Compositore italiano. Compì gli
studi musicali a Roma, diventando a soli 18 anni maestro di cappella a San
Girolamo della Carità. Nel 1679 compose la sua prima opera,
Gli
equivoci nel sembiante, apprezzata dalla regina Cristina di Svezia, la
quale, nel 1680, lo nominò maestro di cappella. Nello stesso anno
S. rappresentò con grande successo
L'onestà negli
amori, seguito da
La Psiche,
ovvero amori innamorati (1683)
e
Pompeo (1684). Nel 1684
S. venne nominato maestro di
cappella alla corte di Napoli; nella città partenopea aprì la sua
prima stagione con un rimaneggiamento di
Giustino, un'opera di G.
Legrenzi, e con
Epaminonda, di S. de Luca. Dal 1686
S.
intensificò notevolmente la sua produzione, componendo numerose opere,
fra le quali si distinsero:
Fetonte, il
Figlio delle Selve (1687);
Aldimiro,
ovvero Favore per favore (1687),
La satira (1690)
e
La caduta dei decemviri (1697). In questa prima fase della sua
attività, il musicista sviluppò uno stile operistico originale,
che fu spesso imitato dai contemporanei. Nel 1702, dopo la rappresentazione di
Tiberio,
imperatore d'Oriente, si trasferì a Firenze con il
figlio Domenico, e in seguito a Roma dove fu nominato maestro di cappella a
Santa Maria Maggiore. Tra i melodrammi del periodo romano (1703-08), alcuni dei
quali scritti per il teatro di Pratolino del principe Ferdinando de' Medici, si
ricordano
Arminio (1703),
Manho (1705),
Il Gran Tamerlano
(1706). Nel 1706 fu eletto, insieme a Corelli e Pasquini, membro dell'Accademia
dell'Arcadia e il suo prestigio aumentò considerevolmente. Nel 1707 si
recò a Venezia, ove vennero eseguite due nuove opere,
Mitridate
Eupatore e
Il trionfo della libertà. Nel 1708, quando il Regno
di Napoli passò agli Austriaci
S., in precarie condizioni
economiche e stanco dell'ambiente romano, preferì riprendere il suo
vecchio posto nella cappella reale, trattenendosi a Napoli per 10 anni. A questo
secondo periodo napoletano appartengono 16 opere, tra le quali la celebre
Tigrane (1715), rappresentata con successo al Teatro di San Bartolomeo.
Intanto, la sua fama cresceva: gli fu conferito il titolo di cavaliere, mentre a
Roma gli ammiratori sollecitavano un suo ritorno. Fra questi, il principe
Ruspoli, che organizzò la rappresentazione di molte opere di
S.,
tra le quali
La Griselda (1721) e
La virtù degli amori
(1721); ma
S. trascorse gli ultimi anni di vita a Napoli. Applaudito nei
teatri di tutta Italia, e soprattutto in quelli napoletani,
S. è
considerato il maggior compositore italiano di melodrammi dopo C. Monteverdi. Si
impose per la straordinaria efficacia drammatica, ottenuta con il collaudato
sistema dell'opera per arie e recitativi. Oltre che al suo autentico valore
musicale, tuttavia,
S. dovette parte della fama alla straordinaria
abilità nel cogliere le profonde differenze di gusto del pubblico. Anche
se è generalmente considerato il caposcuola degli operisti napoletani del
Settecento, sono evidenti nella sua produzione le influenze di altre scuole, di
quella veneziana e romana in particolare. Le sinfonie introduttive delle sue
opere, che presero la forma definitiva allegro-adagio-allegro, costituiscono un
contributo notevole all'evoluzione musicale; di importanza non minore, del
resto, sono le sue composizioni strumentali autonome: le 12 sinfonie per
orchestra (1715); le sonate a quattro, per due violini, viola e violoncello; le
sonate per due flauti, due violini e continuo; i sei concerti grossi per due
violini e violoncello solisti, due violini, viola e continuo. Della sua
produzione sono meritevoli di citazione anche gli oratori, i madrigali, le
cantate (più di 600), i mottetti, i dieci concerti sacri e, soprattutto,
le Messe: probabilmente
S. ne compose più di 200, ma ne
conserviamo soltanto dieci, alcune delle quali notevoli per la modernità
del gusto, come la
Missa Clementina (1716), di grande efficacia poetica.
Gli vengono attribuite da parte di alcuni critici numerose composizioni per
clavicembalo, opera probabilmente del figlio Domenico (Palermo 1660 - Napoli
1725).