Poetessa greca. Nacque a Ereso, ma visse nella principale
città dell'Isola di Lesbo, Mitilene. Di famiglia aristocratica, secondo
una tradizione antica fu costretta all'esilio in Sicilia fra il 607 e il 590
a.C., forse per contrasti con la stirpe di dinasti allora al potere in Lesbo.
Tornata in patria, sposò Cercila di Andro, dal quale ebbe una figlia,
Cleide, alla quale rivolse nei suoi versi parole di grande dolcezza; ebbe tre
fratelli, Larico, Carasso ed Eurigio, anch'essi ricordati nelle sue poesie.
Conobbe e fu amica del poeta Alceo, il quale ebbe in grande stima i suoi versi.
S. dedicò la sua esistenza alla poesia e fu alla guida di un tiaso
(una sorta di comunità religioso-pedagogica consacrata ad Afrodite e alle
Muse) nel quale, intorno alla sua figura, si raccoglievano le giovani nobili, di
Lesbo e straniere, per apprendere ed esercitare la poesia, la musica e la danza,
oltre che per dedicarsi alle pratiche cultuali. I legami fra la maestra e le
allieve non dovevano però essere solo dottrinali: lo si evince dalle
poesie stesse di
S., che per queste fanciulle esprime sentimenti di
passione e di amore. Sul significato di questi legami affettivi si è
molto discusso fin dall'antichità, nel tentativo di fornirne
un'interpretazione che non urtasse la sensibilità morale delle epoche
successive: in realtà, come la critica più recente ha mostrato, la
natura dell'amore di
S. per le sue allieve è spiegabile
all'interno del contesto del tiaso, con la sua intensa vita di gruppo e con le
rivalità nei confronti di altri tiasi, e più in generale
all'interno del culto greco della bellezza e della valorizzazione, in senso
pedagogico ed educativo, dell'amore omosessuale. La figura di
S. divenne
ben presto oggetto di leggende e di racconti scandalistici. Pura leggenda
è, per esempio, la storia del suo amore disperato per il giovane Faone,
il cui rifiuto l'avrebbe indotta a togliersi la vita precipitandosi dalla rupe
di Leucade; il racconto trae in realtà origine dalla celebrazione,
presente nelle liriche di
S., degli amori di Afrodite e del demone Faone.
Tale racconto ebbe fortuna e fu ripreso da Ovidio e dai neopitagorici, i quali
videro nel suicidio di
S. il simbolo dell'individuo che annulla se stesso
nell'armonia del cosmo. Altrettanto infondata è la tradizione secondo la
quale
S. fu una cortigiana: essa derivò probabilmente dalla
manipolazione della sua figura da parte della commedia greca.
S. scrisse
esclusivamente poesie liriche (inni, epitalami, canti d'amore e poemetti
mitologici), che i grammatici di epoca alessandrina suddivisero in nove libri,
seguendo criteri prevalentemente metrici (ma nel IX libro erano contenuti
epitalami di metro differente). Della sua vasta produzione, tuttavia, è
pervenuto molto poco; restano infatti una sola ode intera (
L'inno ad
Afrodite)
e circa 213 frammenti, alcuni dei quali giunti per via
indiretta attraverso citazioni di grammatici, altri rinvenuti invece, in tempi
recenti, in papiri e in brandelli di pergamena di lettura talora molto difficile
se non impossibile, tuttora in fase di restauro e di analisi. Il dialetto usato
da
S. è l'eolico, come nelle liriche di Alceo, anche se non
mancano forme desunte dall'epica; il tipo di composizione è la lirica
monodica, benché si abbia notizia anche di poesie corali composte da
S., di struttura metrica però assai differente da quella dei cori
pervenuti di Alcmane, Pindaro e Stesicoro. Per l'eccezionalità di forme e
per la raffinatezza della lingua, la poesia eolica di
S. fu imitata dai
poeti ellenistici e, attraverso di loro, da poeti latini come Catullo e Orazio.
S. fu essenzialmente poetessa d'amore: questo sentimento venne da lei
cantato in ogni sua manifestazione, dalla tenerezza dell'amore materno alla
passione travolgente, dalla contemplazione estatica alla preghiera del
desiderio, dal tormento della gelosia al dolore dell'abbandono. La descrizione
degli stati d'animo è nitida, presuppone la consapevolezza del proprio
sentire; i sentimenti sono registrati con precisione e lucidità, che
rendono palpabile il tormento e la sofferenza di
S. Del resto, la
rivelazione della bellezza - che si manifesta nelle forme delle fanciulle amate,
delle quali sono ricordati i nomi, i gesti e le parole - è per
S.
rivelazione del sacro, che affascina e turba. Ma il turbamento della passione
d'amore si contrappone nelle poesie di
S. all'incanto e alla
serenità della natura, raffigurata in immagini di perfetta
semplicità e armonia. Anche gli spunti e gli schemi letterari presenti
nei suoi versi non sono accolti come passiva eredità della tradizione, ma
vengono reinterpretati alla luce della potenza dell'amore, fonte principale
della sua ispirazione. Per la purezza e la musicalità perfetta della
lingua, per l'immagine pregnante ed essenziale, per la fusione perfetta degli
elementi che formano il disegno dei versi, per la profondità del respiro
poetico, la lirica di
S. costituisce una delle più alte vette mai
raggiunte dalla poesia di tutti i tempi. Immensa fu la sua fama, già
presso i Greci e i Latini; la sua opera fu nota nel Medioevo e ampiamente
ammirata nell'età moderna; alla sua figura furono ispirati drammi,
romanzi, opere musicali; Foscolo tradusse i suoi versi e Leopardi fornì,
nell'
Ultimo canto di S., un'appassionata interpretazione del suo tormento
amoroso (Lesbo fine VII sec. a.C. - prima metà VI sec. a.C.).