'oro di Francesco I, 1540-43, Vienna, Kunsthistorisches Museum). Verso la metà del XV sec. si diffuse in tutta Europa la tecnica dello s. su rame. La decadenza dello s. cominciò nei secc. XVII-XVIII; da allora esso venne utilizzato esclusivamente come supporto coloristico della gioielleria e della miniatura. • Chim. - Termine con cui si denominano sostanze vetrose, costituite da miscele di silicati alcalini, alcalino-terrosi, di piombo, di borati silico-alcalini, di fluoroborati, ecc., a loro volta ottenute per fusione di una miscela di componenti vari che reagiscono fra loro durante la cottura. Il termine ricorre frequentemente anche per indicare il rivestimento vetroso di materiali metallici o non metallici; può essere bianco, opaco o colorato e, una volta applicato, conferisce non solo proprietà di tipo estetico, ma anche impermeabilità e maggior resistenza contro le sostanze aggressive.